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Fisica e poetica delle particelle

di Baldo Lami - Febbraio 2021

 

Un'immersione inedita nel profondo quantistico dell’infinitamente piccolo compiuta con uno sguardo rivolto all’interno di cui sembrano dotate anche le particelle.

Nei termini necessariamente misurati di un articolo traduco solo alcune delle grandi idee che hanno caratterizzato quell’insieme composito di teorie che pur nella loro meravigliosa “incompletezza” e contraddittorietà costituiscono la più grande rivoluzione scientifico-culturale del ventesimo secolo, chiamata meccanica quantistica, che apre scenari evolutivi inimmaginabili alla futura umanità e che corre sincronicamente non a caso insieme alla psicoanalisi. Entrambe risalenti all’inizio del ‘900.
Dopo il principio di complementarietà di Niels Bohr relativo al dualismo onda-particella, meravigliosamente intuito e raffigurato dall’antica filosofia cinese col simbolo dello yin e yang, che Bohr conosceva oltretutto molto bene tant’è che l’ha fatto incidere anche sulla sua tomba, ci addentriamo sempre più nel cuore pulsante della nuova fisica con un atto di genio matematico, quello relativo all’equazione che definisce la funzione d’onda di Erwin Schrödinger, che permette di descrivere compiutamente a livello probabilistico le proprietà ondulatorie della materia che costituiscono un insieme di possibilità compresenti e sovrapposte. Unitamente al più noto e clamoroso principio di indeterminazione di Werner Heisenberg, che afferma che attraverso l’osservazione non è possibile la determinazione simultanea delle variabili coniugate di un sistema quantistico, come quelle relative al duplice comportamento della particella, ora materiale e corpuscolare, ora immateriale e ondulatorio. Ma soprattutto che l’osservazione di un fenomeno condiziona e modifica il fenomeno stesso.
C’è quindi un’interazione ineliminabile tra sistema osservato e sistema osservatore, che determina una trasformazione irreversibile in entrambi i sistemi, non solo fisica ma psicofisica, essendo il sistema osservatore formato dall’insieme indistricabile di due sguardi, uno interno, coscienziale, e uno esterno, che in questo caso non è fornito dall’occhio fisico, impossibilitato a vedere alcunché nel nanocosmo, ma dall’apparato strumentale di rilevamento. Incontro a duplicità di sguardi, però: anche l’osservatore è osservato. Perché anche la nostra graziosa particella, secondo Jean Charon, oltre alla sua ormai nota onda psi, corrispondente a uno sguardo verso l’esterno, ne possiederebbe anche un’altra, chiamata onda sigma, corrispondente a uno sguardo verso l’interno, verso il proprio potenziale quantico di memoria cosmica, fornitole, secondo David Bohm, dall’ordine implicito complessivo dell’intero universo, che costituirebbe la natura e la mente del vuoto quantistico o campo di punto zero, sub-quantistico per Ervin Laszlo, che ritiene che il vuoto sia una vera e propria dimensione sottostante i quanti.
Ovvero un campo unificato di informazione e d’interconnessione globale dove ogni parte reca con sé un’immagine olografica implicita del tutto in continuo dispiegamento. In interazione anche con l’ordine esplicito della manifestazione fenomenica che da esso promana, perché informazione che mette in forma e che guida pertanto il divenire per individualizzazione e complessificazione crescente. Dove ogni oggetto appare separato nello spazio e nel tempo, noi in primis. Noi osservatori coscienti, increduli e spauriti, nell’oceano fluttuante dell’assoluta imprevedibilità degli eventi, che non ci stanchiamo di voler prevedere, perché con la perdita progressiva di coerenza quantistica (decoerenza) tra noi e il cosmo, abbiamo perso la certezza che l’essere è e il non essere, il nulla, il vuoto assoluto, non è.
Certezza che la tremula e mistica particella, piccola e vibrante ipotesi, risonanza limbica di immaginaria mente, primigenio algoritmo della vita, sembra invece possedere, non smettendo mai di “credere” nella possibilità di esistere, di relazionarsi e di congiungersi.
Ma cosa succede se vogliamo fotografarla? Che può significare violarla per coglierla nella sua nuda verità? Lo testimonia una variante dello stesso esperimento che dimostrò la natura duale delle particelle, noto come esperimento della doppia fenditura (detto per questa variante “a scelta ritardata”). In cui, sparando un fascio di elettroni su uno schermo-maschera contenente due fessure interposto tra l’emittente e uno schermo-bersaglio, si riscontrano su questo delle tipiche figure di interferenza in successione alternata di bande chiare e scure (spiegabili con la teoria ondulatoria), che scompaiono come d’incanto non appena si piazza dopo una delle due fessure un rivelatore di particelle (che è l’occhio meccanico esterno dell’osservatore) al fine di coglierle nell’atto dell’attraversamento, per verificare cosa e dove passa. Significando in questo caso che gli elettroni, come intuendo di essere ripresi, presentendolo, hanno cessato immediatamente di comportarsi come onde e, precipitando in uno stato determinato, si sono comportati come corpuscoli, che in quanto tali lasciano sullo schermo-bersaglio solo le due tipiche bande corrispondenti alle due fenditure.
Comportandosi come quegli indigeni che, come ci racconta James George Frazer, erano restii a essere fotografati dai primi esploratori bianchi e fuggivano vergognosi perché temevano che la loro anima (l’onda) potesse restare in tal modo catturata e “precipitare” in uno stato de-finito. Precipitazione, questa, che nel linguaggio fantasioso della meccanica quantistica si chiama più propriamente collasso della funzione d’onda o riduzione del pacchetto d’onda, che certifica la fine dell’“innocenza” quantistica di Alice nel paese delle meraviglie, dove tutto è possibile, in cui le particelle esistevano in due o più luoghi o stati simultaneamente (sovrapposizione di stati), verso un unico stato osservabile, che era quanto si desiderava ottenere.
Questo fenomeno è stato più suggestivamente descritto nel seguente modo: appena uscito dalla fonte emittente, l’elettrone che viene sparato sullo schermo sparisce immediatamente dissolvendosi in una nube di elettroni fantasma (che sono le sue configurazioni d’onda significanti una “rosa di valori possibili”) ciascuno dei quali passa “a modo suo” da entrambe le fessure della maschera, interferendo poi con se stesso dopo averle attraversate, per finire sullo schermo di arrivo nelle note figure di interferenza. Ma questa nube fantasma esiste e funziona solo se non viene osservata, perché nel momento fatidico in cui viene vista, tutti i fantasmi elettronici si dileguano all’istante tranne uno, che, come per amore, si materializza come un elettrone reale per l’osservatore che ardentemente lo aspettava, presentandosi alla sua coscienza come un evento emergente generato dalla stessa.
È magia questa? No, non lo so, è la fisica del ventesimo secolo! Per questo però oltremodo imbarazzante o, per meglio dire, perturbante. Ed è sempre per questo che per non impelagarsi in questioni metafisiche infinite si decise “a maggioranza” di tornare a escludere l’importanza dell’osservatore nella causazione dell’evento con una spiegazione meccanicistica, tuttora ritenuta valida dall’ortodossia scientifica, anche se successivi esperimenti ne riaffermarono l’ineludibile centralità.
“L’intima natura delle cose ama nascondersi”, come dice Eraclito, ma l’osservatore costringe la natura a “rivelarsi”, come dice la meccanica quantistica, anche se dopo torna a nascondersi in lui nell’inconscio, come dice la psicoanalisi, che da lì torna a rigenerare il nascondimento anche all’esterno. Ma oggi, a partire dalla nascita gemellare e “sincronistica” di queste due scienze (fisica quantistica e psicologia del profondo), la rimozione non regge più, la separazione tra esterno e interno è saltata, e il microcosmo fisico si sta rivelando sempre più simile al microcosmo psichico, al funzionamento non locale e non lineare della mente.
Per concludere, in questa poetica della metafisica dei microenti, l’onda sembra essere molto di più di una mera funzione matematica e astratta di probabilità, certamente utile come metafora per interrogarci nell’interrogare il mondo, una metafora-specchio, perché la nostra domanda ci torna stranamente indietro interpellandoci a sua volta. Una figura d’interpellanza, quindi, che ci appare immaginariamente dotata di preveggenza e di una sensibilità infinita, in quanto esplorazione ideativa, teleologica e secondo alcuni anche teologica condotta in seno alla Oneness (l’uno, l’infinito e l’universo come campo quantistico unitario), al fine di predire quali futuri sono possibili, futuri intesi come tendenze a esistere e in cui l’esistere non si dà se non in relazione. L’onda infatti ama sintonizzare i campi quantici (coerenza) e intrecciarsi con altre onde (entanglement), costituendo quel famoso “mare” quantistico, fluttuante, con cui Paul Dirac amava definire il vuoto dell’infinitamente piccolo, il vuoto della sinfonia festosa e gorgogliante delle oscillazioni ideiche (concetto basilare della Micropsicoanalisi). Vuoto la cui tramatura si dice possa costituire lo stesso tessuto geometrico dello spaziotempo.
Vista così, è veramente difficile non arrivare a considerare l’onda come un impulso elementare e infinitesimale del desiderio di vita, come istanza erotico-conoscitiva, come cifra e misura dell’infinito, come apertura sull’altrove, come invocazione dell’Altro.

Baldo Lami

Psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e psicosomatica.

 

Bibliografia
Fritjol Capra, Il Tao della fisica, Adelphi 1989.
Jean-Emile Charon, Il Tutto. Lo spirito e la materia, Mediterranee 2008.
Paul Davies, Il cosmo intelligente, Mondadori 1999.
Henri Laborit, Dio non gioca a dadi, Eleuthera 1992.
Vito Mancuso, Il principio passione, Garzanti 2013.
Sven Ortoli et al., Il cantico dei quanti,Theoria 1991.
Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, Cortina 2012.
Quirino Zangrilli, La vita: involucro vuoto, Borla 1993.


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