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Conosci te stesso

Viaggio dentro la conoscenza di se stessi passando per: Ramana Maharishi - Nisargadatta Maharaj - Douglas E. Harding di VanLag - novembre 2007
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Pagina 1 - Piccolo manuale per orientarsi nella ricerca
Pagina 1 - Ginnastica per scaldare i muscoli
Pagina 1 - Inizio del viaggio

Pagina 2 - Ramana Maharishi

Pagina 3 - Nisargadatta Maharaj
Pagina 3 - Torniamo in Occidente

Pagina 4 - Cosa possiamo vedere di noi?
Pagina 4 - Douglas E. Harding
Pagina 4 - Esperimento
Pagina 4 - Dalla teoria alla pratica

 

Nisargadatta Maharaj

Nisargadatta MaharajNisargadatta Maharaj, (1897 - 1981) fu un tabaccaio nato e vissuto nella più atroce periferia di Bombai. Per grazia del suo maestro, che conobbe all’età di 33 anni, conseguì velocemente l’illuminazione ed da lì in poi iniziò a rispondere alle domande di quelli che andavano a trovarlo. A discapito della sua apparente non cultura, i libri con i suoi dialoghi sono una continua e vertiginosa danza attorno all’Essere. La sua abilità è stata la capacità di rendere con parole la metafisica più alta, ed, attraverso l’ascolto dei suoi insegnamenti, il lettore arriva a considerare come probabile se non certa la sua stessa identità con il “Sé supremo” con il Signore dell’universo. Egli procede sullo stesso sentiero di Ramana Maharishi, anche nei suoi insegnamenti, che pur sono più vasti e ricchi di esposizioni, più che un tipo di analisi c’è l’incitamento all’adesione a l’ente che fa le esperienze. “stai con te stesso tutto il tempo che puoi e da quel punto potrai balzare in una nuova comprensione”.
I dialoghi estrapolati qui sono solo alcuni presi, quasi, a caso dal libro “Io sono quello”, ma tutto il libro, straripa della conoscenza del Sé. (Nei dialoghi I sta per interrogante e M per Maharaj)

 

I: Uno dei mezzi più efficaci di auto-realizzazione, secondo voi, è concentrarsi sull’”io sono”. Perché proprio l’”io sono”? In che modo la concentrazione su quel pensiero mi influenza?
M: Il fatto stesso di osservare modifica l’osservatore e l’osservato. Dopotutto, ciò che impedisce di cogliere la propria natura è la debolezza della mente e la sua tendenza ad evitare il sottile e a fissarsi sul grossolano. Se segui il mio consiglio e ti concentri sull’”io sono”, diventi consapevole della mente e delle sue continue divagazioni. La consapevolezza, che è armonia (satva) in azione dissolve l’ottusità, placa l’inquietudine e con gentile fermezza modifica la stessa sostanza mentale. Questo mutamento può non essere vistoso, perfino impercettibile; tuttavia è la profonda, fondamentale conversione dal buio alla luce, dall’inavvertenza alla consapevolezza.

I: Come posso dipanare questa matassa subliminale?
M: Aderendo a te stesso, all’”io sono”, osservandoti con attenzione nella vita di ogni giorno, pronto a capire più che a giudicare. Se accogli senza riserve qualunque sviluppo degli eventi interiori, faciliti l’emersione in superficie dei contenuti profondi, arricchisci la tua vita e liberi le energie latenti. Questa è la grande opera della consapevolezza: rimuove gli ostacoli e svincola le energie, grazie alla comprensione della natura della vita e della mente. L’intelligenza è il varco della libertà e l’attenzione vigile è la madre dell’intelligenza.

I: Ma allora, chi sono?
M: Non ti serve sapere chi sei, ma che cosa non sei. Infatti, se per conoscenza s'intende una descrizione a partire da ciò che è già noto, sia in senso fisico che concettuale, non può esserci la cosiddetta auto-conoscenza, visto che ciò che sei è descrivibile solo come totale negazione: "Non sono questo, non sono quello". Affermare "Questo è ciò che sono" non ha senso, perché se lo indichi, non puoi essere tu. Niente di percepibile o immaginabile coincide con te e tuttavia, se non ci sei, non può esserci né percezione, né immaginazione. Il cuore sente, la mente pensa, il corpo agisce, e tu li osservi; l'atto stesso di osservare mostra che non sei le tue percezioni, benché non ci sia percezione o esperienza senza di te. Un'esperienza deve "appartenere". Qualcuno dovrà venire a rivendicarla come sua. Senza lo sperimentatore, un'esperienza non è reale, è lui che le dà realtà. Un'esperienza preclusa, a che vale?

I: Che cosa vedete?
M: Quello che vedresti subito anche tu se correggessi il fuoco dell'attenzione. Non ti osservi abbastanza. La tua mente s'identifica con gli oggetti, le persone, le idee, ma mai con te stesso. Mettiti a fuoco, acquista coscienza dell'esistenza che è tua. Guarda come funzioni, esamina i moventi e gli effetti delle tue azioni. Scruta la prigione che ti sei costruito intorno, per inavvertenza. Constatando ciò che non sei, scoprirai chi sei. La via di ritorno a quello che sei, passa attraverso il rifiuto e la negazione. C'è una certezza: il reale è reale, non è un immaginario prodotto della mente. Persino l'"io sono" è discontinuo, pur essendo un indicatore prezioso: segnala dove cercare, non che cosa. Guardalo bene e vedrai che, non appena ti sarai persuaso di non poter dire niente di attendibile su di te tranne "Io sono", e che niente che tu possa indicare è te, lo stesso bisogno dell'"Io sono" verrà meno, e smetterai di verbalizzare ciò che sei. Devi liberarti della tendenza a definirti. Le definizioni valgono solo per il corpo e le sue espressioni. Se ti svincoli dall'ossessione del corpo, ritornerai spontaneamente al tuo stato naturale. L'unica differenza tra noi è che io sono consapevole del mio stato naturale, mentre tu sei confuso.

I: I risultati sono nel futuro. Come posso sapere come saranno?
M: Usa la mente. Ricorda. Osserva. Non sei diverso dagli altri. La maggior parte delle loro esperienze sono anche le tue. Pensa con chiarezza e profondità, penetra nella struttura dei desideri e delle loro ramificazioni. Sono la parte più importante del tuo sistema mentale ed emotivo, e influenzano profondamente i tuoi atti. Non puoi abbandonare ciò che non conosci. Per superarti, devi conoscerti.

I: Che significa conoscere se stessi? Che cosa esattamente vengo a conoscere?
M: Tutto ciò che non sei.
I: E non quello che sono?
M: Ciò che sei, lo sei già. Conoscendo ciò che non sei, te ne liberi, e rimani nel tuo stato naturale. Tutto accade spontaneamente e senza sforzo.

I: Come si fa?
M: Non c'è un modo. Tieni a mente l'"Io Sono", immergiti in esso finché il sentimento e il pensiero diventano tutt'uno. Dopo prove e riprove, raggiungerai il giusto equilibrio di attenzione e amore, e la mente sarà fermamente installata nell'"Io Sono". Qualunque cosa tu pensi, dica o faccia, è sullo sfondo di questa condizione inalterata e amorevole.

I: Se guardo dentro, trovo sensazioni e percezioni, pensieri e sentimenti, desideri e paure, ricordi e aspettative. Avvolto in questa nuvola, non vedo niente.
M: Ciò che vede tutto questo e anche il niente, è il maestro interiore. Lui solo è, tutto il resto appare. È te stesso, la tua forma intrinseca (swarupa), la tua speranza e garanzia di libertà. Trovalo, attaccati a lui, e sarai al sicuro.

I: In che direzione devo guardare?
M: Tutte le direzioni sono nella mente. Non ti chiedo di guardare in una direzione particolare. Semplicemente distrai lo sguardo da tutto ciò che accade nella mente e puntalo sull'"io sono". L'"io sono" non è una direzione. È la negazione di tutte le direzioni. Infine anche l'"io sono" svanirà, perché non occorre ribadire ciò che è ovvio. Puntare la mente sull'"io sono" l'aiuta a distogliersi dal resto.

I: Io sono lo specchio e il mondo è l'immagine?
M: Poiché puoi vedere sia l'immagine che lo specchio, non sei nessuno dei due. Chi sei? Non pensare per formule. La risposta non è nelle parole. L'enunciazione più adatta è: "io sono ciò che rende possibile la percezione", la vita stessa, oltre lo sperimentatore e la sua esperienza.
Ed ora, distanziati sia dallo specchio che dall'immagine, e resta solo, fermo. Ci riesci?
I: No.
M: Come lo sai? Quanti sono i tuoi processi automatici? Digerisci, fai circolare il sangue e la linfa, muovi i muscoli, e poi percepisci, senti, pensi senza sapere come e perché. Analogamente, sei te stesso senza saperlo. Non c'è nulla di sbagliato in te in quanto te stesso, il quale è come dev'essere. Lo specchio invece non è chiaro e verace, e perciò ti dà delle false immagini: non devi correggerti - ma solo mettere a punto la tua idea di te stesso - Impara a distanziarti dall'immagine e dallo specchio; allénati a ripetere: "Non sono la mente, non sono le sue idee". Se lo fai con pazienza e convinzione, arriverai a vederti direttamente come la fonte eterna e universale dell'essere-conoscenza-amore. Tu sei l'infinito, concentrato in un corpo. Per ora vedi solo il corpo. Se insisti, arriverai a vedere solo l'infinito.

I: Si, ma qual è la disciplina più adatta?
M: Concéntrati unicamente sull'"io sono". Così, quando la mente diventa completamente silenziosa, si fa fulgida e vibra di nuova conoscenza. Tutto avviene da sé, devi solo aderire all'"io sono". Come all'uscita dal sonno o da un'estasi ti senti fresco e ristorato, anche se non ti spieghi perché, così nella realizzazione ci si sente colmi, appagati, liberi dalla stretta del piacere-dolore, e tuttavia ignari, il più delle volte, di come sia successo. Puoi formularlo solo per negazioni: "non c'è più niente in me che non vada bene". È solo rispetto a com'eri che sai di esserne fuori. Per il resto, sei giusto te stesso. Non cercare di comunicarlo. Se ci riesci, non è reale. Osservalo silenziosamente in azione.

 

Torniamo in Occidente

Ramana e Nisargdatta ci dicono il “dove” cercare, e parzialmente anche il “come”. “Stai con te tutto il tempo che puoi”, “tieniti sempre a mente”, “chiediti sempre chi è il soggetto”, “riporta continuamente la mente a te stesso”… etc…etc
Ci dicono anche, senza troppe velate parole, che siamo il “Sé supremo” ma questa affermazione risulta peregrina al cercatore che si scontra quotidianamente con i suoi limiti umani e non può che domandarsi con aria sfiduciata: - Cos’è che loro vedono ed io non vedo? - Perché laddove loro vedono il Sé supremo io non faccio altro che cogliere fallacità e debolezza, paura e dolore, desiderio e paura? -

La risposta a quella domanda, la conversione dall’io al Sé, invero è troppo semplice immediata ed ovvia, tanto da suscitare la diffidenza delle menti speculative degli occidentali i quali sono stati convinti che la Verità sia il risultato di una dura ed ardua ricerca e non possono uscire da logiche di sforzo e guadagno. Inoltre l’occidentale non può concepire qualche cosa che non sia un’esperienza. La massima felicità, la massima beatitudine, la massima conoscenza, devono essere usufruibili dall’io e non vedono come invece, ciò che necessita, sia di invertire il processo volgendo il proprio interesse dalle “esperienze” allo “sperimentatore”.

Tuttavia è possibile che alcuni concetti li abbiamo capiti e lì abbiamo fatti nostri. Concetti come:

E’ importante cercare “se stessi” “dentro se stessi” ed è importate la percezione chiara del soggetto ed una continua adesione ad esso.

L’identificazione di noi stessi col nostro corpo fisico o con la nostra mente è falsa e momentanea.

Qualsiasi idea abbiamo di noi stessi è sbagliata, perché qualsiasi idea che possiamo farci lo è.
Non siamo nulla di percepibile, di pensabile, di indicabile, eppure siamo.

Se avevamo già confidenza con questi aspetti dell’induismo o col buddismo, abbiamo anche intuito come il problema della divinità sia secondario e come ciò che è importante è arrivare a realizzare la nostra piena natura mettendo, per ora, in secondo piano il Divino.

 

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