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La mosca cocchiera o l'Io immaginato

- che crede di regnare -

di Isabella Di Soragna - Marzo 2020


Non si tratta di rinnegare le proprie capacità o di sentirsi escluso e vile e detestabile. No, qui si tratta di verificare l’idea stessa di sé, del fatto di sentirsi esistere nel nostro profondo e coscienti di sé.  Parliamo dell’ego in poche parole.
Durante i primi anni di vita, questo senso di sé o ego, solo per la sua presenza, si materializza e inizia un difficile cammino tra momenti di euforia ad altri di tormento. Il solo riposo è quando si dimentica e non disperde tutte le energie del corpo-mente su cui s’innesta. Ecco quindi descritto l’apparire della mosca cocchiera che tutto invade, ossessiva e ossessionante in ogni momento bello o brutto della vita che scorre e che ci mostra quel che c’è da fare in quel momento e sopravvivere. Ne siamo liberi alla morte, salvo casi rari di comprensione profonda. Occuparsi dell’ego è come occuparsi della mosca cocchiera. Inutile combatterla o ignorarla, poiché NOI SIAMO quella mosca che crede di far avanzare il carro, trainato invece da robusti cavalli. Questo meccanismo è dovuto ad un solo pensiero, quello di “sapere e di volere continuare ad esistere”, fino alla morte, il famoso “riposo eterno”. È scritto sulle pietre tombali, eppure è già qui durante la vita. La mosca tuttavia vi aspira, ma più cerca questo riposo, aspirando a risolvere questo o quel problema (che essa stessa crea), credendosi indispensabile, più lo rafforza e anche la sua esistenza illusoria. In tal modo questo agognato riposo resta inaccessibile. Questa mosca che s’illude di condurre il carro… siamo noi!
C’è un pacco di memorie - sempre presenti ma in genere soppresse perché dolorose-che per tenersi ben strette, s’inventano un mantello protettore (IO) - alcune accolte dalla concezione in poi, dal vissuto materno, dal trauma della nascita e che poi via via si prolungano sempre in quello spazio-tempo inventato(!): ebbene  quando  il soggetto, che ormai è convinto di essere un individuo separato e indipendente (grazie al mantello!) trova che  è ora di  trovare la libertà della “realizzazione spirituale’’ si aggiudica un altro mantello! per arrivare dov’era …prima!  Frasi come: “Tutto è me stesso, creo il mio mondo, ecc.” gli danno l’impressione di non essere più una marionetta, che LUI decide tutto e così… s’imbroglia ancor di più. Non solo crede che tutto quello che ha ben sepolto sotto il mantello del sacro spirito, sparisca e invece…! rimane tutto a livello intelletto, ben custodito dal mantello-ego.
Si tratta invece - non di spiegare o di fare psicoterapia - come molti ironizzano, per un burattino inesistente - ma di “vedere” senza giudizio alcuno, di volta in volta, le nostre forti reazioni (spesso condannate o espulse) che mostrano dove… “fa ancora male”, perché? Perché è l’ombra alla quale non possiamo identificarci, aliena, quello che non è stato mai accolto, impedito delle memorie, ma proiettato su un apparente “esterno” che ci mostra solo il nostro specchio dimenticato e sporco perché non visto. Anche se “sappiamo” che è illusorio, ci sono memorie che ci hanno bloccato il sistema.  Non si tratta di “eliminare le memorie dolorose”, cosa che non avrebbe mai fine!, ma  solo al momento, riconoscerle, non proiettarle su x o y, ringraziarle, viverle naturalmente, reintegrarne l’energia e quindi ci fanno vedere davvero la vita non come qualcosa di distante, ma semplicemente come un torrente interno che appare anche fuori, che scorre, in cui a volte nuotiamo, a volte l’osserviamo, ma che accettiamo in tutte le espressioni, senza sotterfugi - che sia una cascata turbolenta o un fiume placido o un lago tranquillo, dove tutto si riunisce.
- Non mi rispettano, mi violentano, mi trattano come preda! - è il grido ormai abituale delle donne abusate. Se esse indagano all’interno, vedranno che “chi” non le rispetta sono proprio loro, inconsapevolmente, perché hanno rinunciato a esprimersi naturalmente o allora si ribellano, ma non risolvono la dualità.  Si tratta di sentirlo, vederlo e lasciarlo, nessuna speculazione o “sapere”, solo una visione davvero chiara, che effettivamente l’esterno è solo la loro ombra non vista.  In quel modo la separazione cessa. L’uomo che si lamenta: - Non riesco a mostrare le mie vere capacità, il lavoro mi pesa, non ho soldi ecc. - deve solo realizzare che - per condizionamenti ricevuti e memorie non viste - si auto-demolisce, si svaluta. Se questi personaggi riescono per un po’ a ringraziare la loro condizione (è difficile, ma ci si riesce) e coloro che “sembrano” infliggergliela, ecco la riunione dei contrari, l’esterno si riunisce davvero con l’interno e potrà davvero dichiarare, vivendolo: - Tutto è nella mia mente, tutto è me stesso! – Questa è la prima fase per far tacere almeno in parte, la mosca sempre ronzante.
Il cristianesimo ha introdotto “la rassegnazione cristiana”, ma è ancora una trappola, si diventa “vittime” e si mantiene la sofferenza ben nascosta. S. Francesco e molti saggi ringraziavano Dio per le tribolazioni, poiché era per loro un segno di “riunione”. Robert Adams ripeteva sempre: - Ogni   dolore, trauma o ingiustizia è una benedizione camuffata! - Infatti se accolta fa andare oltre il piccolo individuo a cui si è ancora identificati.  Non si tratta di diventare né santi né zombie, solo verificare che mondo e mente sono la stessa cosa. La devozione vera (non quella che “chiede” un risultato o un beneficio) è abbandono totale di sé e un altro modo di riunirsi con tutto ciò che È.
Non si tratta nemmeno di purificare la mente, ma di vederne effettivamente l’illusorietà, e creduta reale, a causa del sovraffollamento dei condizionamenti, altrimenti è dare una mano al burattino che si crede il re. Negarla a priori significa conservarne l’idea.
A questo punto è come rimanere sempre in meditazione sul qui-ora e nell’io-sono- che poi si dileguerà da sé. Negare a priori tutto questo è prenderci in giro!


(Commenti e parafrasi tratti liberamente da testi di J.M. Terdjman anche su U.G.)

- Si scopre poi che facciamo le cose non perché lo vogliamo, ma al contrario, le vogliamo perché vi sono le forze necessarie già presenti: le decisioni sono solo un riflesso del nostro stato, in ogni momento della nostra vita. Come la gravità che fa scendere un torrente. Noi “sappiamo di esistere”, che equivale a coscienza di sé o ego, ed ecco si mettono in moto forze impersonali che noi accaparriamo creando appunto la presa di coscienza di sé. Un circolo vizioso. Questo ego arriva solo alla fine del processo, (pur credendosi l’origine) esiste solo mentre crea il concetto, ma non sparisce, anzi si rinforza ogni volta concependo quel meccanismo mentale, e finisce per immaginare che “serve a qualcosa”. A che cosa? A REALIZZARSI! Ma che cosa esattamente? La liberazione, la felicità, una società migliore, ecc. purché trovi un problema da risolvere e così l’ego si conforta e esiste con uno scopo. In tal modo evita il dubbio terrificante che esista davvero(!) e rimanga sull’orlo del nulla…
La coscienza non è quello che si crede. (Non c’è né coscienza né soggetto pensante)
Coscienza, conoscenza, pensiero soggetto pensante sono solo NOMI che diamo a ciò che è lo stesso processo di interazione costante tra le forze della natura, corpo compreso. Non possiamo parlare di pensiero distinto dalla materia, poiché è un tutto unico: solo forze in atto. La mente - che non ha una sede precisa - è infatti la somma di idee e fatti mentali che si verificano in un luogo dato. Non c’è tuttavia una coscienza “individuale”, che è inesistente al di fuori di quelle idee. Si può concludere quindi che il soggetto pensante, così importante per filosofi e studiosi, NON ESISTE. La coscienza che sembra proiettare il suo fascio luminoso che il soggetto proietta sul mondo (apparentemente) esterno, NON ESISTE.
Che cosa intendiamo allora quando diciamo: - Sono cosciente di questo o quello? - La coscienza è un’eco, una risonanza di certe percezioni su sé stesse.
La coscienza è un sotto prodotto della memoria. Osserviamo un neonato: egli percepisce il proprio corpo e il mondo come un tutto unico, forme e colori o fame e sete sono un’unità, più o meno come era nel ventre materno. Tutte queste percezioni lasciamo un’impronta nel bebè sul suo sistema nervoso, vibrazioni, impulsi elettrici, trasformazioni chimiche, poco importa: prendiamo solo l’immagine di un solco che si è creato e in cui affluiscono le percezioni e sensazioni, sempre rinnovate e, come in un torrente già tracciato, le acque precedenti si mescolano con le nuove, ma simili e ripetitive, creando una memoria. Questo solco canalizzerà le sensazioni affini, ma in realtà è la forza di gravità che farà tutto il lavoro e attirerà i dati simili in un gioco di costanti risonanze. Si potrà chiamare questo solco un’“idea generale”, idea di caldo, freddo, fame, mamma ecc.: la riflessione di questa idea generale che si riflette su sé stessa, si chiamerà “aver coscienza di” (caldo, fame, mamma). In definitiva la coscienza è solo la risonanza di un fatto mentale su sé stesso: il fatto mentale inoltre è solo uno stato specifico della materia nervosa, una vibrazione che risuona su sé stessa. Il fatto mentale segue un solco e ci si installa, risuona su di sé e si… riconosce! L’energia che produce questa eco, è dovuto al fatto che il solco è già scavato e quindi l’energia è disponibile per altra cosa. È come se le acque sparse si radunassero nel torrente dandogli la sua forza.
Si può concludere che c’è coscienza solo se c’è il solco e quindi si ha “conoscenza” solo del passato e del già visto. Conoscere è “riconoscere”, significa averne già un’idea generale: impossibile per il “mai percepito’’.
Torniamo ai prima anni di vita del neonato. “Ha preso coscienza” della fame, del freddo, della mamma, ma ancora non di sé stesso. Questi fatti mentali (latte, fame, mamma ecc.) che fanno ecco, risuonano su sé stessi e creeranno poco alla volta un nuovo solco che esprimerà altre caratteristiche, quelle della risonanza stessa che diventerà un’idea generale, ossia di coscienza che a sua volta, come le altre si rifletterà su sé stessa. Il neonato all’inizio quando ha bisogno di qualcosa piange, ma poi imparerà dal suo ambiente familiare a verbalizzare certe sensazioni specifiche (lo-lo, ma-ma, fa-me). In seguito il desiderio di latte ad esempio avendo preso coscienza di sé, si arriva all’ultima tappa. L’idea generale delle idee riflesse le accompagna ora verbalmente e si può ascoltare: - Toto vuole lolo. - (o simile) …ecc. Ora questi fatti mentali, naturali sono personalizzati, poiché riflessi su sé stessi: il “soggetto pensante autonomo” è nato! Il senso di “IO” di me, di ego individuale, cosciente di sé stesso inizia ad apparire.
L’IO dunque si rivela un’idea generale che si pensa, un fardello del passato, una memoria, un sottoprodotto di risonanze passate. “Io so che so”, conoscersi, sapere che esisto, è una classificazione del passato, una memoria quindi che si prende per un centro di coscienza, di decisioni, d’azioni e di vita.
Le interazioni col mondo (apparentemente) esterno e un corpo individuale, si manifestano direttamente o per riflesso.
Coscienza diretta: avvicino un dito a una fiamma e reagisco subito, senza veramente averne coscienza precisa, anche se c’è in gioco una quantità di stimoli generali del sistema nervoso ecc. ma il corpo non ne ha coscienza.
Coscienza riflessa: l’ego, io, tu esistiamo. Vedo una montagna e ‘’so‘’ che la vedo e quindi… (poi) esisto. Non è che so di esistere e poi vedo una montagna, ma ci dev’essere interazione tra il mio sistema nervoso e la montagna. Invece è il contrario, esisto perché so di vedere una montagna. In seguito, continuo a sentire di esistere, ma è dovuto a memorie di stimoli e riflessi.  Quello che crediamo che succeda all’inizio, si rivela alla fine del processo. L’ego crede di giungere all’inizio, sono cosciente, esisto individualmente, in realtà arriva alla fine del processo. Cercherà poi disperatamente di durare, diventare qualcosa, soprattutto confermare costantemente la sua esistenza. Non sa però che la sua esistenza è già determinata, è il risultato di forze su cui non ha nessun controllo e crede di essere la locomotiva di tutto. Come una marionetta che salta e balla, incosciente dei fili che la manipolano. L’ego cerca poi un senso per quello che crede di decidere, crede di esistere separatamente, mentre sono i fili a spingerlo qui e là. È quindi pieno di angosce, soffre e cerca in ogni modo di dimenticarsi e di liberarsi da quella situazione penosa: allora… aspira alla liberazione! Si fossilizza invece in illusioni e credi, fino all’estinzione totale e inevitabile. Intanto la vita continua sotto il costante controllo del marionettista invisibile.
Tutto questo è un movimento naturale, come un torrente spinto dalla forza di gravità verso la valle. Non è l’individuo a crearlo è la totalità della natura. Lo spirito “umano” è un insieme di questi solchi mnemonici.
Il “libero arbitrio”? Un’illusione. impossibile. Come se l’immagine riflessa in uno specchio potesse controllare l’oggetto di cui è il riflesso. L’ego è solo un riflesso in uno specchio, può essere solo ciò che riflette. Questo proviene dal credere che siamo coscienti (a livello della coscienza riflessa) dei nostri desideri, ma non ne sappiamo l’origine (proveniente dalla coscienza diretta). La decisione che l’IO crede di prendere – è ormai risaputo scientificamente - avviene dopo quella del sistema nervoso cerebrale.
L’ego non può esistere al di fuori dei fatti mentali di cui è l’eco: esso è paura, memoria ecc. non le possiede, non le sperimenta, sono solo i fatti mentali a farlo, diventando coscienti di sé. Se gli svariati fatti mentali sparissero, anche l’IO sparirebbe.
Se l’ego non ha più ricordi, paure e desideri ecc. l’IO non esiste più. L’ego cessa solo alla morte. Desidererà la fine della sofferenza, ma non la propria. Sono questo conflitto, sono questo dolore o gioia. L’ego non può controllare, né decidere, poiché è solo un riflesso.
L’IO non può quindi decidere nulla, è il suo desiderio, è il suo progetto, è il suo “credo”: riflette lo svolgimento dello spettacolo, pur credendosi al timone, il responsabile, al potere di cambiare le cose, non vedendo che è la propria sofferenza da accogliere poiché “è, siamo la sofferenza”, qui-ora, finché il cambiamento avverrà da sé, quando sarà il momento, adesso o alla morte.
Affermare che l’IO è un’illusione?  Significa rinforzarlo, esso si pensa negandolo: non lo si rimanda verso il nulla. L’IO, l’ego esiste …pensandosi, non è l’idea del “mio corpo”, ma solo un riflesso di un’idea generale di coscienza. La sola possibilità che l’ego torni al nulla è di non pensarsi più. Impossibile. Un’idea potrà pensarsi come illusoria, ma non potrà essere la causa della sua estinzione, come un oggetto non potrà mai tornale al nulla. L’IO esiste staccandosi dalla realtà, perché dovrebbe fare diversamente?
L’illusione assoluta dell’ego esiste appunto perché tutto nella natura funziona SENZA di LUI! E senza averne bisogno, tutto in natura, compreso corpo e mente.
Tutto è un fenomeno naturale, comprese le “mie” azioni. In realtà IO non faccio nulla, ma al contrario gli eventi si svolgono e in seguito il senso di un “soggetto” prende forma. La natura è un tutto organico e gli individui sono come le cellule collegate tra loro ma ingrandite, come quelle di un corpo umano o animale. Materia è energia, vibrazione, sensibilità, “coscienza” con complessità differenti. Il bollettino meteorologico prevede il tempo che farà solo di pochi giorni, ma soltanto quello che tutta la natura decide, come gli imprevedibili tsunami, le eruzioni vulcaniche, i terremoti e le epidemie che decretano le epurazioni di una parte dell’umanità. Lo stesso dicasi delle guerre e di altri massacri, odiosi certo, ma inevitabili secondo le leggi naturali effettive. Tutto segue la dinamica della natura in generale, il problema è che siamo convinti di “decidere”, di essere unici e indipendenti, perché abbiamo “coscienza di sé”, ci crediamo un “ego” individuale con volontà propria. Se ad esempio vogliamo sederci o camminare, è già tutto nel programma: ce ne rendiamo conto al momento che “crediamo” di decidere.
L’IO dimentica che viene solo alla fine del processo, non all’origine. Quindi da quel punto, già complicato, di arrivo e non di inizio, si tormenta all’idea di “realizzarsi”, scoprire la sua essenza vera, capace di autonomia e di libero arbitrio. L’IO che si pensa, conosce solo se s tesso, e mai potrà conoscere la coscienza del TUTTO, di Quello che È.
Un caso da far notare è quello di Uppaluri Gopala Krishnamurti o U.G. in cui non si trova né sapere né saggezza: di fatto non vi è nessuno. Afferma in modo diretto e provocante senza punti di riferimento alcuno, eppure è il risultato di condizionamenti come tutti. Ha praticato per anni, secondo la più stretta ortodossia indiana, rituali che secondo lui, non gli sono serviti a nulla, anzi gli sono giunte allucinazioni e fenomeni che rasentavano la follia. Non c’è in lui un “sé” separato, un’idea generale di un IO - etichetta su un pacco di memorie - e di un’esistenza individuale che lo può appesantire: egli è le sue azioni e percezioni, ma risponde a un nome e sa dove si trova. Non c’è nemmeno più l’idea di “liberazione”, poiché lo stato naturale è qualcosa di inconoscibile, siamo solo un flusso naturale, senza alcun concetto né di liberazione né si schiavitù. È solo la marionetta dell’IO, la risultante di memorie, azioni e reazioni e non l’origine, che crede di agire, quando invece è il risultato di azioni su cui non potrà mai avere il controllo. L’Io esiste solo come riflesso in uno specchio e può essere solo quello che riflette: desideri, paure, emozioni, sofferenze. Se questi riflessi spariscono, l’IO non esiste più. Anche se si vuole far sparire la sofferenza, questa è la corda che mantiene la marionetta e se non c’è più la sofferenza non esisto più. In seguito si cerca la felicità in qualunque forma possibile (terrena o spirituale, è lo stesso), ed è ancora una conferma dell’esistenza di un IO: quando ne divento cosciente le situazioni si sono già verificate un attimo prima. A livello della coscienza diretta vi è solo percezione senza un centro: la sofferenza si verifica solo a livello della coscienza riflessa, quando il sé nel panico disperatamente fugge o vuol cambiare la situazione: la sofferenza psicologica è legata al mancato senso di scopo e significato poiché identificandosi con essi, crede di migliorare la sua posizione.
Se siamo convinti che esistono case alberi e innumerevoli individui, sono “idee generali” come il neonato che riconosce sua madre, poiché poco alla volta se ne è fatto un’idea e la “nomina” (concetto). In realtà noi vediamo l’idea generale di una cosa, non la cosa stessa (anche “la cosa in sé” è ancora un concetto!). Ogni movimento che credo di decidere personalmente è solo il finale di una serie di causalità (o piuttosto risonanze direi), che io ne sia consapevole o no. La conoscenza, non è conoscenza del mondo, ma solo la conoscenza delle nostreidee” del mondo. Ecco l’illusione dell’azione, della decisione, …dell’esistenza!


(Commenti al testo di Michel Terdjman “The useless  self et La mouche du coche”)

Per concludere: se strappiamo a questo IO tutto quello che si rivela non essere, cosa rimane? NULLA.
Quando questo IO è minacciato consapevolmente o meno, nella maggioranza della gente crea il fenomeno di panico che spesso è controllato e camuffato col bisogno di compagnia, riunioni di folla, divertimenti e bisogno sfrenato di possesso e potere…
C’è la possibilità di un parallelo con il coronavirus che ora sta creando una “pan-demia” la quale ha fin dall’inizio, gli stessi sintomi (a parte la febbre) e determina la sensazione di uno spazio troppo angusto, paura della solitudine e della morte, oppressione toracica, mancanza di “respiro” (=vita) e… panico (terrore, angoscia).
Il risultato è che il virus ci obbliga a “vivere quest’angoscia” con la chiusura di negozi, discoteche, stadi, scuole e… frontiere, poi vigono le restrizioni a “rimanere in casa”, soli senza veri contatti, a parte il poter ritrovare la famiglia.

Vedi in rete, molto ben documentato: Estasi e panico di Agnese Galotti di cui cito un paio di frasi-chiave

Come ogni sintomo anche il panico va accolto in termini di messaggio dell'inconscio che chiede decodifica e non come uno sgradevole imprevisto che va zittito o eliminato.
L'attacco di panico si manifesta immediatamente sul piano vegetativo: senso di costrizione toracica, con dolore e accelerazione dei battiti cardiaci e palpitazioni, dispnea, respiro affannoso, sudorazione, vertigini, parestesie, vampate di calore, brividi di freddo, tremori, ... che possono simulare varie malattie organiche.”


Isabella Di Soragna


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