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Stoicismo

 

Stoicismo, corrente di pensiero filosofico che ha avuto come iniziatore Zenone di Cizio. Sorto verso il 300 a. C., fu poi continuato da Cleante, che chiuse il periodo dell'Antica Stoà. Seguì la Media Stoà, che ebbe come maggiori rappresentanti Pamezio di Rodi e il suo allievo Posidonio di Apamea. L'Ultima Stoà fiorì a Roma, iniziando con Seneca e chiudendo il suo ciclo con Marco Aurelio.

 

GNOSEOLOGIA

La prima ricerca filosofica dello stoicismo è data dal problema della conoscenza: primo elemento del conoscere sono i sensi, ma il suo contenuto non sono gli oggetti reali (inattingibili dalla nostra mente), bensì le rappresentazioni sensoriali da essi prodotte. Un processo intellettivo elabora dette rappresentazioni conferendo loro un significato universale, il cosiddetto lektón, che diventa a sua volta oggetto di un'indagine semantica; in quanto risultato incorporeo fra realtà e anima (entrambe corporee) il lektón è la chiave per spiegare la conoscenza fisica; al di là di questa conoscenza gli stoici ammettono anche l'esistenza di nozioni comuni a tutti gli uomini, non innate, non immesse nella loro mente da una realtà universale "soprasensoriale", ma prodotte dalla propria riflessione con il contributo decisivo del linguaggio (indagine semantica) ed elevate a dignità di valore universale dal consenso di tutti gli uomini: un universale che esiste solo nell'anima come nome adatto a comprendere più individui. È questa la logica stoica, alla quale è riconosciuta, a differenza di Aristotele che ne faceva uno strumento dell'ontologia e della metafisica, piena autonomia come parte della filosofia, che studia i modi del pensiero e della sua espressione. Struttura di questa logica è la forma enunciativa che, ridotta ad assiomi, così si esprime: se il primo, allora il secondo, ma il primo, quindi il secondo; se il primo, allora il secondo, ma non il secondo, quindi il primo; non il primo e il secondo, ma il primo, quindi non il secondo; il primo o il secondo, ma il primo, quindi non il secondo; il primo o il secondo, ma non il secondo, quindi il primo. Come si vede uno schema logico, fondato sul sillogismo ipotetico: se è buio è notte, ma è buio, quindi è notte.

 

FISICA

Seconda parte della filosofia stoica è la fisica, in cui è presente il richiamo al pensiero eracliteo: principi materiali (e inseparabili) del mondo sono il fuoco (principio attivo) e la materia (principio passivo), che si evolvono in un processo continuo e senza fine; una parziale estinzione del fuoco dà luogo all'aria, alle acque e alla terra, ma ritorna poi al fuoco originario con una deflagrazione, che inizia un nuovo ciclo cosmico. Il fuoco è lo spirito vitale del mondo, a esso immanente (interpretazione panteistica). Una sua scintilla si ritrova in ogni essere (anche in quelli inanimati) e ne forma l'anima. Il divino nel mondo è la sua razionalità, che ne struttura l'evoluzione con perfetto determinismo e ne costituisce il fine; in forza di questo determinismo infatti l'universo può scegliere solo il bene (il male non esiste e ciò che giudichiamo tale è solo un prodotto di conoscenza erronea; in realtà le azioni dette "cattive" sono solo una condizione per attuare il bene).

 

ETICA

Ed ecco il principio etico: l'uomo non può sottrarsi alla razionalità insita nel mondo in cui vive. Saggezza vuole perciò che vi si adegui volontariamente, tanto più che "seguire la ragione" significa "seguire la natura" e accettarla è segno che si comprende l'ordine che in essa regna. Vero bene è quindi l'accettazione della razionalità dell'universo; unico male il rifiutarla; fra questi due estremi tutto quanto vive è solo un cumulo di cose indifferenti (adiáphora). La virtù è nell'agire secondo ragione, unico vero bene per l'uomo e quindi fonte della sua felicità; è, ancora, dominio delle passioni, perché lasciandole libere di predominare nel nostro spirito causano una fatale confusione fra bene e male obnubilando la ragione e allontanandoci dalla felicità. Virtù che porta a una consapevole apatia verso le cose indifferenti, che ci rende autarchici (indipendenti) da esse, pur vivendo a contatto con gli altri uomini con un profondo senso del cosmopolitismo, perché la legge di natura, uguale per tutti, non ci fa cittadini di questo o quello Stato particolare, ma cittadini del mondo. In tal modo l'etica stoica, nel mondo ellenistico-romano, si collocava come alternativa da una parte a quella epicurea e dall'altra a quella cristiana. E fu questo rigore etico l'elemento emergente nell'ultima fase dello stoicismo, che si sviluppò soprattutto in ambiente romano: sfumano ormai i già preponderanti problemi gnoseologici e logici; la fisica s'irrigidisce in metafisica, offrendo l'humus ideale al sorgere di una visione religiosa, improntata al panteismo. Il problema etico diventa fondamentale, ma all'ottimismo, di cui prima era pervaso per il sicuro approdo alla razionalità buona della natura, subentra un fondo pessimistico, che radicalizza il disprezzo per il mondo e la carne e si avvia a un deciso ascetismo mistico: s'insinua il senso di una fine prossima, per cui l'unica salvezza è da ricercarsi in una resistenza passiva. Un'etica che trova i suoi motivi più profondi nella realtà politico-sociale dell'Impero romano, giunto al suo apogeo, ma già minatoda profondi contrasti sociali, che ne determineranno la decadenza prima economica e poi politico-militare. Anche per questi motivi l'etica stoica diventò l'etica "ufficiale". Maggiori interpreti dello stoicismo romano furono Seneca, Epitteto, Marco Aurelio.

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