Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?

Aperto da PhyroSphera, 02 Luglio 2025, 19:17:28 PM

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Phil

Citazione di: niko il 16 Luglio 2025, 22:38:25 PMCerto si osserva, ed e' facile da osservare, che la religione in se' come fenomeno umano, e' piu' antica della filosofia.
In realtà non è così facile, perché non è un'affermazione pacifica, dipendendo in gran parte da cosa si intende per filosofia (sul cosa fosse la religione anticamente è più facile concordare). La filo-sofia, restando sull'accademico (non dico nulla di troppo soggettivo o "sperimentale") è indagine mossa dallo stupore verso il mondo e dal desiderio di conoscerlo e comprenderlo. Non a caso, anticamente, come insegnano i greci, la scienza e la tecnica erano infatti parte della filosofia. E anche la religione, non ancora teo-logia, non ancora rivelata, non ancora "religione del libro", era una branca della filosofia, orientata alla conoscenza del divino (il filosofo-sapiente dell'epoca era un tuttologo, anche se oggi suona forse un po' dispregiativo).
I filosofi antichi parlavano già degli dei, ma non perché fosse nata prima la religione, ma perché plausibilmente altri proto-filosofi, prima di loro e prima della scrittura, avevano dato come risposta e spiegazione, ad alcuni fenomeni, quella del divino (non trovandone di migliori, evidentemente). Persino lo stregone del villaggio che cerca di spiegare fenomeni naturali con divinità e feticci, o rende tali fenomeni divinità stesse, è a suo modo un filosofo, più che un religioso: probabilmente non avrà nemmeno il concetto di religione, per come la intendiamo noi, ma avrà sicuramente quello di conoscenza (mossa da stupore e da desiderio di comprendere).
Quello che è successo in seguito, in occidente, con la religione che si separa dalla filosofia (o la "schiavizza") e poi le varie scienze che si separano anch'esse dal seno filosofico, spinge alcuni contemporanei a credere che oggi filosofia sia sinonimo di metafisica, perché «oggi solo quello le è rimasto come fil rouge con il passato». Il che significa, da un lato, ignorare ciò che la filosofia è stata fino a ieri: non certo solo metafisica, se è vero che Aristotele aveva scritto anche molto altro e che i filosofi moderni flirtavano con la scienza più all'avanguardia dei loro tempi (attività che quelli contemporanei si dimenticano di fare). Dall'altro, relegare la filosofia a scienza antiquaria o nostalgica che si gratta la barba e snobba il mondo che la circonda, passando da filosofia a "filosonnia" (amore per il sonno e per il sogno, "filia" dimentica di Eraclito che a suo tempo invitava a diffidare dei dormienti).
"Per fortuna" ci sono l'epistemologia e la filosofia analitica (perlopiù in lingua anglosassone) che, per una certa ironia storica, si e ci ricordano di quanto la filosofia greca originaria non fosse "passione per l'astratto e per la retorica", ma passione per la conoscenza, inevitabilmente per come essa è possibile ai tempi dell'aspirante filosofo.
Il disarmante e arbitrario aut aut filosofico «metafisica o nichilismo!», è tale (e valido) solo per quella filosofia, tipica del pensiero del vecchio continente post-medievale, che si è chiusa nella torre di avorio fra libri antichi e, quando si affaccia, si ritrova fuori sincrono, parlando una lingua di secoli passati mentre fuori si parla l'inglese dei social e della globalizzazione, così che tale frastornata (vetero)filosofia urla sprezzante «nichilisti!» (o «egoisti»?) e richiude la finestra sbattendola, per tornare ai suoi "pensamenti epocali" (ossia di altra epoca).
Cosa c'entra questo con la religione? Evidentemente se la filosofia è desiderio di conoscenza che ha saputo tramutarsi in desiderio di rigore epistemologico (almeno per chi è rimasto fuori dalla torre di avorio), viene ribadito una volta di più di come la religione, che non è desiderio di conoscenza del "funzionamento" del mondo o dell'uomo, ma al massimo desiderio di relazione con Dio e sottomissione (consensuale) a quello che è giusto fare per Dio, ossia non è fatta di domande ma di risposte (addirittura già scritte previdentemente e provvidenzialmente nei testi sacri), non possa essere confusa né con l'attività filosofica, né tantomeno con l'attività scientifica (entrambe con dogmi differenti da quelli religiosi).

niko


Mi sembra superfluo e un po' fuori tema ricordare qui tutte le caratteristiche di unicità della filosofia greco classica occidentale, sappi comunque che non credo che "tutto sia filosofia", credo nella specificità della filosofia come metodo.

Credo anche che l'afflato etico, eudaimonistico, politico e tecnico della filosofia sovrasti di gran lunga il suo afflato "epistemico" e sia, in essa e per essa, molto più fondamentale. Per quanto il filosofo possa essere "tuttologo", la filosofia non è ricerca di conoscenza qualunque o fine a se stessa, è e resta ricerca di conoscenza utile alla vita, individuale e collettiva. 

Vedere la filosofia come "epistemica" è una gran proiezione del moderno sull'antico, nel senso preciso che è (solo!) il capitalismo, l'unica società a poter valorizzare la conoscenza fine a se stessa, e quindi in cui la ricerca della conoscenza fine a se stessa è (perfettamente!) razionale. Il capitalismo, fa i soldi pure dai parchi giochi, diseneyani e scientifici e quindi ri-razionalizza a posteriori l'infinità dei possibili atti conoscitivi afinalistici, e finanche voyeuristici umani, i quali sono follia e squarcio quantomeno problematico sulla follia per pressoché tutte le altre umane forme di società, dai Maori alla Grecia antica. Le quali, necessariamente fanno una cernita, tra conoscenze utili e inutili. A loro, per quanto pure loro abbiano delle elites sociali o intellettuali e si sforzino di entrarci, nessuno li paga, per gigioneggiare all'infinito e verso l'infinito in un parco giochi. Se guardano intorno, vedono che neanche il Faraone o l'Arconte, lo fa. Ecco: la filosofia è molto di piu' l'arte di questa continua inevitabile cernita, piuttosto che essere tecnicamente o specificamente epistemica. Conoscenza del bene, del bello, dell'utile eccetera.

E quindi, la filosofia nasce come antireligiosa, ma, inevitabilmente, tradendo se stessa, finisce per nutrire le forme e rilanciare le forme più ipertrofiche e tarde, della religione, come una sorta di metafisica di ritorno. Quando sei in grado di sostenere e argomentare tutto, è inevitabile sostenere e argomentare paradisi artificiali e mondi a misura d'uomo. Il canto del cigno eccetera. 

Il teatro, la democrazia assembleare diretta, lo schiavismo come contro-etica del lavoro (la ricchezza compra l'agio di non fare un cavolo tutto il giorno non altra ricchezza), il maschilismo come sublimazione e subordinazione della donna, la società pre-scritturale e dell'oralità, la pederastia come amore non familistico e frammentazione sociale dell'autorità paterna, la logica come anti sofistica in un agone politico reale e non come automazione del linguaggio e del pensiero sono i principali presupposti, della forma di vita specifica della filosofia. Più ci si allontana, da tali presupposti, più la filosofia si avvicina al suo destino negativo/inevitabile, di diventare nutrimento paradossale per una religiosità consolatoria e nichilistica di ritorno. Infatti, il trauma della messa a morte del giusto, da ciò che non deve essere in assoluto ripetuto (Socrate, lo stato normale, e formalmente iniziale, della filosofia) diventa ciò di cui è interiormente e esteriormente auspicabile la ripetizione infinita (Cristo, il suo stato, invece, tardivo e delirante, che ne testimonia una diretta inversione, negli scopi e negli auspici generali, non gia' nel metodo, che per assurdo, anche stante l'inversione, degli scopi, resta invariato).

Non è possibile tornare alla realtà, e all'innocenza di una vita solo vigilante e vigile, dopo il sogno, così come non è possibile tornare alla filosofia, dopo la sua fase di asservimento totale alla religione. Forse, non è neanche auspicabile, ma non è questo il punto. Quello che di buono e di salvabile ci insegna la modernità, soprattutto scientifica, socialista e cristiana, è la redenzione del futuro accettando di lasciare marcio e sofferente il passato, quindi, direi che tutto cio' fa segno ad una saggezza di fondo nell'accettazione dell'irreversibile che rimane valida, e affascinante, come traccia vuota, anche quando tutte le bugie della modernità siano state disilluse, dissolte e sbugiardate. Saggezza nell'accettazione dell'irreversibile, di cui non c'è traccia nello stato classico, ed iniziale della filosofia, e che quindi, ne indica, appunto, l'irrecuperabilità.






Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Il mio ricordare l'istanza epistemica della filosofia non voleva essere un recintarla alla sola episteme, ma voleva essere un promemoria di come la filosofia, da sempre, sia anche rivolta a discorsi che cercano un saldo ancoraggio al reale e non solo a "viaggi iperuranici". Come dire: volevo ricordare che Aristotele si era occupato anche degli animali, Cartesio anche delle calcolatrici, Derrida anche dei computer, etc. perché ai loro tempi anche quella era filo-sofia, per quanto ovviamente la riflessione aristotelica più di successo storico e più spendibile contenutisticamente oggi non è certo quella zoologica. Ovviamente la filosofia è anche estetica, ermeneutica, etica, etc. tutte discipline, come dicevo, non "scientificabili", ma comunque squisitamente filosofiche.
Citazione di: niko il 17 Luglio 2025, 03:40:20 AMnon è possibile tornare alla filosofia, dopo la sua fase di asservimento totale alla religione.
Ciò che dichiari impossibile è tale solo se intendi un "tornare alla filosofia metafisica" (mi ero portato avanti parlandone già sopra); altrimenti il proseguire della filosofia mi pare ciò che di fatto sta accadendo, non senza inciampi ovviamente, in occidente (e qui torna in gioco l'epistemologia): se la filosofia è «indagine mossa dallo stupore verso il mondo e dal desiderio di conoscerlo e comprenderlo», il fatto che ci sia stato un acquazzone religioso durante il viaggio, non significa che non si possa continuare a camminare ora che si inizia ad essere più all'asciutto. Chiaramente la strada può non essere la stessa di prima (tranne che per quelle filosofie che girano in tondo, nel circuito chiuso dei loro assoluti o delle loro utopie), perché è cambiato lo scenario tecnologico, politico, sociologico, etc., ma l'attitudine e, entro certi limiti, i possibili metodi filosofici, non sono poi molto differenti da quelli del passato filosofico.


Phil

Come far rivoltare nella tomba due filosofi in un colpo solo: fu Pascal a inventare una calcolatrice, non Cartesio; mi scuso e torno in ginocchio sui ceci dietro la lavagna.

niko

Citazione di: Phil il 17 Luglio 2025, 11:17:58 AMIl mio ricordare l'istanza epistemica della filosofia non voleva essere un recintarla alla sola episteme, ma voleva essere un promemoria di come la filosofia, da sempre, sia anche rivolta a discorsi che cercano un saldo ancoraggio al reale e non solo a "viaggi iperuranici". Come dire: volevo ricordare che Aristotele si era occupato anche degli animali, Cartesio anche delle calcolatrici, Derrida anche dei computer, etc. perché ai loro tempi anche quella era filo-sofia, per quanto ovviamente la riflessione aristotelica più di successo storico e più spendibile contenutisticamente oggi non è certo quella zoologica. Ovviamente la filosofia è anche estetica, ermeneutica, etica, etc. tutte discipline, come dicevo, non "scientificabili", ma comunque squisitamente filosofiche.Ciò che dichiari impossibile è tale solo se intendi un "tornare alla filosofia metafisica" (mi ero portato avanti parlandone già sopra); altrimenti il proseguire della filosofia mi pare ciò che di fatto sta accadendo, non senza inciampi ovviamente, in occidente (e qui torna in gioco l'epistemologia): se la filosofia è «indagine mossa dallo stupore verso il mondo e dal desiderio di conoscerlo e comprenderlo», il fatto che ci sia stato un acquazzone religioso durante il viaggio, non significa che non si possa continuare a camminare ora che si inizia ad essere più all'asciutto. Chiaramente la strada può non essere la stessa di prima (tranne che per quelle filosofie che girano in tondo, nel circuito chiuso dei loro assoluti o delle loro utopie), perché è cambiato lo scenario tecnologico, politico, sociologico, etc., ma l'attitudine e, entro certi limiti, i possibili metodi filosofici, non sono poi molto differenti da quelli del passato filosofico.



Il problema, e' che a un certo punto, della storia del pensiero; l'ancoraggio possibile/necessario alla realta' del desiderio di illudersi, diviene (anche) l'aspetto fondamentale (ovverosia: quello piu' "epistemico" nel senso che intendi tu) della realta'.

Gli uomini, vedono il mondo con la lente della volonta' di potenza, della pulsione, della sopravvivenza genica come elemento meramente funzionale. Anche prescindendo un attimo da Marx, da Hegel, e dagli assoluti "politici", e' assai difficile fare (o meglio: continuare a fare), seriamente, filosofia dopo Freud, Darwin e Nietzsche, per dire i tre piu' ovvi.

E' un corto circuito logico che costringe a considerare l'acquazzone, teologico medioevale, e ultra religioso, premoderno, non come un acquazzone, ma come un irreversibile nella storia della coscienza singolare e lineare umana, che, in quanto tale, non "dimentica" e non puo' in assoluto dimenticare, quello da cui, meramente, si "disillude": Il paradiso artificiale e' falso, il desiderio umano che ha portato a rinchiudersi nel paradiso artificiale (invece) e' vero. Non c'e' altra realta', di quella che scaturisce, dalle dinamiche della volonta'. Il nulla ontologico, e gnoseologico, in cui vive l'uomo, non e' pero', anche, un nulla funzionale. Nel (doppio) senso, che le funzioni e le funzionalita' ci sono, e che, anche se non ci fossero, sono comunque desiderabili. E, finche' non si affronta e non si risolve questo, di "punto", della situazione, non sorgera' niente, di piu' "epistemico", ne tantomeno di piu' "interessante" di questo.
Neanche tra centomila anni. Neanche nell'imminenza di una guerra in grado di annientare fisicamente, l'intera umanita'. Lo stupor mundi di un mondo che sopravvive alla morte di dio ci deve bastare, altrimenti, il gioco stesso della filosofia sarebbe all'infinito, e quindi al massacro. Non si tratta, di integrare nel discorso filosofico "attuale" le ragioni di quelli che hanno ammazzato Cristo, ma quelle, di quelli, che hanno ammazzato, o comunque messo a morte, Socrate. Piu' facile. O magari, piu' difficile. Ma insomma c'e' sempre un evento, scabroso, che traumatizza i successori, di una certa riconoscibile tradizione, da non ripetere. E' il metodo, per non ripeterlo ad essere discutibile.

E infatti, finita ogni pretesa sistemica, nel mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica, ci dicono che alla filosofia, rimanga, solo, ad oggi,  "il metodo". E il discorso sul metodo. La revisione, a posteriori, della (altrui) verita'. Da ancella della fede, a ancella della scienza, ma sempre ancella deve essere. Il timbro finale sulla carta virtualmente gia' scritta, il controllo qualita'.

Se questo ci sta stretto, oltre al metodo, la filosofia dovrebbe recuperare il discorso, sulla formazione, dell'opinione. Attaccare, e infiltrare, il regno della propaganda, della sondaggistica, della pubblicita', dell'intrattenimento, dei rimasugli dell' "arte", tutta quella roba li', che ad oggi forse conta ancora di piu', della scienza e della tecnica, e, languente in assoluta solitudine, non ha, valide e di compagnia, "ancelle". In fondo, tutti i migliori maestri, della piu' elevata e insospettabile filosofia, ci hanno comandato di conoscere l'opinione e il metodo dell'opinione, oltreche' la verita' e il metodo per la verita', che tanto, ad oggi langue, e, a quanto pare, languira' sempre.





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

InVerno

Citazione di: Phil il 16 Luglio 2025, 18:16:04 PMCi sono "religioni", che sono tali in senso più o meno metaforico, anche senza un dio, e questo è buon motivo per distinguerle attentamente da quelle che un dio ce l'hanno e,

Pensa ad una dimostrazione per assurdo: ci sono religioni che non hanno divinità e dogmi come conditio sine qua non? Certo, le "religioni" (v. sopra) mondane e convenzionali magari non ce li hanno, ma allora rimane la domanda: vogliamo parlare di religioni (spirituali, trascendenti, etc.) o "religioni" (convenzionali, consensuali, etc.)?
Sono d'accordo che l'intera discussione dipende da dove si mettono i paletti di "religione", non capisco i termini per cui differenzi una parte proponendo come loro caratteristiche "convenzionali, consensuali", che sono due proprietà che applicherei anche al primo gruppo, le religioni stabiliscono convenzioni quindi sono convenzionali, e consensuali anche? Dipende da come si interpretano certi nodi intermedi riguardo le gerarchie, ma dibattibile. "Definizione inadeguata" nel senso che se hai necessità di differenziare tra  "religioni" e "religioni metaforiche" (cioè non-religioni?) hai un problema nell'adeguatezza della definizione di religione che ti costringe a strane perifrasi che offuscano anziché che chiarire. Ti chiedi da solo "vogliamo distinguere quelle con Dio?" e ti rispondi positivamente, però poi ti accorgi che rispondendo positivamente le categorie non ti seguono e devi usare quegli "strani ibridi" di cui parlavo il post prima, io penso invece ci sia da lavorare di più sulla definizione di religione, non per interesse semantico ma antropologico e filosofico, io non penso di avere una risposta adeguata a molte contraddizioni, indico solamente dove mi pare sia il problema.Condivido l'individuazione del thauma come origine filosofica, ed in esso pensa sia la risposta del diverso spettro con la religione, la filosofia è una domanda scaturita dallo stupore, la religione è un tentativo di risposta, le risposte invecchiano, le domande si affinano col tempo, il passatismo e la deferenza con cui si guarda il passato filosofico, metafisico o meno, mi lascia sempre perplesso.

Riguardo invece alla differenza tra Cristianesimo Buddishmo e Islam penso che molto della evoluzione moderna del cristianesimo sia una "naturale" conseguenza della teologia che esprime, S.Paolo richiede ai cristiani non di credere a certe parabole belle o seguire il complesso garbuglio di prassi veterotestamentaria, ma di credere nella resurrezione di Gesù Cristo (e sperare nella propria), un evento "molto fisico" e individuale. Non è certo l'unico esempio ma simboleggia bene come questo "solipsmo" fosse nelle corde cristiane già dai testi di riferimento, ma che non ha per niente fermato i cristiani dal voler cercare le prove del diluvio universale (troveranno invece, serendipity, quelle della tettonica a placche) e indire crociate sanguinose nei posti della natività per ancorare la religione alla terra. Questo istinto totalitario della religione si dimentica in fretta dei propri limiti e ad un certo punto ti svegli che il tuo colore dei calzini è un fatto socialmente rilevante perchè disturba l'equilibrio religioso della comunità, il problema di definizione è che osserviamo comportamenti molto simili anche in assenza di divinità totalitarie, specialmente nel secolo scorso.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

iano

Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMIl nulla ontologico, e gnoseologico, in cui vive l'uomo, non e' pero', anche, un nulla funzionale. Nel (doppio) senso, che le funzioni e le funzionalita' ci sono, e che, anche se non ci fossero, sono comunque desiderabili. E, finche' non si affronta e non si risolve questo, di "punto", della situazione, non sorgera' niente, di piu' "epistemico", ne tantomeno di piu' "interessante" di questo.
E' la differenza fra un mobile fatto e uno da montare, fra la cosa in se e il fai da te.
Ma questo lo può capire solo chi si passa le domeniche all'Ikea. :)
E' la differenza fra il desiderio di verità, che è conoscenza in se, e il conoscere come in se desiderabile.
E' la soddisfazione di lottare col libretto di istruzioni di montaggio, quando il disegno diventa realtà, come processo possibile inverso della sua descrizione, con lo stesso diritto di priorità che c'è fra l'uovo e la gallina.
L'uovo esce dal culo della gallina, oppure è un pianeta da cui la gallina decolla in cerca di futuro?
Il mistero di chi viene prima nasce dal considerare uovo e gallina, ciò che descrive il processo, come cose in se, e non in se il processo .
L'uovo e la gallina come oggetti e non soggetti della conoscenza

Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

iano

Citazione di: iano il 18 Luglio 2025, 14:55:04 PML'uovo e la gallina come oggetti e non soggetti della conoscenza.
L'uovo e la gallina come oggetti e non come termini della conoscenza
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

Phil

Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMIl problema, e' che a un certo punto, della storia del pensiero; l'ancoraggio possibile/necessario alla realta' del desiderio di illudersi, diviene (anche) l'aspetto fondamentale (ovverosia: quello piu' "epistemico" nel
senso che intendi tu) della realta'.
Per epistemico intendo epistemico, quindi il desiderio di illudersi, ancorato o meno al reale, è quanto di meno epistemico si possa concepire; e proprio per questo ricordavo che la filosofia è anche epistemo-logia (e intendo davvero epistemologia: quella che dialoga che le scienze, le evidenze, l'agognata oggettività o quantomeno si barcamena con onestà intellettuale, etc. non l'ermeneutica esistenziale). Bisognerebbe poi distinguere fra desiderio di illudersi (cattiva fede) e desiderio di non avere risposte irrisolte che porta ad illudersi (in buona fede).
Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMe' assai difficile fare (o meglio: continuare a fare), seriamente, filosofia dopo Freud, Darwin e Nietzsche, per dire i tre piu' ovvi.
Come dicevo: è difficile fare filosofia metafisica, dopo di loro. Le altre filosofie, dall'ermeneutica all'epistemologia alle altre, sono possibili (e altrettanto "serie" direi), e infatti vengono attualmente e concretamente "fatte". Il "gioco della filosofia" non è all'infinito, ma dura quantomeno la presenza di una comunità di uomini che fanno filosofia e non vedo perché questo ti spinga a definirlo come "al massacro" (di nuovo: magari è stata massacrata la metafisica e se la identifichiamo come l'essenza della filosofia allora siamo a lutto; ma in realtà così non è, come dimostra tutta l'altra filosofia).
Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMSe questo ci sta stretto, oltre al metodo, la filosofia dovrebbe recuperare il discorso, sulla formazione, dell'opinione. Attaccare, e infiltrare, il regno della propaganda, della sondaggistica, della pubblicita', dell'intrattenimento, dei rimasugli dell' "arte", tutta quella roba li' [...] In fondo, tutti i migliori maestri, della piu' elevata e insospettabile filosofia, ci hanno comandato di conoscere l'opinione e il metodo dell'opinione, oltreche' la verita' e il metodo per la verita'
Questo è esattamente quello con intendevo quando osservavo come la filosofia può essere sintonizzata sul mondo che la circonda, occuparsene "in diretta", essere attuale, etc. Come vedi, anche dopo la religione, la filosofia può avere un'agenda molto piena, fatta di ciò che fa (v. sopra) e ciò che potrebbe fare in più.

Phil

Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2025, 13:49:03 PMSono d'accordo che l'intera discussione dipende da dove si mettono i paletti di "religione", non capisco i termini per cui differenzi una parte proponendo come loro caratteristiche "convenzionali, consensuali", che sono due proprietà che applicherei anche al primo gruppo, le religioni stabiliscono convenzioni quindi sono convenzionali, e consensuali anche? Dipende da come si interpretano certi nodi intermedi riguardo le gerarchie, ma dibattibile.
Fra noi due (atei) possiamo anche dirci che le religioni sono convenzionali, ossia basate su convenzioni (anche se forse non lo faremmo lo stesso); tuttavia per un credente non lo sono affatto: sono veritiere e sacre. Per lui l'esistenza di Dio non è una convenzione stabilita e accettata a tavolino (ma una verità di fede), come invece lo è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Lo stesso dicasi per la consensualità: per un credente (non quelli "della domenica") non si pone nemmeno il dilemma se essere d'accordo o meno con il volere di Dio, che già il solo porre l'interrogativo è blasfemia (mentre può porsi, sempre a bassa voce, tale interrogativo riguardo i diritti umani, proprio perché sono convenzionali e basati su un consenso che può, legittimamente, anche non essere il suo).
Detto in sintesi: la differenza sta nel fatto che la "religione", dei diritti umani o altro, prevede che i suoi adepti la riconoscano come convenzionale e come consensuale, mentre solitamente una religione, rivelata o meno, prevede di essere verità assoluta (non per mera convenzione) e eccedente qualunque consenso in nome della sua trascendenza (ossia sarebbe tale anche se nessuno fosse d'accordo).

Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2025, 13:49:03 PM"Definizione inadeguata" nel senso che se hai necessità di differenziare tra  "religioni" e "religioni metaforiche" (cioè non-religioni?) hai un problema nell'adeguatezza della definizione di religione che ti costringe a strane perifrasi che offuscano anziché che chiarire. Ti chiedi da solo "vogliamo distinguere quelle con Dio?" e ti rispondi positivamente, però poi ti accorgi che rispondendo positivamente le categorie non ti seguono e devi usare quegli "strani ibridi" di cui parlavo il post prima
In realtà, magari sarò banale, ma con «religione» intenderei solo ciò di cui si parla nei manuali di storia delle religioni. Se ho distinto fra religioni e "religioni" è stato per cercare di mediare (forse con scarso successo), fra il mio linguaggio e il tuo: avendo tu detto che i diritti umani «sono religione» (post n. 72), ho pensato di assecondarti nell'uso del temine, differenziandolo almeno con le virgolette da quello del dizionario. Se vogliamo parlare di "religioni" in senso metaforico (in politica, sport, arte, etc.), posso anche stare al gioco, al prezzo di evitare confusioni usando quantomeno virgolette e fermo restando che mischiare religioni e "religioni" con strane perifrasi è l'opposto dello scopo del mio discorso (che, se fosse soliloquio, parlerebbe semplicemente di religioni e ideologie, più o meno "popolari").

niko

Citazione di: Phil il 18 Luglio 2025, 16:14:16 PMPer epistemico intendo epistemico, quindi il desiderio di illudersi, ancorato o meno al reale, è quanto di meno epistemico si possa concepire; e proprio per questo ricordavo che la filosofia è anche epistemo-logia (e intendo davvero epistemologia: quella che dialoga che le scienze, le evidenze, l'agognata oggettività o quantomeno si barcamena con onestà intellettuale, etc. non l'ermeneutica esistenziale). Bisognerebbe poi distinguere fra desiderio di illudersi (cattiva fede) e desiderio di non avere risposte irrisolte che porta ad illudersi (in buona fede).Come dicevo: è difficile fare filosofia metafisica, dopo di loro. Le altre filosofie, dall'ermeneutica all'epistemologia alle altre, sono possibili (e altrettanto "serie" direi), e infatti vengono attualmente e concretamente "fatte". Il "gioco della filosofia" non è all'infinito, ma dura quantomeno la presenza di una comunità di uomini che fanno filosofia e non vedo perché questo ti spinga a definirlo come "al massacro" (di nuovo: magari è stata massacrata la metafisica e se la identifichiamo come l'essenza della filosofia allora siamo a lutto; ma in realtà così non è, come dimostra tutta l'altra filosofia).Questo è esattamente quello con intendevo quando osservavo come la filosofia può essere sintonizzata sul mondo che la circonda, occuparsene "in diretta", essere attuale, etc. Come vedi, anche dopo la religione, la filosofia può avere un'agenda molto piena, fatta di ciò che fa (v. sopra) e ciò che potrebbe fare in più.


Il desiderio di illudersi e' epistemico perche' al suo fondo non c'e' nulla di altro: il movimento con cui, in modo apparentemente "isolato",  l'oggetto di conoscenza specifico della metafisica si rivela un oggetto di desiderio ( > Dio non esiste ma e' solo un'illusione e rassicurante) e', anche, lo stesso identico movimento con cui tutti gli oggetti di conoscenza, possibili, si rivelano, in fondo, "solo" oggetti di volonta' e di desiderio ( > tutto il pensabile e il conoscibile e' un'illusione utile alla vita, e per giunta un'illusione eventualmente ripetibile data la finitezza di uno spazio, in cui tale illusione potrebbe comporsi e situarsi, e l'infinitudine di un tempo: insieme a Dio, muore la verita', e, insieme alla verita', muore anche il passato in quanto forma preferenziale dell'inamovibile/immodificabile).

La fuga continua del tempo nel passato, e' (anche) la fuga continua di tutti gli oggetti presenti e viaggianti nel tempo alla presa e alla "manipolazione" della volonta', il che e' possibile, e anche auspicabile, in un paradigma metafisico, ma impossibile, e anche eticamente non auspicabile, in un paradigma post-metafisico.

Insomma nel paradigma metafisico, l'oggetto di conoscenza domina, l'oggetto di desiderio, e si suppone che in fine la volontasi umana si acquieti e si paghi nella conoscenza, cioe' proprio nella visione memoriale e passatificata di mondo, e di un paesaggio, che non (piu'!) la implica (contemplazione); nel paradigma post metafisico e' vero il contrario, il desiderio genera conoscenza e quindi gerarchicamente e prioritariamente la domina, e la conoscenza, o meglio, la domanda esistenziale di essa e su di essa, al limite, si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio, perche' al suo "fondo", al suo fondamento, non c'e' altro.

L'episteme, ad oggi, non puo' fare a meno dell'episteme, della morte, della metafisica.

Infatti, caro Phil, con un minimo di realismo, non si puo' non riconoscere che la caduta, della filosofia tutta e non solo della metafisica, in Occidente, quantomeno nell'ultimo precedente secolo, (ma con prodromi iniziati nell'ultimo millennio), che l'ha portata dall'essere un elemento culturalmente egemone e intrinsecamente motivante, da sola, o al limite anche insieme alla teologia, all'essere, invece, solo una pregiudiziale di metodo [epistemologia] o una nota a margine [ermeneutica] sul lavoro altrui, sia una caduta. Il valore irripetibile della filosofia, consisteva nel suo essere uno stile di vita, e questo, ne imponeva almeno in un certo grado, l'autonomia e l'originalita'. Il filosofo, vale per quello che fa', non per quello che pensa. 

L'ermeneutica poi, nel suo concetto che un testo prolifichi e dia frutto in un altro testo, e non nel dialogo diretto e scambievole per quanto possibile tra lettore e autore, e' la negazione stessa della filosofia. L'interpretazione, per riferirsi alla realta' e non al testo stesso, deve essere finita. Come la metafisica. Che e' bella proprio perche' e' stata pensata, fin dal principio, per essere finita. Lo dobbiamo ai suoi migliori autori, se oggi, la possiamo vedere da fuori.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMIl desiderio di illudersi e' epistemico perche' al suo fondo non c'e' nulla di altro: il movimento con cui, in modo apparentemente "isolato",  l'oggetto di conoscenza specifico della metafisica si rivela un oggetto di desiderio ( > Dio non esiste ma e' solo un'illusione e rassicurante) e', anche, lo stesso identico movimento con cui tutti gli oggetti di conoscenza, possibili, si rivelano, in fondo, "solo" oggetti di volonta' e di desiderio ( > tutto il pensabile e il conoscibile e' un'illusione utile alla vita, e per giunta un'illusione eventualmente ripetibile data la finitezza di uno spazio, in cui tale illusione potrebbe comporsi e situarsi, e l'infinitudine di un tempo: insieme a Dio, muore la verita', e, insieme alla verita', muore anche il passato in quanto forma preferenziale dell'inamovibile/immodificabile).
Se così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. Il desiderante non è desiderio, il mondo ontico in cui il desiderante si muove non è desiderio, etc. per questo le scienze, anche filosofiche, che si occupano dell'uomo e del mondo, non possono essere appiattite in mero "esercizio" di desiderio, come non ci fossero un agente e un mondo "pre-" ed extra-desiderio (il che non significa certo espungerlo dall'orizzonte umano, di cui è sicuramente parte pulsante e costituente).
Il passaggio dall'inamovibile/immodificabile Verità divina, alla abbozzata e dinamica verità post-divina (fosse anche solo post-verità), è il marchio dell'attualità; doveva morire Dio affinché la verità potesse risorgere in tutta la sua umanità (e che il rapporto umano con il mondo sia pura illusione e desiderio è forse un spunto buddista, comunque di non facile coniugazione con l'epistemologia, e ancor meno con politica e dintorni).
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMLa fuga continua del tempo nel passato, e' (anche) la fuga continua di tutti gli oggetti presenti e viaggianti nel tempo alla presa e alla "manipolazione" della volonta', il che e' possibile, e anche auspicabile, in un paradigma metafisico, ma impossibile, e anche eticamente non auspicabile, in un paradigma post-metafisico.
Non vedo cosa ci sia di impossibile ed eticamente non auspicabile, in ottica post-metafisica, nel farsi passato del presente (di oggetti o soggetti che sia). Forse il paradigma post-metafisico (se proprio vogliamo impropriamente usare il singolare) è contro il tempo o non ha bisogno del tempo o aspira al senza tempo? Forse l'etica, fuori della metafisica, è un'etica che non ha bisogno del passato? Non ti seguo.
Un metafisico forse sosterrebbe queste bislacche ipotesi (quasi fossero un'anatema per eventuali "apostati"), ma se soppesiamo la post-metafisica con un paradigma metafisico è chiaro che ne derivano conclusioni surreali e, soprattutto, inattuali.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMnel paradigma post metafisico e' vero il contrario, il desiderio genera conoscenza e quindi gerarchicamente e prioritariamente la domina, e la conoscenza, o meglio, la domanda esistenziale di essa e su di essa, al limite, si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio, perche' al suo "fondo", al suo fondamento, non c'e' altro.
Il desiderio è solo uno dei due ingredienti della conoscenza, così come in passato, da sempre. Qual è l'altro? Ciò che si vuole conoscere, ciò che ancora non si domina e ciò che, da sempre è (e probabilmente sarà) in mutamento; sia esso il mondo esterno, il cosmo, le relazioni umane, le culture, etc. Questa dialettica conoscitiva (soggetto/oggetto, per dirla in sintesi), non è molto cambiata dai tempi dei presocratici, ciò che è cambiato è il bagaglio di conoscenze acquisite nel frattempo che, non a caso, hanno portato a un sensibile ridimensionamento della metafisica. Possiamo dire che è anche cambiato, di pari passo, il desiderio di conoscere? Di certo ha acquisito nuove forme e (forse) nuove finalità, ma resta valido che affermare che «il desiderio genera conoscenza» non rende giustizia né al desiderio (che non è solo di conoscenza), né alla conoscenza che richiede molto, molto di più del mero desiderio (senza contare i casi in cui un desiderio "fuorviante" è di ostacolo alla conoscenza).
La domanda esistenziale sulla conoscenza non «si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio», giacché di tale quiete e appagamento non scorgo traccia, né nell'etica (quando la bioetica confligge con la conoscenza come poter fare), né nell'estetica, né in riflessioni esistenziali sulla conoscenza (e tantomeno, ovviamente, nell'epistemologia). Qualcuno può di certo trovarvi quiete e ristoro, ma non è una posizione che estenderei a discorsi più generali, come quello in corso.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMInfatti, caro Phil, con un minimo di realismo, non si puo' non riconoscere che la caduta, della filosofia tutta e non solo della metafisica, in Occidente, quantomeno nell'ultimo precedente secolo, (ma con prodromi iniziati nell'ultimo millennio), che l'ha portata dall'essere un elemento culturalmente egemone e intrinsecamente motivante, da sola, o al limite anche insieme alla teologia, all'essere, invece, solo una pregiudiziale di metodo [epistemologia] o una nota a margine [ermeneutica] sul lavoro altrui, sia una caduta. Il valore irripetibile della filosofia, consisteva nel suo essere uno stile di vita, e questo, ne imponeva almeno in un certo grado, l'autonomia e l'originalita'.
Riecco in azione la confusione fra metafisica e filosofia: nel secolo scorso la caduta dell'una (parte) è stata la liberazione dell'altra (tutto); magari può non piacere, soprattutto ai metafisici, che quindi parlano di secolo triste, ma è stato triste solo per quelli che si illudevano la filosofia sarebbe stata per sempre "la più bella del reame" (e quanto accaduto all'altra compagna di metafisica, ovvero la teologia, non è un caso).
In campo scientifico la filosofia non può essere più che epistemologia e se ciò viene visto come un difetto o una "caduta", di nuovo, si sta ancora ragionando con velleità meta-fisiche di altre epoche; ovvero ci si è persi almeno due o tre secoli in cui la filosofia, inevitabilmente, si è ristretta lasciando spazio a discipline più autonome e specializzate. Il che può essere un "male", appunto, solo se si intende la filosofia in modo "medievale", ossia come un regno che deve espandersi fino a conquistare il mondo intero, sottomettendo le altre discipline perché è lei quella trascendente spazio e tempo.
Si è passati dalla filosofia delle origini, che era anche umiltà del non-sapere, alla filosofia come armata del Risiko nello scibile umano; ora pare la filosofia stia ricalibrando la sua "messa a fuoco" su obiettivi che le sono più consoni (detto altrimenti: non è caduta, è solo riatterrata da un salto troppo ambizioso e se dice che "l'uva non è matura" non ne esce certo con più dignità).
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PML'ermeneutica poi, nel suo concetto che un testo prolifichi e dia frutto in un altro testo, e non nel dialogo diretto e scambievole per quanto possibile tra lettore e autore, e' la negazione stessa della filosofia.
Che l'ermeneutica sia «nota a margine sul lavoro altrui» (v. sopra) o sia «negazione stessa della filosofia» mi sembra una svista e, nel dubbio, ripassare la storia dell'ermeneutica filosofica del novecento credo chiarisca sia cosa sia davvero l'ermeneutica, sia ogni dubbio in merito alla sua dialogicità.

iano

Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza.
Cogito ergo sum. Il pensiero mi dice che sono, ma non mi dice chi sono.
La realtà non è ne caotica ne ordinata, ma è tale per cui posso interagirvi, e nella misura in cui ci riesco la dirò ordinata, e diversamente caotica. L'ordine in se non esiste, o meglio è sinonimo di azione, e il caos di inazione. L'atto divino che crea l'universo dal caos, è appunto un azione.
Se non abbiamo coscienza , e di ciò che avviene perciò chiameremo un Dio a testimone, pur un barlume deve essercene , se questo Dio è ''fatto a nostra somiglianza''.
Il minimo común denominatore di ogni azione è mettere ordine. Non c'è quindi un ordine precedente all'azione che la consente, come non c'è uno spazio degli avvenimenti, ma avvenimenti descrivibili dentro uno spazio.
Il sogno è una interazione a vuoto, che distinguo dalla veglia per il maggior grado di incoerenza, ma un diverso grado di coerenza attribuibile alla stessa sostanza.
Anche qui però non è la realtà ad essere coerente, e della realtà possiamo dire solo che ci consente interazioni diversamente  coerenti, delle quali le più incoerenti diremo sogni.

Detto ciò, nei vostri discorsi, tuoi e di Niko, mi sfugge la necessità di dover fare riferimento a volontà e desiderio, a meno che volontà e desiderio non siano gli equivalenti interiori dell'ordine e del caos .
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

Phil

Prima che niko proponesse la tematica del desiderio come, se non ho frainteso, elemento centrale nella sua interpretazione del rapporto storico fra uomo e mondo (interpretazione non certo infondata né priva di autorevoli predecessori), ho tirato in ballo il desiderio associandolo al philein della philo-sophia, per cui il filosofo è colui che (sintetizzo brutalmente) desidera capire il mondo e quindi lo indaga. Dunque è opportuno non mettere l'accento solo sul capire filosofico, ma anche sul desiderare filosofico; soprattutto, aggiungo ora, in tempi in cui qualcuno potrebbe dire che l'AI sta iniziando a "capire il mondo"; nessuno, si spera, dirà invece che l'AI desidera capire il mondo.
Questo desiderio filosofico come si esplica, in quale prassi si traduce? Finito (o quasi) il periodo in cui viene frustrato dalla religione, che a suon di dogmi e campane sovrasta gli interrogativi filosofici (pur rispondendogli a suo modo), viene da un lato mantenuto come filosofia in azione, ossia come filosofare (nelle varie discipline tipiche); dall'altro, recuperato dalla scienza che, anche per intrinseca dissonanza con la religione, può portare avanti alcuni interrogativi filosofici rendendoli meno filosofici (paradosso solo apparente), istituendo discipline specifiche che mirano a trovare risposte adeguate (e meno "fragili" di quelle fornite finora dalla filosofia, a cui resta sicuramente il suo bel da fare con le discipline non "scientificabili", come etica, estetica, ermeneutica, etc.).

Caos e ordine, coerenza e incoerenza, più che essere attributi della realtà "in sé", per me sono conseguenze dell'applicazione di categorie del soggetto che guarda la realtà: un'eclissi verrà giudicata come evento caotico e incoerente, da chi considera che il sole abbia la sua ordinata coerenza nel non essere mai coperto, se non dalle nuvole; tuttavia, in un sistema più complesso di analisi astronomica, l'eclissi è quanto di più coerente, ordinato e prevedibile possa esserci (sempre ricordando che è tale solo per chi abita sulla Terra, essendo questione di "prospettivismo").

iano

Citazione di: Phil il 20 Luglio 2025, 00:59:35 AMPrima che niko proponesse la tematica del desiderio come, se non ho frainteso, elemento centrale nella sua interpretazione del rapporto storico fra uomo e mondo (interpretazione non certo infondata né priva di autorevoli predecessori), ho tirato in ballo il desiderio associandolo al philein della philo-sophia, per cui il filosofo è colui che (sintetizzo brutalmente) desidera capire il mondo e quindi lo indaga. Dunque è opportuno non mettere l'accento solo sul capire filosofico, ma anche sul desiderare filosofico; soprattutto, aggiungo ora, in tempi in cui qualcuno potrebbe dire che l'AI sta iniziando a "capire il mondo"; nessuno, si spera, dirà invece che l'AI desidera capire il mondo.
Questo desiderio filosofico come si esplica, in quale prassi si traduce? Finito (o quasi) il periodo in cui viene frustrato dalla religione, che a suon di dogmi e campane sovrasta gli interrogativi filosofici (pur rispondendogli a suo modo), viene da un lato mantenuto come filosofia in azione, ossia come filosofare (nelle varie discipline tipiche); dall'altro, recuperato dalla scienza che, anche per intrinseca dissonanza con la religione, può portare avanti alcuni interrogativi filosofici rendendoli meno filosofici (paradosso solo apparente), istituendo discipline specifiche che mirano a trovare risposte adeguate (e meno "fragili" di quelle fornite finora dalla filosofia, a cui resta sicuramente il suo bel da fare con le discipline non "scientificabili", come etica, estetica, ermeneutica, etc.).

Caos e ordine, coerenza e incoerenza, più che essere attributi della realtà "in sé", per me sono conseguenze dell'applicazione di categorie del soggetto che guarda la realtà: un'eclissi verrà giudicata come evento caotico e incoerente, da chi considera che il sole abbia la sua ordinata coerenza nel non essere mai coperto, se non dalle nuvole; tuttavia, in un sistema più complesso di analisi astronomica, l'eclissi è quanto di più coerente, ordinato e prevedibile possa esserci (sempre ricordando che è tale solo per chi abita sulla Terra, essendo questione di "prospettivismo").
Se per amor di descrizione semplifichiamo dicendo che l'uomo è l'unico animale che desidera capire, cosa aggiunge questo capire al sapere stare al mondo?
Si potrebbe rispondere nulla, attribuendo al capire un valore in sè, e mi pare che è quello che abbiamo fatto dandogli anche un nome: verità, come volontà di comprendere fine a se stessa.
Il novecento inizia con la presunzione di aver capito tutto quello che c'era da capire, per cui salvo dover definire qualche dettaglio, l'inizio del secolo coincideva con la fine della fisica e l'inizio di un era di pure applicazioni tecniche. Era invece solo la fine di una fisica che possiamo dire classica dove  capire aveva ancora un senso.
La fisica seguente è stata quella in cui non c'è nulla capire, alla quale di prezioso ausilio è dunque ogni cosa che non abbisogna di comprensione, come L'AI.
Essendo partiti da dogmi da accettare senza capire, il cerchio si chiude.
Quei dogmi oggi si chiamano algoritmi.
Così noi siamo rimasti col desiderio di capire, come amanti della verità mollati dall'amata sul più bello.
Siamo rimasti col desiderio che solo la penetrazione della verità avrebbe fatto assopire.
Se non c'è più niente da capire, come nella versione di inizio novecento, o non c'è niente da capire in assoluto, come nella recente versione, il desiderio di capire ancora diffuso è destinato a girare  a vuoto.

Desidero adesso dire ciò che in effetti non penso, che se desideriamo ciò che ci manca, perciò l'AI non ha desideri. Noi per stargli alla pari abbiamo bisogno di capire.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

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