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Matteo Ricci e la Cina dei Ming (A cura di Filippo Mignini)

di Roberto Taioli

Pagina 2/2 - Novembre 2017

 

Prefazione

 

Matteo Ricci e la Cina dei Ming

(A cura di Filippo Mignini)

 

Prima di approdare in Cina (1582) Ricci era stato in India per quattro anni studiato teologia e insegnato latino e greco ai giovani, conosciuta e sconfitta la malaria. Ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1580 a Cochin.
Per volontà di Alessandro Valignano, visitatore della Compagnia di Gesù nelle missioni dell’Asia orientale, che aveva intuito le qualità del confratello e che intendeva sperimentare una nuova strategia di evangelizzazione imperniata sulla conoscenza e assimilazioni delle lingue e cultura locali, Ricci fu mandato a Macao.
Ricci perfezionò e fece proprio il metodo di Valignano convinto della necessità di un approccio rispettoso alle culture orientali. Aveva avuto l’ordine di raggiungere Pechino per tentare di convertire l’imperatore o comunque ottenere il permesso di predicare il cristianesimo.
Infaticabile fondatore di missioni, impiegherà diciotto anni prima di essere chiamato con decreto imperiale a Pechino.
A Pechino Ricci pubblicò opere fondamentali in lingua cinese, dalle carte geografiche di tutta la Terra agli Elementi di Euclide.
Nel 1608, giuntegli notizie false circolanti in Europa sulla realtà cinese, scriveva il libro Della Entrata della compagnia di Gesù e Christianità della Cina (in seguito chiamato semplicemente Entrata) destinato a rimanere in Europa punto di riferimento per due secoli.
Nel primo libro della Entrata (qui ricordato con il titolo Descrizione della Cina) l’autore delinea un quadro complessivo della Cina conosciuto sul finire della dinastia Ming.
Spiega tra l’altro che il nome della Cina, a parte la definizione etimologica di Zhongguo, cioè “regno del mezzo” o anche “Giardino del mezzo” o “splendore del centro”, non è fisso ma muta nelle vari dinastie e scrive “Et dall’anno del Signore 1236 (leggi 1638) che regna la famiglia Ciù, si chiama Min e vuole dire chiarità; e per durare anche adesso in questa famiglia, gli aggiungono una sillaba Ta, che vuole dire grande e si chiama Ta min, cioè grande chiarezza – cit. p. 160 (vedasi a p. 24 del saggio).
Tornando a parlare “Del governo della Cina” Ricci fa notare che da 1800 anni la Cina era rimasta un regno unitario mai interamente governato da non cinesi fino all’avvento dei Tartari nel 1206. Dominazione che cessò dopo 162 anni con la rivolta dei cinesi.
Il più valente tra i combattenti contro i Tartari fu uno della famiglia Ciu chiamato Humwu o Hongwu, ossia Grande capitano ed in seguito divenne signore assoluto di questa monarchia “che la tiene sin al giorno di hoggi ne’ suoi successori e posteri, chiamandoli Tamin” – cit. p. 161 (vedasi p. 66 del saggio).
Da qui per Ricci ebbe inizio la dinastia Ming, ad Ongwu si deve il conio del nome della Cina. Ad esso Ricci, fa risalire l’avvio della struttura legislativa ed amministrativa dello Stato, secondo i due intenti che il fondatore si propose: 1) la pace del regno 2) la stabilità dello Stato (vedasi p. 67 del saggio).
Si deve quindi a padre Ricci l’immagine della Cina trasmessa all’Europa, con due premesse importanti:

  • Come i Domenicani e Marco Polo avevano raccontato il paese sotto la dominazione dei Mongoli, Ricci riesca ad avviare la prima vera comunicazione interculturale tra Cina ed Europa, non solo descrivendola ma anche trasferendo in essa conoscenze e documenti essenziali della civiltà europea. Quindi una comunicazione biunivoca

  • Ricci entra addentro ai meccanismi istituzionali della Cina prima di tutto per conoscerli, riconoscendone talora anche la superiorità a simili istituti europei.

In partcolare Mignini nel suo saggio analizza quattro ambiti di esperienza della realtà cinese:
- governo dello Stato
 -peculiarità delle religioni e della filosofia
- le scienze e le arti
- le superstizioni e gli abusi in Cina
I principi storiografici cui Ricci si ispira per ricostruire la storia, sono quelli della estrema esattezza delle notizie e della esperienza diretta dei fatti narrati, metodologia questa ben diversa da quella seguita dai confratelli operanti nelle Americhe. Questi due criteri storiografici sono mutuati dalle scienze naturali delle quali Ricci era esperto. (vedasi saggio p. 20).
La narrazione della Cina di Ricci è rivolta ad un pubblico europeo e viene descritta con le sue luci ed ombre, ma anche come di una regione ove sia possibile far attecchire il cristianesimo, non trasformandolo in un elemento egemonico ma in simbiosi con le culture religiose esistenti ed in particolare il confucianesimo.

 

IL GOVERNO DELLO STATO

L’aspetto più sorprendente del governo dei Ming è quello che esso, pur essendo una monarchia, funzionava come repubblica.
Ciò per tre motivi essenziali: 1) il bilanciamento ed equilibrio dei poteri, in particolare quello dell’imperatore da parte dei magistrati, 2) il reclutamento dei magistrati operato tramite esami pubblici (e non per cooptazione), 3) la trasparenza delle informazioni relative alle funzioni e alle carriere dei magistrati, con meriti e demeriti degli stessi.
Ricci fu meravigliato da tal sistema democratico (allora) del funzionamento statale da fargli affermare che i Cinesi avevano saputo mettere in pratica più di quanto Platone nelle Repubblica avesse immaginato. Al punto da diffondere in Europa una immagine della Cina come di un paese retto da filosofi. Di questo lo stesso Ricci scrive: “E se di questo regno non si può dire che i filosofi sono Re, almeno con verità si dirà che i Re sono governati da filosofi” – cit. p. 165 (vedasi saggio p. 47).
Per magistrato spesso in Cina si intende “letterato”, “uomo colto”, “saggio”, un ceto sociale di prestigio senza il parere del quale l’imperatore non può nulla decidere.
Una descrizione sintetica della Cina è deducibile da una lettera del Ricci all’amico Giulio Fuligatti del 24 novembre 1585. In tale missiva il Ricci si dilunga nel descrivere il sistema amministrativo cinese, sottolineando gli elementi di buon governo e l’esclusione da cariche pubbliche di parenti e familiari di imperatori (esclusione quindi di familismo e nepotismo), l’importanza attribuita al merito “senza nessun privilegio dovuto alla nobiltà” - cit. p. 166, l’efficacia degli esami pubblici. Ricorda infine come la distinzione tra magistrati civili e magistrati militari fosse stata risolta con la subordinazione dei secondi ai primi, e che i magistrati civili dovranno svolgere le loro funzioni fuori dalle province di appartenenza, per fugare pericoli di influenze locali a danno dell’imparzialità.

 

I MAGISTRATI

La classe di magistrati è divisa in due sezioni:

  • I letterati che provvedono alla amministrazione degli affari civili e penali

  • I militari che si occupano del funzionamento dell’esercito

Ma, come abbiamo già avuto modo di notare, con la subordinazione dei secondi ai primi. Si evitava in tal modo di attribuire eccessivo potere ai militari, sancendo il primato della politica civile sull’arte della guerra.

 

I MAGISTRATI NELLE DUE CORTI (Pechino e Nanchino)

Ricci riferisce del metodo sistematico in essere di pubblicizzazione e di trasparenza sull’operato dei magistrati verso i quali ogni tre anni veniva formulato un giudizio che prevedeva anche il declassamento o l’espulsione.
In entrambe le corti venivano istituiti sei ministeri; - del personale - delle finanze - dei riti - della guerra - delle opere pubbliche - delle pene.
Solo a Pechino operava anche il Gelao, un Consiglio interno, composto da magistrati consiglieri dell’imperatore.
Sempre a Pechino operava anche il Censorato, con sessanta dottori di assoluta fiducia dell’imperatore “gente scelta in sapere, prudentia e fidelitate” – cit. 168. La loro integrità doveva essere tale da esercitare il mandato con molta libertà, interezza e dimostrazione di interesse al bene comune” - cit. p. 168, da non indietreggiare neppure dinanzi ad un aperto conflitto con l’imperatore, resistendogli e continuando a denunciare le possibili irregolarità da questo commesse” - cit. p. 168.
Ricci riferisce poi dell’esistenza di un Collegio dei letterati, comprendente coloro che negli esami avevano raggiunto i livelli più alti. Essi svolgono il compito di scrivere i testi dell’imperatore, la storia del regno, le leggi e gli statuti.

 

I MAGISTRATI ESTERNI ALLE CORTI

Le due province di Pechino e Nanchino erano amministrate direttamente dalle corti ivi installate. Le altre province sonno affidate (13) ad un magistrato civile e ad uno penale. Ogni provincia è divisa in regioni e prefetture con un proprio governatore e un prefetto. I magistrati hanno potere e competenza solo nelle rispettive giurisdizioni o specializzazioni e non in altre. La divisione delle giurisdizioni, lungi dall’essere un momento di frammentazione, era posto a garanzia della legalità ed imparzialità. Si contavano nella Cina di allora nove ordini di magistrati civili e militari. Il loro salario era generalmente piuttosto basso. Si differenziavano anche per l’abito indossato, per la cintura di vari materiali e per i simboli di quadrupedi o volatili dipinti in spazi quadrati che gli abiti avevano sul petto o sulle spalle o dal colore degli ombrelli portati per proteggersi dal sole, dal mezzo di trasporto (cavallo per i più bassi, lettiga per quelli di maggior rango).

 

GLI ESAMI

Ricci si sofferma particolarmente sul sistema degli esami ritenendolo uno strumento imparziale e democratico per il reclutamento del personale. Tale sistema sotto la dinastia Ming è ritenuto il più adeguato e garantista, strumento di selezione che premia il merito, fatte salve le deviazioni, sempre possibili, dovute alla “malitia humana tra gentili di puoca coscientia” - cit. p. 171 (vedasi nel saggio p. 69). Scrivendo all’amico L. Passionei, Ricci si chiede come sarebbe possibile una interferenza della malizia umana in un sistema tanto rigoroso ed in una macchina così organizzata per far emergere il merito. Cioè Ricci non esclude che pur all’interno di tal sistema possano verificarsi interferenze e deviazioni dovute alla “puoca coscientia” dell’animo umano, capace a volte di incunearsi anche nei sistemi più controllati ed organizzati.

 

L'IMPERATORE

Ricci parte dalla trattazione del nome.
L’imperatore era chiamato con due nomi: Tianzi e Huangdi il primo significante figliuolo del Cielo, nella convinzione che la Cina costituisse la maggior parte delle terre sotto il cielo, per cui il termine Tianzi potrebbe anche essere tradotto in figliuolo d’Iddio. L’appellativo Huangi significa invece Imperatore o supremo monarca.
L’imperatore era anche la suprema autorità religiosa, rappresentante del legame tra Cielo e terra. Ma poiché la dottrina confuciana non prevede chiese, sacerdozio, cerimonie, comandamenti o preghiere, né un clero organizzato, il Cielo può essere onorato soltanto dall’imperatore e ciò costituisce una prova del forte legame tra potere politico e potere religioso riuniti in una stessa persona.
Un’altra caratteristica dell’imperatore sottolineata da Ricci al tempo dei Ming è il forte bilanciamento del suo potere da parte dei magistrati, un contrappeso importante per limitarne e circoscriverne l’autorità. I magistrati apprestavano gli atti di governo da sottoporre all’imperatore che poteva approvare o respingere ma non senza consultarli. Allo stesso modo l’imperatore non gestisce il pubblico erario e non può concedere denaro né favori senza il nulla osta dei magistrati. Ricci acutamente sottolinea che si tratta di un potere, quello dei magistrati pubblici ufficiali “molto maggiore di quello che i nostri europei possono pensare “- cit. p. 173 (vedasi saggio p. 170)
Il ritratto dell’imperatore Wanli: Ricci mette in evidenza luci ed ombre di quest’uomo che avrebbe voluto convertire. Un gravissimo ostacolo alla sua missione evangelizzatrice verso l’imperatore consiste nel fatto che questi andò gradatamente estraniandosi dalla vita pubblica del paese, non partecipando alle udienze generali, finendo nel 1615 di occuparsi definitivamente degli affari dello Stato, lasciando la gestione del potere agli eunuchi che soli avevano accesso all’imperatore e alla sua famiglia.
L’imperatore divenne quindi anche per Ricci inavvicinabile, frenando i suoi progetti di conversione. Leggiamo Ricci: Al Re in questi nostri tempi nessuno parla tranne gli eunuchi che stanno nell’intimo del suo palazzo e li suoi parenti di dentro, come figlioli e figliole e lasciando quello che gli fanno questi eunuchi là dentro, che non fa tanto al nostro proposito, tutti i magistrati di fuori gli parlano solo per memoriale, con tanti modi di cortesia che, bisogna essere berne esercitato per fare uno di questi memoriali e non ogni letterato lo sa fare” - cit. p. 174 (vedasi saggio p. 98). Tale isolamento non sfugge al Ricci allora trentaduenne, che descrive un imperatore vittima di due passioni, la paura e la lussuria, affetto da una sorta di quasi infantile ignoranza, ostaggio di coloro che lo mantengono nella persuasione di essere il re di tutta la terra. L’intero palazzo imperiale viene definito da Ricci un “vero inferno”. – cit. p, 175 - di cui Wanli sarebbe prigioniero.
I giudizi di Ricci sull’imperatore migliorano gradatamente, in particolare in occasione dell’editto del gennaio 1601 con il quale Li Madou (Ricci) veniva invitato a corte come una sorta di ambasciatore d’Europa. Entrato cosi nella Città proibita Li Madou, pur non essendo mai presentato all’imperatore, ma anzi spiato dagli eunuchi, incuriosisce l’imperatore che ne fa erigere un ritratto in piedi di grandezza naturale. Ricci insegna agli eunuchi a suonare il manicordo, a temperare gli orologi. Alla fine l’imperatore ordina che a Ricci e al suo compagno Pantoja venisse assegnata una dimora nel palazzo, riconoscendo al gesuita una caratura culturale non comune per i tempi e come testimone della civiltà e cultura europea.
Due in particolare sono le occasioni che riabiliteranno l’imperatore agli occhi di Ricci:

  • Quando nel 1602 Wanli decise di ribadire per i funzionari dello Stato di essere confuciani.

  • Quando apprezzò il buon senso dell’imperatore che osservata la carta geografica universale mostratagli da qualche eunuco, la apprezzò ordinandone dodici esemplari in seta.

Pur non incontrando mai direttamente l’imperatore, Ricci ne rimase suggestionato. Si tramanda che in punto di morte Ricci continuasse a parlare della Cina e della conversione di Wanli (che non si sa se avvenne), secondo la testimonianza del primo biografo di Ricci Sabatino de Ursis.
Alla morte di Ricci l’imperatore fece sospendere le leggi secolari della Cina che vietavano la sepoltura di uno straniero in suolo cinese, consentendone la tumulazione.

 

GLI EUNUCHI

Questa casta era la sola che poteva accedere al cospetto dell’imperatore e fungeva da filtro tra l’imperatore e gli altri ingranaggi dell’amministrazione. Ricci ebbe l’occasione di dichiarare che nel palazzo reale ne vivevano circa diecimila, suddivisi in 24 uffici relativi alle diverse mansioni da espletare.
La loro presenza era pervasiva e talora prepotente. Essi occupavano tutti i ruoli chiave della corte ed è con gli eunuchi che Ricci tratta stringendo con essi rapporti amichevoli una volta ammesso al palazzo imperiale.
Tuttavia il giudizio di Ricci su questo personale è negativo: “Nelle parti più boreali usano di un’alta inumanità verso de’ figlioli, che è castrarli quando sono piccoli, allo stesso modo che fanno i Turchi per porli poi al servizio del Re, il quale nel suo palazzo non usa di altri servitori che di eunuchi e di donne per sé, per le sue Regine e concubine … Consiglieri e più amici del Re e che si può dire che gobernano questo regno, sono eunuchi, dei quali stanno nel palazzo diecimila; e conciosa cosa che loro sia tutta gente plebeia, povera di sua origine, senza lettere et allevata in perpetua servitù è la più stolida e vil gente di questo regno, la più impotente e inepta per far nessuna cosa grave … posciachè questi eunuchi soli parlano con il Re e né virtù né autorità né animo tengono per parlargli altre cose se non quello che vedono più inclinato quello che pensano essere il suo Dio” (cit. pp. 179-180, vedasi saggio pp. 123-124).

 

PRINCIPALI DIFFERENZE TRA LA CINA DEI MING E L’EUROPA NEL GOVERNO DELLO STATO

Aspetti di buon governo rilevati da Ricci rispetto alle pratiche di governo in Europa

  • La Cina non coltiva mire espansionistiche, “stanno contenti con il suo senza volere quello degli altri”. cit. p. 180 (vedasi saggio pp. 81-86)

  • Prevalenza dei funzionari civili su quelli militari che anzi godono di scarsa reputazione

  • Grande rispetto per la gerarchia e le funzioni che ognuno svolge

  • I funzionari dello Stato sono costretti ad una estrema mobilità, evitando così il consolidarsi di posizioni di potere

  • Ogni tre anni la condotta dei governanti delle province è sottoposta ad esame e nuovi esami sono previsti per l’avanzamento in carriera. Sono previste punizioni e retrocessioni verso personale scarsamente produttivo o inadempiente

  • Nessuno funzionario può governare nella propria provincia, onde evitare pressioni e condizionamenti locali.

  • I cinesi nutrono diffidenza e freddezza verso gli stranieri anche a causa di pregresse esperienze negative

  • È vietata la detenzione di armi in casa e neppure sulla propria persona. Non conoscono l’uso dei duelli e della vendetta riparatrice delle offese

  • I figli dell’imperatore alla morte del padre non possono rimanere nella corte ma vengono confinati in qualche città dalla quale non possono più uscire. Ciò è stato stabilito come misura cautelativa per evitare congiure e trame ai danni dell’imperatore regnante.

PECULIARITA DELLE RELIGIONI CINESI IN EPOCA MING

Ricci sottolinea la situazione particolarissima nella quale per la prima volta la religione cristiana è stata chiamata a misurarsi con credenze diverse.
Egli osserva che in Cina la religione cristiana non può essere introdotta con la forza degli eserciti, ma è necessario che il cristianesimo si confronti con questa civiltà. Già questo approccio è profondamente innovativo rispetto ad altre esperienze europee.
Preliminarmente è necessario creare le premesse culturali e filosofiche che permettano la comprensione del cristianesimo; egli dice che è tempo di “rompere la terra” (cit. p. 184) che significa preparare il terreno per la semina futura.
La scelta di campo di campo di P. Ricci è obbligata; egli si avvicina agli ambienti confuciani che a differenza di taoismo e buddismo non pongono problemi di compatibilità teologica e filosofica col cristianesimo. Per far ciò Ricci utilizza la propria grande conoscenza dei testi classici della Cina per sostenere la sostanziale conformità del confucianesimo con il cristianesimo.
Per questo saluta con entusiasmo il già citato editto dell’imperatore Wanli che sollecitava la fedeltà dei governanti al confucianesimo. Questo editto infatti agli occhi di Ricci poneva fine al relativismo religioso cinese che lasciava convivere sullo stesso piano confucianesimo, buddismo e taoismo (vedasi saggio p. 155)

 

LE SCIENZE E LE ARTI

Il giudizio sul livello scientifico e tecnologico di Ricci sullo sviluppo di queste pratiche in Cina è molto prudente. Pur riconoscendo che in quel paese “ogni arte giunge in grande perfezione” - cit. p. 186 - non manca di osservare come in altri comparti, la pittura e l’architettura, l’Europa sia più avanti. La Cina prevale nettamente invece nell’arte della porcellana, della lacca e della stampa.
Nel primo libro della Entrata dedica tre capitolo alle arti meccaniche, segno della poliedricità e vastità culturale della sua mente, segnalando a riguardo dell’architettura e della edilizia, il ricorrente difetto di erigere su terreni non stabili e con fondamenta non sufficienti. Sull’artigianato osserva di curare troppo l’estetica, spesso anche falsificando, allo scopo di vendere il prodotto a basso prezzo.
Molto ammirato è invece il procedimento della stampa xilografica, mentre in pittura i cinesi non conoscono la tecnica della pittura ad olio “cosicché tutte le loro pinture sono smorte e senza nessuna vivezza” – cit. p. 187 (vedasi saggio p, 42).
Ricorda inoltre come tratto comune tra l’Europa e la Cina la consuetudine di mangiare a tavola e dormire in letti mentre altre nazioni mangiano, siedono e dormono per terra.
Le scienze sulle quali Ricci si sofferma sono anche
- la morale, con la quale intende l’insegnamento di Confucio, la cui morale in molti punti non è difforme da quella cristiana. La sua preoccupazione è che questa morale, così prossima al cristianesimo, non venisse influenzata e stravolta dal buddismo.
- le scienze matematiche: riconosce che i cinesi le hanno conosciute e praticate ma che scrivono in modo non scientifico a causa della loro ignoranza della logica e della dialettica… Sottolinea inoltre la peculiarità della medicina cinese fondata sulla “osservazione del polso” – cit. p. 188 – ricorrendo ad una farmacopea basata prevalentemente sull’uso delle erbe simile alla nostra Herbolaria... Non ci sono vere e proprie scuole di medicina e l’arte medica viene trasmessa da maestri privati.

 

DELLE SUPERSTZIONI ET D’ALCUNI ABUSI IN CINA

La superstizione è descritta come la prima e maggior miseria, inducendo molti a ricorrere ad indovini e maghi, alla credenza al fato e agli spiriti, ai giorni fausti ed infausti. Questa secondo Ricci è una piaga di vaste proporzioni che inibisce la crescita culturale del paese.
La poligamia è un altro male della Cina, praticata senza regole e limiti, come anche la prostituzione sia volontaria che esercitata da sfruttatori (circa quarantamila donne nella sola città di Pechino).
Sodomia e pedofilia: nella capitale vi sono intere strade dedite al tale commercio.
Diffuso anche il suicidio e la castrazione dei bambini per renderli eunuchi che andranno ad ingrossare il già citato fenomeno.

 

IL CONTRIBUTO DI CIVILTA’ RESO DA RICCI ALLA CINA

Rapporto di empatia di Ricci verso questa civiltà.
Sintesi delle opere principali del gesuita:
1) Opere scritte pervenute, dai lavori di natura tecnica e scientifica o dai documenti materiali introdotti in Cina dalla civiltà europea (orologi, strumenti musicali ecc.)
2) opere composte in italiano destinate a lettori europei che sono preziose fonti storiche per la conoscenza dell’incontro tra Occidente e civiltà cinese. Esse sono:
- il saggio Della entrata della compagnia di Gesù e Christianità nella Cina
- il volume che raccoglie le 54 lettere pervenute scritte dall’India, dalla Cina tra il 1580 e il 1609.
Sul saggio Entratava detto che dopo la morte dell’autore fu prelevato dal confratello belga Nicolas Trigault, che lo purgò qua e là e lo tradusse in latino e lo pubblicò a proprio nome nel 1615 con altro titolo De christiana expeditione apud Sinas. Per questa circostanza e raggiro tutta l’Europa del Seicento e del Settecento conobbe Trigault ed ignorò Ricci.
Dopo la condanna post mortem del suo metodo missionario da parte dell’Inquisizione (1704) si sparse la notizia che il manoscritto fosse andato perduto. Si dovette attendere il 1911 l’edizione curata da P. Tacchi venturi perché l’opera di Ricci fosse riconosciuta al suo legittimo autore.

  • In lingua cinese:

  • risale al 1584 ed è la prima edizione della carta universale della terra, evento epocale in Cina ove si pensava che la terra fosse quadrata. Tale opera prese poi il nome di Mappamondo, che costrinse i geografi europei a correggere i loro mappamondi.

- Dell’Amicizia. Pubblicato nel 1595 a Nanchang si proponeva di mostrare ai cinesi il contributo dell’Europa su questo tema peraltro molto importante anche nella cultura confuciana. Scelse 76 sentenze di autori classici greci e latini (Aristotele, Plutarco, Cicerone, Seneca) e le tradusse in cinese, ottenendo un importante successo di lettura.
- Mnemotecnica occidentale: già composto negli anni del Collegio romano, fu tradotta in cinese
- Otto canzoni per manicordo occidentale
- Vera spiegazione del cielo
- Venticinque sentenze e la dottrina cristiana
- Traduzione dei primi sei libri degli Elementi di Euclide.
- Dieci capitoli di un uomo strano

 

L’insieme di queste opere mise Ricci nelle condizioni di far conoscere in Cina alcuni dei risultati e della cultura europea in campo umanistico e scientifico.
Tra i suoi meriti va infine ricordato che il grande lavoro di Ricci, che al suo tempo non gli fu riconosciuto, fu quello di sottrarre la Cina dall’isolamento nel quale era caduta, mostrando che fuori di essa esisteva un’altra civiltà con la quale confrontarsi e dialogare. Egli vinse quindi il radicato vizio cinese di considerare inferiore od ostile lo straniero e aver aperto le porte della Cina la mondo.
Le sue armi per questa impresa furono l’esercizio costante di alcune virtù provenienti dal mondo classico, cristiano e confuciano, lhumanitas dei latini e la disposizione ad avvicinare l’altro uomo come un potenziale amico, al di là del colore della pelle e della lingua parlata.

 

Conclusioni

Dopo la morte del fondatore della missione cinese cominciò nell’Ordine dei Gesuiti un movimento di ripensamento e di analisi dell’opera di Ricci e di alcune sue scelte come la traduzione in cinese del termine Dio e il suo giudizio favorevole sulla morale confuciana. Sulla questione si erano già espressi negativamente domenicani e francescani. Il problema fu portato a Roma davanti al tribunale dell’Inquisizione che si pronunciò con una prima condanna nel 1704 dell’esperienza ricciana, confermata in via definitiva nel 1742.
La condanna determinò un pesante silenzio sulla figura ed opera di Ricci, al punto che il Vico nella Scienza nuova e più tardi Leopardi nel Trattato sull’astronomia tacessero il suo nome.
Solo nel 1939 la Chiesa Cattolica con Papa Pio XII correggerà in parte il giudizio. Ma si dovrà aspettare il papato di Giovanni Paolo II per veder riconoscere pienamente l’opera evangelizzatrice di Matteo Ricci.

 

   Roberto Taioli

 

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Roberto Taioli nato a Milano nel 1949 ha studiato filosofia con Enzo Paci. Membro della SIE - Società Italiana di Estetica, è cultore di Estetica presso l'Università Cattolica di Milano. Il suo campo di ricerca si situa all'interno dell'orizzonte fenomenologico. Ha pubblicato saggi su Merleau-Ponty, Husserl, Kant, Paci e altri autori significativi del '900.

Negli ultimi tempi ha orientato la sua ricerca verso la fenomenologia del sacro e del religioso e dell'estetica. Risalgono a questo versante i saggi su Raimon Panikkar e Cristina Campo.


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