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L’Anima e la sua faccia

di Luciano Peccarisi - Marzo 2009
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Faccia e personalità

Pare che “in uno stato di lieve imbarazzo, gli uomini di tutto il mondo si coprono totalmente o parzialmente il viso” (4) . Io forse non lo farei perché non mi viene spontaneo e immediato considerarlo mio. Quando dicevo ‘ci metto la faccia’, ‘ho perso la faccia’ oppure ‘con che faccia mi presento’ mi riferivo alla mia persona, naturalmente, non solo alla faccia. Ora non direi più così, i due termini, faccia ed io, non coincidono perfettamente, non hanno il medesimo riferimento, non appartengono a me in modo equivalente. La faccia esprime la persona ma non mi sento caratterizzato da quello strato di pelle incollato che va dalla sommità della fronte alla punta del mento e fra le due orecchie. A dir la verità nemmeno da quella massa gelatinosa, il cervello, che, come dicono i libri di anatomia, risiede nel cranio. Alle sembianze di prima però era legata la mia personalità. Dovrò ora convivere con i nuovi connotati che costituiranno la base per costruire una nuova. Penso che un tempo non doveva essere così, i primi uomini non si preoccupavano, al pari delle scimmie e degli altri animali, della loro faccia, importavano invece quelle degli altri. Capire le espressioni di paura, terrore, aggressività o ira, poteva essere decisivo, perché spesso rivelava se scappare o aggredire. Se nessuno me l’avesse detto non avrei mai saputo di avere certi organi come il pancreas, la milza, la parotide, per non dire il nervo splancnico, il muscolo platisma, la vena diploica o la ghiandola di Meibonio. Con la faccia è diverso, tutti sappiamo d’averla, l’osserviamo ogni giorno, è la cosa che porgiamo per prima al cospetto degli altri. E’ il simbolo della persona, tuttavia su un’isola deserta tornerebbe a non avere importanza. Prima guardando il volto della gente avevo l’impressione di leggerne l’anima, riflettevo a volte se nascondesse un genio o un cretino. Ora guardandomi devo pensare che dietro quella apparenza ci sono io, e, mi chiedo, cosa c’era una volta dietro quella maschera sconosciuta, un artista, un erudito o un deficiente? Oggi la mia animalità è rappresentata da quella faccia mentre l'umanità da ciò che vi è dietro. Forse è un sogno; eppure la tocco e la sento. Non mi ero mai posto la domanda se al posto del natio vi fosse un altro volto cosa avrei provato; del resto mi pareva sensato nascere e morire con la stessa faccia.

 

Faccia e cervello
I filosofi sono in dubbio se siamo fatti di mentale, fisico, misto, anima e corpo, materia o idea. Ci siamo evoluti come gli animali, quasi tutti sono d’accordo, ma l’origine della coscienza simbolica sembra “implicare un processo di emergenza, più che di selezione naturale” (5), coincidenze casuali che hanno originato una complessità imprevista. In ogni modo io mi percepisco diviso. Con la recente faccia ho assunto una fisicità diversa ed una strana anima; perciò mi sento anomalo. Nuovo, non solo da fuori ma anche di dentro. Secondo Edelman (6), un premio Nobel, nel cervello vi sarebbero tanti fogli di neuroni collegati tra loro, sorta di mappe stradali, come le cellule della pelle o della retina ad esempio, su di una superficie. Si possono poi a loro volta collegare trasversalmente ad altre mappe o strati di fogli. Un insieme di contatti che possono attivarsi in modo diverso, caso per caso, per originare l’immagine mentale di oggetti o situazioni. Ad esempio erano collegati diversamente nella mia prima faccia rispetto alla seconda. I circuiti creati sono percorsi dall’informazione che arriva in continuazione, più di frequente arriva e più diventa stabile. L’immagine della faccia si trova ormai stampata irreversibilmente in sclerotici circuiti, “da qualche parte nel mio cervello” (7), che non è dato sapere. E’ probabile che un insieme di strutture neurologiche, elementi sincronizzati e ricorrenti percorsi, concorre a plasmare quel fenomeno. Certamente un fenomeno emergente che viene fuori, come un pezzo di sughero esce da sott’acqua dov’era impigliato. Non c’è però una faccia materiale, com’è reale il sughero, nel cervello, quell'immagine è il risultato finale di tanti piccoli eventi minimi, che in combutta tra loro, c’illudono dell’unitarietà del fenomeno. Vedere o pensare alla mia faccia rinforza quella traccia neurale, che tuttavia dipingo simile ogni volta daccapo. E’ un simbolo di me che entra a far parte, intersecandosi, con un grandissimo numero di episodi della memoria che la riguardano. Ora, anche se non possiedo più la precedente faccia, è rimasta nella testa la spoglia della sua particolare categoria virtuale, implementata nel cranio. Permane nel tempo poiché nutrendosi di se stessa, si è auto-stabilizzata. Pur nella sua astrazione me la ritrovo così, e mi appare concreta, disorientandomi; forse la colpa non è mia, ma di come funziona il cervello. Allora io e il cervello siamo due cose distinte? Pensiamo di vedere le cose del mondo in presa diretta, senza intermediari, ma non è così. L’informazione visiva, ad esempio, entra dalla retina e si divide in una via recente e un’arcaica (8). La prima va nella parte posteriore occipitale dell’encefalo, poi torna avanti e si biforca ancora in due, nella via del “come” che individua la posizione dell’oggetto, e nella via del “cosa” che invece lo riconosce. L’arcaica invece scende giù, nel cervello primitivo, e fornisce informazioni al corpo di cui la mente non è consapevole. Io capto la faccia in modo consapevole ed inconsapevole, quest’ultima si sovrappone a quell’altra, quella storica, anch’essa inconscia che risiede placida nei magazzini della memoria. Questa storia delle due vie, recente e antica, cosciente incosciente, si verifica spesso nel cervello. Abbiamo per esempio, strano a dirsi, ‘due paure’, con due vie neurali identificate. Una veloce e diretta e l’altra con molte tappe, più lenta. La prima invia dagli occhi, dalle orecchie o da un senso qualsiasi, ad un gruppo di neuroni sotto la corteccia cerebrale (e dunque fuori della consapevolezza) grosso quanto una mandorla (l’amigdala). L’altra invece fornisce informazioni più dettagliate. La prima è veloce ma grezza; se sentiamo un forte rumore alle spalle sobbalziamo pronti a reagire a tutto; poi se si tratta solo dello scoppio di una gomma (lo ponderiamo con l’altra via) ci rilassiamo. E’un meccanismo di difesa che fa scattare senza pensare troppo, “in situazioni in cui sono richieste risposte rapide, la velocità può essere più importante dell’accuratezza” (9). Un’intuizione rapida del corpo precede quella ragionata della mente. Nella folla fa capolino il volto dell’amata, noi tra mille siamo in grado di riconoscerlo subito, affettivamente, prima di qualunque ragionamento. Ecco, quando mi guardo in faccia manca proprio l’intuizione affettiva, devo sforzarmi di pensare chi è quello che mi guarda. I neurologi illustrano l'esistenza di patologie con dissociazione affettiva dell’immagine. Nella sindrome di Capgras, ad esempio, il paziente non riconosce il viso di amici e parenti, un fenomeno immortalato da Oliver Sacks nel suo libro L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Quando guardiamo il viso, oltre a riconoscerlo, la corteccia manda l’immagine all’amigdala “perché venga decifrato il significato emozionale” (10). Una lesione di tale collegamento provoca un riconoscimento senza sentimento. Essendo un viso conosciuto ma non ‘familiare’ presumono siano dei sosia che hanno occupato il posto degli originali. Gli amputati, un altro esempio, hanno il fenomeno dell’arto fantasma. La rappresentazione nel cervello dell’arto permane mentre in periferia non vi è più nulla. Questo perché rimane intatto lo schema corporeo che è l’immagine in miniatura del corpo, un omino a testa in giù chiamato homunculus, presente nelle aeree sensitive del cervello. In assenza dell’arto si ha comunque la sensazione di movimento, e, purtroppo, di dolore. Nel mio tragico caso, conculcata negli schemi centrali del cervello mi è rimasta la faccia con cui sono venuto al mondo, mentre in periferica ve n’è un’altra, rappresentata in altri luoghi. Nel primo caso vi è forte affettività, frutto della lunga consuetudine di convivenza, nell’altro l’apparenza inoppugnabile e un amore tutto da ricostruire.

 

La percezione della faccia
Con la parte alta del corpo che s'affaccia e scruta avevo creato un sistema di relazione con il resto dell’universo. Avevo distribuito la mia faccia, e con lei il mio io, in giro per il mondo. Tocca adattarmi e ritirare, modificare o ritoccare gran parte degli investimenti, relazioni ed affetti intrapresi. Aspetti essenziali quali fenomeni mentali, soggettività, punto di vista, prospettiva, individualità, sentimento, autonomia, unitarietà, coerenza, oggi mi appaiono alterati. I processi all’interno del cervello tra neurotrasmettitori, cellule neuronali, sinapsi, sostanze chimiche, presumo avvengano come prima; allora perché mi sento cambiato? Quando Gianna mi guarda in un modo diverso rispetto a quando pareva che avessi verso di lei un certo fascino, l’impressione è che qualche movimento ormonale, elettrico o qualcosa del genere, stia avvenendo nel mio cervello. Mi sento depresso, la nuova situazione psicofacciale influisce sull’interno del cranio ed elabora input percettivi per adeguarli ad una nuovo equilibrio. Li collega in modo diverso, man mano che la vita propone altre esperienze rispetto a quelle di prima. Edelman afferma che la coscienza non è una cosa ma un processo, che ha subito una sterzata nel mio caso incontrando novità che mai avrebbe immaginato. Le aree cerebrali della faccia storica, con i suoi collaudati collegamenti col resto del cervello, sono rimaste intatte. Può darsi che come l'arto amputato anche la faccia assente origini un fantasma. Tuttavia non mi pare di percepire lo spettro di una faccia. Anche Emily aveva un disturbo di percezione. Lei si guardava allo specchio e non riconosceva più la propria faccia. Era il volto di una donna, ma non pensava fosse il suo. Non poteva confermare che fosse il suo perché non riusciva a riportare alla memoria il suo volto e metterlo davanti agli occhi della mente. Non riconosceva neanche le facce degli altri, era affetta da agnosia per i volti (prosopoagnosia). Emily era cosciente della sua incapacità di evocare qualsiasi conoscenza utile a riconoscere un volto amico. Ma questo “non è un problema di coscienza, bensì un problema di memoria” (11). Damasio, che ha descritto questo caso, afferma che probabilmente “la qualità dei sentimenti dipende anche dall’intima struttura degli stessi neuroni” (12). Forse è proprio questa ‘intima struttura’ che sta ogni giorno cambiando perché mi arrivano ‘ informazioni ’ diverse da quelle di prima. Non mi guardo più allo specchio perché non mi ci rispecchio. Si è spezzata la catena: stimolo, onde luminose, retina, cervello, io. Oggi il cervello è mio, lo stimolo visivo, cioè la faccia, no. Sono un uomo con più facce, una nella mente e l’altra…l’altra? Anch’essa nella mente, precisamente nella memoria, dove ne trova un’altra con cui ha un conflitto di interessi!

 

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NOTE
4) Eibl-Eibesfeldt I. trad. it. Amore e odio, gli Adelphi, Milano,1970, p. 69
5) Tattersall I. (2009) Micromega, Almanacco di scienze. Darwin, 1809-2009, p. 182
6) Per saperne di più: Edelman G.M., Tononi G. (2000) A Universe of Consciousness. How Matter Becomes Imagination, trad. it. 2000, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Einaudi, Torino; Edelman G.M. (2004) Wider Than the Sky. The Phenomenal Gift ofConsciousness, trad it. 2004, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, Einaudi, Torino; Edelman G.M (2006) Brain Science and Human Knowledge, Basic Books, New York, trad. it. 2007, Seconda Natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Raffaello Cortina Editore, Milano
7) Jackson F. (1996) Mental Causation, Mind, 105, p. 338
8) Rachamandran V.S. (2003) The Emerging Mind, trad. it. Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano, p. 32
9) LeDoux J. (2002) Synaptic Self: How Our Brains Become Who Are, trad.it. 2002, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo, Cortina, Milano p. 171
10) Rachamandran V.S. Blakeslee S. (1998) Phantoms in the Brain, trad. it. 2003, La donna che morì dal ridere e altre storie incredibili sui misteri della mente umana, Quark, Mondatori, p. 185
11) Damasio A. (1999) The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, trad. it. 2000, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, p. 202
12) Damasio A. (2003) Looking for Spinosa: Joy, Sorrow and the Feeling Brain, Orlando, trad. it. 2003, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano, 2003, p. 160


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