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- Raccolta di lettere inviate dai visitatori

I cristiani come minoranza capace di trasformare la società.

di Andrea Montanari

5. Il compito del cristiano, ieri come oggi.

Se è vero, come credo fermamente, che le parole del Vangelo siano valide anche e soprattutto oggi, al di là del contesto culturale nel quale sono state pronunciate, è il Vangelo stesso che ci da risposta alla domanda: quale è il compito del cristiano? La risposta la troviamo ancora in Matteo, 5, 13-16: il cristiano deve essere sale della terra, luce del mondo, illuminando in modo che “vedendo le vostre buone opere” sia glorificato Dio. E in Mt 13, 33 il regno di Dio è paragonato al lievito nella farina.

Io credo che il compito del cristiano, oggi come ieri, sia di testimoniare il Vangelo: ognuno secondo le sue capacità ed i suoi doni. L’unità dei Cristiani è voluta anch’essa da Gesù come segno dell’amore di Dio per gli uomini che deve essere anche tra gli uomini, figli di Dio e fratelli di Gesù (Gv 17, 20-26), e se esaminiamo con attenzione tutto il discorso di Gesù in Giovanni ai cap. 13-17, possiamo anche comprendere quale sia  il mondo  e l’atteggiamento che un cristiano deve tenere in esso. Ugualmente illuminante è 1 Cor 4.

Il mondo è cosa sostanzialmente buona, creato da Dio come “cosa buona” (Genesi, 1). L’uomo è dotato da Dio, sopra le altre creature, di qualcosa che sia a Sua somiglianza, ed è la ragione e la libertà. L’uso della libertà comporta però che l’uomo si attenga al disegno di amore secondo il quale il mondo è stato creato. In questo senso l’uomo non può stabilire da se stesso che cosa sia bene e che cosa male (il frutto dell’albero della conoscenza (= possesso) del bene e del male) ma deve, pur nella sua libertà, rispettare il disegno d’amore del creato.  La tentazione del serpente è quella di far credere di poter essere come Dio, cioè di poter stabilire che cosa è bene e cosa è male. Questo porta al contrasto con la natura d’amore del creato e ai “castighi” della fatica, dell’infelicità, della divisione (diavolo da diaballo, divido) che si manifestano nelle accuse di Adamo ad Eva e di questa al serpente. Questo concetto è espresso anche da Agostino come libertas maior che è la libertà esercitata in armonia col disegno divino e libertas minor che è quella in contrasto con esso. Il “castigo” infatti non viene dalla volontà di Dio che ama l’uomo e non gode nel punirlo, ma dall’uso sbagliato della libertà, il peccato, che produce frutti di divisione, infelicità e morte (Gal 5,19-24; per Paolo il mondo è anche chiamato carne; Rm 6, 19-23).

Questo uso sbagliato della libertà è suggerito dal Divisore, il Maligno, che opera nel mondo come avversario di Dio e della sua bontà, ed usa del mondo per suggerire il male. È il Tentatore che propone a Gesù l’uso sbagliato, egoistico, della libertà nelle tentazioni narrate da Luca, 4. Che sono tentazioni che vengono proposte anche a noi oggi: potere, superbia, idolatria, tentare e giudicare Dio con i nostri criteri…

In questo passo ci viene presentato dal vangelo come opera il principe di questo mondo, e il tema viene approfondito da Giovanni, 15, 18-25 e 17, 13-19. Giovanni ci spiega la differenza tra essere nel mondo e del mondo, e capire questa differenza è fondamentale per il comportamento del cristiano. Il cristiano opera nel mondo, in unità con gli altri cristiani con i quali condivide il corpo mistico di Gesù nella Chiesa, secondo la propria vocazione, ed è disponibile (prossimo, Mc 12,31 ; Lc 10, 36 )  verso tutti gli uomini che sono suoi fratelli, per i quali Cristo ha sofferto ed è morto e resuscitato. Il cristiano non è del mondo perché rifiuta le seduzioni del potere, della superbia, dell’idolatria e del culto del denaro (Mt 6,24: non potete servire Dio e il denaro, Mammona) per testimoniare la luce di Cristo con la parola e le opere (Mt 10, 27;  5,16).

Quindi, ascoltando e meditando attentamente il Vangelo, noi, a seconda delle nostre capacità ed inclinazioni, dono di Dio (Mt 25, 14-29) operiamo nel mondo esercitando la nostra libertà e collaboriamo alla crescita del regno di Dio illuminando gli uomini che in esso non credono (ancora). In questo operare abbiamo ben presente la volontà di Gesù di essere con Lui una cosa sola; ma nello stesso tempo usiamo della nostra libertà per un cammino che è personale e deve rendere conto delle capacità e dei doni che scopriamo in noi facendoci parte attiva nella costruzione del Regno in terra. E non soltanto badando ai fatti nostri, come il levita e il sacerdote della parabola di Luca, ma occupandoci attivamente del prossimo e operando nella Chiesa di Dio.

 

6. Il contesto in cui operiamo oggi.

A differenza dei secoli di assolutismo, oggi noi operiamo in un contesto di pluralismo. Le libertà di opinione, azione (nell’ambito delle leggi) e di professione di fede ci mettono in un contesto in cui si può sviluppare il concetto di relativismo: esistono tante verità personali e queste devono essere rispettose delle verità degli altri. Questo è in fondo lo sviluppo della scelta di Adamo ed Eva di assaggiare il frutto della conoscenza del bene e del male, la libertas minor. Come cristiani dobbiamo tollerarlo, perché Dio lo tollera, ma non dobbiamo praticarlo: per noi la Via, la Verità , la Vita stanno in Cristo e nel Vangelo. Ma il relativismo, o meglio una sua sfumatura meno radicale, quella che non discute  i principi ma i metodi, è ineliminabile dal contesto della nostra vita terrena, ci accompagna con le nostre contraddizioni e le nostre infedeltà alla Parola. Per cui non dobbiamo scandalizzarci se, nella società plurale, cristiani operano su fronti assai diversi, ponendo l’accento su istanze, necessità ed obiettivi assai diversi. La cosa importante per tutti sarebbe verificare con sincerità la coerenza di quelle posizioni con il Vangelo, e soprattutto la posizione verso il Mondo. Se in tale operare i cristiani adottano i criteri del Mondo, debbono pensare che ciò li pone in contrasto con il Regno di Dio; altrimenti l’unità con la Chiesa viene trovata attraverso il comune rispetto ed attaccamento agli ideali del Vangelo, il rispetto della Gerarchia – come si rispettano i genitori, avendo rispetto per la loro funzione di magistero – e soprattutto attraverso l’unione nell’Eucaristia. Il dovere della coerenza al Vangelo e del rifiuto del Mondo e di mammona mi sembrano però caratteristiche ineliminabili di ogni aggregazione che voglia sinceramente definirsi cristiana. Anche se tale termine non mi piace applicato in politica, chi lo adotta deve essere più severo con se stesso e i suoi compagni di viaggio di chi non si riferisce direttamente ad esso, pur operando coerentemente con lo spirito evangelico.

Nel mondo di oggi molte associazioni, gruppi ecc. si riferiscono al Cristianesimo e dichiarano di esserne parte attiva e viva. Essi si possono distinguere in gruppi di appartenenza e di riferimento. Nei primi il Vangelo diventa vincolo non solo personale ma comunitario, spingendo a strette relazioni tra gli aderenti e tenendo (anche involontariamente) in qualche misura “fuori” i non aderenti. Nei secondi l’intento è di operare come il lievito di Mt 13,33. Credo che entrambe le forme siano lecite, perché ognuno sviluppa i suoi carismi e le sue inclinazioni secondo i doni ricevuti dallo Spirito (1Cor 12, 4-11). Importante però è rifiutare la logica del mondo e quindi non perdere di vista il Regno di Dio per costruirne una caricatura  in terra, con il proprio gruppo e la propria associazione “vincenti” nel mondo, anche grazie a mammona. La gloria del cristiano infatti non risiede in altro che nella Croce di Cristo, di cui dobbiamo essere portatori noi stessi (Gal 6,14).

 

7. La Chiesa e la gerarchia, oggi.

Il dibattito su quale sia il diritto della Chiesa di interferire nella società civile o dare indicazioni più o meno vincolanti sul comportamento pratico nella vita civile (appartenenza a partiti e associazioni,  voto, ecc.) è senza dubbio continuo nel mondo di oggi, per lo meno in Italia; la situazione di altri paesi europei e occidentali in genere è diversa. La presenza della sede vaticana e la brusca fine del potere temporale a Porta Pia (1870) ha influenzato pesantemente la storia dei rapporti Chiesa-stato. Per questo la discussione è raramente serena e limitata al terreno concreto, ma si espande in maniera esageratamente ideologica. Da una parte i laicisti vedono una  pressione esagerata sulle coscienze da parte della Gerarchia, e vogliono imporre una visione della fede come scelta privata e personale. Dall’altra i clericali lamentano presunte persecuzioni e richiamano spesso climi di crociata, mettendo in contrapposizione una visione distorta del Regno di Dio in terra con le leggi civili che rispecchiano anche l’opinione del non credente. Credo che compito del cristiano oggi (come sempre nella storia) sia non quello di tacere o di gridare più forte degli altri, ma di predicare il Vangelo e di metterlo in pratica. La presunta realizzazione di una società “cristiana” in Italia non si è avuta nonostante i quasi cinquant’anni di presenza ininterrotta e dominante al governo di un partito “cristiano”.  Non si vede come pretenderla oggi che si riconosce anche nei numeri che i cristiani veri, che non coincidono neppure con i praticanti, sono una netta minoranza (per “veri” intendo quelli che si sforzano di praticare ciò in cui credono). In realtà il partito dei cristiani si è preoccupato spesso di servire la collettività, e in ciò ha adempiuto al precetto evangelico: ma in molti, troppi casi ha poi occupato il potere per fini autoconservativi e di vantaggio per i propri maggiorenti, che poi pensavano a dispensare in parte i privilegi alla popolazione, soprattutto per chi era formalmente dalla parte giusta, e talvolta perseguitando attraverso le strutture dello stato chi non aveva fede, i cosiddetti “comunisti”.

Quello perciò che ci aspettiamo dai nostri pastori, il Papa (che pensa al mondo tutto) e i vescovi italiani, è il richiamo alla norma evangelica ed agli atti che la attualizzano, come il concilio Vaticano II. È l’aiuto ad interpretare i segni dei tempi, a cui ogni coscienza deve essere attenta. In particolare non dobbiamo perdere di vista alcuni punti fondamentali che ci devono guidare:
· Il cristiano deve giudicare ed operare secondo la retta coscienza;
· La Gerarchia proclama integralmente la Parola di Dio e aiuta ad interpretare i segni dei tempi;
· Ciascun cristiano opera secondo la propria personale vocazione. I carismi sono tanti e diversi;
· Ciascun cristiano opera in comunione con gli altri attraverso l’Eucaristia. Può trovarsi in contrasto con altri cristiani nell’applicazione concreta del suo impegno; privilegerà le cose che uniscono a quelle che dividono, ma ricordando che:

  •  Il cristiano opera nel mondo ma non può adottare metodi e mentalità del mondo;

  • Il cristiano nell’operare è al servizio del Vangelo, non di “poteri” del mondo e non può imitare l’azione del mondo: in particolare praticare la Verità, L’Amore, la Giustizia.

Pertanto il cristiano opera nel contesto civile e sociale lavorando assieme a chi ritiene possa giovare alla collettività in tale contesto, testimoniando il Vangelo con la parola e il proprio comportamento, e sapendo che il Regno di Dio si manifesta nei tempi e modi stabiliti e non è direttamente connesso ai risultati della propria opera (Gv 4, 37-38).  Tiene conto dell’interpretazione data dalla Gerarchia e la confronta con la propria esperienza, riconoscendone con umiltà la funzione ma rispondendo alla propria vocazione e alla propria coscienza; e partecipando umilmente della funzione profetica che non è delegata alla gerarchia, ma a tutto il Popolo di Dio. Mantiene presente la sostanziale vanità delle cose e delle vicende umane, cercando di vederle nella luce delle verità vere ed ultime (1 Cor 7, 29-32).

La Gerarchia deve interrogarsi su Mt 22,21, su Mt 23, 1-12 ma tener bene presente l’intero capitolo,  1 Cor 12, 4-11 e non limitarsi a chiedere perdono per gli errori del passato, ma badare a non commetterne oggi. Deve tener conto che la Chiesa è un’istituzione anche  terrena che ha le sue necessità e le sue debolezze, ma non può conformarsi allo spirito di questo mondo,  e accettare compromessi con mammona perché antitetici al regno di Dio (Mt 6,24).  Quando parla e opera, la gerarchia, come ogni fedele, deve osservare ciò che è scritto in Mc 10, 42-45, Gv 13, 12-17, la possibilità del tradimento (Gv 13,38) e il desiderio dell’immagine della Chiesa espresso da Gesù nella preghiera di Gv. 17, 20-26.

In concreto e riferendomi all’oggi, vorrei osservare che nell’intervista a Ratzinger fatta da Messori nel 1985 e pubblicata in un libro l’allora cardinale sosteneva il primato del singolo Vescovo rispetto alla Conferenza episcopale, un organo che non ha autorità giuridica nella Chiesa, in cui molti tacciono e spesso prevale l’opinione di chi parla più forte (cito a memoria).  Sarebbe sbagliato pensare che oggi, non esistendo più “il” partito dei cattolici, la Cei ne volesse occupare lo spazio nella politica. Come ho detto sopra, la realizzazione di una società “cristiana” in Italia non si è avuta nonostante i quasi cinquant’anni di presenza ininterrotta e dominante al governo di un partito “cristiano”.  Non avverrà per opera di un’azione politica di un organo sul quale il Papa attuale ha tanto scetticismo. Avverrà forse quando la funzione profetica della Chiesa e del Vangelo di Cristo riusciranno a far lievitare la farina dell’umanità sofferente o troppo sazia.

Se andiamo a rileggere le cronache dei secoli passati, i cronisti benpensanti hanno spesso lamentato la decadenza dei costumi, delle relazioni sociali, ecc. così come noi facciamo oggi. Questo non vuol dire che tutto vada bene: siamo soggetti a dei cicli ideologici e sociali che volta a volta e in popoli diversi giustificano la schiavitù, l’assolutismo, la violenza rivoluzionaria, la guerra di dominio, quella umanitaria, quella che porta la democrazia, il liberismo che lascia liberi solo i più ricchi, e così via. Rispetto a tali cicli il mondo moderno ha comunque consolidato principi che in passato erano sconosciuti o esplicitamente negati. Il valore della pace tra i popoli, la solidarietà con i più disagiati, all’interno e tra i paesi del mondo, il principio di uguaglianza tra tutti gli uomini, il diritto alla democrazia o alla scelta autonoma del proprio futuro per le persone e i popoli, la libertà di fede religiosa, la libertà di informazione, i diritti delle donne e dei bambini, l’uguaglianza delle razze oggi sono riconosciuti formalmente  soprattutto in Occidente ma non solo. Sono diritti umani che un cristiano fedele al Vangelo non può fare a meno di sostenere pienamente.  Tuttavia il loro riconoscimento formale stenta ancora a tradursi in pratica in alcune, ancora troppo grandi, parti del mondo ma anche in casa nostra. C’è un cammino (Teilhard de Chardin) che l’umanità percorre, ma ci sono ancora molti ostacoli e ritardi, e grandissime sofferenze (che in minima parte sono dovute alla natura, in massima agli uomini, alla loro sete di potere, dominio, ricchezza, alla loro indifferenza). In tale cammino la Chiesa è spesso (non sempre) all’avanguardia e svolge una azione profetica. Ma molti uomini, di chiesa e non di chiesa, svolgono questa funzione, anche se ciò viene riconosciuto in genere dopo la loro morte e in vita sono osteggiati; ma ciò è scritto chiaramente e ripetutamente nel Vangelo (Mt 5,11; Lc 11,49; 21,12; Gv 15,20). Don Bosco fu avversato non solo dai “nemici”, più recentemente  ricordiamo il caso di don Milani, che la borghesia cattolica trattava con fastidio e sufficienza; in America latina la vicenda di monsignor Romero, ucciso sull’altare, solidale con un popolo martoriato e vilipeso (leggetevi Marianella e i suoi fratelli mi pare Jaca Book, Raniero La Valle, altro cristiano che verrà celebrato ma dopo morto). Madre Teresa di Calcutta dovette superare l’opposizione del suo ordine e il rifiuto degli stessi emarginati che assisteva. Giovanni XXIII fu osteggiato dalla Curia e da molta parte dell’ambiente vaticano e non solo, ho sentito le dure critiche di Mons. Siri con le mie orecchie, e così Paolo VI. Giovanni Paolo II è stato aspramente criticato per la richiesta di perdono diretta all’umanità per gli errori della Chiesa. Mons. Tonino Bello ha svolto un ruolo ufficiale assai marginale nella Chiesa, non  aveva posti preminenti nella CEI. Ho più dubbi per quei santi in cui in vita è andato tutto liscio… E poi naturalmente ci sono i martiri dei nostri giorni, che lottano contro lo stato-Dio e mammona in Cina e in altri paesi non solo comunisti; basta pensare al Cile di Pinochet, al Perù dove si combatte il terrorismo con il genocidio della popolazione indigena, all’Argentina dei colonnelli e delle migliaia di scomparsi ( La Chiesa argentina e il Vaticano cosa dicevano in quel periodo? Non sapevano?), al Guatemala, alla Colombia dei narcos dove per combattere i signori della coca si autorizza la repressione di qualunque istanza sociale,  al Brasile dove gli speculatori distruggono la foresta e gli indios che vi abitano per coltivare e poi desertificare, all’Indonesia e alle Filippine, e soprattutto all’Africa, sfruttata e poi abbandonata a se stessa o manipolata dai nuovi colonialisti che adorano  mammona e spogliano gli africani delle ricchezze del continente, e dove i conflitti etnici e razziali-religiosi (spesso sobillati da occidentali per scopi di dominio economico) hanno ancora una violenza sconvolgente.  E tutti dovremmo sapere che la CE protegge i nostri contadini elargendo denaro di tutti noi per impedire la legittima concorrenza dell’agricoltura africana.

C’è tanto bisogno del Vangelo e dei testimoni attivi di Cristo nel mondo, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Ma non sarà che ci crogioliamo troppo nelle nostre sicurezze preoccupati solo che non vengano scalfite? Abbiamo orecchie solo per le lamentele contro i disgraziati che sbarcano alla (vana) ricerca di una sopravvivenza meno risicata e tempestosa, o ci chiediamo il come e il perché?

 

8. Il cristiano e il mondo.

Il colonialismo è una  vergogna  indelebile della nostra civiltà cristiana occidentale. Non solo nei primi tempi della conquista coloniale, ma fino a metà del secolo scorso i popoli non europei e non nordamericani sono stati considerati legittima sede di conquista, rapina, repressione di ogni istanza umana, imposizione di qualunque esosità ed angheria. Hanno resistito in Oriente Cina e Giappone, mentre alcuni territori si sono occidentalizzati, altri hanno subito l’influenza islamica. Nella grande maggioranza si sono instaurati regimi oppressivi. A sostegno della legittimità di queste operazioni, nei secoli passati come nei più recenti, sono state portate giustificazioni a dir poco ridicole. Dove la civiltà più potente ed armata, quella europea, è venuta in contatto con popoli deboli e primitivi o di grande civiltà ma militarmente inferiori, non c’è stata alcuna remora a spazzare via ciò che esisteva ed instaurare la legge del più forte. La giustificazione portata per lo più era di portare la civiltà. Oggi possiamo tirare un bilancio ed osservarne i risultati. Non credo che nessuno in buona fede oggi possa difendere il colonialismo e la colonizzazione come un’opera cristiana. Molti popoli (pellerossa, atzechi, indios sudamericani, australiani aborigeni, tribù africane) sono stati ridotti ai minimi termini e il loro regime di vita snaturato perché “selvaggio”. Contro il colonialismo e la sua interpretazione “benefica” si sono battuti, isolatamente e inutilmente, anche molti uomini di chiesa, ad esempio p. Bartolomeo del Las Casas. Non sostengo qui il mito del selvaggio “buono” contro l’europeo “cattivo”: dico solo che la Croce è stata portata là dove si è primariamente esplicitata la legge del più forte e dello sfruttamento del più debole. Questa legge, che oggi unanimemente o quasi respingiamo, è ancora più che mai praticata, meno con le armi e più con il dominio economico che, anche attraverso istituti internazionali formalmente egualitari ed umanitari, come la banca Mondiale, il WTO, ecc. permettono il perpetuarsi del dominio dell’uomo sull’uomo. L’ultima forma di dominio è associata alla globalizzazione, che permette di produrre e vendere prodotti a basso prezzo nei paesi più ricchi utilizzando la fame dei più poveri.

Aspetto in parte positivo della globalizzazione è la possibilità dei popoli più poveri di raccogliere investimenti che consentono la creazione di strutture produttive moderne. Il valore aggiunto resta però per ora in gran parte in mano all’investitore; c’è da sperare che un domani gli effetti della globalizzazione si rivelino meno disastrosi di quelli del colonialismo.

I popoli più organizzati socialmente (anche se soggetti a regimi dittatoriali) riescono a usufruire della globalizzazione per il proprio sviluppo. Tuttavia, l’esportazione del modello energetico occidentale basato sul combustibile fossile e la cultura del rifiuto come materiale da stoccare nell’ambiente procurerà in breve tempo il deterioramento forse irreversibile delle risorse ambientali. Contro questo si sta muovendo l’organizzazione del protocollo di Kyoto, che però è presa assai poco sul serio da molti stati occidentali, Stati Uniti in testa. Mi pare che un cristiano rispettoso dell’opera del creato, e chiamato da Dio come corresponsabile della Creazione (Genesi 1, 26-28) debba schierarsi ed impegnarsi concretamente, anche con i comportamenti privati e familiari, ad un rispetto del futuro della Terra e ad una salvaguardia dagli sprechi, che sono un insulto ai poveri e alle generazioni future. Il consumismo infatti, motore e cancro della nostra epoca, è oggi un idolo che ci spinge alla sua adorazione in stretta simbiosi con mammona.

Il denaro è sempre padrone e protagonista della nostra epoca. Oggi ha acquisito nuova potenza, dopo che la caduta delle barriere doganali e commerciali ha permesso la sua rapida migrazione con il supporto dell’informazione automatizzata. Finché noi, le nostre banche, i fondi di investimento avranno come unico criterio l’impiego dove il reddito è più alto, Mammona dominerà la terra con la nostra interessata collaborazione. In molti paesi gruppi di cristiani (e non) si muovono per sviluppare una finanza etica, che consenta l’impiego di denaro dove si creano vere occasioni di sviluppo e crescita e non solo di sfruttamento e dominio. Mi pare che i cristiani non dovrebbero restare indifferenti lamentandosi  poi che il mondo è cattivo.

 

Andrea Montanari - Genova - febbraio 2006

 

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