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Sulla Coscienza di Astro Calisi

 

Che cos’è la coscienza?

 

E' estremamente difficile dare una definizione della coscienza, poiché si tratta di un fenomeno che non può avere un qualsiasi riscontro di tipo empirico, almeno non nel senso tradizionalmente inteso. Per descrivere la coscienza non è quindi possibile far riferimento agli ordinari oggetti o fenomeni del mondo fisico, osservabili in maniera oggettiva, né possiamo utilizzare concetti o categorie da essi derivati. Si tratta infatti di un fenomeno strettamente privato che riguarda i vissuti di uno specifico individuo e che non permette alcuna rilevazione dall'esterno, secondo le modalità standard in uso nella scienza.
            Non riusciremmo neppure lontanamente, a spiegare cosa sia la coscienza, o cosa significhi essere coscienti, a un ipotetico essere che sia privo di questa facoltà e si limiti ad agire in maniera del tutto automatica. Definire la coscienza vuol dire allora far riferimento necessariamente all'esperienza diretta che ognuna di noi ha di essa, riallacciandosi ai diversi aspetti dei vissuti che essa implica.

 

Definizione

            In prima approssimazione, la coscienza può essere definita come “presenza all'essere”: presenza di un qualche contenuto a un ente che ne fa esperienza diretta e immediata (non-mediata). Si può essere coscienti di un suono, di una luce, di un odore particolare, della presenza di una persona o di un animale o dell'accadere di un evento qualsiasi; ma è anche possibile essere coscienti (o rendersi conto) di una sensazione piacevole o dolorosa, di un'emozione o un sentimento, ecc.
            Dobbiamo a Franz Brentano l'introduzione del concetto di intenzionalità, che si riferisce a quella particolare caratteristica della coscienza di essere sempre rivolta a qualcosa. In tale prospettiva, la coscienza non può essere considerata un oggetto, quanto piuttosto una funzione, la più primitiva e immediata, attraverso la quale determinati oggetti o proprietà della realtà si rendono accessibili, con coinvolgimento più o meno profondo, a uno specifico soggetto. Nello stesso tempo, la coscienza presuppone necessariamente anche l'esistenza di un ente personificato che si ponga come soggetto di esperienza. Non è possibile una coscienza "disincarnata", una coscienza che non sia esperienza vissuta da parte di qualcuno, che si riduca cioè a una coscienza in "terza persona", senza soggetto, secondo la prospettiva dominante all'interno delle scienze cognitive.
            Queste caratteristiche, che distinguono nettamente la coscienza da ogni altro fenomeno conosciuto, l'hanno resa per lungo tempo un oggetto d'indagine assai ostico per la scienza.

 

Forme e manifestazioni della coscienza

            Si parla solitamente di coscienza in termini piuttosto generici, senza soffermarsi a sufficienza sui suoi diversi aspetti e manifestazioni, che dovrebbero invece rappresentare altrettanti punti di partenza per qualsiasi studioso animato da autentico interesse conoscitivo.
            In primo luogo la coscienza può esprimersi a diversi livelli. C'è il livello delle esperienze sensoriali e percettive: esperienze vissute da un corpo non necessariamente consapevole del proprio esistere come ente distinto dal mondo esterno. E' questo un livello di coscienza che con tutta probabilità l'uomo condivide con molti animali, almeno quelli a lui più vicini nella scala evolutiva.
            C'è poi il livello più elevato, che è quello della consapevolezza dei propri stati emotivi, dei propri pensieri: è la coscienza del vivere determinati contenuti mentali. E' l'essere che si percepisce vivente, che si distacca idealmente da se stesso, rappresentandosi come oggetto di osservazione (autocoscienza). Questa forma di coscienza è una prerogativa squisitamente umana, anche se non si può escludere che alcuni primati possano sperimentare qualche elementare forma di coscienza di sé.
            Abbiamo anche un'altra distinzione, di fondamentale importanza, eppure inspiegabilmente ignorata dalla maggior parte degli autori: la coscienza può manifestarsi in forma passiva, oppure in forma attiva. Si può brevemente definire passiva quella componente della coscienza che rende disponibili al soggetto, immaginato in una condizione ricettiva, i diversi stimoli che forniscono informazioni sul mondo esterno (sensazioni e percezioni) o sul proprio stato interno (fame, sete, freddo, piacere, dolore, ecc.). La componente attiva è invece da porre in relazione con la volontà, ossia con la facoltà di scegliere e di decidere con un certo margine di autonomia, come pure di esercitare un relativo controllo su molte attività motorie. Ovviamente, la volontà può rivolgersi anche a molte delle nostre funzioni cognitive: possiamo infatti focalizzare l'attenzione su suoni o altri stimoli sensoriali, selezionandoli eventualmente tra altri presenti nell'ambiente, o richiamare volontariamente alla nostra memoria determinati ricordi, o anche concentrarci sulla soluzione di un particolare problema, escludendo dal nostro campo cosciente tutti gli altri fattori.
            In ogni caso, la volontà è sempre cosciente e fa si che il soggetto si ponga nella condizione di essere causa della propria attività. Vediamo così che la coscienza viene a porsi come fondamento della libertà dell'uomo, ossia di ciò che viene comunemente chiamato libero arbitrio: alla coscienza va quindi riconosciuto un qualche tipo di efficacia nel mondo fisico, nel senso che bisogna presupporre, almeno in linea di principio, che un organismo dotato di coscienza si muova nell'ambiente in maniera più efficace rispetto a un organismo che invece ne è privo.

 

Le contraddizioni della coscienza

            L'esistenza della coscienza pone seri problemi alla riflessione filosofica e, in maniera assai più marcata, all'indagine scientifica. Detti problemi corrispondono sostanzialmente alla millenaria questione del rapporto mente-corpo, che ha due aspetti fondamentali, riconducibili alle citate componenti, passiva e attiva, della coscienza:

a) Come è possibile che fenomeni fisici che si svolgono impersonalmente all'interno dei neuroni cerebrali diano origine alle esperienze coscienti, vissute con profondo coinvolgimento da una determinata soggettività?

b) Come è possibile che la volontà sia un prodotto dei processi nervosi, vincolati a leggi universali e necessarie, e nello stesso tempo goda di una relativa autonomia, tanto da permettere azioni e scelte libere?

            Da un punto di vista più strettamente scientifico, c’è inoltre il problema di conciliare l’inevitabile soggettività delle nostre esperienze coscienti con l'oggettività prescritta dal metodo d'indagine scientifica.

 

Render conto della coscienza

            L'indagine sulla coscienza, sia in ambito filosofico che in quello neuroscientifico, ha dato origine a una costellazione estremamente ampia e variegata di proposte esplicative. Darne un resoconto solo riassuntivo richiederebbe alcune centinaia di pagine e non renderebbe giustizia della complessità delle diverse posizioni. Ci limitiamo quindi a prendere in considerazione i due principali filoni all'interno dei quali possiamo ricondurre le attuali concezioni. Infatti, una volta riconosciuta definitivamente l'inaccettabilità delle soluzioni dualiste, gli studiosi possono essere grossolanamente suddivisi tra coloro che cercano di ricondurre interamente la coscienza ai fenomeni fisici del cervello (riduzionisti) e coloro che ritengono tale prospettiva inadeguata (non-riduzionisti):

a) Il riduzionismo, ovvero la coscienza come mera espressione dell'attività cerebrale.
Secondo i riduzionisti, che si possono distinguere, a loro volta, in un ampio ventaglio di posizioni tra loro differenziate, la coscienza è un semplice prodotto dell'elaborazione del cervello. Per alcuni essa non sarebbe altro che la stessa attività di elaborazione considerata da un livello più elevato (teoria dell'identità); per altri la coscienza, come tutte le proprietà della mente, sarebbe il risultato di un gran numero di operazioni effettuate sulle base di algoritmi, in maniera fondamentalmente analoga a quanto avviene nei comuni computer. Alcuni riduzionisti si spingono fino all'estremo di negare addirittura che esista qualcosa come la coscienza.

b) Il non-riduzionismo, ovvero il riconoscimento della centralità dell'esperienza cosciente.
Se i riduzionisti tendono a sfrondare la coscienza dagli attributi che appaiono incompatibili con il modello scientifico consolidato, gli anti-riduzionisti cercano invece di sottolineare la peculiarità delle manifestazioni della coscienza e quindi la loro sostanziale irriducibilità al mondo degli ordinari fenomeni fisici. Anche qui le posizioni si presentano assai differenziate. Si va da coloro che si limitano a fare osservazioni circa la radicale distanza esistente tra l'esperienza soggettiva e gli altri eventi del mondo materiale, a coloro che invece elaborano dei modelli esplicativi più o meno definiti, fino a giungere a chi, partendo dal riconoscimento dell'irriducibilità della coscienza, arriva a concludere che questa non potrà mai essere spiegata.
            I problemi posti dalla coscienza, nonostante il grande impegno ad essa dedicato da filosofi e scienziati, nonostante le numerosissime scoperte effettuate in campo clinico e sperimentale, è ben lungi dall'essere risolto. Non appare troppo azzardato ipotizzare che il maggiore ostacolo alla comprensione della coscienza, viste le caratteristiche assolutamente peculiari di questo fenomeno, non sia tanto costituito dalla incredibile complessità dell'organizzazione cerebrale, come tende a credere la maggioranza degli studiosi, quanto dal fatto di voler ottenere tale comprensione all'interno di un modello che si è sviluppato studiando i fenomeni della natura inanimata.

 

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