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Wu Wei

di Isabella Di Soragna - Dicembre 2017

 

Wu può essere tradotto come non avere; wei con azione: non significa ozio, ma agire senza intenzione.

 

La filosofia, abbinata alla pratica (medicina e vita), che soggiace a tutto il sistema di pensiero cinese da secoli, è basata sulla risonanza e l’a-causalità dei fenomeni, sulla spontaneità e la parvenza di una volontà propria, legata al concetto di "io". In esso è importante il termine di ‘’Vacuità’’ non in senso di abisso pericoloso, ma di origine e sottofondo costante dell’apparente dualità della vita. È riassunto nel famoso sutra buddista: “il vuoto è la forma, la forma è il vuoto” o anche “esistenza e non-esistenza sono interdipendenti”.
Immaginiamo (anche se in realtà è inconcepibile) una corrente invisibile prima del nostro concepimento che si protrae tra sonno e veglia, su cui appaiono forme definibili appunto per la presenza di questa “vacuità”, fino alla scomparsa della forma fisica e sottile. È passato un istante, cinque anni o un secolo?  La durata si sa, è una convenzione. Tutto accade adesso.
“Cosa sono io realmente? Nulla di concepibile o di percepibile” - affermava il saggio Nisargadatta Maharaj.
Riflettendoci, gli oggetti, le persone e i paesaggi sono percepibili solo se vi è spazio vuoto tra di essi. Ad esempio - ma per qualunque altra cosa è evidente - se osservo un colonnato, come potrebbe essere percepito tale, se non vi fosse spazio tra le colonne?
Inoltre, come diceva Nisargadatta: “Il vuoto è pieno di ciò che è, ossia te stesso.”
In termini occidentali ugualmente, le energie essenziali che si muovono nel cosmo e nell’uomo sono sempre le stesse, ma con la differenza che noi continuiamo a credere a un’entità separata e dunque al nostro personale libero arbitrio, pur dovendo poi ammettere che tutto ci accade, dal concepimento alla morte. Crediamo all’“influenza” degli astri che cerchiamo di incolpare o eludere, li etichettiamo come buoni o cattivi, quando questi sono solo specchi, elementi neutri all’interno del nostro apparato, proiettati all’esterno in infinite apparenze e che servono a osservare il nostro menu interno quotidiano o di vita, in risonanza costante, senza causalità o spazio-tempo (ormai risaputo come fittizio).
In occidente, le terapie che combattono o camuffano il sintomo, sono basate sulla separazione, sono unilaterali, non trasformano né armonizzano. Quelle invece cosiddette “olistiche” (dall’ingl. whole=intero) accolgono totalmente ”il male,  il negativo” e così si riunisce il + e il - e la  trasformazione avviene.
Nel sistema cinese il cervello destro e sinistro funzionano all’unisono, in quello occidentale predomina il sinistro, razionale, logico, mentre il destro è considerato irrazionale, intuitivo, ma separato.
Invochiamo libertà e poi crediamo di essere liberi, quando in realtà siamo ancora schiavi delle nostre più care illusioni.
Lo scrittore inglese Terence Gray che si celava sotto il nome di Wei Wu Wei, diceva:

 

- Non vi è nulla di misterioso, l’apparente difficoltà di percepire la realtà che siamo, è dovuta al nostro condizionamento. L’apparente mistero è l’incapacità di percepire l’ovvio, dovuto a un riflesso condizionato che ci impone di guardare costantemente nella direzione sbagliata. -
- Soggetto, oggetto e causa-effetto sono solo separati dall’illusione temporale: solo un oggetto può sperimentare la sofferenza o l’effetto di una causa, mentre il soggetto diventa all’istante un oggetto, se è inteso come fenomeno - la soggettività noumenale invece, è eternamente libera e non condizionata, dunque non-conoscibile. Essa non appare come esistente. Come diceva Ramana Maharshi, non è solo la base su cui appare il pensiero, ma di qualunque azione della vita. –
- Il soggetto mai potrà essere un oggetto: se il soggetto è trasparente, vuoto di contenuto l’opacità dell’oggetto è percepibile. -

 

Anche il testimone ultimo (a cui tanti si afferrano!) è anch’esso una definizione, un concetto fabbricato per aggrapparsi a un oggetto, a... “qualcosa”. In realtà se lasciamo anche quello, ecco che viviamo semplicemente ciò che siamo sempre (“prima, ora, in seguito”… si rivelano ancora finzioni) .
Se in ultima analisi non posso più considerarmi un’entità separata, con volere personale (anche le neuroscienze provano che la “mia” decisone avviene un attimo dopo  quella già in atto nel sistema neuronale), allora le azioni-situazioni sono come quelle che “potrebbero accadere ad un vicino di casa” - come  esemplificava Ranjit Maharaj.
Altrimenti sarebbe come un paracadutista che si lancia dall’aereo, ma si aggrappa invece allo sportello di lancio e... crede di volare libero!
I pensieri, idee, paragoni ecc. sono solo etichette passeggere che volano come uccelli nel cielo senza lasciare tracce: perdurano, resistono, solo se c’è l’uncino della memoria (gradevole o dolorosa).
Né esistenza né non-esistenza, né Realtà né relatività, ma solo Potenzialità del Tutto che siamo. Ogni volta che siamo identificati con un oggetto-memoria, lo consideriamo una proprietà, ecco la schiavitù e la dipendenza.
Oggetto e soggetto sono in realtà indivisibili, ma “appaionodivisi solo concettualmente. Un soggetto diventa un oggetto se è oggettivato dal pensiero o da un’espressione verbale. Anche il nulla, il silenzio, il vuoto, diventano ‘’oggetti’’, quindi illusioni, miraggi, che appaiono, ma non sono reali.
Possiamo percepire solo quello che “sappiamo”: un’allucinazione collettiva. Il neonato vede il mondo come se stesso, informe, poi per sopravvivere deve “imparare” e quindi separare: crea il corpo, gli altri, il mondo e si rinchiude in una protezione fittizia. (Se, per esempio, è stato abbandonato e allevato da animali, vedrà solo quello che essi gli hanno insegnato). Comunque l’asservimento è iniziato.
Se incontra un sat-guru, questi gli racconta la verità e lo libera: - Ciò che cerchi è chi sta cercando - diceva S. Francesco. Il cercato è il ricercatore stesso… (evidentemente) introvabile.
L’ignoto, l’inconcepibile è quello che “siamo” - come l’occhio che non può vedere sé stesso - e non potremo mai oggettivare.
Percepire significa “afferrare”, ossia è il primo stadio della concettualizzazione e i due elementi - percezione e concezione - formano un tutto unico, ma è il meccanismo divisorio col quale creiamo il samsara o maya o l’allucinazione collettiva in cui viviamo.
- Esistenza e non esistenza sono un paio di opposti che non possono vivere separati e possono risolversi solo nella loro reciproca negazione. - dice Huang Po.
- Solo evitando le intenzioni, la mente sarà libera da oggetti. - Shen Hui.
Come potrà avere intenzioni colui che sa veramente che come entità apparente egli è vissuto? Come potrà mai considerarsi un soggetto?
Egli avrà la certezza di cosa non è (e automaticamente dunque quello che... è).
Non si tratta di sopprimere i concetti, ma se uno non ha intenzioni, non potrà concettualizzare (wu nien). È l’attività volitiva della mente che è concettuale: l’attività non volitiva della mente è wu nien. (letter.: non azione del pensiero).
Il nostro apparente asservimento è dovuto all’identificazione a un IO o ego, oggettivato nell’immaginazione e sostenuto ben saldo da uno spazio-tempo di convenzioni: il passato è memoria (presente), il futuro è anticipazione (presente) e il presente? … è già passato, ossia? Non esiste! E il movimento in uno spazio-tempo inventato? Evidentemente è illusorio. Se non c’è durata, non si possono manifestare né persone, né situazioni, solo apparire-sparire come in un ologramma, in cui un elemento contiene tutti gli elementi.
Un attimo o mille anni, è lo stesso.
Se dunque lo spazio-tempo è immaginario, tutto si svolge adesso, in un lampo, anzi tutto è già successo (passato e futuro)! Anche se credi di decidere e di aver cambiato la traiettoria del tempo fittizio, essa è già (avvenuta) nell’USB del tuo programma-nascita!
Si deduce quindi che se non esiste spazio-tempo, nulla può succedere.
Se credo di essere ’’IO “a mettermi alla ricerca di “chi sono?”, non è vero! È l’Inconoscibile Sé, l’Ignoto che attira, aspira verso di sé il falso ricercatore, quando è il momento. Adesso, sempre.
Il sogno notturno e le fantasticherie diurne, sono desideri che si vorrebbero realizzati (coscientemente o meno): sono espressioni dell’ego, di uno pseudo-oggetto. Il pensare al futuro non è forse una forma di sogno diurno? Lo stesso per il passato, memorie di rammarico o di piacere sono forse diverse dal pensare al futuro con speranza o timore? Sono tutti atti fittizi d’intenzione volontaria, legati a ricordi impressi e ripetitivi. Sono tutte supposizioni. Allora “vivere senza intenzioni”, è vivere nel presente, anche se in realtà non succede davvero. Tutto ciò che sperimentiamo è un’interpretazione di una percezione che è diventata un riflesso condizionato che chiamiamo “tempo”. Tuttavia la presenza nel momento presente è eterna: è a-temporale e quindi non possiamo conoscerla.
L’universo apparente ha una struttura di sogno nel Soggetto e quindi è soltanto un IO-soggetto. Colui che vede e chi è visto, sente ed è sentito, ecc. sono una sola cosa. L’uomo che mi odia e mi colpisce e il me odiato e colpito sono un solo IO.
Ecco perché in realtà non esiste né illuminazione né non-illuminazione, né schiavitù né liberazione, ma la realizzazione che non vi è mai stato un ricercatore, né libero né schiavo.
Tutto è te stesso e non lo può “sapere” (=divisione) nessuno, dato che è intero e non separato in soggetto e oggetto. Anche questo è verificabile.
- Allora tutti gli oggetti, tutto l’universo percepibile, conoscibile e immaginabile è IO.
Se non si vede più l‘universo come un oggetto (dato che è tutto IO) e nemmeno la nostra “persona” o “altri” come tali, si vedrà che non troviamo più nulla da misurare (o osservare)da nessun punto: allora chi è in schiavitù e a chi o cosa potrebbe essere asservito?  -
La liberazione per chi? Da che cosa? Nulla di simile è mai esistito!
Non vi è né IO né NON-IO, naturalmente.
Ha-ha-ha! -

 

“Non ci sono esseri da liberare dal Tathagata: se anche il proprio sé non ha esistenza, quanta ne può avere quella di un altro! Né Buddha né esseri senzienti esistono oggettivamente. Non vi è né sé né altro, né desiderio errato, né collera, né amore, né odio, né vittoria, né sconfitta. Rinuncia solo all’errore del processo concettuale del pensiero e la tua natura esibirà la sua purezza originaria – questo è il solo modo di realizzarsi.”  Huang Po

 

Tutto quello che percepisci attraverso i sensi, avviene nella tua mente, grazie ai tuoi organi sensoriali che sembrano percepirli all’esterno, ma nulla di questo è avvenuto come evento esterno. Anche l’entità, i cui sensi sembravano sperimentare avvenimenti esterni, non si riesce a trovarla da nessuna parte.
Vi è solo un apparente sognare (miraggio, allucinazione, illusione), come i diecimila fenomeni dovuti alle apparenti sensazioni che non sono affatto entità, ma che sembrano muoversi nell’apparente spazio-tempo. Durante la vita quotidiana gli “altri” - fittizi - che percepiscono le nostre medesime sensazioni, sincronizzati nel tempo immaginario, sono anch’essi fenomeni – percepiti o non-percepiti, come nel sognare. Se il sognatore si sveglia, il sogno finisce e non ci domandiamo se i personaggi incontrati continuano nelle loro azioni di sogno o si svegliano. Così, durante la vita, chi è davvero sveglio non considera se i suoi compagni nel sogno-vivente sono svegli o se continuano a sognare, perché ora sa che sono solo un oggetto fenomenico di un finto sognatore. In entrambi i casi, l’apparente realtà dell’evento sognato è sparita per sempre.
- Causa ed effetto sono manifestazioni temporali, ma sono in realtà a-temporali e quindi indivisibili, uniche. Esse continuano a operare in un corpo, ma la volontà e l’intenzione scompaiono assieme alla divisione: la separazione dualistica del soggetto-oggetto si affranca da tutto quello che dipende dalla volontà, affettiva o intellettuale e ciò significa libertà. -
La mente perde qui qualunque punto di riferimento. Il ricercatore scompare e anche l’ultimo osservatore o testimone dell’essere si rivela un riferimento inventato, un’illusione.
Il sogno può continuare o meno, ma non siamo più identificati ad esso e non lo prendiamo più sul serio. Questa è la sola pratica.

 

Appunti e commenti su una conferenza del prof. Mauro Bergonzi in California.

 

La meraviglia del non sapere

 

- Vediamo e descriviamo paesaggi, case, nuvole ecc. ma un chimico dirà che sono molecole che si combinano a caso, un fisico quantistico sono campi di energia di particelle/onde. Nessuno ha ragione poiché sono tutte descrizioni concettuali di una realtà relativa. -
Lo stesso diceva don Juan a Carlos Castaneda: - Noi non vediamo la realtà, ma solo la rappresentazione di essa. Tutte le ideologie, filosofie, tutti gli-ismi sono solo indicazioni, basate sul pensiero e quindi non reali. -
- Anche la non-dualità, benché la sua comprensione possa aiutare a diminuire la sofferenza, è ancora una descrizione e la mente non afferra invece ciò che soggiace, la presenza cosciente, invisibile, fuori dal paesaggio - come lo spazio attorno all’oggetto, ma che lo rende tale. Essa però diventa di nuovo un’idea che ci preclude l’inconoscibile Sorgente di ogni cosa. -
- Quando questo non-sapere passa dalla testa al cuore, muore il filosofo e nasce il mistico - afferma Bergonzi.
Si tratta certamente di verificare: poi se ogni parola, idea o tentativo di capire la Realtà crolla, rimane il “Non-so-che-non-so” e la mente sparisce.
Il sat-guru (l’Assoluto inconcepibile che emana dalla parola di un maestro) ti dà l’indirizzo, ma sei tu a dover entrare nella casa e poi dimenticare l’indirizzo – diceva Ranjit Maharaj.

Il tempo è spazzato via e rimane la meraviglia, il mistero che siamo.

 

Isabella Di Soragna


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