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Neghentropismo ed eudaimonia

di Fedro Anacoreta - Luglio 2017

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Etica e Morale

Il termine Etica deriva dal greco éthos e significa costume, carattere.
La filosofia etica, quindi, può essere identificata con lo studio delle norme di “buona vita” di un determinato contesto sociale. Essa si pone l'arduo compito di mettere ordine nelle relazioni umane, e tra l'uomo e gli esseri viventi, identificando ciò che è giusto o sbagliato in termini il più possibile assoluti (9).
Per ricercare un'Etica Universale esistono solo due vie: prevedere l'esistenza di una qualche Entità Divina esterna agli esseri viventi che stabilisce ciò che è giusto e sbagliato (ma non esiste un'unica religione e un unico Dio; come si può scegliere?) oppure cercare di identificare quel qualcosa che tutti gli esseri umani hanno in comune e sul quale si può effettivamente pensare di costruire una morale con dei valori universali.
L'etica del mondo antico prevede la ricerca della virtù (aretè) al fine di ottenere la felicità; anzi, la pratica della virtù è già essa stessa felicità. Ma quali sono queste virtù da coltivare?
Per Socrate la virtù coincide con il sapere e con la scienza e ha come oggetto il bene, inteso non come possesso di beni materiali e di potere, ma come conoscenza e realizzazione della propria essenza autentica: l'eudaimonia.
Da qui la famosa frase “Conosci te stesso”.
Secondo Aristotele l'uomo è un animale politico; è fatto per vivere in società. L'etica e la politica si occupano della condotta individuale e di quella collettiva ma, siccome ogni individuo non può esistere al di fuori dei legami sociali (se non in forma di bestia o di divinità) l'una non può sussistere senza l'altra. Il fine di entrambe è il raggiungimento della felicità, dell'eudaimonia, per mezzo anche di virtù che fanno perno sul principio della giusta misura; i comportamenti estremi devono essere eliminati a favore di quelli più equilibrati.
Con il pensiero cinico e stoico nasce un'etica basata sulla contestazione dell'autorità, sull'autarchia, sulla imperturbabilità e la tranquillità dell'animo, perché tutto nell'universo segue una necessità logica (Logos)
Andando oltre lo stoicismo, Epicuro sostiene che la libertà e la felicità possano realizzarsi solo in seguito alla liberazione dall'ignoranza, dalla superstizione e dalla paura, grazie alla pratica della filosofia e alla ricerca del piacere inteso come “libertà dalla dipendenza e dal bisogno”. Quindi, quando gli epicurei sostengono che il piacere è il fine ultimo, non intendono i piaceri dissoluti, ma l'assenza di sofferenza del corpo e di turbamento dell'anima. Essi predicano l'ataraxia, l'imperturbabilità, la libertà dalla paura e dal bisogno di ricchezza o di soddisfazione delle passioni più forsennate.
I principali concetti del cinismo, dello stoicismo e dell'epicureismo (la centralità dell'individuo, il cosmopolitismo, l'universalismo, l'ascesi e la svalutazione della sfera mondana) confluiscono nella genesi della dottrina cristiana.
Con il Cristianesimo, dal punto di vista etico e morale, compare per la prima volta il concetto di uguale dignità di tutti gli esseri umani.
Mentre il mondo greco è tendenzialmente aristocratico, fondato sulla convinzione di una gerarchia naturale degli esseri viventi, per il cristianesimo non contano il talento naturale o i doni ricevuti alla nascita, distribuiti palesemente in modo diseguale. Ciò che conta è l'uso che si fa delle proprie qualità innate; quindi il “libero arbitrio” diventa un principio fondamentale della morale cristiana, che crede fermamente nella meritocrazia piuttosto che nella aristocrazia. Soltanto una azione libera può essere “virtuosa”; il libero arbitrio diventa così la base per giudicare la moralità dell'azione umana.
Inoltre non esiste disuguaglianza nel libero arbitrio e questo è il fondamento della pari dignità di ogni essere umano.
Grazie a tali concetti il cristianesimo può essere ragionevolmente considerato il fondatore dell'ideale di democrazia e della morale universalista.
Con l'avvento del rinascimento e delle sue rivoluzioni scientifiche (si pensi a Galileo, Newton, Keplero, Copernico) si assiste al crollo della visione cosmologica antica e a un progressivo indebolimento della autorità religiosa.
Il fondamento dell'etica non viene quindi più cercato in Dio, ma nella stessa natura umana e ci si cimenta nella ricerca di una fonte “naturale” dell'etica.
J.J. Rousseau crede nella naturale bontà dell'uomo, ma sostiene che la libertà e la “perfettibilità” siano le caratteristiche umane fondamentali, quelle che realmente lo differenziano dalla bestia. Mentre l'animale, che comunque possiede intelligenza ed affettività, è incatenato dall'istinto che gli consente di fatto poche possibilità di scelta (rimane limitato dalla sua naturalità) l'uomo ha una profonda capacità di liberarsi dal programma dell'istinto naturale e di inseguire il proprio perfezionamento.
Liberandosi dai vincoli delle regole naturali l'uomo può fare qualsiasi cosa, dal male “radicale”, fine a se stesso o progettuale, fino alla creazione di una cultura come quella democratica che, andando contro la logica della selezione naturale, si fa garante dei soggetti più deboli.
Con Rousseau, quindi, l'uomo diventa un essere morale artefice del proprio destino (non solo in termini di evoluzione ma anche di involuzione).
Immanuel Kant distingue tra “principi ipotetici” e “imperativi categorici”. Una azione retta solo da principi ipotetici comporta unicamente un interesse, da parte nostra, per i suoi effetti.
L'imperativo categorico, invece, si limita a indicare ciò che si deve o non si deve fare, senza alcun calcolo delle conseguenze.
L'azione morale è, quindi, solamente quella retta dall'imperativo categorico, che deriva dalla nostra ragione e che può essere universalizzabile; bisogna agire come se la massima alla base dell'azione possa essere sempre valida, in qualsiasi circostanza e per qualsiasi essere dotato di ragione.
Secondo l'etica utilitarista del XVIII-XIX sec. la moralità di un'azione deve essere giudicata per i suoi effetti sociali in termini di utilità, felicità e piacere che produce. Più persone rende felici, più quella data azione può essere considerata morale.
Nel concetto di piacere, però, non dobbiamo considerare quello materiale ma anche, o forse soprattutto, quello spirituale; in particolare il piacere individuale che nasce a sua volta dal diffondere piacere agli altri. Per J.S. Mill (42) la vera minaccia alla libertà individuale è rappresentata dal conformismo e della tendenza ad uniformare la società in toto. La libertà individuale deve essere assolutamente garantita come bene per la società, in quanto una società omogenea, pregna di conformismo, non può sperimentare nulla di nuovo.
A Partire dalla seconda metà del XIX secolo nasce la filosofia post-moderna che critica sia l'umanesimo, secondo il quale l'uomo è il centro dell'universo e il principio di tutti i valori morali e politici, sia il razionalismo, che vede nella ragione il vero strumento per raggiungere la libertà e la felicità.
All'interno di questa corrente di pensiero si staglia la figura di F. Nietzsche. Egli sostiene che qualsiasi forma di ideale, spirituale o materiale, di destra o di sinistra, conservatore o progressista, abbia di fatto una struttura teologica, nel senso che inventa comunque un aldilà migliore di questa vita terrena e propone valori superiori, “trascendenti”, negando e condannando la vita stessa.
In realtà tutti gli ideali della morale, della religione, della scienza, sono semplici “idoli”, enfatizzazioni metafisiche che si rivoltano contro la vita in sé.
Nietzsche, quindi, rifiuta il rigido formalismo dell'etica kantiana, mettendo in discussione l'idea stessa dell'imperativo categorico che si impone alla coscienza morale. Ad esso contrappone la volontà dell'individuo, la forza creativa che non si piega a valori esterni ma che si fa essa stessa creatrice di valori.
La Vita aspira alla massima espressione di sé, al libero sfogo della propria forza creatrice, che non può e non deve essere costretta da un'etica da schiavi, come quelle basate sulle intenzioni o sulla bontà dei risultati.
Il Superuomo deve essere in grado di andare oltre e di operare una trasvalutazione dei valori, di andare al di là del bene e del male e di accettare con serenità che ciò che si sceglie di fare possa ripetersi eternamente.
Il rifiuto degli “idoli” comporta anche il rifiuto di qualsiasi forma di totalitarismo (sia esso marxismo o capitalismo), considerato solo come una ulteriore limitazione della libertà dell'uomo.
In epoca moderna l'idea di democrazia sembra destinata a trasformarsi nel suo esatto contrario e stiamo perdendo quel controllo totale sul mondo prospettato dall'umanesimo.
Inoltre la tecnicizzazione del mondo che, secondo Heidegger, consegue alla detronizzazione di tutti gli idoli e degli ideali superiori, ha reso il progresso un processo automatico e senza finalità, in cui gli esseri umani sono completamente privati di controllo.
Nata da questo marasma, l'etica del Neghentropismo riprende in parte il pensiero di Socrate, Rousseau e Mill.
Il Neghentropismo, infatti, può essere definito come la teoria dell'esaltazione dell'Eudemonia individuale come fondamento del benessere globale.
Esso si sviluppa dalla convinzione che solo dalla conoscenza del significato ultimo della vita e della mente possa nascere una nuovo paradigma etico e sociale.
Non ci può essere Eudaimonia se non esiste un sistema sociale che fornisca a ciascun individuo la possibilità di conoscere  e valorizzare il proprio potenziale. Inoltre, se ci pensiamo bene, le grandi idee (quelle con una certa valenza “evolutiva”) in ambito scientifico, filosofico e sociale, sono sempre nate da singoli individui, inseriti in un contesto a loro favorevole per lo sviluppo della propria singolarità; individui che, per dirla con Nietzsche, hanno realizzato la propria “volontà di potenza”.
Il Neghentropismo può quindi essere considerato come una forma di individualismo; non egocentrico e utilitarista ma bensì come una sorta di “individualismo socialista”.
Esso ripudia le ideologie totalitarie siano esse politiche, come il capitalismo e il marxismo-leninismo, o religiose, come il cristianesimo, in quanto colpevoli di un livellamento sociale estremo, dove si perde il valore del singolo individuo in quanto tale, a scapito di una collettività omogenea, mediocre e più facilmente indottrinabile da quelle che Cartesio definiva “argomentazioni di autorità imposte”.
In questa società livellata sono sempre gli “altri” a sapere ciò che è giusto per l'individuo, ignorante della propria Volontà di Vita: esperti di religione, di finanza, di marketing, politici e multinazionali.
L'etica neghentropica prevede l'uguaglianza degli individui solo in virtù del diritto/dovere di ricercare la propria eudaimonia.
Possiamo quindi parlare di individualismo socialista nel senso che la realizzazione dell'individuo e delle sue peculiarità trascendenti è il fondamento principale del benessere della società, dando, di fatto, libero sfogo alla forza creatrice della macchina neghentropica.

 

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