Il nostro tempo è segnato dalle letture creative del pensiero postmoderno e dalle invenzioni sui testi del postmodernismo.
"Non ci sono fatti, solo interpretazioni" è il celebre sofisma di W. F. Nietzsche, che segna l'aldilà dell'ermeneutica propriamente detta prima del suo rigoroso avvio con Gadamer: la realtà ingabbiata negli schemi assoluti sfugge alla verità e conta solo decidersi. La vita stessa non è garantita in questa regione dell'intelletto dominata dalla retorica e dall'arbitrio mentale più sfrenato. Cartesio lasciò alla filosofia il dubbio iperbolico, cui seguiva la certezza più originaria della nostra mente: "penso, dunque sono". Nietzsche legava la sua retorica alla volontà di potenza: il mondo assomiglia ai nostri occhi quando vi esercitiamo il potere del nostro desiderio. A ciò seguiva però l'eterno ritorno dell'uguale.
I dubbi iperbolici della modernità, le invenzioni assolute dell'età postmoderna; ma pure altro che ne vive parzialmente e che sostituisce all'arbitrio le necessità degli altri, quelli rimasti fuori dalla storia. Così nel pensiero post ed ex marxista si intendono i dati della tradizione a modo proprio fino a fraintenderli volontariamente.
Accanto a questo fenomeno eclatante di protesta rabbiosa non più rivolta per realizzare un'ideale, quelli che fanno di testa propria perché non sono interessati all'originalità e originarietà ma ad imporre il proprio punto di vista come per scherzo, vitalisticamente e in un rapporto privilegiato di scambio. Il marxismo ebbe fortuna ad Est, questo vitalismo che riduce la cultura a mercato trovava fortuna ad Ovest, senza un nome certo di riferimento. Esso si cristallizzava come idea positivista oltre che per economicismo. Tra le sue vittime eccellenti, il Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein. Quale trattato (la lingua antica latina e l'italiana permettono questo scambio diretto dei termini) annoiava tutti quelli che dalla filosofia volevano grandi risultati nella vita pratica degli Stati, delle economie, soprattutto delle scienze e delle tecniche. Anziché somigliare per loro a un distillato, gli pareva simile a un brodo ristretto, roba da noia. Il brodo diventa a seconda delle cose che ci metti e non tutto ne resta.
"Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere."
Non era certo fatta questa frase per una tuttologia né aveva afflato cosmico; era parte di una riflessione sulla mondanità, quale insieme dei fatti. Questi però spesso non piacendo ai fanatici della scienza, che non trovavano presto realizzate le applicazioni tecniche giuste per loro, li si annichiliva, li si faceva evaporare; oppure li si rendeva una stretta prigione per l'intelletto del credente. Come Stalin rendeva funzionante lo schema borghesia/proletariato per superarlo anche scientificamente - una teoria della costruzione violenta di un mito sbagliato - così tali positivisti coadiuvati dai sofismi del postmodernismo rendevano vani i pensieri ed imprese.
Oggi si dice di evaporazione del cristianesimo e questo è vero nella misura in cui i vecchi schemi di sinistra interagiscono e scatenano i vecchi pregiudizi della destra, allora si finge che la fede in Cristo non esista e poi la si dismette o la si rende sottile con le polemiche umilianti: una freudiana illusione. Altrimenti, a detta degli araldi della positività del dato della pura esperienza, non ci sarebbe veramente Dio per il credente, ma un assoluto mistico che è o lui stesso o una barriera insuperabile per ogni tentativo di dare un senso al mistero. L'uomo religioso sarebbe ciarliero; proprio un uomo perché esulante col pensiero dalla realtà, altrimenti risulterebbe troppo sciocco per essere umano. La fede in Dio produrrebbe solo giochi di parole, la suprema illuminazione sarebbe restare zitti - ignorando i messaggi che ci giungono dai confini mistici del mondo! Mentre gli eventi inspiegabili sarebbero fatti per essere rimossi, per esempio con l'aiuto di uno psicoanalista ateo innamorato di alterità intercambiabili o meglio ancora seguendo la falsariga delle 'neuroscienze', che fanno capitare tutto uguale ma al sollievo dal disagio sostituiscono l'annientamento del disagiato in quanto tale assieme al suo problema...
La immensa illazione positivista che ho descritto e duramente criticato, la costruiscono rovesciando i risultati faticosamente e problematicamente conseguiti dall'iter filosofico di R. Carnap e la fanno valere restando esternamente all'autentica vicenda della filosofia. E' una illazione che si avvale di un tradimento esegetico: il contenuto del Tractatus di Wittgenstein era sottratto al titolo dal cattivo lettore, che ne estrapolava la logica a prescindere dall'orizzonte filosofico rendendola uno scheletro razionale inservibile, un lungo ragionamento capzioso, secondo cui il detto biblico Dio nessuno l'ha visto mai dovrebbe significare che nessuna Rivelazione potrebbe mai aversi, perché la verità discenderebbe dalle apparenze del mondo.
Proprio la tragedia dello stalinismo-comunismo, chiese chiuse o distrutte, dissidenti o semplici credenti impegnati che furono trascinati a morire di stenti e fatiche... proprio l'inganno che l'ateismo di Stato e il materialismo creassero un paradiso in terra, smascherato dal precipitare degli eventi in URSS e nel Blocco Est della Guerra Fredda, dovrebbe far riflettere sul valore di fedi e religioni.
La filosofia del Secolo XX° lo ha fatto anche solo col pragmatismo e il neopragmatismo. Non semplice utilità per vivere, ma impresa che dischiude la verità originaria o originale - senza le quali non si vive: questa la vita di fede, attorno a cui ruotano i culti e riti religiosi.
Il teologo non fa le sue affermazioni su base logico-filosofica, non è giusto zittirlo, che il luogo sia una università, un parlamento, una piazza o una casa, altro.
Saluti (mentre sto scrivendo, i rumori sinistri dei mezzi aerei antincendio...).
MAURO PASTORE
Ho avuto problemi di redazione, alcuni comandi si erano innescati per errore e parte del testo era in formato diverso. C'erano inoltre delle cose da migliorare e integrare. Il contenuto è rimasto lo stesso. Spero in una interessante discussione.
Inoltre proprio adesso ho cambiato l'ultima espressione del mio discorso, per evitare ambiguità.
MAURO PASTORE
Una visone è una descrizione muta.
Citazione di: PhyroSphera il 02 Luglio 2025, 19:36:54 PMHo avuto problemi di redazione, alcuni comandi si erano innescati per errore e parte del testo era in formato diverso. C'erano inoltre delle cose da migliorare e integrare. Il contenuto è rimasto lo stesso. Spero in una interessante discussione.
Inoltre proprio adesso ho cambiato l'ultima espressione del mio discorso, per evitare ambiguità.
MAURO PASTORE
Che utilità ha per noi questo tipo di informazioni, che sempre ci dai?
Cosa cambia per noi saperlo o non saperlo?
Non è allora che stai dicendo a nuora perchè suocera intenda?
Sembra infatti che tu voglia dirci che il tuo discorso non si presta a critiche, a meno di non volute ambiguità, che possono essere sempre presenti, per quanto curi di eliminarle.
Il neopositivismo e il postmoderno sono (stati) in realtà i migliori alleati della persistenza religiosa: il primo ha individuato la divinità non come logicamente falsa, ma come epistemologicamente infalsificabile, smussando tutti i forconi che si leva(va)no contro chiese e crocifissi in nome di una (contro-)verità assoluta. Ponendo Dio fuori dal discorso rigorosamente veritativo, lo hanno "ridimensionato" a sufficienza da renderlo letteralmente inconfutabile, ossia semplicemente possibile ma non verificabile.
Il postmoderno ha poi "metabolizzato" la fede come fenomeno culturale legittimo, sincretizzando e reinterpretando le "ragnatele teologiche" non come assi cartesiani di metafisiche potenze, ma come mandala di una spiritualità mondanamente soteriologica.
In un'epoca in cui il sesso degli angeli è una tematica gender, dubito sarà la religione ad esser radicalmente azzittita; sta a lei saper scegliere e tutelare con cura i suoi discorsi.
Citazione di: PhyroSphera il 02 Luglio 2025, 19:17:28 PMLa vita stessa non è garantita in questa regione dell'intelletto dominata dalla retorica e dall'arbitrio mentale più sfrenato.
Come può la libertà di pensiero essere percepita come un attentato alla vita?
Zittire gli altri diventerebbe allora legittima difesa?
Non è giusto zittire i teologici come chiunque altro.
Il celebre sofisma di W. F. Nietzsche,''Non esistono fatti, ma solo interpretazioni'', sarà pure celebre, ma non è un sofisma.Inoltre, data la mia vasta ignoranza, per me non era neanche celebre, visto che non lo conoscevo. Leggendo in rete mi pare di capire che da qui si genera buona parte della filosofia moderna, quella che pur non conoscendo evidentemente respiro, se la affermazione direi che mi pare ovvia, se credessi nell'esistenza di affermazioni ovvie.Ma in effetti proprio quell'affermazione mette in dubbio che esistano ovvietà se neanche i fatti lo sono.A me pare appunto che non solo le ovvietà non esistono di per se, ma che siano l'anticamera della metafisica, che perciò mi appare come quella cosa che accoglie ogni ovvietà ed evidenza senza curarsi da dove si siano originate.Credo che proprio questa ignoranza della sua genesi renda inattaccabili le affermazioni metafisiche, perchè non si può deostruire ciò che non si sa di aver costruito.
Pur se così stessero le cose, non mi sentirei di zittire un metafisico, con un ''tu non sai quello che dici'', percependo le sue affermazioni come un attentato alla vita.
L'ignoranza, sia quella non voluta dei metafisici, sia quella coltivata, come lo è la mia, per me hanno pieno diritto di cittadinanza.
Un fatto può ben essere una interpretazione della realtà, più che un fatto reale, di cui si è persa memoria.
E' una strana sensazione sentirsi nicciani senza neanche conoscere la filosofia di F:N.
Poi non è proprio vero che non l'ho letto.
E' vero invece che non l'ho proprio capito, per cui potrei dire che sono arrivato alle stesse conclusioni in modo indipendente.
Strano è anche comprenderlo attraverso le critiche di chi lo sbeffeggia accusandolo di sofismo.
Il sofista, per quel che mi è rimasto di quel poco che ho letto, non è da intendersi propriamente come colui che liberamente crede di poter dire tutto e il contrario di tutto, se lo dice con pari parvenza di verità, ma appunto come colui che dimostra che la verità non può raggiungersi con le parole , se vera può apparirci una argomentazione come il suo contrario.
Dire che le affermazioni metafisiche non sono verificabili, non è sufficiente, perchè ciò sottende che altre affermazioni invece lo siano.
Non è la verità delle chiacchiere che può verificarsi, che siano metafisiche o meno.
E' la corrispondenza fra chiacchiere e realtà, nel senso di poter verificare se le chiacchiere mostrano di potersi applicare alla realtà, che noi possiamo verificare.
Ripeto.
Non è la verità delle chiacchiere che può verificarsi, che siano metafisiche o meno.
E' la corrispondenza fra chiacchiere e realtà, nel senso di poter verificare se le chiacchiere mostrano di potersi applicare alla realtà, e non quanto le chiacchiere possano stare al posto della realtà (ricerca di verità), che noi possiamo verificare.
Le parole non ci ingannano, siamo noi a ingannarci quando crediamo che possano dirci la verità. Questa è la lezione che ci hanno dato i sofisti, per chi la sa intendere. Chi invece non l'ha ancora intesa usa il termine come un ingiuria.
Le affermazioni metafisiche non sono inverificabili in quanto metafisiche, ma in quanto affermazioni , se non nei termini di una corretta esposizione logico grammaticale).
La differenza fra fisica e metafisica non sta nel diverso effetto che hanno sulla realtà, diretto l'una, indiretto l'altra.
L'affermazione fisica applicata alla realtà produce infatti direttamente effetti.
L'affermazione metafisica produce invece indirettamente effetti sulla realtà, informando di se colui che sulla realtà agisce, l'uomo.
Insomma ,la fisica riguarda più l'azione umana in se, il nostro rapportarci con la realtà, mentre la metafisica riguarda più il modo di farlo, cioè la forma mentis con cui ad essa ci approcciamo.
Citazione di: iano il 03 Luglio 2025, 06:05:41 AMLa differenza fra fisica e metafisica non sta nel diverso effetto che hanno sulla realtà, diretto l'una, indiretto l'altra.
Errata corrige.
La differenza fra fisica e metafisica sta nel diverso effetto che hanno sulla realtà, diretto l'una, indiretto l'altra.
Citazione di: PhyroSphera il 02 Luglio 2025, 19:17:28 PMAltrimenti, a detta degli araldi della positività del dato della pura esperienza, non ci sarebbe veramente Dio per il credente, ma un assoluto mistico che è o lui stesso o una barriera insuperabile per ogni tentativo di dare un senso al mistero. L'uomo religioso sarebbe ciarliero; proprio un uomo perché esulante col pensiero dalla realtà, altrimenti risulterebbe troppo sciocco per essere umano. La fede in Dio produrrebbe solo giochi di parole, la suprema illuminazione sarebbe restare zitti - ignorando i messaggi che ci giungono dai confini mistici del mondo!
Siccome usi il termine ciarliero, da me introdotto nelle nostre discussioni, immagino che la tua critica, seppur generale, sia perciò sia rivolta a me in particolare.
Per ciarlare intendo l'uso del linguaggio per fini che non gli sono propri, il che non è proibito fare. La mia preoccupazione è solo che in tal modo lo si depotenzi, fino a snaturarlo se solo a quei fini lo si rivolge.
Lo si rende inefficace quando gli si attribuiscono potenzialità che non possiede, come quello di ''dirci la verità'', credendo che la verità possa assumere una forma verbale.
Se una verità esiste non è questa la sua forma, per cui , convintosi di ciò, tacerà solo chi sia convinto che l'unico scopo della parola sia essere veicolo di verità, e che perciò, se a ciò non può servire tanto vale tacere.
Certo non tacerà perchè sia io ad invitarlo a farlo, come io non raccolgo il tuo invito a porre un freno alla libertà di pensiero, paventandoci il danno che ciò può provocare, fino a metterci in pericolo di vita.
Quindi, chi è di non due che invita a tacere?
Non inviterei nessuno a tacere, e non l'ho mai fatto, come testimonia ogni mio post.
Il mio intento è quello di porre in evidenza quanto sia potente il linguaggio che usiamo, potenzialità che scopi che non mi pare gli siano propri potrebbe offuscare.
D'altronde del fatto che certi scopi non gli siano propri ci si può arrivare solo lasciando che ognuno lo usi liberamente per i suoi propri scopi, e nessuno a mio parere assolve a questo scopo al meglio rispetto a te.
E' ''illuminante la tua frase: '' La fede in Dio produrrebbe solo giochi di parole, la suprema illuminazione sarebbe restare zitti - ignorando i messaggi che ci giungono dai confini mistici del mondo!''
Il fatto è che se una verità esiste, ridurla a parole è per me il miglior modo di mortificarla.
Esistono altre forme in cui la verità si potrebbe presentare, che non è corretto presentarle come mute, perchè la mancanza di parole è lo zero della parola, e quindi ancora un valore ciarliero.
Io non credo che la verità esista, ma se esiste non si può ridurre a parole.
Parimenti la vera fede non è quella in Dio, ma quella che non si può affermare. Quella che il nome di Dio non lo pronuncia.
Quella per cui se nulla si può dire su Dio, allora conviene tacere.
La parola invece va sempre usata, anche facendo giochi di parole, o solo per dare fiato alla bocca, perché comunque è un buon allenamento a cui si dedicano anche i bambini quando cercano di farla propria.
Come nessuno l'ha visto ? Ci sono quattro testamenti , anche qualcuno di più, che testimoniano che è stato visto, gli han pure messo le dita nel costato ... Più corretto dire che non si è più fatto vedere, ma tutta la religione cristiana è imperniata sul fatto che qualcuno l'ha visto, ci ha parlato, ci è uscito a cena, si è fatto uomo... è il Dio dei teologi che nessuno ha mai visto, ma quello sarà un problema loro. Non c'è nessuno bisogno di tacere a riguardo.
Citazione di: iano il 02 Luglio 2025, 20:20:50 PMChe utilità ha per noi questo tipo di informazioni, che sempre ci dai?
Cosa cambia per noi saperlo o non saperlo?
Non è allora che stai dicendo a nuora perchè suocera intenda?
Sembra infatti che tu voglia dirci che il tuo discorso non si presta a critiche, a meno di non volute ambiguità, che possono essere sempre presenti, per quanto curi di eliminarle.
Lo faccio per evitare che il lettore resti disorientato o incerto tra la lettura del testo emendato e la lettura del testo non emendato.
Quel che ti sembra non è vero. Io tengo ai testi inviati qui, che siano precisi e ben fatti anche se non convenzionali, fuori da mode o abitudini.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 11:24:12 AMLo faccio per evitare che il lettore resti disorientato o incerto tra la lettura del testo emendato e la lettura del testo non emendato.
Quel che ti sembra non è vero. Io tengo ai testi inviati qui, che siano precisi e ben fatti anche se non convenzionali, fuori da mode o abitudini.
MAURO PASTORE
Capisco, ma almeno in questo caso ci troviamo di fronte a un testo unico, non confrontabile con altro, ciò che rende l'avvertimento superfluo.
Citazione di: Phil il 02 Luglio 2025, 21:17:44 PMIl neopositivismo e il postmoderno sono (stati) in realtà i migliori alleati della persistenza religiosa: il primo ha individuato la divinità non come logicamente falsa, ma come epistemologicamente infalsificabile, smussando tutti i forconi che si leva(va)no contro chiese e crocifissi in nome di una (contro-)verità assoluta. Ponendo Dio fuori dal discorso rigorosamente veritativo, lo hanno "ridimensionato" a sufficienza da renderlo letteralmente inconfutabile, ossia semplicemente possibile ma non verificabile.
Il postmoderno ha poi "metabolizzato" la fede come fenomeno culturale legittimo, sincretizzando e reinterpretando le "ragnatele teologiche" non come assi cartesiani di metafisiche potenze, ma come mandala di una spiritualità mondanamente soteriologica.
In un'epoca in cui il sesso degli angeli è una tematica gender, dubito sarà la religione ad esser radicalmente azzittita; sta a lei saper scegliere e tutelare con cura i suoi discorsi.
La "tematica
gender"? Rispetto a quel che
si dice e si fa non c'è da discutere, ci sono due sessi e non ha senso inventare generi ibridi. Riguardo alla categoria del generale, c'è l'esistenzialismo e la filosofia dell'esistenza che ne illustra.
Nel positivismo 'divinità epistemologicamente infalsificabile' passa a significare che su di essa non c'è vero discorso e ciò è antireligioso.
Accanto al postmoderno io indicavo il postmodernismo.
La discussione "sul sesso degli angeli" trasposta dal piano metafisico al fisico diventa un'assurdità.
MAURO PASTORE
Citazione di: iano il 03 Luglio 2025, 05:28:03 AMCome può la libertà di pensiero essere percepita come un attentato alla vita?
Zittire gli altri diventerebbe allora legittima difesa?
Non è giusto zittire i teologici come chiunque altro.
Il celebre sofisma di W. F. Nietzsche,''Non esistono fatti, ma solo interpretazioni'', sarà pure celebre, ma non è un sofisma.
Inoltre, data la mia vasta ignoranza, per me non era neanche celebre, visto che non lo conoscevo. Leggendo in rete mi pare di capire che da qui si genera buona parte della filosofia moderna, quella che pur non conoscendo evidentemente respiro, se la affermazione direi che mi pare ovvia, se credessi nell'esistenza di affermazioni ovvie.
Ma in effetti proprio quell'affermazione mette in dubbio che esistano ovvietà se neanche i fatti lo sono.
A me pare appunto che non solo le ovvietà non esistono di per se, ma che siano l'anticamera della metafisica, che perciò mi appare come quella cosa che accoglie ogni ovvietà ed evidenza senza curarsi da dove si siano originate.
Credo che proprio questa ignoranza della sua genesi renda inattaccabili le affermazioni metafisiche, perchè non si può deostruire ciò che non si sa di aver costruito.
Pur se così stessero le cose, non mi sentirei di zittire un metafisico, con un ''tu non sai quello che dici'', percependo le sue affermazioni come un attentato alla vita.
L'ignoranza, sia quella non voluta dei metafisici, sia quella coltivata, come lo è la mia, per me hanno pieno diritto di cittadinanza.
Un fatto può ben essere una interpretazione della realtà, più che un fatto reale, di cui si è persa memoria.
E' una strana sensazione sentirsi nicciani senza neanche conoscere la filosofia di F:N.
Poi non è proprio vero che non l'ho letto.
E' vero invece che non l'ho proprio capito, per cui potrei dire che sono arrivato alle stesse conclusioni in modo indipendente.
Strano è anche comprenderlo attraverso le critiche di chi lo sbeffeggia accusandolo di sofismo.
Il sofista, per quel che mi è rimasto di quel poco che ho letto, non è da intendersi propriamente come colui che liberamente crede di poter dire tutto e il contrario di tutto, se lo dice con pari parvenza di verità, ma appunto come colui che dimostra che la verità non può raggiungersi con le parole , se vera può apparirci una argomentazione come il suo contrario.
Dire che le affermazioni metafisiche non sono verificabili, non è sufficiente, perchè ciò sottende che altre affermazioni invece lo siano.
Non è la verità delle chiacchiere che può verificarsi, che siano metafisiche o meno.
E' la corrispondenza fra chiacchiere e realtà, nel senso di poter verificare se le chiacchiere mostrano di potersi applicare alla realtà, che noi possiamo verificare.
Non hai letto bene il mio testo. Io non ho fatto attentato alla libertà di pensiero. La saggezza ha da insegnare al libero pensatore, non la censura.
Dicendo di sofisma e retorica a proposito di Nietzsche io non mi ponevo contro i due oggetti. So che esistono tra i filosofi i sofisti, ma se si assolutizza non c'è possibile ruolo di filosofo.
Sei tu invece che quando dici di chiacchiere offendi la mentalità religiosa, come si deduce dai tuoi messaggi successivi.
L'idea di una metafisica he non può essere smentita solo perché tace le proprie premesse è valida solo in certe situazioni, non nel riferirla ai limiti del puro linguaggio.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 11:38:27 AMNel positivismo 'divinità epistemologicamente infalsificabile' passa a significare che su di essa non c'è vero discorso e ciò è antireligioso.
«Divinità epistemologicamente infalsificabile» significa che su di essa non c'è discorso
veritativo in senso scientifico, o anche solo gnoseologico; questa precisazione paradigmatica non è anti-religiosa, è invece proprio ciò che dà senso alla
fede in quanto tale, salvaguardandone la lingua dogmatica e assolvendola dall'onere metodologico di argomentazioni rigorose e probatorie. La confusione fra a-religioso e anti-religioso spesso inquina anche i discorsi più attenti.
Quella sul
gender degli angeli era una battuta, seppur non priva di un "doppiofondo" serio.
Citazione di: iano il 03 Luglio 2025, 06:05:41 AMRipeto.
Non è la verità delle chiacchiere che può verificarsi, che siano metafisiche o meno.
E' la corrispondenza fra chiacchiere e realtà, nel senso di poter verificare se le chiacchiere mostrano di potersi applicare alla realtà, e non quanto le chiacchiere possano stare al posto della realtà (ricerca di verità), che noi possiamo verificare.
Le parole non ci ingannano, siamo noi a ingannarci quando crediamo che possano dirci la verità. Questa è la lezione che ci hanno dato i sofisti, per chi la sa intendere. Chi invece non l'ha ancora intesa usa il termine come un ingiuria.
Le affermazioni metafisiche non sono inverificabili in quanto metafisiche, ma in quanto affermazioni , se non nei termini di una corretta esposizione logico grammaticale).
La differenza fra fisica e metafisica non sta nel diverso effetto che hanno sulla realtà, diretto l'una, indiretto l'altra.
L'affermazione fisica applicata alla realtà produce infatti direttamente effetti.
L'affermazione metafisica produce invece indirettamente effetti sulla realtà, informando di se colui che sulla realtà agisce, l'uomo.
Insomma ,la fisica riguarda più l'azione umana in se, il nostro rapportarci con la realtà, mentre la metafisica riguarda più il modo di farlo, cioè la forma mentis con cui ad essa ci approcciamo.
Chiacchiere che sono relative a una realtà? Certo che le chiacchiere non sono un balbettio, ma definire il teologo nient'altro che un chiacchierone è di chi non lo ha capito proprio.
La metafisica voialtri la ritenete una elucubrazione, sapete cioè solo curiosarci dentro e non riflettete sul termine che indica un'ovvietà: non c'è solo la realtà fisica - questa è verità che risulta anche da una esatta considerazione delle scienze.
Citazione di: iano il 03 Luglio 2025, 09:42:36 AMSiccome usi il termine ciarliero, da me introdotto nelle nostre discussioni, immagino che la tua critica, seppur generale, sia perciò sia rivolta a me in particolare.
Per ciarlare intendo l'uso del linguaggio per fini che non gli sono propri, il che non è proibito fare. La mia preoccupazione è solo che in tal modo lo si depotenzi, fino a snaturarlo se solo a quei fini lo si rivolge.
Lo si rende inefficace quando gli si attribuiscono potenzialità che non possiede, come quello di ''dirci la verità'', credendo che la verità possa assumere una forma verbale.
Se una verità esiste non è questa la sua forma, per cui , convintosi di ciò, tacerà solo chi sia convinto che l'unico scopo della parola sia essere veicolo di verità, e che perciò, se a ciò non può servire tanto vale tacere.
Certo non tacerà perchè sia io ad invitarlo a farlo, come io non raccolgo il tuo invito a porre un freno alla libertà di pensiero, paventandoci il danno che ciò può provocare, fino a metterci in pericolo di vita.
Quindi, chi è di non due che invita a tacere?
Non inviterei nessuno a tacere, e non l'ho mai fatto, come testimonia ogni mio post.
Il mio intento è quello di porre in evidenza quanto sia potente il linguaggio che usiamo, potenzialità che scopi che non mi pare gli siano propri potrebbe offuscare.
D'altronde del fatto che certi scopi non gli siano propri ci si può arrivare solo lasciando che ognuno lo usi liberamente per i suoi propri scopi, e nessuno a mio parere assolve a questo scopo al meglio rispetto a te.
E' ''illuminante la tua frase: '' La fede in Dio produrrebbe solo giochi di parole, la suprema illuminazione sarebbe restare zitti - ignorando i messaggi che ci giungono dai confini mistici del mondo!''
Il fatto è che se una verità esiste, ridurla a parole è per me il miglior modo di mortificarla.
Esistono altre forme in cui la verità si potrebbe presentare, che non è corretto presentarle come mute, perchè la mancanza di parole è lo zero della parola, e quindi ancora un valore ciarliero.
Io non credo che la verità esista, ma se esiste non si può ridurre a parole.
Parimenti la vera fede non è quella in Dio, ma quella che non si può affermare. Quella che il nome di Dio non lo pronuncia.
Quella per cui se nulla si può dire su Dio, allora conviene tacere.
La parola invece va sempre usata, anche facendo giochi di parole, o solo per dare fiato alla bocca, perché comunque è un buon allenamento a cui si dedicano anche i bambini quando cercano di farla propria.
Con voi è sempre lo stesso: abbassate il discorso su Dio al rango di chiacchiera, dite che anche le chiacchiere hanno un senso, poi dite che il linguaggio in sé non ha verità e neanche il discorso su Dio. La vostra è una
petitio principii che mentre tende a designificare il dogma ne costruisce uno falso che celebra i limiti dell'ateismo come i confini della massima speculazione umana. Un'affermazione di principio deve recare un vero principio, che a voi manca.
Il
logo è oltre il linguaggio. La teologia si basa su un vissuto umano e mondano che conoscono scientificamente psicologi, sociologi, antropologi, dunque non si tratta di credere in Dio per capire che il teologo non è chiuso nelle semplici espressioni del linguaggio.
Il linguaggio in quanto tale non può contenere la verità ma può trattenerla; gli scopi del linguaggio stesso assommano retorica e sofismi che sono solo quel che sono. Il potere del linguaggio stesso è senza dubbio vastissimo, ma un discorso su Dio non deve attingerlo tutto. Inutile che voi vantiate tale potere per sconfessare le dottrine religiose.
Il linguaggio religioso trattiene la verità e voi ritenendolo chiacchiera siete in un rapporto sconveniente - oltre che blasfemi - difatti le chiacchiere non sono linguaggio che trattiene la verità. Cosa si intende per trattenere la verità? Qualcosa di simile alla crittografia, ma su un piano esterno alle parole, cioè tutt'altro; si intende per esempio che una parola oltre ad essere espressione può fare anche da elemento di un altro codice esterno, come capita con le parole d'ordine profane in uso dagli eserciti che stanno per eventi di piani o programmi in atto. La religione con una parola in codice si riferisce non a un ordine militare né cosmico ma sovracosmico, cioè neppure il caos inferiore dell'universo.
Se cerchi una verità assoluta che sta espressa nelle parole e non la trovi, ciò è perché non esiste. Il segno (
crisma) che accompagna la fede, non la parola suprema della religione, rimanda alla verità assoluta.
Il concetto del: non-detto più vicino del detto rispetto al confine ultimo della realtà ordinaria, non è esatto, perché ci sono non-detti che possono esser più lontani ancora ed è inutile che cerchi di portare confusione menzionando il dire col silenzio. Nell'ebraismo esiste il riferimento misterioso del Tetragramma impronunciabile, che sembra andare incontro alla tua pretesa; eppure ne esiste il segno scritto.
Il fatto è che voialtri cercate il Dio dei credenti entro la realtà ordinaria e restate con delle sillabe o segni, quindi senza notare quale verità questi trattengono, giacché avete l'intelletto chiuso nel mondo stesso, giudicate che ci sia solo un rapporto intralinguistico. Questo vostro passo a vuoto dipende dal voler utilizzare l'epistemologia solo a metà, identificandola con l'empiria e poi nel resto trattandola da gnoseologia:
gnoseo- significa un àmbito che abbraccia il campo dell'esperienza solo genericamente e che include quello fuori dall'esperienza. Gnoseologicamente si può intendere qualcosa del linguaggio, delle parole, dei segni di fedi e religioni. Inoltre l'epistemologia non studia solo le certezze ordinarie come può fare la fenomenologia con le manifestazioni mentali. L'epistemologo studia specialmente le certezze fermissime dietro quelle ordinarie, e ciò conduce a intendere il pensiero di fedi e religioni.
Quel che voi raggiungete, continuando a
svariare come ho detto, è il misconoscimento di tante espressioni linguistiche fondamentali per via del disconoscimento dei
logi dei possessori di fede e appartenenti religiosi. Così la cultura dice "teologia" e voi la degradate a "teonomia"; il teologo dice anche teonomia e voi pensate che sta ripetendo la vostra stessa ignoranza. La cultura dice "teista" e "non-teista" (questa espressione è diversa da 'non-teo', 'non-theos') e voi fingete che l'ateismo sia non-teismo. Il fatto che l'ateo è remoto dal "teo" (
theos) non implica che esso non gli sia in qualche modo presente ma che gli sia sconosciuto; e voi v'illudete che la vostra critica sia giusta.
Il vostro intendimento con la filosofia di Wittgenstein è quello di scambiare l'elemento mistico, "il Mistico", che appare nelle ultime battute del
Tractatus logico-philosophicus, per Dio. Ma ciò corrisponde innanzitutto a uno scempio verbale. Inutile che analizziate il linguaggio senza intenderlo. Se voi inventate un vostro linguaggio fortemente convenzionale e ridotto, dovete rassegnarvi a dire con le vostre critiche dei vostri non degli altrui usi linguistici! A ciò si aggiunga che adoperare il linguaggio è più che usarlo e che esistono - ne ho detto già - codici non linguistici cui il linguaggio può e certe volte ha bisogno di uniformarsi.
Esempio: adoperare l'affermazione "
Gesù Cristo morto e risorto" è attivare parte di un codice religioso, non linguistico ma che coinvolge le espressioni linguistiche. Tale codice indica la vita, attraverso un'indicazione palese della morte e un'altra oscura vitale. Linguisticamente, a prescindere dall'assunzione del codice, si indica un uomo e l'apparire della sua morte e del superamento della sua morte; il che è caso neppure negato dalla scienza e di per sé solo straordinario. Solamente il valore simbolico attribuito, costituisce occasione per fede. Non un risuscitare qualsiasi, cioè un trovare senza varcare l'orlo della morte, ma un accadimento con un significato ulteriore, che può essere espresso solo in codice - e non una idealità suicida, cosa che purtroppo insinuano i nietzschiani, ma una immagine allegorica. Mentre il mondo indica una umana difficoltà, l'intuizione umana coglie un senso, di una Realtà ulteriore, della presenza di Dio nelle difficoltà. L'occasione per credere resta solo un'occasione. Il segno lo si incontra e non è lo scopo né l'oggetto di fede.
Perciò è meglio che riflettiate, pensando al fatto che una ispirazione e ricerca limitate non vanno usate per negare le altrui maggiori - astenendovi dal dare sorta di consigli logoterapici o dall'invitare a esercizi verbali come premio di consolazione per gli sciocchi.
MAURO PASTORE
Citazione di: InVerno il 04 Luglio 2025, 19:13:11 PMCome nessuno l'ha visto ? Ci sono quattro testamenti , anche qualcuno di più, che testimoniano che è stato visto, gli han pure messo le dita nel costato ... Più corretto dire che non si è più fatto vedere, ma tutta la religione cristiana è imperniata sul fatto che qualcuno l'ha visto, ci ha parlato, ci è uscito a cena, si è fatto uomo... è il Dio dei teologi che nessuno ha mai visto, ma quello sarà un problema loro. Non c'è nessuno bisogno di tacere a riguardo.
Nelle Scritture in uso dai cristiani i Testamenti sono due, i Vangeli quattro, e ci sono pure le Lettere. In una di queste (1Giovanni 4, 12) è scritto:
"Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi."
[Versione: CEI]
"Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi."
[Versione: Nuova Riveduta]
La religione e fede cristiane non fanno uso di idoli, tantomeno se a far da idolo è un uomo.
Dio-uomo non è uomo=Dio.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 13:17:27 PMChiacchiere che sono relative a una realtà? Certo che le chiacchiere non sono un balbettio, ma definire il teologo nient'altro che un chiacchierone è di chi non lo ha capito proprio.
Evidentemente soffri di una sindrome da accerchiamento, perchè io i teologi non li ho nemmeno nominati.
Pazienza, perché comunque, a parte ciò, interessanti sono i tuoi post.
In ogni caso che le parole trattengono la verità non significa nulla.
Certo, si può provare a tradurre in parole ciò che come parola non è nato, ma il paradosso è che quando si trovasse una perfetta traduzione, potendosi ogni discorso negare, quella verità non sarebbe più tale, entrando nella sfera del dubbio sistematico.
Io dico che la verità non esiste, ma dovrei dire più propriamente che una verità svelata smette di essere tale.
Io non cerco la verità, ma voglio svelarla, e da quanto detto sopra si dovrebbe cogliere la sottile differenza fra le due cose.
Un verità da svelare perchè possa divenire oggetto di contemplazione, non mi interessa.
Mi interessa quella verità che una volta svelata, diventi motivo di crescita, negandola.
Infatti credo che certe verità siano la nostra essenza, la quale si può mutare solo cogliendole.
Stare in contemplazione dell'eterna verità per me è una diversa definizione di morte.
Io, in quanto vivo, sono divenire, e sono curioso di sapere chi sono solo per poter cambiare, perchè nel momento in cui scopro chi sono io non lo sono più
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 13:37:48 PMLa religione e fede cristiane non fanno uso di idoli, tantomeno se a far da idolo è un uomo.
Non metto in dubbio queste buone intenzioni, ma se poi si dice che un testo è sacro, allora si sta facendo della scrittura un idolo, e se poi si considera che la scrittura è cosa umana, ancor peggio, perché, seppur indirettamente, si sta facendo dell'uomo un idolo.
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 13:37:48 PMDio-uomo non è uomo=Dio.
evidentemente non si tratta di una uguaglianza matematica classica, perchè essendo quella commutativa, da essa risulterebbe che se A=B, allora B= A.
Comunque con questa uguaglianza non commutativa, che rimane pur sempre un espressione matematica, hai detto in breve il succo di tanti discorsi che annodandosi su se stessi, diviene difficile poi districare per fare un analisi critica
Invece, grazie alla brevità di discorso che hai usato, chi volesse cogliervi un paradosso può facilmente farlo.
Questo in fondo è proprio il potere del linguaggio matematico, che grazie alla sua schematicità, sfrondato del superfluo, ci permette di prendere posizione con maggior cognizione di causa.
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 11:47:51 AMNon hai letto bene il mio testo. Io non ho fatto attentato alla libertà di pensiero. La saggezza ha da insegnare al libero pensatore, non la censura.
Dovrei riportare dove lo hai scritto, per non avere poi da te risposta?
Questa volta mi astengo.
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 11:47:51 AMSei tu invece che quando dici di chiacchiere offendi la mentalità religiosa, come si deduce dai tuoi messaggi successivi.
L'idea di una metafisica he non può essere smentita solo perché tace le proprie premesse è valida solo in certe situazioni, non nel riferirla ai limiti del puro linguaggio.
MAURO PASTORE
Offendendo la mentalità religiosa non offenderei Dio, non essendo un credente, ma una delle essenze dell'uomo, e quindi l'uomo, e questo io non l'ho mai fatto.
Se esci un pò dalla sindrome di accerchiamento te ne renderai ben conto.
Dire che certe cose sono valide solo in certe situazione, senza specificare quali, è un modo contorto di dare ragione senza prendersi il torto.
Citazione di: PhyroSphera il 05 Luglio 2025, 13:37:48 PMNelle Scritture in uso dai cristiani i Testamenti sono due, i Vangeli quattro, e ci sono pure le Lettere. In una di queste (1Giovanni 4, 12) è scritto:
"Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi."
[Versione: CEI]
"Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi."
[Versione: Nuova Riveduta]
La religione e fede cristiane non fanno uso di idoli, tantomeno se a far da idolo è un uomo.
Dio-uomo non è uomo=Dio.
MAURO PASTORE
Se vuoi concordare con me che l'esaltazione di Gesù a Dio sia un invenzione teologica del 1-4 secolo dc, benvenuto nel club degli evemeristi, altrimenti dovrai riconoscere che la teologia cattolica indica che sono la stessa persona, in quale relazione tra di loro se uguale o trattino o parentesi, come diceva Don Gallo (e curiosamente, come dicono i fisici della quantistica) chi dice di averci capito tutto non ci ha capito niente. Giovanni poi, il più convinto a riguardo, che dica il contrario magari pagina dopo non sorprende visto la coerenza di quei testi, ma possibile che non sapesse di tutti gli incontri tete a tete che Dio ha avuto con l'uomo nell'antico testamento?
Citazione di: Phil il 05 Luglio 2025, 12:00:05 PM«Divinità epistemologicamente infalsificabile» significa che su di essa non c'è discorso veritativo in senso scientifico, o anche solo gnoseologico; questa precisazione paradigmatica non è anti-religiosa, è invece proprio ciò che dà senso alla fede in quanto tale, salvaguardandone la lingua dogmatica e assolvendola dall'onere metodologico di argomentazioni rigorose e probatorie. La confusione fra a-religioso e anti-religioso spesso inquina anche i discorsi più attenti.
Quella sul gender degli angeli era una battuta, seppur non priva di un "doppiofondo" serio.
Le argomentazioni rigorose e probatorie, sono infatti per me indice di una fede ancora non compiuta, come lo sono inevitabilmente tutte le fedi dichiarate.
Stante in alcuni la forte necessità di credere, (che io comprendo), se è con le parole che la si è indebolita, non è con un diluvio di parole che si rinforzerà. la fede, e questo è quel che mi pare facciano i teologi.
Tentare di giustificarla poi con argomentazioni scientifiche poi , quando la scienza esclude per statuto la fede dal proprio orizzonte, è un capolavoro di paradossalità, ma è allo stesso tempo la prova che anche quello dotato di maggior fede della scienza non può non tener conto.
Ma se in tal modo si usa la scienza, ciò è segno che la scienza stessa si è insinuata impropriamente come una fede, e ciò non giova ne alla scienza ne alla fede.
Citazione di: iano il 05 Luglio 2025, 15:08:29 PMStante in alcuni la forte necessità di credere, (che io comprendo), se è con le parole che la si è indebolita, non è con un diluvio di parole che si rinforzerà. la fede, e questo è quel che mi pare facciano i teologi.
Giusto per riprendere il già citato Giovanni: «Gesù gli disse [...] beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (o «hanno creduto», a seconda della versione; Gv 20, 29). Il discorso sulla fede religiosa inizia e finisce qui («
Credo quia absurdum» e dintorni), con questa semplicità teoretica che è difficoltà esistenziale. Forse anche per questo le divinità, se non erro, solitamente non scelgono di manifestarsi per parlare a dotti teologi o verbosi esegeti, ma ad interlocutori ben più semplici e dottrinalmente "impreparati".
Chiamare in causa la psicologia, l'antropologia, etc. a sostegno della fede religiosa è come chiamare in causa l'astronomia per sostenere il terrapiattismo; non è esattamente una buona strategia argomentativa; per capirlo basta considerare cosa sia la divinità per tali discipline.
Quello che infatti spesso sfugge ai credenti, in modo direttamente proporzionale alle loro "attitudini filosofiche", è che (come avrò già detto in passato) partono a cavallo per andare a cercare un "cavallo vincente", quando in realtà lo stanno già (maldestramente) cavalcando: la fede. L'arrovellarsi fra dati, studi comparativi, esperimenti e
peer-review (che non sarebbe guastata agli evangelisti, ma all'epoca non era troppo di moda), è un cruccio che il credente può agevolmente scrollarsi di dosso semplicemente recitando il Credo con convinzione. Come detto sopra: teoreticamente semplice, ma esistenzialmente difficile.
Se poi ciò non basta, o peggio, viene recitato a cantilena senza fede, non è certo alla scienza che è opportuno chiedere spunti motivazionali per la propria fede; tanto più se ciò che di indirettamente favorevole viene proposto viene poi letto come anti-religioso.
Non credo giovi troppo nemmeno fare dei testi sacri un'opera crittografica, le cui chiavi di decifrazione sono nascoste nel "cuore di ognuno", in esoterismi cabalistici o in un "sentire comune" ereditato da epoche in cui la pioggia era la collera degli dei ed era da "sciamani" sapersi relazionare al divino (nessun dio ha mai chiesto di istituire cattedre di teologia e, vedi sopra, si relaziona poi "di fatto" con i non dotti; ciò è eloquente, in molti sensi).
Se si ha davvero fede in un dio, non c'è scienza o scoperta filologica che possa accrescerla in modo significativo; se invece si cerca di puntellare il proprio credo con riscontri epistemici, "alleanze" interdisciplinari o simili, allora la cavalcata sarà ancora lunga.
Citazione di: Phil il 05 Luglio 2025, 18:15:05 PMGiusto per riprendere il già citato Giovanni: «Gesù gli disse [...] beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (o «hanno creduto», a seconda della versione; Gv 20, 29).
Mi pare che la scienza, o il nostro senso comune, questo passaggio lo ha dovuto affrontare, nella sua evoluzione.
Se credere è vedere senza usare gli occhi, la scienza, senza credere, degli occhi ha saputo fare a meno. Allo stesso tempo, una teoria scientifica, dove pure l'immaginazione non ci viene in aiuto per la sua comprensione, ha il valore di una visione.
Io non credo nella madonna, ma credo che qualcuno l'abbia vista, perchè la visione è il risultato di una elaborazione di dati reali, che dalla realtà può del tutto discostarsi.
Ciò che vediamo non è la realtà, ma diventa il mondo in cui viviamo, che non riesco a pensare possa apparirci se sotto non vi è una fede, proprio come succede per la madonna.
La differenza sostanziale, è che condividiamo la visione del mondo, ma non quella della madonna. la visione del mondo non si può assimilare alla realtà, proprio come succede per la madonna, la cui visione però non condividiamo, perchè diverse sono le fedi che sostengono le diverse visioni, e non tutti le possediamo in egual misura.
Il mondo ci appare ogni volta che apriamo gli occhi per via di una fede che non possiamo ripudiare, perchè non sappiamo di avere, cioè la più potente delle fedi.
Nessun mondo ci appare invece quando studiamo una teoria fisica, perchè essa non si basa su alcuna fede.
Siamo così passati dal ''credo solo se vedo'' di San Tommaso, al ''vedo se credo'' di san Giovanni, e infine a un vedere e credere non strettamente necessari, della scienza.
Tutti questi doversi modi hanno in comune di consentire di rapportarsi con la realtà, senza dover sapere cosa sia veramente.
Aggiungo che non solo non sappiamo cosa sia, ma non ha senso cedere di poterlo sapere.
Se saperlo non ha senso, questo non denota un limite per l'osservatore, ma lo definisce come colui che si rapporta con la realtà.
L'osservatore non ha limiti perchè il suo divenire non è un percorso con confini da superare.
Egli avrebbe dei limiti, solo se quei confini esistessero, e gli fosse precluso di superarli.
Tracciare dei segni sulla realtà è solo uno dei modi possibili di far apparire un mondo, che perciò ci apparirà fatto di confini.
Le fedi dichiarate sono quelle che forzano le fedi non dette, e la fede in Dio è una di queste forzature.
Avere a che fare con Dio significa avere a che fare con la fede in un mondo che trascende i sensi, che al pari di quello che ci appare ''non è reale'', nel senso che non è la realtà, ma una istruzione su come agire nella realtà.
Un istruzione che non è univoca, il che comporta che non smetteremo mai di evolverci insieme alle nostre mappe della realtà
Citazione di: Phil il 05 Luglio 2025, 18:15:05 PMGiusto per riprendere il già citato Giovanni: «Gesù gli disse [...] beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (o «hanno creduto», a seconda della versione; Gv 20, 29). Il discorso sulla fede religiosa inizia e finisce qui («Credo quia absurdum» e dintorni), con questa semplicità teoretica che è difficoltà esistenziale. Forse anche per questo le divinità, se non erro, solitamente non scelgono di manifestarsi per parlare a dotti teologi o verbosi esegeti, ma ad interlocutori ben più semplici e dottrinalmente "impreparati".
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Quello che infatti spesso sfugge ai credenti, in modo direttamente proporzionale alle loro "attitudini filosofiche", è che (come avrò già detto in passato) partono a cavallo per andare a cercare un "cavallo vincente", quando in realtà lo stanno già (maldestramente) cavalcando: la fede. L'arrovellarsi fra dati, studi comparativi, esperimenti e peer-review (che non sarebbe guastata agli evangelisti, ma all'epoca non era troppo di moda), è un cruccio che il credente può agevolmente scrollarsi di dosso semplicemente recitando il Credo con convinzione. Come detto sopra: teoreticamente semplice, ma esistenzialmente difficile.
Riporto il versetto integrale del vangelo di Giovanni: "Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»". A differenza di Gesù ritengo che la fede basata sull'esperienza sia diversa e preferibile rispetto a quella rivelata. A differenza di iano, ritengo che le sensazioni (vedere, udire, ...) siano parti primarie del sistema mentale, precedenti ed indipendenti dalla fede, secondaria.Perciò la fede non è il cavallo vincente della religione, ma il cavallo di Troia, che spiega la sua inferiorità, arretratezza rispetto alla tecnica, alla scienza e alla filosofia. La "difficoltà esistenziale" è il sintomo della sua inferiorità.
Citazione di: baylham il 08 Luglio 2025, 12:15:47 PMA differenza di Gesù ritengo che la fede basata sull'esperienza sia diversa e preferibile rispetto a quella rivelata.
La chiamerei meglio, fede nei fatti.
Fino a un certo punto mi pare che la scienza si sia basata su questa fede, finché, presentandosi alla nostra attenzione fatti ai quali era difficile porre fede, ad ogni fede la scienza ha rinunciato, per non dover buttare via i fatti con l'acqua sporca.
Insomma, i fatti per la scienza contano indipendentemente dalla fede che vi si pone, e se non vi si pone fede, ancor meglio, perché non si presenterà il problema poi di doverla togliere.
In ogni caso il discorso di Gesù mi sembra attuale.
Cioè io lo condivido senza dovervi porre fede, cosa di cui aveva invece bisogno chi lo ha ascoltato dal vivo.
Beato chi crederà dunque, ma ancor più chi ne può fare a meno..
Un altro esempio dell'attualità del pensiero di Gesù, detto fra il serio e il faceto:
''Beati i poveri di spirito, perchè di loro sarà il regno''. Sembra la profetizzazione del dominio dell'AI sull'uomo.
E qui finisce il mio repertorio di frasi del vangelo.
Se voi ne conoscete altre provate a riattualizzarle, anche solo per gioco, al modo degli esempi che ho fatto sopra . :)
Citazione di: baylham il 08 Luglio 2025, 12:15:47 PMA differenza di iano, ritengo che le sensazioni (vedere, udire, ...) siano parti primarie del sistema mentale, precedenti ed indipendenti dalla fede, secondaria.
Non è la fede ad essere secondaria, ma coerentemente col tuo discorso, ci sono fatti non primari, cioè quelli che non essendo riferibili alle ''parti primarie del sistema mentale'', diventa perciò difficile porvi fede.
Quindi le cose sono due, o si rinuncia a porvi fede rinunciando ai fatti, o si salvano i fatti rinunciando al dovervi porre fede perchè tali li si possa considerare.
Ci sono cose che non possiamo capire.
Rinunciare a capirle può sembrare inaccettabile, ma lo sarà di meno una volta realizzato che quelle che abbiamo capito non sappiamo dire come abbiamo fatto a capirle.
Voglio dire, se del comprendere avessimo fatto metodo, basterebbe applicarlo per distinguere con certezza ciò che si può capire da ciò che non si può, e di ciò che non possiamo capire sapremmo dunque il perché.
Ora, noi un metodo ce lo abbiamo, quello scientifico, ma non so se sia proprio il metodo di cui sopra, se Bohr ci dice che non ha capito niente chi crede di aver capito applicando il metodo, anche se lui si riferiva solo alla meccanica quantistica.
Quindi in sostanza egli ci dice, seppur c'è stato un tempo in cui avete creduto di capire, dimenticatevene.
Dovremo dunque disimparare tutto ciò che credevamo di sapere?
In un certo senso è così.
Dovremo cioè portare fino in fondo il programma filosofico di Socrate, non limitandoci ad affermare di sapere di non sapere, ma dimostrando che davvero non lo sappiamo.
Citazione di: baylham il 08 Luglio 2025, 12:15:47 PMla fede non è il cavallo vincente della religione, ma il cavallo di Troia, che spiega la sua inferiorità, arretratezza rispetto alla tecnica, alla scienza e alla filosofia.
La fede è il cavallo vincente
della religione se la corsa è quella per autogiustificarsi: il senso del mio discorso era che appellarsi alla razionalità, alle scienze umane, etc. è controproducente,
se lo scopo
del credente è quello di sostenere la propria fede.
Ovviamente per un non credente la fede non è certo il cavallo vincente per la confutazione delle idee religiose (difficile confutare l'infalsificabile), ma questa è tutta un'altra corsa e non è quella per cui ho citato Giovanni.
Superfluo osservare che quando Cristo definisce «beati» coloro che credono senza aver visto, non sta dando lezioni di metodo scientifico né su come usare le percezioni per studiare il mondo che ci circonda.
Citazione di: baylham il 08 Luglio 2025, 12:15:47 PMLa "difficoltà esistenziale" è il sintomo della sua inferiorità.
Inferiorità su quale piano? Questo è il passo falso: se non si distingue il piano esistenziale da quello scientifico, si rischia di commisurare fede e scienza su un piano trasversale che epistemologicamente non esiste, come accadeva nel medioevo quando si usava la Bibbia per capire come fosse fatto il cosmo. Errore speculare sarebbe affermare che ci pensa la scienza (o peggio, i sensi) a dare le risposte esistenziali che alcuni cercano, come se l'etica o la semantica esistenziale in genere fossero "scientificabili" (mi si passi il neologismo).
Confondere fede religiosa e "fede" non religiosa è un buon primo passo per cadere nella caverna in cui non si distinguono gli oggetti dalle ombre (senza scomodare le solite "vacche che son tutte nere").
La religione "salva" il mondo pur senza migliorarlo o trasfigurarlo di una virgola.
Lo salva, questo mondo, e lo traghetta, attraverso il tempo, conferendogli una conservazione e una durata, per come esso e'. E non certo per come dovrebbe, o tanto meno, potrebbe, essere.
Facendo epoca, nel migliore dei casi, non solo per se stessa, in quanto epoca della "salvezza" come desiderio e desiderabile assoluto, ma anche come prodromo di una eventuale epoca successiva, in cui la salvezza umana stessa, il desiderio di sopravvivere sostanzialmente immutati per sempre, e per come attualmente si e', potrebbe iniziare, a fare problema.
In altre parole, bisogna ammattere che il mondo, questo mondo, ha in se' abbastanza negativita' (guerra, entropia, vecchiaia, sofferenza e chi piu' ne ha piu' ne metta) da non poter esistere senza una qualsivoglia metafisica/religione come fenomeno umano e della caparbia e irrazionale speranza umama, ma non e' neanche detto che cio' di per se' sia un bene, cioe' non e' detto che l'esistenza stessa di questo mondo, obbiettivamente nella sua essenza "salvato" (ma non in alcun senso redento) dalla religione sia un bene.
Insomma il valore etico della religione e' strettamente legato al valore etico del mondo e della mondanita', e piu' la religione come un bambino isterico e capriccioso scalpita per emanciparsi dal mondo e dal mondano, piu' lo dimostra.
Proprio perche' quanto viene salvato e redento dalla religione, e dai contenuti letterali, letterari e spirituali della religione stessa almeno da quando essa e' religione del libro, cio' che in ultima analisi si salva dal diluvio e scende "dall'arca", e' proprio questo mondo cosi' com'e' con tutti i suoi disastri e guai compresa la contina illusione e disillusione umana, e non gia' mai questo (un altro) mondo per come esso idealmente, o a misura media di uomo, dovrebbe essere.
La "salvezza", di fatto avviene, la la "trasfigurazione, no. Ed ecco che la religione, con la sua molto pratica e paziente opera, salva la quiddita' e l'eterno ritorno identico, non certo la bonta' o la razionalita', di questo mondo.
Se vogliamo, da', quantomeno a chi in essa crede, la forza di andare avanti e sopportare, tutti o quasi i mali del mondo, senza alcuna visitazione divina o alcuna certezza. E questo, in un certo senso, ad onta, e ad evidente fallimento, quanto meno delle piu' letterali, affermazioni e verita' della religione stessa. Son duemila anni, che quaggiu' aspettiamo il ritorno in gloria del Cristo, le cose ultime, il giudizio finale eccetera eccetera.
E dunque il tipo umano in grado di volere il mondo, e' anche il tipo umano in grado di volere la metafisica e la religione, cioe' la umanissima, e facilissimamente rendicontabile e spiegabile speranza, che, pur falsa, o quantomeno inverificabile, fa andare avanti, e nonostante tutto, il mondo. Oggi, sublimata magari non in Dio, ma nel capitale e nella teconoscienza ma insomma per prossimita' siamo sempre li', non ci siamo evoluti molto dal medioevo ad oggi, c'e' sempre una ideologia paradisiaca, che giustifica un mondo obbiettivamente nullo ed invivivibile.
Il paradiso nessuno lo vede, ma il leopardiano sabato del villaggio e' sempre piu' bello, pare, ai nostri occhi, della domenica. E dunque, sublimazione di genitori onnipotenti, ventate di ottimismo, razionalismo, astute strategie politiche per far dapprima sopravvivere, e infine irrazionalmente e contro ogni pronostico prosperare, i perdenti e i decadenti in un mondo sostanzialmente spietato e pericoloso, eccetera eccetera. Non importa che sia vero, importa che funzioni, per tutti quegli artifici antropologici e psicologici che non sono, superfluo puntello della fede, ma scopo ultimo della sua esistenza. Cioe' farci andare avanti e sopravvivere, in quanto animali umani, in un mondo quantomeno difficile, per non dire di melma. Reso ancora piu' difficile dai nostri, umani, civili e civilizzati "adattamenti", magari funzionali, ma certo molto onerosi, in termini di tempo ed energie da dedicarvi. Lo stato psicologico, del sabato, del villaggio, e' piu' necessario, finanche dello stato psicologico della domenica.
L'uomo in grado di volere il mondano, il terrigno, il materiale e il mondo, e' anche l'uomo in grado di volere, per cosi' dire, "la religione", cioe' l'innegabile ultilita' sociale e psicologica, laicamente valutata e valutabile, della religione stessa. La religione come grande adattamento umano all'ambiente, interno ed esterno. Per come essa, si e' storicamente manifestata, e per il tempo e l' "epoca" che essa ha fatto. Stante che io, da ateo, non ci posso vedere ne' intendere niente di male, a ridurre integralmente la religione, alla sua utilita' sociale e psicologica. A non vederci "dentro", dentro la religione intendo, niente e nulla, di altro. Sarei ipocrita, se non, lo facessi.
Citazione di: iano il 05 Luglio 2025, 14:12:45 PMEvidentemente soffri di una sindrome da accerchiamento, perchè io i teologi non li ho nemmeno nominati.
Pazienza, perché comunque, a parte ciò, interessanti sono i tuoi post.
In ogni caso che le parole trattengono la verità non significa nulla.
Certo, si può provare a tradurre in parole ciò che come parola non è nato, ma il paradosso è che quando si trovasse una perfetta traduzione, potendosi ogni discorso negare, quella verità non sarebbe più tale, entrando nella sfera del dubbio sistematico.
Io dico che la verità non esiste, ma dovrei dire più propriamente che una verità svelata smette di essere tale.
Io non cerco la verità, ma voglio svelarla, e da quanto detto sopra si dovrebbe cogliere la sottile differenza fra le due cose.
Un verità da svelare perchè possa divenire oggetto di contemplazione, non mi interessa.
Mi interessa quella verità che una volta svelata, diventi motivo di crescita, negandola.
Infatti credo che certe verità siano la nostra essenza, la quale si può mutare solo cogliendole.
Stare in contemplazione dell'eterna verità per me è una diversa definizione di morte.
Io, in quanto vivo, sono divenire, e sono curioso di sapere chi sono solo per poter cambiare, perchè nel momento in cui scopro chi sono io non lo sono più
Tu non nomini i teologi? in ogni caso la vostra critica è rivolta proprio ai teologi.
Tu sei volto alla verità della dialettica mondana e ti scordi della limitatezza della tua ricerca e ti opponi all'altro senza accettarlo. Nessuno vi chiama in causa; voi con le vostre piccolezze invadete le altrui sfere intellettuali.
La dialettica chiusa che voi praticate contiene il Negativo, restando nella chiusura non si può accedere al Positivo costituito da Dio e si soccombe. Se invadete le altrui sfere, ci lasciate pure le spoglie e prima di terminare la vostra impresa ponete a noi problemi che dovreste risolvere voi.
Relazionarsi a Dio non significa perenne contemplazione. Ci dovrebbe essere da parte vostra attenzione agli
altri, invece voi fate la guerra coi sofismi senza sapere neppure a chi fate guerra.
MAURO PASTORE
Citazione di: iano il 05 Luglio 2025, 14:21:28 PMNon metto in dubbio queste buone intenzioni, ma se poi si dice che un testo è sacro, allora si sta facendo della scrittura un idolo, e se poi si considera che la scrittura è cosa umana, ancor peggio, perché, seppur indirettamente, si sta facendo dell'uomo un idolo.
Non imputare agli altri la tua distorta concezione del sacro. Si sa bene che il sacro non è Dio e che un libro è un libro.
Citazione di: iano il 05 Luglio 2025, 14:26:14 PMevidentemente non si tratta di una uguaglianza matematica classica, perchè essendo quella commutativa, da essa risulterebbe che se A=B, allora B= A.
Comunque con questa uguaglianza non commutativa, che rimane pur sempre un espressione matematica, hai detto in breve il succo di tanti discorsi che annodandosi su se stessi, diviene difficile poi districare per fare un analisi critica
Invece, grazie alla brevità di discorso che hai usato, chi volesse cogliervi un paradosso può facilmente farlo.
Questo in fondo è proprio il potere del linguaggio matematico, che grazie alla sua schematicità, sfrondato del superfluo, ci permette di prendere posizione con maggior cognizione di causa.
Questa tua lezione è sbagliata ed ancora peggio la supponenza che l'accompagna.
Ad applicare nel nostro caso la matematica, si deve fare così:
A⊇B),
A contiene B, dove per A si intende Dio, per B l'uomo, nella assunzione dell'umanità da parte di Dio in Cristo.
Limitatamente all'incarnazione in Gesù Cristo, vale:
B⊂A,
B appartiene ad A.
Se tu non fai riferimento al vero dogma cristiano e scambi il discorso cristologico per un altro, la matematica ti segue ma resti senza verità (
fuori dall'insieme dei numeri reali, direbbe Pitagora se esistesse oggi e frequentasse le nostre Facoltà di matematica - pure lui in Dio ci credeva).
Non siamo noi credenti ad avere la mente ingombra di 'grovigli'.
P.S.
Ringrazio "iano" per il divertimento procuratomi stamattina dietro ai simboli ed elementi matematici. E' stato come giocare a biliardo.
MAURO PASTORE
Il credo perchè credo sarà pure logicamente più elegante, Phil, tautologicamente elegante ed emotivamente rasserenante, ma cosa te ne fai nella vita di relazione? Per forza il credente deve ancorarsi al reale si deve contaminare di epistemologia, come produrre valori se ogni principio è motivato a priori. E' una fantasia "totalitaria" che esiste nelle aspirazioni dei santi che vivono in cima al monte, ma il cristiano così come tutti gli altri vuole capire agire e motivarsi.
Citazione di: InVerno il 09 Luglio 2025, 12:29:51 PMIl credo perchè credo sarà pure logicamente più elegante, Phil, tautologicamente elegante ed emotivamente rasserenante, ma cosa te ne fai nella vita di relazione?
La vita di relazione è dove dovrebbero essere
applicati i dettami etici della propria fede, dovrebbe essere il campo da gioco del proprio credo religioso. Per relazionarsi socialmente ed eticamente con un'altra persona non è poi così rilevante se deriviamo delle scimmie, se Gesù si è mai sbucciato le ginocchia giocando con gli amichetti, etc. la fede autoreferenziale del credente funge da
giustificazione del suo agire in un certo modo con gli altri. La dissociazione fra «credo in x, ma poi faccio y», è un'incoerenza mal vista anche fra i credenti, anche secondo il loro credo.
Citazione di: InVerno il 09 Luglio 2025, 12:29:51 PMPer forza il credente deve ancorarsi al reale si deve contaminare di epistemologia
Questo doversi "ancorare epistemologicamente al reale" è ciò che spiga come mai ci siano scienziati che
nonostante assieme alle proprie ricerche scientifiche possono concedersi anche ricerche di dio senza essere incoerenti (v. sopra) o semplicemente essere credenti. Le domande a cui risponde la fede non sono le stesse che si pone la scienza epistemica (v. sopra sulla "distinzione dei piani"); le scienze sociali forniscono più analisi e contesto per le risposte che risposte fruibili (e quelle che lo sarebbero, solitamente non piacciono proprio perché contingenti e contestuali, mentre l'uomo preferisce solitamente, oggi come ieri, la fermezza degli assoluti). Quando il credente si "contamina" con discorsi veritativi di stampo scientifico non deve necessariamente mettere in discussione i propri dogmi
esistenziali (per questo precisavo che usare la Bibbia come astrolabio o come manuale di genetica non è esattamente un'idea coerente con il suo valore religioso; «non come va il cielo, ma come si va in cielo» diceva diplomaticamente qualcuno distinguendo la teologia dalla astronomia).
Citazione di: InVerno il 09 Luglio 2025, 12:29:51 PMil cristiano così come tutti gli altri vuole capire agire e motivarsi.
Capire, agire e motivarsi: per il capire, in ambito etico-relazionale, le religioni non possono andare oltre le loro teo-logie, che comunque, proprio in virtù della suddetta infalsificabilità, vanno per qualcuno (
de gustibus) un passo più avanti di qualunque etica o politica atea (anch'esse inevitabilmente autoreferenziali, ma con l'aggravante dell'immanentismo, al netto di fallacie naturalistiche). Per l'agire e il motivarsi, le fedi propongono "manuali" non in contrasto con le scienze, ma semmai in contrasto fra loro; quindi anche qui l'epistemologo e lo scienziato non vanno in conflitto di interessi se nei giorni festivi vanno a messa, dopo aver passato i feriali a studiare genomi o fare ricerche sociologiche.
Per fare un esempio concreto: se chiedo a un credente se e perché è sbagliato uccidere con la pena capitale, costui mi citerà il comandamento pertinente, ponendo il discorso nel vicolo cieco del dogmatismo, per cui la conversazione non potrà svilupparsi in autentiche argomentazioni (che non siano circoli viziosi). Se invece faccio la stessa domanda ad un non credente, costui mi risponderà con opinioni derivate dal suo paradigma etico-politico, di cui potremmo discutere a lungo, o almeno fin quando non indagheremo il
fondamento di tale paradigma che, non essendo di matrice divina, risulterà o "ateisticamente dogmatico" o opinabile come le opinioni che esso stesso genera.
Citazione di: PhyroSphera il 09 Luglio 2025, 09:36:16 AMQuesta tua lezione è sbagliata ed ancora peggio la supponenza che l'accompagna.
Ad applicare nel nostro caso la matematica, si deve fare così:
A⊇B), A contiene B, dove per A si intende Dio, per B l'uomo, nella assunzione dell'umanità da parte di Dio in Cristo.
Limitatamente all'incarnazione in Gesù Cristo, vale:
B⊂A, B appartiene ad A.
Quale supponenza?
Era una lode fatta a te, che con poco avevi detto molto, cioè l'esatto contrario di ciò che di solito fai, dicendo poco con tanto.
Quindi se ho sbagliato, ho sbagliato solo a lodarti, cosa che in effetti tu con questo post mi confermi.
Vedi, il vero problema di chi crede nella verità, è che ha la presunzione di poter dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, usando quella supponenza che tu critichi, ma che usi. Una bella contraddizione no?
Se la logica non ci può portare alla verità, ci può però indicare chi nel cercarla si impappina, come succede a te, e che inevitabilmente succede a tutti quelli che ci credono, se la verità non esiste, per cui, nel caso, saresti ampiamente scusato.
Non che il credere nella verità debba portare solo a contraddizione e a nulla di buono, perché ciò significherebbe togliere ogni valore alla storia che ci ha preceduto, ma delle sue conseguenze negative tu sei il paradigma.
Sei superato, ma chi non gioirebbe incontrando un uomo che dal passato una macchina del tempo avesse catapultato fra noi?
In tal senso sei per me qualcosa di molto prezioso.
Non gioirei allo stesso modo se dal DNA facessero risorgere un dinosauro.
Quindi, per carità, tutto dovresti fare meno che tacere, facendoci venire a mancare una testimonianza così preziosa.
Citazione di: PhyroSphera il 09 Luglio 2025, 09:36:16 AMNon imputare agli altri la tua distorta concezione del sacro. Si sa bene che il sacro non è Dio e che un libro è un libro.
E dunque cosa è per te sacro, se la bibbia non lo è ?
Io direi che se uno crede che attraverso la bibbia Dio stesso gli parla, allora considererà quel testo come sacro.
Che Dio possa usare il nostro linguaggio per parlarci è ciò che io considero strano, come se non avesse altri modi per toccarci il cuore.
E' rilevante se proveniamo dalle scimmie o meno, perchè descrive la nostra posizione nel cosmo e interi set di valori si generano a cascata da questo, se un credente difende questa posizione tautologicamente rende non contendibile un intera porzione etica del suo universo, irrelazionabile, non solo per gli altri ma per lui per primo. Non argomento che sia impossibile, ci mancherebbe, argomento al massimo che non sia soddisfacente in senso pienamente umano del termine, i testi sacri stessi lo dimostrano, quelli cristiani più di tutti, quanto vedere è importante, per fare un esempio a caso, i Vangeli sono stati attribuiti a nomi di persone che in teoria avevano visto perchè si riteneva sin dagli inizi del cristianesimo che chi aveva visto aveva autorità più degli altri, il genere stesso del testamento è riassumibile in "ecco ciò che altri han visto".
Certo i piani sono distinti, perchè uno esclude mutualmente l'altro espandendosi, oggi vedi i casi di scienziati credenti, una volta invece era proprio l'intera università ad essere un istituzione del credo, tutte le università europee. Hai usato la metafora dell'andare a cavallo, ce ne sono anche alcune che parlano di cadute da cavallo e da persone che giuravano di voler scendere. Quando l'antico testamento è stato scritto, l'idea che il cielo fosse uno scolapasta coperto da un oceano volante era scienza, la meglio scienza dell'area peer reviewed da altri ignoranti come l'autore, e quella specifica credenza, accordandosi con l'ordine della creazione, dava legittimità e autorità a Dio e al testo. Oggi si può dire che non frega niente e che si crede perchè è così, ma tutti sanno e tu per primo, che questo non è un argomento fungibile, è un meccanismo di autodifesa, confondere le due cose farà comodo a chi pratica la seconda, ma non deve illudere chi come te o me guarda dall'esterno. Quando ho letto le riflessioni di cristiani importanti ho letto di idee che ritenevano "contendibili", che ritenevano valesse la pena mettere sul piatto, spiegare, dimostrare, approfondire, se il dogmatismo fosse bastato a se stesso non avremmo una cultura cristiana e neanche una Bibbia.
Il mio argomento è che lontano dall'essere una posizione realmente ottenibile, il "credere per credere" sia poco più di un meccanismo di autodifesa che il credente usa in certi punti specifici della sua narrazione interna, un passpartout temporaneo per risolvere contraddizioni e diacronie, ma non esiste nella realtà umana esperita e non può giustificare da solo il credere, altrimenti la prima cosa che bisorrebbe fare per questi che ci riescono è gettare la Bibbia dalla finestra, cancellarla dalle proprie memorie, perchè è un libro che tramanda ciò che altri sostengono di aver visto, l'unico mezzo al tempo disponibile, la scrittura, per soddisfare il nostro bisogno di vedere nella profondità del tempo.
Risposta a Phil
La fede e la credenza sono atteggiamenti mentali che si trovano nella religione e nella magia come nella filosofia, nella scienza e nella tecnica. La differenza è data dall'evento oggetto della fede.
Nella religione e nella magia, a differenza della scienza, della tecnica e della filosofia, la fede considera possibile l'impossibile e impossibile il possibile. In questo modo la fede può logicamente sostenere qualunque evento. Ciò costituisce la inferiorità ed arretratezza della religione rispetto alla scienza, alla tecnica e alla filosofia e spiega la sua "difficoltà esistenziale" di cui il sentimento del peccato è l'evidente espressione.
Citazione di: InVerno il 11 Luglio 2025, 11:27:16 AME' rilevante se proveniamo dalle scimmie o meno, perchè descrive la nostra posizione nel cosmo e interi set di valori si generano a cascata da questo
Risulta rilevante per la scienza, ma non per un credente. Nel momento in cui un credente si considera "figlio di Dio" (parlo del cristianesimo, ma suppongo il discorso possa essere traslato facilmente anche in altre religioni), può anche credere che la storiella di Adamo sia falsa e la scienza abbia ragione a parlare di primati, perché ciò è
compatibile con il suo esser figlio di Dio. Ti dirà che il vecchio testamento va interpretato metaforicamente, che è irrilevante per il nuovo testamento e la "nuova alleanza" perché Cristo non ha parlato di cosmologia o biologia, ma di valori etici, etc. valori etici che non si generano a cascata da
come è stato generato il cosmo o l'uomo (poiché il "da chi", per il credente, ha già una risposta), ma si generano, dogmaticamente, da ciò che Cristo ha detto (l'anno zero è anche anno zero per l'etica cristiana e la cosmologia biblica non risulta un intralcio per tale etica).
Citazione di: InVerno il 11 Luglio 2025, 11:27:16 AMi testi sacri stessi lo dimostrano, quelli cristiani più di tutti, quanto vedere è importante, per fare un esempio a caso, i Vangeli sono stati attribuiti a nomi di persone che in teoria avevano visto perchè si riteneva sin dagli inizi del cristianesimo che chi aveva visto aveva autorità più degli altri, il genere stesso del testamento è riassumibile in "ecco ciò che altri han visto".
La testimonianza dei Vangeli è infatti oggetto di fede, basata sulla percezione
altrui, che proprio essendo altrui e non più
verificabile, per essere
creduta oggi richiede fede. Ma non una generica fede che, come dice
baylham (a cui rispondo sotto), confonde possibile e impossibile e rende qualunque evento credibile; ciò che va creduto, in una religione, è estremamente
preciso ed è anche
permanente, non può essere cambiato a piacere perché «per la fede tutto è possibile» (si consideri la difficoltà della chiesa nell'aggiornarsi senza perdere credibilità, ossia senza violare i propri dogmi).
Citazione di: InVerno il 11 Luglio 2025, 11:27:16 AMQuando ho letto le riflessioni di cristiani importanti ho letto di idee che ritenevano "contendibili", che ritenevano valesse la pena mettere sul piatto, spiegare, dimostrare, approfondire,
Qui non sono sicuro di aver capito: se il dogmatismo spiega,
dimostra e approfondisce, che dogmatismo è? Il dio dei teologi (o quello di alcuni filosofi) non è forse un manichino goffamente imbellettato di fallacie? Non fanno tenerezza ogni circolo vizioso, ogni poetico "ragionare", ogni sovrainterpretare i testi per renderli razionali, con cui si cerca di rendere la fede meno... fideistica? In questo alcuni "dotti" sono ancora fermi al medioevo: coniugare fede e ragione; ma se la fede non ti basta, allora non è fede. Il messaggio originario di Cristo non è: diffidate di me, usate la vostra ragione, protocollate e verificate.
Ogni volta he il dogmatismo, che è l'essenza della fede religiosa, cerca di ibridarsi in argomentazione credibile a prescindere dalla fade, inciampa ad ogni passo su una scienza: cosmologia, psicologia, sociologia, etc.
Citazione di: InVerno il 11 Luglio 2025, 11:27:16 AMse il dogmatismo fosse bastato a se stesso non avremmo una cultura cristiana e neanche una Bibbia.
Ciascun dogmatismo non può che essere fondato che su se stesso: «
così è come sono andate le cose», «
così è stato scritto», «
così vuole il Signore»; se interroghiamo quel «così» chiedendo prove e dimostrazioni, qualora ce ne venissero fornite, non ci sarebbe più dogmatismo (ma appunto argomentazioni, dimostrazioni, etc.). A mio avviso, la cultura cristiana non va confusa con la religione cristiana, così come la Bibbia non va confusa con i vari Concili.
Citazione di: InVerno il 11 Luglio 2025, 11:27:16 AMil "credere per credere" [...] non esiste nella realtà umana esperita e non può giustificare da solo il credere, altrimenti la prima cosa che bisorrebbe fare per questi che ci riescono è gettare la Bibbia dalla finestra, cancellarla dalle proprie memorie, perchè è un libro che tramanda ciò che altri sostengono di aver visto, l'unico mezzo al tempo disponibile, la scrittura, per soddisfare il nostro bisogno di vedere nella profondità del tempo.
Anche qui forse non ho capito: la Bibbia è ciò in cui i credenti credono, il compendio della loro fede; perché se ne dovrebbero sbarazzare? Se un credente rinnega la Bibbia, poi in cosa crede? La fede è "necessaria" oggi proprio perché non viviamo più "in quei tempi", proprio perché non c'è più Cristo che parla per strada; ma è comunque fede in ciò che è accaduto in quei tempi, in ciò che Cristo ha detto, etc. Aver fede
religiosa non significa che
tutto ciò che è scritto, percepito, etc. è Satana o non degno di essere creduto; soprattutto nel cristianesimo dove Dio si è fatto (anche) uomo, carne, parlante, percepibile, etc.
Magari un credente può non credere nell'antico testamento quando parla dell'Eden ma, come detto sopra, l'
utilità esistenziale della Bibbia non è spiegare perché il serpente striscia e perché il parto è doloroso, non sono questi i dogmi (im)portanti per la fede religiosa a cui il credente si appella quando è in cerca di risposte etiche o esistenziali (parlo da ateo, magari sbaglio).
Citazione di: baylham il 11 Luglio 2025, 11:27:38 AMla fede considera possibile l'impossibile e impossibile il possibile. In questo modo la fede può logicamente sostenere qualunque evento.
Eppure in concreto la fede
religiosa fa l'esatto contrario: è molto selettiva, persino dogmatica, nell'affermare cosa è vero e cosa è falso, con una
rigidità storica che conosce pochi eguali, in ambito culturale.
L'affermazione che «la fede può logicamente sostenere qualunque evento» non può applicarsi alla fede
religiosa, che è tutto tranne che "qualunquista" o possibilista quando si parla di eventi e verità "del
suo ramo" (per questo non va confusa con altre fedi o con le credenze dogmatiche in generale). Considerare sacri alcuni testi scritti secoli fa è la miglior prova di quanto non si tratti di «sostenere qualunque evento». Sulla confusione fra possibile e impossibile, vale lo stesso discorso.
Citazione di: baylham il 11 Luglio 2025, 11:27:38 AMCiò costituisce la inferiorità ed arretratezza della religione rispetto alla scienza, alla tecnica e alla filosofia
L'«arretratezza» di un elemento rispetto a un altro ha senso se sono sullo
stesso piano, altrimenti il confronto manca delle coordinate per stabilire chi è avanti e chi è indietro. I portieri nel calcio toccano il pallone con le mani, ma sono "arretrati" rispetto ai giocatori di pallavolo perché usando le mani i portieri non segnano punti a favore della propria squadra? Forse bisogna prima chiarire di quale sport si parla (se non altro perché la rete della pallavolo non "vale" come la rete del calcio).
Citazione di: baylham il 11 Luglio 2025, 11:27:38 AMe spiega la sua "difficoltà esistenziale" di cui il sentimento del peccato è l'evidente espressione.
Il peccato, in quanto declinazione del senso di colpa, non è un buon esempio di "difficoltà esistenziale", anzi è quanto di più facile si possa usare come punto di contatto con qualunque cultura che la religione voglia contaminare; è terreno fertile per i predicatori proprio per la facilità con cui i credenti elaborano ed accettano
socialmente il concetto di colpa, da cui il peccato deriva "facilmente" (se si crede in una divinità, ovviamente).
Il gioco è quello della vita, dell'esistenza, in cui la religione è arretrata, inferiore rispetto alla tecnica, alla scienza e alla filosofia. Concordo che una fede non sostiene qualunque cosa, ma la fede può sostenere qualunque cosa. Chi crede ai miracoli può credere a qualunque cosa. Infatti non esiste una religione, ne esistono molte come le specie in un sistema darwiniano. Religioni che sono obbligate ad adattarsi alla realtà fisica, biologica, economica, politica per sopravvivere. La maggioranza delle religioni sono archeologia. Applicare la legge ebraica nel mondo contemporaneo dà luogo a numerose difficoltà esistenziali. Lo stesso per i cristiani: la comunità cristiana descritta negli Atti è sparita presto. Difficile perciò non peccare. Il dogmatismo non è adatto alla vita.
Citazione di: baylham il 11 Luglio 2025, 11:27:38 AMRisposta a Phil
La fede e la credenza sono atteggiamenti mentali che si trovano nella religione e nella magia come nella filosofia, nella scienza e nella tecnica. La differenza è data dall'evento oggetto della fede.
Nella religione e nella magia, a differenza della scienza, della tecnica e della filosofia, la fede considera possibile l'impossibile e impossibile il possibile. In questo modo la fede può logicamente sostenere qualunque evento. Ciò costituisce la inferiorità ed arretratezza della religione rispetto alla scienza, alla tecnica e alla filosofia e spiega la sua "difficoltà esistenziale" di cui il sentimento del peccato è l'evidente espressione.
E' facile vedere le differenze. fra le cose che hai nominato.
Difficile è vedere ciò che le accomuna.
Eppure ''a ben guardare'' ciò che condividono dovrebbe saltare agli occhi se non fosse che nel tempo a ciò che è sorprendente ci si fà l'abitudine.
Bisogna quindi andare a cercare ciò che sotto un apparente normalità dovrebbe suonare invece strano, a ciò che essendo diventato rumore di sottofondo più non udiamo.
Magia e scienza, almeno fino a un certo punto, ad esempio, sono state accomunate dalla credenza che la realtà rispondesse a una formula pronunciata l'una, e ad una formula scritta l'altra.
Questa è una stranezza tale che Galilei perciò sente il bisogno di dover giustificare, affermando che la natura E' UN LIBRO scritto in caratteri matematici.
Cos'è dunque un libro, fatto di scritture, se non una tecnologia ai cui poteri magici gli scienziati hanno fatto l'abitudine, non considerandola più tale, ma che tale è rimasta, a ben guardare?
La religione e la filosofia a loro modo spiegano l'esistente, ma non ci riescono se non tirando in ballo cose su cui porre fede, enti metafisici, non essendo dimostrabile la loro esistenza, e la scienza fino a un certo punto non le è stata da meno, a dimostrazione della continuità che c'è fra le umane cose pur nell'apparente diversità.
Oggi la scienza, senza più voler spiegare l'esistente, pure non manca di invitarci a ''porre fede'' in enti incredibili non meno di quanto fanno le religioni, se davvero esistessero.
Alla fine della parabola tout se tiene, perchè è, ed è sempre stata, solo sostanza umana.
La storia è sempre la stessa e si ripete.
Inizia con una tecnologia da ripudiare in quanto disumana, che nel tempo diventa parte dell'uomo, divenendo divina.
E' un processo così lungo che a tuttora ne possediamo un esempio compiuto solo, la storia di una tecnologia, la scrittura fattasi sacra.
Ci ha provato anche la TV, con ''l'ha detto la TV'', ma tali si susseguono oggi le tecnologie che per nessuna c'è più il tempo per assurgere a una sacralità compiuta.
Citazione di: baylham il 11 Luglio 2025, 19:18:40 PMIl gioco è quello della vita, dell'esistenza, in cui la religione è arretrata, inferiore rispetto alla tecnica, alla scienza e alla filosofia. Concordo che una fede non sostiene qualunque cosa, ma la fede può sostenere qualunque cosa.
Probabilmente non riesco a spiegarmi, ma quello che citi è esattamente il generalismo che criticavo: non esiste "il gioco dell'esistenza" in generale, proprio come non si può realmente "fare sport": si può fare
uno sport, ma non fare sport in generale (quantomeno si farà uno sport alla volta). Ugualmente,
sul piano religioso, non esiste la fede in generale che può sostenere qualunque cosa, ma esistono solo le fedi determinate che, come detto, sono agli antipodi dal possibilismo e dal "qualunque cosa".
Affermare che la religione è arretrata e inferiore rispetto alla tecnica, manca di parametri per un confronto "posizionale" serio (proprio come dire che il portiere è arretrato e inferiore rispetto ai pallavolisti); si occupano forse dello stesso "campo", per cui essendo in
diretta concorrenza una è più avanzata dell'altra? Se così è, come potrebbe allora la
religione ridurre la propria arretratezza rispetto alla tecnica? Non può, perché tale concorrenza di fatto non c'è, essendo la religione tutta in un altro campo (e se anche il Papa parlasse di quantistica in piazza San Pietro, la religione resterebbe ben distinta dalla tecnica, dalla scienza, etc. proprio come la facoltà di teologia resterebbe distinta da quella di ingegneria).
Sul fatto poi che la filosofia sia meno "arretrata" della religione e che il dogmatismo non sia adatto alla vita, ho le mie perplessità, ma lo lascio qui solo come "sospetto possibile", sempre invitando a non generalizzare troppo.
CitazioneAffermare che la religione è arretrata e inferiore rispetto alla tecnica, manca di parametri per un confronto "posizionale" serio (proprio come dire che il portiere è arretrato e inferiore rispetto ai pallavolisti); si occupano forse dello stesso "campo", per cui essendo in diretta concorrenza una è più avanzata dell'altra?
Questa è una visione della religione relativistica, padre Jorge ti avrebbe incenerito solo con lo sguardo. Come se la religione abbandonasse la sua visione totale e totalitaria della realtà. Non ho grande dimistichezza con le religioni extra-monoteistiche, ma rispetto alle religioni monoteistiche questa è una illusione. Le religioni monoteistiche ritengono, nel loro assunto, nel loro fondamento, che vi sia un'unica verità e quindi il campo da gioco unico è proprio quello relativo al concetto di verità. Verità che si basa sulla tradizione dei libri rivelati per la religione, mentre per la scienza si basa sulla dimostrazione empirica, che lascia spazio a sempre nuove e mutevoli verità. La filosofia, fortemente influenzata dal modello scientifico, tende ad assumere con diverse tonalità e sfumature, il concetto di verità scientifica.
Questo però non vuol dire che la verità scientifica sia superiore alla verità religiosa, ma semplicemente che esiste una dimensione per il confronto, che a mio parere consiste nel concetto di verità.
La visione religiosa, per quanto la si creda «totale e totalitaria» rispetto alla realtà, non lo è solitamente in tutti gli ambiti del reale (almeno da molti secoli ad oggi), nel senso che le verità religiose, quelle su cui la religione non transige (e a cui si interessa), non sono tutte le verità possibili in tutti gli ambiti. Anche per la verità infatti si applica lo stesso discorso dello sport: non esiste la verità come contenuto in generale, ma esistono solo affermazioni che possono essere vere.
Se la verità è il "parametro" che rende un'affermazione vera, tutto il discorso sull'"unicità della verità" nella religione o si conferma dogmatismo o non ha senso, salvo interpretare la Bibbia (o altro testo sacro) come un trattato di epistemologia, un "discorso sul metodo" per stabilire la verità (il che, come detto, non è esattamente un'esegesi attenta al testo e al contesto). I dogmi che la religione propone come veri hanno uno specifico campo d'applicazione che, almeno in occidente, oggi come oggi non riguarda più la "concorrenza" con la scienza o questioni copernicane. Basti pensare all'aborto: potrei sbagliarmi, ma la religione cristiana prende per buone le verità della scienza (ossia la religione si fida della scienza, non la contrasta) riguardanti gli stadi di sviluppo del feto (giacché si tratta di biologia, un campo decisamente diverso dalla teologia), poi introduce le proprie verità di fede ponendo paletti e divieti etici (che sono invece tipici del suo campo, quello religioso).
La verità (in generale, come lo "sport in generale" di cui sopra) non può quindi essere il campo di confronto fra scienza e religione, proprio perché ciascuna delle due la intende in modo diverso (dimostrazione vs dogma, falsificabilità vs infalsificabilità, etc.) e la applica in ambiti differenti (tecnica e conoscenza vs spiritualità e pratica religiosa).
Sono sempre più dell'idea che cercare punti di incontro fra fede e ragione, fra dogma esistenziale e verità sperimentale, sia una sterile eredità medievale che, per quanto politically correct, si riduce a salamelecchi reciproci fra seminaristi troppo ragionanti per essere dogmatici e ricercatori troppo "esistenzialisti" per essere materialisti fino in fondo.
Citazione di: Phil il 11 Luglio 2025, 13:54:51 PMRisulta rilevante per la scienza, ma non per un credente.
Questa è una posizione cristiana prevalente nel ceto medio alto cattolico europeo moderno, quello degli scenziati cattolici, ma sono loro i "veri credenti scozzesi"? Ci sono molti altri cristiani, conservatori, protestanti, ortodossi, e del passato, che pensano di aver perso terreno per esempio con Darwin o Marx, Phyrosphera è vendicativo verso entrambi nonostante sono pronto a scommettere la sua interpretazione di Dio sia quanto di più sfuggevole alla fisica e alla razionalità. Non penso che ci siano argomenti ragionevolmente sufficienti per poter sostenere che il loro modo di approcciarsi alla fede sia in qualcosa sbagliato rispetto ad una fede che non cerca risposte nell'immanente, se non per il fatto che questo modo di credere "per assurdo" viene esaltato in qualche passaggio di santi che pochi paragrafi dopo affermano l'esatto contrario raccontando delle visioni che han avuto e che giustificano le loro convizioni. Tu lo consideri un cavallo perdente ed in questo sono d'accordo, ogni volta che un credente scende da quel cavallo tautologico ha automaticamente perso perchè finisce a recitare cattivi argomenti, non tanto perchè ha accettato di mettersi sullo stesso piano della scienza, la Bibbia è piena di scienza con i crismi scientifici del tempo. Se la "vera fede" esiste essa non si interessa di vincere così come delle altre possibilità contingenti, come un calabrone che non sa di non poter volare lo fa lo stesso, e va perciò ad interessarsi dell'anello mancante tra la scimmia e l'uomo, puranche nella certezza di perdere, perchè ha bisogno di determinare certi fatti per il proprio nutrimento..e man mano che smette di farlo, diventa piccola piccola, come la religione cristiana oggigiorno, l'esempio di una religione in coma non descrive come una religione agisce quando è sana e vigorosa. La confusione inizia dal credere nelle premesse teologiche interne dove questo modo della fede è descritto e consigliato, ma da studiosi esterni delle religioni dovremmo invece affermare che il religioso necessita di ancorare le proprie credenze alla terra, questo si vede accadere ovunque, lo testimonia prima e meglio di tutti la storia del cristianesimo, il culto del Dio sceso in terra, che i suoi saggi vogliano consigliarlo o meno nei manuali d'uso... poco importa? La religione fa da mediatore tra il mondo interiore ed il mondo esteriore, non può astenersi del parlare di come funziona il mondo, e che scelga la tautologia come strumento retorico descrive solo, non una diversa modalità del pensiero, ma la sua arretratezza filosofica.
Citazione di: InVerno il 12 Luglio 2025, 09:38:23 AMe man mano che smette di farlo, diventa piccola piccola, come la religione cristiana oggigiorno, l'esempio di una religione in coma non descrive come una religione agisce quando è sana e vigorosa.
Eppure, se ci pensi bene, la religione cristiana è nata piccola con il "programma" di restare piccola; non piccola come estensione "popolare" («andate e diffondete il verbo»), ma piccola come ambito disciplinare: Cristo, come anche Maometto o Buddha, ha parlato perlopiù (vado a memoria, non ti fidare minimamente) di questioni etiche. Il loro innestarsi in tradizioni (ebraismo, induismo, etc.) che invece parlavano
anche di cosmogonie e dintorni, rischia di confondere le acque. Cristianesimo, Islam e buddismo sono, nel loro "piccolo", spendibili spiritualmente anche ai nostri giorni proprio perché danno risposte etiche ed esistenziali, lasciando che le scienze studino il cosmo, l'uomo "carnale", etc.
Purtroppo, siamo figli della nostra storia e rischiamo di valutare la "salute" di una religione in base a quanto oro c'è sul collo del papa (come fosse un
rapper), quante chiese si costruiscono, quanto il clero è ingerente in questioni politiche, etc. ma, come detto, questa "parametrizzazione mondana" della religione è una prospettiva ereditata dal medioevo, che vale poco o nulla in ambito spirituale per il singolo credente, soprattutto in termini di fede e di risposte etiche.
Bisogna ammettere invece che il progetto «andate e diffondete il verbo» ha avuto un discreto successo, se è vero che ci sono cristiani anche in Giappone e al Polo Nord (o forse lì non ancora?). Poi, certamente, dove il cristianesimo era più in salute, anche spiritualmente, ossia nel vecchio continente, oggi la cartella clinica non è delle più rassicuranti, ma questo forse è accaduto proprio perché la religione si è ingrandita troppo, oltre il suo ambito, in passato ed ora nel suo curriculum tutti leggono di crociate, roghi, ingenuità scientifiche, etc.
Credo che, dopo il "collasso interdisciplinare", la "giusta" dimensione (anche se non sta certo a me dirlo) di una religione sia semplicemente l'ambito esistenziale, spirituale, in cui le risposte religiose riescono a tenersi a distanza di sicurezza dalla scienza e, soprattutto, danno ai credenti quello che le altre discipline non possono dare per limiti epistemici (come detto, l'etica non è "scientificabile").
Citazione di: InVerno il 12 Luglio 2025, 09:38:23 AMLa religione fa da mediatore tra il mondo interiore ed il mondo esteriore, non può astenersi del parlare di come funziona il mondo, e che scelga la tautologia come strumento retorico descrive solo, non una diversa modalità del pensiero, ma la sua arretratezza filosofica.
Le mediazione fra mondo interiore ed esteriore, in ambito religioso, non credo coinvolga
oggi discipline empiriche, altrimenti le religioni (salvo forse quelle più antiche) hanno ovviamente ben poco da dire e ancor meno da insegnare (d'altronde, come detto, usare la Bibbia come astrolabio è un uso piuttosto improprio del testo, che rivela più i limiti dell'utente che quelli del libro). Non scommetterei ci siano ancora credenti che chiedono alla religione risposte su faccende "pratiche", come il funzionamento del cosmo, la genesi dell'uomo, etc.; quello che chiedono solitamente suppongo sia l'
interpretazione etica di "faccende tecniche" (come il già citato aborto, pena di morte, etc.). La religione, oggi, può astenersi dal parlare di
come funziona "tecnicamente" il mondo e, potrei sbagliarmi, ho l'impressione che sia quello che fa, limitandosi a
giudicare ed
interpretare religiosamente le varie scoperte e tecnologie (questo resta il suo mestiere e quello che i credenti le chiedono).
Sull'"arretratezza filosofica" della religione non vorrei ripetermi troppo, ma, per come la vedo, la filosofia è
in generale (per amor di sintesi),
ricerca e
costruzione di conoscenza e/o senso, mentre la religione è
affermazione di verità dogmatiche; tutto un altro paio di maniche, troppo divergenti per stabilire lo stare "davanti" e "dietro" (mandare la palla in rete cambia il punteggio in modo differente se parliamo di calcio o pallavolo).
Citazione di: iano il 09 Luglio 2025, 19:40:01 PME dunque cosa è per te sacro, se la bibbia non lo è ?
Io direi che se uno crede che attraverso la bibbia Dio stesso gli parla, allora considererà quel testo come sacro.
Che Dio possa usare il nostro linguaggio per parlarci è ciò che io considero strano, come se non avesse altri modi per toccarci il cuore.
Le capacità matematiche generano reazioni smodate nelle persone che hanno mancanza di riflessioni nelle cose su cui dovevano riflettere. Così "Iano" ha perso i freni inibitori. E' naturale e il punto non è la dinamica psicologica ancor meno la psichica.
Insomma, Iano che qui sul forum diceva di essere agnostico e che poi ha detto di esser ancor meno e per questo libero, va dicendo che il cristiano pensa che Dio è la Bibbia. Io ho distinto il sacro da Dio, perché tu non ne fai testo? La Bibbia testimoniando la Parola non è la Parola. Ma Iano ha deciso che Logos e logos, Parola e parola sono lo stesso, così va sparigliando il discorso. Il rapporto col proprio senso del sacro è libero se è autentico. Il contenuto della Bibbia va visto da fuori il libro.
Citazione di: iano il 09 Luglio 2025, 19:04:22 PMQuale supponenza?
Era una lode fatta a te, che con poco avevi detto molto, cioè l'esatto contrario di ciò che di solito fai, dicendo poco con tanto.
Quindi se ho sbagliato, ho sbagliato solo a lodarti, cosa che in effetti tu con questo post mi confermi.
Vedi, il vero problema di chi crede nella verità, è che ha la presunzione di poter dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, usando quella supponenza che tu critichi, ma che usi. Una bella contraddizione no?
Se la logica non ci può portare alla verità, ci può però indicare chi nel cercarla si impappina, come succede a te, e che inevitabilmente succede a tutti quelli che ci credono, se la verità non esiste, per cui, nel caso, saresti ampiamente scusato.
Non che il credere nella verità debba portare solo a contraddizione e a nulla di buono, perché ciò significherebbe togliere ogni valore alla storia che ci ha preceduto, ma delle sue conseguenze negative tu sei il paradigma.
Sei superato, ma chi non gioirebbe incontrando un uomo che dal passato una macchina del tempo avesse catapultato fra noi?
In tal senso sei per me qualcosa di molto prezioso.
Non gioirei allo stesso modo se dal DNA facessero risorgere un dinosauro.
Quindi, per carità, tutto dovresti fare meno che tacere, facendoci venire a mancare una testimonianza così preziosa.
Dire che uno 'è superato' implicherebbe un desiderio di vederlo morto, se ci si mette pure il DNA per mezzo ecco che il sentimento nei suoi confronti è di superiorità... e se non si vuol badare a quel che si sta pensando, allora la via non è quella di
Sofia. Che cosa è passata per la testa a
Iano? Il
credere nella verità che non è il possedere la Verità; e se nel passato ha funzionato - lo dice lui stesso - questo essere nella Verità attesta di stare in qualcosa che è. L'intellettuale
sinistrorso sarebbe l'uomo nuovo o un residuato bellico, dei tempi dell'URSS di Stalin?
Le fedi assieme alle religioni consentono la realizzazione etica ma non impartiscono etiche, altrimenti avrebbe ragione U. Galimberti a lamentare di un'agenzia (etica) di troppo.
P.S.
Forse fa ridere che io dia lezioni
gratis di matematica, io l'ho fatto in considerazione di possibili bisogni altrui. Non è la prima volta, in passato aiutai dei bambini orfani o figli di carcerati o violenti cui tolto l'affidamento dei figli (non solo coi numeri anche con le lettere). Non scrivo con spirito diverso qui, perché c'è una situazione tragica in società e nella cultura e ne va della sopravvivenza non solo dell'Occidente e qualcosa è meglio che niente.
MAURO PASTORE
Citazione di: Phil il 12 Luglio 2025, 12:30:28 PMEppure, se ci pensi bene, la religione cristiana è nata piccola con il "programma" di restare piccola; non piccola come estensione "popolare" («andate e diffondete il verbo»), ma piccola come ambito disciplinare: Cristo, come anche Maometto o Buddha, ha parlato perlopiù (vado a memoria, non ti fidare minimamente) di questioni etiche. Il loro innestarsi in tradizioni (ebraismo, induismo, etc.) che invece parlavano anche di cosmogonie e dintorni, rischia di confondere le acque. Cristianesimo, Islam e buddismo sono, nel loro "piccolo", spendibili spiritualmente anche ai nostri giorni proprio perché danno risposte etiche ed esistenziali, lasciando che le scienze studino il cosmo, l'uomo "carnale", etc.
Il buddhismo e il cristianesimo sono agli antipodi. La fede nel Buddha è più evanescente del politeismo, è vicina al panteismo.
Il buddhismo è in diretto contatto con la scienza, il cristianesimo è nella condizione opposta ma un contatto ce l'ha.
La cosmogonia è più vicina alle religioni che alle scienze - è stranoto - l'inverso per la cosmologia. I monoteismi includono poco della dimensione cosmica, in compenso la contemplano con distacco non replicabile.
Citazione di: Phil il 12 Luglio 2025, 12:30:28 PMPurtroppo, siamo figli della nostra storia e rischiamo di valutare la "salute" di una religione in base a quanto oro c'è sul collo del papa (come fosse un rapper), quante chiese si costruiscono, quanto il clero è ingerente in questioni politiche, etc. ma, come detto, questa "parametrizzazione mondana" della religione è una prospettiva ereditata dal medioevo, che vale poco o nulla in ambito spirituale per il singolo credente, soprattutto in termini di fede e di risposte etiche.
Bisogna ammettere invece che il progetto «andate e diffondete il verbo» ha avuto un discreto successo, se è vero che ci sono cristiani anche in Giappone e al Polo Nord (o forse lì non ancora?). Poi, certamente, dove il cristianesimo era più in salute, anche spiritualmente, ossia nel vecchio continente, oggi la cartella clinica non è delle più rassicuranti, ma questo forse è accaduto proprio perché la religione si è ingrandita troppo, oltre il suo ambito, in passato ed ora nel suo curriculum tutti leggono di crociate, roghi, ingenuità scientifiche, etc.
Credo che, dopo il "collasso interdisciplinare", la "giusta" dimensione (anche se non sta certo a me dirlo) di una religione sia semplicemente l'ambito esistenziale, spirituale, in cui le risposte religiose riescono a tenersi a distanza di sicurezza dalla scienza e, soprattutto, danno ai credenti quello che le altre discipline non possono dare per limiti epistemici (come detto, l'etica non è "scientificabile").
Valutazione dello stato di salute della religione... collasso interdisciplinare... àmbito esistenziale? Quest'ultimo è importante nei monoteismi e in particolare nel cristianesimo diversamente che per le altre fedi; la salute di una religione ne è intrinseco stato, dato che la fede religiosa è terapeutica, come stabilito dalla psicologia analitica a proposito dell'
inconscio collettivo e i problemi di templi e chiese sono
dei sacerdoti; il collasso interdisciplinare è del mondo lontano dalla fede in Dio (o nell'Assoluto). Esso deriva dall'idea di una organizzazione esclusivamente profana delle scienze. Non sono le relazioni tra teologia e filosofia, fra ricerca sul sacro e scienza ad essere state superate, ma l'idea del socialismo ateo di chiudere le teorie scientifiche alla valutazione del sacro e di aprirle solo ai profani, allo spirito del mondo, generando così una massificazione e una atomizzazione cioè compartimenti stagni o campi aperti alla confusione, fino a confondere l'ipotesi scientifica con la teoria scientifica. La filosofia analitica mostra che lo statuto delle scienze è scientificamente ipotetico, il che significa non che i dati sono ipotetici ma che tutto si basa su un altro sapere; e l'ermeneutica filosofica non è religione, è proprio filosofia. L'
ultimo grido di chi tratta la teologia per una commedia è non sapere più cosa sia una scienza; così sono caduti i sostenitori accaniti dei Modelli Integrati per la fisica teorica, che hanno fatto sborsare tanti soldi per star dietro alle loro elucubrazioni e invece il futuro è venuto a contraddire i loro costrutti, non senza l'esplosione di decine di veicoli spaziali americani ancora vicini alla Terra. Non così i dogmi, che non sono dogmatismi.
Appunto qui voi parlate di dogmatismi ma senza voler capire fino in fondo che il dogma è altra cosa, non va riflettuto restando su un piano epistemologico. E' stato giusto affermare il piano epistemologico in cui sono le dottrine religiose, esse però lo utilizzano diversamente. C'è anche la gnoseologia e senza di questa non c'è da capir niente della questione. La fede si rapporta al mondo senza escludere ciò che è "epistemico", ma per avere un'idea di quello a cui essa si rivolge ci vuole la gnoseologia. Non cosmologicamente, ma cosmogonicamente, risalendo allo sfondo; oppure non studiando i rituali ma il significato dei riti, risalendo dalle culture ai culti - questi sono la base antropologica delle culture umane, lo dice la scienza.
Quindi la concezione di un universo con "
acque inferiori e superiori" non solo non va derisa ma si dovrebbe capire se essa è il presupposto della cosmogonia dominante in Occidente, luogo di massima importanza storica del cristianesimo, dalla quale è derivata l'attuale cosmologia riferimento della scienza occidentale e poi globalizzata.
Si deve capire che i fisici e astronomi e gli stessi astrofisici non esplorano e classificano che una piccola parte dell'universo, per cui è inutile usarne i risultati per deridere il pochissimo di cosmologia e la piccola cosmogonia distintamente contenute nella Bibbia. Si sa ora per certo che l'etere cosmico è più denso di quanto supposto in passato negli ambienti degli scienziati fisici - ma gli astronauti cercavano di spiegarlo continuamente, a volte presi per matti e consegnati a sedicenti medici - e si sa che lontano dal nostro sistema direttamente conosciuto è ancora più denso, lo si sa per esperienza, a posteriori, e la scienza ha potuto confermare solo dopo. Certo non è questa una cosmologia o cosmogonia
dell'acque inferiori e superiori; ma davvero c'è da fare umorismo su Talete, che spiegava la realtà cosmica in base all'intuizione sull'elemento liquido? E c'è da ridere del linguaggio immaginifico e simbolico del
Libro della Genesi, la cui origine è fuori dell'ebraismo, per cui l'Antico Testamento cristiano deve essere spiegato diversamente dai commenti rabbinici? Questi non funzionano ugualmente, allora se li si usa per la realtà cristiana la Bibbia sembra una sciocchezza.
Dire della nostra origine scientificamente? Il posturologo indica le scimmie antiche ma non certifica niente. il caratteriologo indica le belve e neppure certifica - con gran sollievo anche di tanti impertinenti purtroppo. Un antico filosofo greco diceva di vita primitiva acquatica e così non c'è da prendere Talete per scemo ma neppure prender per saggia l'illazione scientista degli evoluzionisti. L'evoluzione - ne dissi già - si presenza parallela alla genia, e resta l'ipotesi di una rivoluzione ambientale che non è traducibile in più che un modello teorico:
il cataclisma-non-catastrofe biologico. E' stato fatto tale lavoro ma le ambizioni di molti scienziati e aspiranti tali sono state troppe e troppi gli odi contro
la filosofia dai Greci ai nostri giorni e c'è ancora il
refrain - non sagace come quello di un pezzo di musica
rap - delle ossessioni dei falsi esperti, una fra tutte quella de
la scimmia padrona. La trasformazione bestia-uomo è invece scientificamente esclusa, anche la Teoria dell'Anello Mancante lo conferma dagli anni di Darwin ed è stata pure aggiornata. L'evoluzionista finge che è la sua (ce n'è uno notissimo che lo ha fatto), ma il cosiddetto
gene egoista è un risultato della ricerca genetica che dimostra
non commensurabilità di via genetica ed evoluzione.
Quale ambiente non è in salute? Leonardo aveva redarguito la nascente
società delle scienze affinché restasse in attinenza al piano matematico, ma ciò è stato interpretato come una soggezione da istituire. Questo oscura le scienze matematiche ed esalta quelle fisiche, ed è uno sbaglio che non venne dal mondo ecclesiastico né dalle fedi, tanto che fu con lo stabilire teologicamente il limite della morfologia che Leonardo cercava di istruire:
'Ciò che non ha termine non ha figura alcuna'. Oggi, dopo le ricerche di Goethe
sui colori e quelle di Propp sulla
fiaba, la cultura della scienza si trova
a un giro di boa, non sospinta dal vento del socialismo ateo e dalla chimera della "umana onnipotenza", come amano ripetere i suoi apostoli in concorrenza coi teologi. Se si deride l'affermazione di Leonardo o la si scambia per un dato di una teoria, ecco che non ci si raccapezzerà più. Simboli matematico-fisici delle particelle elementari, immagini archetipiche, il segno scritto... tutto diventerà un grande accozzaglia di concetti non più intesi, sempre più muta e non ci sarà il maestro a spaventare i bimbi capricciosi con le figure degli asini - anche quelle verrebbero fraintese col fraintendere la zoologia.
Non lo "scientificabile" ma l'idoleggiabile resta come sempre motivo di allarme, in questi tempi reale.
Citazione di: Phil il 12 Luglio 2025, 12:30:28 PMLe mediazione fra mondo interiore ed esteriore, in ambito religioso, non credo coinvolga oggi discipline empiriche, altrimenti le religioni (salvo forse quelle più antiche) hanno ovviamente ben poco da dire e ancor meno da insegnare (d'altronde, come detto, usare la Bibbia come astrolabio è un uso piuttosto improprio del testo, che rivela più i limiti dell'utente che quelli del libro). Non scommetterei ci siano ancora credenti che chiedono alla religione risposte su faccende "pratiche", come il funzionamento del cosmo, la genesi dell'uomo, etc.; quello che chiedono solitamente suppongo sia l'interpretazione etica di "faccende tecniche" (come il già citato aborto, pena di morte, etc.). La religione, oggi, può astenersi dal parlare di come funziona "tecnicamente" il mondo e, potrei sbagliarmi, ho l'impressione che sia quello che fa, limitandosi a giudicare ed interpretare religiosamente le varie scoperte e tecnologie (questo resta il suo mestiere e quello che i credenti le chiedono).
Sull'"arretratezza filosofica" della religione non vorrei ripetermi troppo, ma, per come la vedo, la filosofia è in generale (per amor di sintesi), ricerca e costruzione di conoscenza e/o senso, mentre la religione è affermazione di verità dogmatiche; tutto un altro paio di maniche, troppo divergenti per stabilire lo stare "davanti" e "dietro" (mandare la palla in rete cambia il punteggio in modo differente se parliamo di calcio o pallavolo).
Quando vige il principio del religioso mediatore di interiorità ed esteriorità? Vale per l'animismo, che sciocchezza non è anche se filosoficamente si pensa al panpsichismo e allora sarebbe occasione che voi rivediate le vostre premesse psicologiche. Nessuna psicologia considera origine della sensatezza l'intontimento alle durezze materiali e la distrazione dagli effetti energetici, contemplando i quali il
codice religioso che nomina "Spirito di Dio" non risulta mai un trastullo verbale. Le religioni permettono non definiscono azioni etiche e 'ricerca e costruzione' non è quel che si fa assieme alla
Sophia (personificazioni gnostiche, bibliche o solo letterarie a parte, che pure hanno un senso). Questa deve essere la meta ultima, non una creazione d'artista.
Ricercare in direzione del e per il sapere è l'ovvio prospetto-base del filosofo.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 15:07:42 PMInsomma, Iano che qui sul forum diceva di essere agnostico
Se mi dici dove l'ho detto...
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 15:07:42 PMInsomma, Iano che qui sul forum diceva di essere agnostico e che poi ha detto di esser ancor meno e per questo libero, va dicendo che il cristiano pensa che Dio è la Bibbia. Io ho distinto il sacro da Dio, perché tu non ne fai testo?
Ti prego, d'ora in poi quando fai riferimento a ciò che ho scritto riportalo con copia e incolla, perchè sto assistendo a una sfilza ormai fin troppo lunga di cose che impropriamente mi attribuisci.
Sei tu che mi hai detto di essere un agnostico, e io sono andato a cercarne il significato sul vocabolario.
Come fa a dire di essere agnostico uno che non conosce neanche il significato del termine?
Come si chiama colui che non crede nell'esistenza della verità?
Non so se c'è un termine.
Poniamo che sia Ciccino.
Allora Ciccino c'est moi.
Uno che dicesse che Dio è la Bibbia in quale lingua ostrogota si starebbe esprimendo?
Non certo in italiano.
Buttiamola sul ridere, dai, che è meglio.
Direi (inoltre) che gli interlocutori, reciprocamente rivolgendosi brandelli di verità accanto a ingombranti intere falsità, non hanno preso atto di quanto sia il valore di certe distinzioni. Decisiva quella tra teista e teistico, monoteista e monoteistico. Religioni e fedi gestiscono in indipendenza tutte e quattro le modalità e i modi, contengono già da sé le distinzioni tra ciò che è diretto e indiretto, immediato o mediato, senza che arrivi il seguace di uno pisicoanalista troppo pretenzioso nei confronti della storia cristiana (penso a E. Fromm) a mettere ordine in ciò che - per ciò che riesce a sussistere veramente - è già ordinato.
Fromm aveva messo in luce che il pensare l'oggetto nel pensiero e il pensare a qualcosa fuori dal proprio pensiero corrispondono rispettivamente alla credenza e alla fede e si era dedicato, sulla scia della visione del mondo socialista e della politica del Blocco Est della Guerra Fredda, all'analisi delle credenze negative per il vissuto sociale. Ma il prospetto storico che egli ne aggiunse era di troppo, una illazione costruita sopra una corretta psicoanalisi che mostrava l'esistenza di una possibile psicologia monoteistica e di possibili dottrine monoteiste. Il problema non sono questi due dati che si riferiscono alla nostra mente e mentalità, dati scientificamente preziosi per non designificare la vita e la testimonianza dei cristiani, ma come essi erano e sono impiegati: senza adeguata necessaria preparazione filosofica e lasciandosi dirigere da azioni arbitrarie e ignoranti.
In pratica si faceva conto di una cristianità mai esistita - ed invece era giusto il resoconto di Kierkegaard su una debacle - di un onnipervasivo dramma psicologico-esistenziale tra il credere e l'aver fede, tra pensiero oggettivo e pensare soggettivo, senza alcuna base scientifica per affermarlo anzi rendendo le perplessità della comunità scientifica atea dell'Est inesistenti evidenze di totalità e false ovvietà. Secondo i prospetti dei materialismi socialisti tutto si misurerebbe in base alle emozioni superficiali per i segni materiali dei crocifissi e sul resto uguale. La storia cristiana sarebbe tutta quanta un assurdo psicodramma con un Gesù di Nazareth finito in aspettativa e un Erich Fromm in veste di umanissimo salvatore. Agli appassionati della mummia di Stalin piaceva e molti ne erano le vittime di plagio.
Dunque far riferimento alla distinzione, anche psicoanalitica (frommiana) tra teista e teistico, ma constatarla nei codici linguistici religiosi - che non sono linguaggi ordinari in codici, codificati o codificabili - e senza collaborare con chi vuol mettere lo psicologo e lo psicoanalista a discettare, assieme ai segni e ai simboli della vicenda naturale della mente, di indizi e prove sulla vicenda esistenziale della nostra mente. La psicologia esistenziale non descrive scientificamente un esistere ma ne fa solo riferimento scientifico, il che per un positivista sarebbe anche descrivibilità scientifica e invece è solo illazione sostenerla. Un semplice riferimento teorico non può tradursi in una pratica scientifica.
Il contenuto esistenziale delle religioni è asseverato, non criticabile, dalla ricerca scientifica. La filosofia critica superstizioni, non credenze in quanto tali; in ultima analisi ha un proprio aspetto dogmatico contiguo alle dogmatiche religiose. La Noluntas schopenhaueriana è prossima al Nirvana del Buddha e vicina al non concupire del Cristo. I materialismi se non contraddittori rivelano vicinanza alle Divinità femminili e materne, i rigorosi spiritualismi al Dio dei monoteismi, Légge (ebraismo), Logos (cristianesimo), Matrice (islam).
Se un filosofo esplora per intero il proprio mondo ci ritrova delle premesse di fede. Se non lo fa e le protesta, diventa un buono a nulla.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 15:07:42 PMLe capacità matematiche generano reazioni smodate nelle persone che hanno mancanza di riflessioni nelle cose su cui dovevano riflettere. Così "Iano" ha perso i freni inibitori.
E' evidente che non hai cognizione di quanto ti rendi ridicolo con queste affermazioni.
Qui siamo al tribunale dell'inquisizione, e già intravedo il rogo.
Giuro di non possedere capacità matematiche, vostro onore, e se pure le possedessi non le userei, perchè esse sono strumento del diavolo.
Citazione di: iano il 12 Luglio 2025, 17:46:16 PMTi prego, d'ora in poi quando fai riferimento a ciò che ho scritto riportalo con copia e incolla, perchè sto assistendo a una sfilza ormai fin troppo lunga di cose che impropriamente mi attribuisci.
Sei tu che mi hai detto di essere un agnostico, e io sono andato a cercarne il significato sul vocabolario.
Come fa a dire di essere agnostico uno che non conosce neanche il significato del termine?
Come si chiama colui che non crede nell'esistenza della verità?
Non so se c'è un termine.
Poniamo che sia Ciccino.
Allora Ciccino c'est moi.
Uno che dicesse che Dio è la Bibbia in quale lingua ostrogota si starebbe esprimendo?
Non certo in italiano.
Buttiamola sul ridere, dai, che è meglio.
Consultati qui:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/metafisica-dell-essere/msg98356/#msg98356
al tuo passo:
"
In questo modo però gli elementi della descrizioni prendono pregiudizialmente il posto di ciò che viene descritto, cioè dell'uno, o come preferisco dire, della realtà, intesa come mistero che tale rimane, contro la pretesa di poterla conoscere.Ciò che noi sappiamo è solo come interagirvi, e non c'è un solo modo di farlo, ed ogni diverso modo di interagirvi corrisponde una diversa possibile descrizione nella misura in cui si mostra efficace.."senza smarrirti i tuoi contesti e rileggendoti anche il tuo sèguito - ma non chiedermi più che ti si stia dietro coi
copia-incolla.
Del resto, io ho valutato quel che logicamente
tu hai inferito su Dio e Bibbia, non limitandomi all'apparenza delle tue espressioni.
MAURO PASTORE
Al di là di
philosophia perennis à la page, geo-politica della fede, dogmatica "ancillarità"
d'antan fra filosofia e religione, etc. mi incuriosisce capire meglio come mai secondo te
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 16:40:48 PMLe religioni permettono non definiscono azioni etiche
Chi o cosa, se non la religione stessa, definisce un'azione etica per l'etica, ad esempio, cristiana? Se le religioni non definiscono le azioni etiche, allora dove (fuori dalla propria religione, a quanto pare) il praticante può trovare definizioni per capire qual è un'azione etica gradita al suo dio? Ad esempio, tutte le indicazioni etiche riportate nei Vangeli non definiscono azioni etiche?
P.s.
Noluntas e
Nirvana erano forse accostabili secoli fa, quando del buddismo si sapeva poco e le traduzioni scarseggiavano; oggi direi che non ha senso ripetere tale scempio esegetico.
Citazione di: iano il 12 Luglio 2025, 17:55:04 PME' evidente che non hai cognizione di quanto ti rendi ridicolo con queste affermazioni.
Qui siamo al tribunale dell'inquisizione, e già intravedo il rogo.
Giuro di non possedere capacità matematiche, vostro onore, e se pure le possedessi non le userei, perchè esse sono strumento del diavolo.
Non è onesta questa illazione che fai contro un'affermazione psicologica che non è teologica. Se uno fa teologia per un'ora, non per questo la fa per un giorno intero. Non è come cadere in uno stagno drogato, occuparsi di teologia -nonostante la pessima
battuta di spirito del marxismo su 'la religione oppio dei popoli'.
Distingui e pensa al ridicolo dove veramente sta.
MAURO PASTORE
Citazione di: Phil il 12 Luglio 2025, 18:04:59 PMAl di là di philosophia perennis à la page, geo-politica della fede, dogmatica "ancillarità" d'antan fra filosofia e religione, etc. mi incuriosisce capire meglio come mai secondo teChi o cosa, se non la religione stessa, definisce un'azione etica per l'etica, ad esempio, cristiana? Se le religioni non definiscono le azioni etiche, allora dove (fuori dalla propria religione, a quanto pare) il praticante può trovare definizioni per capire qual è un'azione etica gradita al suo dio? Ad esempio, tutte le indicazioni etiche riportate nei Vangeli non definiscono azioni etiche?
P.s.
Noluntas e Nirvana erano forse accostabili secoli fa, quando del buddismo si sapeva poco e le traduzioni scarseggiavano; oggi direi che non ha senso ripetere tale scempio esegetico.
L'etica del Vangelo va contestualizzata scoprendo che i
comandamenti di Gesù sono
prima di ogni possibile umana etica. Ebrei, pagani, ricevevano da Gesù affermazioni per ciascuno diverse, secondo la loro situazione diversa.
L'accostamento
Noluntas - Nirvana non è un atto esegetico ma ermeneutrico e regge indipendentemente dal variare delle esegesi.
MAURO PASTORE
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 18:02:42 PMConsultati qui:
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/metafisica-dell-essere/msg98356/#msg98356
al tuo passo:
" In questo modo però gli elementi della descrizioni prendono pregiudizialmente il posto di ciò che viene descritto, cioè dell'uno, o come preferisco dire, della realtà, intesa come mistero che tale rimane, contro la pretesa di poterla conoscere.
Ciò che noi sappiamo è solo come interagirvi, e non c'è un solo modo di farlo, ed ogni diverso modo di interagirvi corrisponde una diversa possibile descrizione nella misura in cui si mostra efficace.."
senza smarrirti i tuoi contesti e rileggendoti anche il tuo sèguito - ma non chiedermi più che ti si stia dietro coi copia-incolla.
Del resto, io ho valutato quel che logicamente tu hai inferito su Dio e Bibbia, non limitandomi all'apparenza delle tue espressioni.
MAURO PASTORE
Si, ma agnostico è colui che sospende il giudizio.
Il mio giudizio invece è netto: la verità non esiste.
Ho forse usato impropriamente il termine mistero, ma che la verità non esiste l'ho ripetuto più volte.
Ho anche ribadito più volte che non solo conoscere la realtà non è possibile, talchè rimanga inevitabilmente un mistero, ma che non ha senso dire di poterla conoscere, per cui la realtà in effetti non è mistero, come impropriamente ho affermato, e da cui tu hai indotto il mio essere agnostico.
Noi della realtà possediamo solo descrizioni più o meno efficaci rivolte tutte a un possibile rapporto con essa che non sia del tutto casuale, per quanto inizialmente possa esserlo.
Significa fare tesoro della propria esperienza, ma non significa che stiamo percorrendo un sentiero verso la verità, perchè ciò significa per me idolatrare le nostre descrizioni, e io non solo non ho alcun Dio, ma neanche alcun idolo.
In questo discorso non occorre tirare in ballo alcuna verità, la cui genesi come idea posso però immaginare, come confusione fra descrizione della realtà e la stessa realtà, quando la descrizione permette un rapporto con essa che giudichiamo molto soddisfacente.
Questo lo dico per onestà intellettuale, pur condividendo con te la preoccupazione delle conseguenze etiche rivoluzionarie di questo mio pensiero se venisse universalmente condiviso.
Comprendo quindi bene l'origine di tutte le tue reprimende, fatte a fin di bene, con le quali vorresti proteggerci. Grazie, ma non ne abbiano bisogno.
Se Dio mi dicesse di sacrificare sull'altare l'onesta intellettuale, pena la fine del mondo, quella fine stoicamente accetterei.
Detto ciò, se lo credi potrai attingere alla tua vasta cultura filosofica per trovare qualche termine che più mi si addica, avendo escluso in via definitiva, come spero, quello di agnostico.
Adesso comunque so chi sono gli agnostici, quindi qualcosa alla fine ho imparato.
Dio sta ancora nell'orizzonte degli agnostici, mentre dal mio è sparito, come un ipotesi sufficiente, ma non necessaria.
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 18:15:32 PML'etica del Vangelo va contestualizzata scoprendo che i comandamenti di Gesù sono prima di ogni possibile umana etica. Ebrei, pagani, ricevevano da Gesù affermazioni per ciascuno diverse, secondo la loro situazione diversa.
L'accostamento Noluntas - Nirvana non è un atto esegetico ma ermeneutrico e regge indipendentemente dal variare delle esegesi.
Le domande mi sembravano abbastanza precise, per quanto rispondere sia sempre cortesia, non obbligo. Ti segnalo solo che parlare di atto ermeneutico che «regge indipendentemente dal variare delle esegesi»(cit.) non ha senso, non essendo la radice dell'ermeneutica un foglio bianco da riempire né un Rorschach.
Per chiarire il rapporto fra Nirvana e
noluntas, che qui è
offtopic, ti è sufficiente consultare Wikipedia, manuali di storia delle religioni o, se vuoi approfondire, testi buddisti tradotti.
Citazione di: Phil il 12 Luglio 2025, 12:30:28 PMEppure, se ci pensi bene, la religione cristiana è nata piccola con il "programma" di restare piccola; non piccola come estensione "popolare" («andate e diffondete il verbo»), ma piccola come ambito disciplinare: Cristo, come anche Maometto o Buddha, ha parlato perlopiù (vado a memoria, non ti fidare minimamente) di questioni etiche. Il loro innestarsi in tradizioni (ebraismo, induismo, etc.) che invece parlavano anche di cosmogonie e dintorni, rischia di confondere le acque. Cristianesimo, Islam e buddismo sono, nel loro "piccolo", spendibili spiritualmente anche ai nostri giorni proprio perché danno risposte etiche ed esistenziali, lasciando che le scienze studino il cosmo, l'uomo "carnale", etc.
Beh il respiro di questi racconti è decisamente ridotto rispetto a miti più antichi, sospetto tuttavia che né Gesù, né Maometto, né Buddha avessero granchè da aggiungere alla cosmologia dominante in loco, l'Antico testamento era una buona summa di quelche si credeva a quel tempo del mondo nel Levante, Gesù e Maometto si innestano sull'esistente in una cultura che cambia i fondamentali piuttosto raramente, non potendoli esplorare si limita a conservare tradizioni. Quanto diverso sarebbe stata la predicazione di Gesù se egli avesse saputo che gli uomini vengono dalle scimmie? Avrebbe considerato le donne subumani mal generati da Dio come pare evidente dal racconto, oppure l'avrebbe considerate un appartentente dell'altro sesso della stessa specie? Per il credente potrà pure essere irrilevante la nostra origine biologica, ma non lo era per Gesù che chiaramente ragiona il mondo attraverso genesi e produce ragionamenti di valore in base a questo, accettando questi ragionamenti implicitamente si accettano anche le loro premesse, spesso "scientifiche" del tempo.
Penso ci siano due maggiori confusioni, una intorno al concetto di religione, che viene obbligato al dogmatismo come unica forma di espressione per via dell'impressione lasciata dalle religioni semitiche. E il secondo che si possa parlare di scienza solamente una volta che è stato istituzionalizzato (reso ripetibile e culturalmente normato) il metodo scientifico. La religione può essere fideistica ma questo non implica il dogma sia l'unico strumento con cui si innesta sul mondo, la religione ebraica sarà pur dogmatica ma produce il più alto numero di premi nobel nel mondo occidentale, spesso nobel nelle scienze fisiche.
Citazione di: PhyroSphera il 12 Luglio 2025, 16:40:48 PMQuindi la concezione di un universo con "acque inferiori e superiori" non solo non va derisa ma si dovrebbe capire se essa è il presupposto della cosmogonia dominante in Occidente, luogo di massima importanza storica del cristianesimo, dalla quale è derivata l'attuale cosmologia riferimento della scienza occidentale e poi globalizzata.
Un antico filosofo greco diceva di vita primitiva acquatica e così non c'è da prendere Talete per scemo ma neppure prender per saggia l'illazione scientista degli evoluzionisti.
Non va derisa perchè funziona, è un idea scientificamente valida, per la scienza del tempo. Se non conosci l'evaporazione un buon modo per spiegare l'esistenza della pioggia è sostenere che l'acqua stia già in cielo, e infatti sottoforma di nuvole (e non di oceano) è già in cielo, e ogni tanto piove. Per come si conosceva la fisica nel Levante l'idea di un oceano volante è perfettamente valida, non è una metafora, è ciò che ti avrebbe spiegato il miglior ingegnere in Israele: hai visto il mare e il cielo, quando c'è tempesta cambiano colore entrambi perchè sono entrambi oceani, io al tempo avrei dato ragione all'ingegnere, mi sembra un ottima spiegazione.
Nessuno deride Talete perchè nessuno chiede di sottomettersi alle opere di Talete e abbandonare le proprie facoltà razionali quando le si legge, se qualcuno usasse la stessa ginnastica mentale che si usa sulla Bibbia e la rivolgesse verso Talete, ti assicuro ci sarebbe da ridere per settimane, mesi, anni, nei secoli. Se qualcuno affermasse che Talete era Dio sceso in terra oh se ci sarebbe da ridere, rideresti anche tu.
Citazione di: InVerno il 13 Luglio 2025, 08:42:09 AMNon va derisa perchè funziona, è un idea scientificamente valida, per la scienza del tempo.
Se la realtà fosse continua non potremmo descriverla senza dividerla in parti, e ciò vale anche per quel racconto che chiamiamo storia.
Se ciò che vogliamo descrivere è una retta la divisione in parti sarà del tutto arbitraria, ma se la linea presenta dossi e cunette, e in dossi e cunette la dividiamo, non si potrà dire che la nostra divisione sia del tutto casuale.
Da qui poi è un attimo dare a dossi e cunette uno status a parte, specie se si perde memoria che degli elementi di un racconto si tratta. Montagne ed abissi si pareranno allora di fronte a noi come cose in se, e a nulla varrà far notare che non c'è un punto esatto dove iniziano e dove finiscono, se nel frattempo esse sono diventate la realtà che viviamo, ignorando la quale metteremmo a rischio la vita, precipitando negli abissi la cui esistenza ignoreremo negandola..
Il metodo scientifico è una montagna nel cammino della storia dell'uomo, tanto che se ne può perdere percettivamente la continuità con essa.
Se poi si attribuisce al racconto un potere che va oltre il suo essere un puro racconto, le apparenti discontinuità diventano un fatto da spiegare.
Così ci ritroviamo con un racconto, che in se è una spiegazione, che richiede di essere spiegato, e nel farlo ci accapigliamo, perchè non ha senso spiegare una spiegazione o raccontare un racconto.
Se arbitrariamente, come è necessario fare, dividiamo la linea in una prima parte, la religione, e una seconda, la scienza, perdendo la coscienza dell'arbitrarietà dell'operazione, si creeranno due partiti, quello dei religiosi e quello degli scienziati, con tutto ciò che ci può stare nel mezzo, come quelli che cercheranno nella scienza il sostegno per la religione e viceversa.
Avvitarsi sempre più in queste incongrue complicazioni è un attimo.
Chi ama filosofare poi, c'è il rischio che in queste complicazioni ci sguazzi al punto che non abbia alcuna intenzione di sbrogliarle, ma anzi, tutto il contrario.
Fra tutte le distinzioni, che sono pur necessarie quanto arbitrarie, la più perniciosa non è neanche quella fra scienza e religione, ma fra naturale ed artificiale, se, come credo, questa dentro di se quella contiene. Una distinzione che implica il dare all'uomo uno status speciale, creando una discontinuità fra esso e la natura, che se da un lato è necessaria al racconto, è fonte dei mali che stiamo vivendo.
Se ci vogliamo salvare questo racconto dunque è da rivedere, non perchè falso, non esistendo racconti veri, ma perchè ormai inadeguato, essendo diventato esso stesso l'abisso di cui racconta.
I nostri racconti vivono lottano insieme a noi, ma consideriamo pure che vi è una panchina in cui posizionarli quando per raggiunta anzianità tirano il fiato.
Citazione di: InVerno il 13 Luglio 2025, 08:42:09 AMNessuno deride Talete perchè nessuno chiede di sottomettersi alle opere di Talete e abbandonare le proprie facoltà razionali quando le si legge,
Ne siamo proprio sicuri? Siamo sicuri cioé che nei confronti della tradizione filosofica non ci sia almeno un po' di atteggiamento dogmatico di sacralità.
Io ricordo di aver fatto un post ironico sulla figura di Socrate tempo fa, e questo post venne cancellato. Per me é evidente che tale cancellazione nasceva dal bisogno del moderatore di mantenere un rispetto sacrale di quella figura di filosofo.
Questo non era un problema per i nostri nonni, che nascevano e morivano dentro lo stesso racconto, e con loro morivano anche le loro convinzioni, così granitiche che solo la morte poteva averne ragione.
E' un vero problema per noi invece questa granitici di pensiero, laddove l'accelerazione della storia ci costringe a vivere più vite in una.
L'inerzia delle nostre convinzioni ci sta portando a sbattere, ma la soluzione non è porre un freno ai nostri pensieri, come ci invita a fare Mauro Pastore, ma al contrario accelerarli, partendo per una linea asintotica, per chiudere la parabola iniziata col precedente post.
Difficile da fare a meno che l'intelligenza artificiale non sia quell'asintoto, posto che vorremo considerarla come cosa naturale.
Difficile da farsi, eh?
Si, appunto, lo so bene!
Citazione di: anthonyi il 13 Luglio 2025, 11:11:51 AMNe siamo proprio sicuri? Siamo sicuri cioé che nei confronti della tradizione filosofica non ci sia almeno un po' di atteggiamento dogmatico di sacralità.
Io ricordo di aver fatto un post ironico sulla figura di Socrate tempo fa, e questo post venne cancellato. Per me é evidente che tale cancellazione nasceva dal bisogno del moderatore di mantenere un rispetto sacrale di quella figura di filosofo.
No anzi, sosterrei volentieri che l'eredità classica, specialmente come reinterpretata ed interagita nel cosiddetto periodo neoclassico e posteriori, abbia molti elementi tipici religiosi, compresi di pensiero magico e fideistico. Io sono cresciuto prima con i miti greci, poi con la filosofia greca, e solo passanti i vent'anni ho letto la Bibbia, certamente non avrei nessuna remore nel dire che la mia religione antica è quella ellenica piuttosto che quella semita, non capisco chi per esempio come te riporta l'occidente a un origine "giudeo-cristiana" vivendo in un paese (penso lo stesso sia in Canada come in USA) dove tutti i palazzi di governo sono in stile neoclassico, quella scelta di stile rimandava a dei set di valori, i valori della democrazia, non del dogma imposto per sottomissione tipico delle religioni levantine, la Palestina più del Canada sembra invece un degno erede di quelle religioni, e stranamente è anche al posto giusto sulla cartina geografica.
Citazione di: InVerno il 13 Luglio 2025, 08:42:09 AMPer il credente potrà pure essere irrilevante la nostra origine biologica, ma non lo era per Gesù che chiaramente ragiona il mondo attraverso genesi e produce ragionamenti di valore in base a questo, accettando questi ragionamenti implicitamente si accettano anche le loro premesse, spesso "scientifiche" del tempo.
Questo è quello che intendevo ogni volta che ho ricordato i limiti nozionistici del testo religioso e i limiti cognitivi del lettore che si aspetta(sse) di trovarci informazioni aggiornate di biologia o anche solo di sociologia (nel senso che suppongo anche i bambini sappiano che la religione cristiana non ha per obiettivo ripristinare la società ebraica di duemila anni fa).
Rimane quindi la domanda: per il credente in cerca di risposte etiche e orientamento esistenziale, quanto contano queste contingenze contestuali rispetto alle risposte che il credo gli fornisce? Detto altrimenti: rispetto alla guida etica che il cristianesimo propone, quanto è inaggirabile e "deviante" il fatto che Cristo abbia parlato della donna come si era soliti fare all'epoca, accostando tuttavia tali discorsi ai concetti di fratellanza, carità, etc. da cui non ha certo escluso le donne?
Citazione di: InVerno il 13 Luglio 2025, 08:42:09 AMPenso ci siano due maggiori confusioni, una intorno al concetto di religione, che viene obbligato al dogmatismo come unica forma di espressione per via dell'impressione lasciata dalle religioni semitiche.
Credo che il dogmatismo sia inevitabilmente il fondamento e l'essenza di ogni religione, nel momento in cui ogni religione si basa sull'esistenza della sua divinità, esistenza che va accettata per fede come dogma. Senza divinità non c'è religione e può esserci divinità solo per dogma, non per verifica empirica o dimostrazione. Partendo da questo dogma di esistenza divina si possono fare tutte le elucubrazioni teologiche e spirituali coerenti, ma il chiodino che regge tutto il sontuoso quadro è il dogma.
Citazione di: InVerno il 13 Luglio 2025, 08:42:09 AMLa religione può essere fideistica ma questo non implica il dogma sia l'unico strumento con cui si innesta sul mondo, la religione ebraica sarà pur dogmatica ma produce il più alto numero di premi nobel nel mondo occidentale, spesso nobel nelle scienze fisiche.
Non credo tu intenda davvero che vincere un premio scientifico sia un modo in cui una religione si innesta nel mondo; salvo non ci sia un Nobel a
contenuto religioso o premi scientifici che abbiano corroborato dogmi e dettami religiosi.
Sui premi Nobel ho il sospetto che non sia la
religione ebraica a produrne in quantità (salvo le sinagoghe non siano diventate centri di ricerca scientifica), ma lo studio (e altre circostanze accademiche) di quelle persone, che sono
anche ebree. Qualche post fa si parlava proprio di come essere scienziati nei giorni lavorativi e santificare le feste in altri giorni, non sia affatto incoerente, a ulteriore dimostrazione di come la sfera esistenziale dello scienziato non è necessariamente di intralcio alle sue ricerche scientifiche. Finché la scienza, per essere riconosciuta accademicamente, richiede prove, test, dimostrazioni, controlli incrociati, etc. uno scienziato può anche credere che Topolino esista nel mondo reale, ma non potrà mai portare tale fede nel suo ambito lavorativo e vincerci un Nobel (se poi molti dei vincitori di Nobel solo calvi o calvinisti, non credo possiamo concludere che essere essere calvi o calvinisti aiuti nella ricerca scientifica).
Excursus per corroborare la tesi relativa all'ebraismo nella top rank dei Nobel. Credo che dipenda dal fatto che l'ebraismo sia per antonomasia "la religione del libro" e come solleciti, quindi, i suoi seguaci a studiare (specialmente in certi paesi dove lo studio è comunque sostenuto, infatti i nobel ebrei li troviamo soprattutto nelle culture anglosassoni). La pressione esercitata da secoli nei confronti degli ebrei li ha inoltre spinti a "dover eccellere". Infine una volta attivata la ruota, è inevitabile che il figlio di un fisico nucleare ebreo, si faccia largo in campo intellettuale, perché per lui la cultura sarà una dimensione naturale, coltivata fin dalla più tenera età. A tutto questo, per sovrapprezzo possiamo anche aggiungere il mito del popolo eletto, che anche secolarizzato, può produrre il classico effetto da "selfullfilling prophecy".
Citazione di: InVerno il 13 Luglio 2025, 11:35:45 AMNo anzi, sosterrei volentieri che l'eredità classica, specialmente come reinterpretata ed interagita nel cosiddetto periodo neoclassico e posteriori, abbia molti elementi tipici religiosi, compresi di pensiero magico e fideistico. Io sono cresciuto prima con i miti greci, poi con la filosofia greca, e solo passanti i vent'anni ho letto la Bibbia, certamente non avrei nessuna remore nel dire che la mia religione antica è quella ellenica piuttosto che quella semita, non capisco chi per esempio come te riporta l'occidente a un origine "giudeo-cristiana" vivendo in un paese (penso lo stesso sia in Canada come in USA) dove tutti i palazzi di governo sono in stile neoclassico, quella scelta di stile rimandava a dei set di valori, i valori della democrazia, non del dogma imposto per sottomissione tipico delle religioni levantine, la Palestina più del Canada sembra invece un degno erede di quelle religioni, e stranamente è anche al posto giusto sulla cartina geografica.
Confermo che lo stile tipico dei palazzi del potere, in Canada, é neoclassico come negli USA, ma é anche una monarchia costituzionale, quello che probabilmente sarebbero diventati gli USA se non avessero fatto la rivoluzione. Pensa che bello, Re Carlo al posto di Donald Trump!
A parte scherzi, ho la sensazione che il tuo ragionamento sia caratterizzato da un approccio modernistà, come se cioé un certo pensiero illuminista, scientifico, democratico, liberale si sia innestato nella civiltà in una chiave rivoluzionaria di rinnegamento di millenni di storia precedente. Le cose naturalmente non stanno così, il calendario del mondo occidentale di oggi é più o meno lo stesso di quegli altri secoli, la giurisdizione, le abitudini hanno avuto la loro continuità.
Voi razionalisti continuate a pensare che il pensiero razionale sia nato con voi, e sia nato nel rinnegamento delle tradizioni, religiose o non, ma le cose non stanno così, le tradizioni sono piene di razionalità non esplicitata, e a volte é proprio l'opposizione razionalistà a certe tradizioni ad apparire irrazionale.
L'esempio l'ho già fatto, hai fatto caso che tra i paesi occidentali quelli che hanno mantenuto la forma monarchica originaria tendono ad avere maggiore stabilità democratica e un migliore sviluppo sociale?
Citazione di: anthonyi il 13 Luglio 2025, 11:11:51 AMNe siamo proprio sicuri? Siamo sicuri cioé che nei confronti della tradizione filosofica non ci sia almeno un po' di atteggiamento dogmatico di sacralità.
Io ricordo di aver fatto un post ironico sulla figura di Socrate tempo fa, e questo post venne cancellato. Per me é evidente che tale cancellazione nasceva dal bisogno del moderatore di mantenere un rispetto sacrale di quella figura di filosofo.
Leggendoti mi viene la seguente riflessione.
Si può dubitare di qualunque cosa, ma a un certo punto anche dal dubbio occorre prendersi una pausa, ed è li che le cose iniziano ad acquisire sostanza sacrale, cioè quando si smette di metterle in dubbio.
Quindi non è tanto che attribuiamo sacralità alle cose, cosa difficile da spiegare in se, se non sembra esserci un motivo per farlo, ma le cose iniziano ad acquisire sacralità quando smettiamo di dubitarne anche solo per stanchezza mentale.
In fondo anche le ''verità'' scientifiche nascono quando finiscono le verifiche, che potenzialmente potrebbero andare avanti all'infinito.
Naturalmente i dubbi e le verifiche possono essere riprese in qualunque momento e per qualunque motivo, e anzi la scienza anzi si raccomanda di costruire solo teorie che ciò sempre consenta, ma in quel caso bisognerà vincere l'opposizione di chi, durante quella vacanza dal dubbio, su quelle verità ci ha costruito il mondo in cui vive, o quanto meno il suo racconto, al quale ha conformato il suo modo di vivere .
Queste resistenze si possono ben comprendere, se mettere in dubbio le altrui verità equivale a tutti gli effetti a uno sfratto esecutivo.
Cosi inizieranno a dire che il mondo è al contrario, ma il mondo può capovolgersi solo se ha un verso e quindi un senso che solo un racconto gli può dare, quindi ce l'ha solo se abbiamo confuso con esso il suo racconto.
Citazione di: Jacopus il 13 Luglio 2025, 12:22:03 PMExcursus per corroborare la tesi relativa all'ebraismo nella top rank dei Nobel. Credo che dipenda dal fatto che l'ebraismo sia per antonomasia "la religione del libro" e come solleciti, quindi, i suoi seguaci a studiare (specialmente in certi paesi dove lo studio è comunque sostenuto, infatti i nobel ebrei li troviamo soprattutto nelle culture anglosassoni). La pressione esercitata da secoli nei confronti degli ebrei li ha inoltre spinti a "dover eccellere". Infine una volta attivata la ruota, è inevitabile che il figlio di un fisico nucleare ebreo, si faccia largo in campo intellettuale, perché per lui la cultura sarà una dimensione naturale, coltivata fin dalla più tenera età. A tutto questo, per sovrapprezzo possiamo anche aggiungere il mito del popolo eletto, che anche secolarizzato, può produrre il classico effetto da "selfullfilling prophecy".
Aggiungiamoci, per maggior peso, che tutti quelli che hanno cacciato gli ebrei, pur appropriandosi delle loro ricchezze, si sono ritrovati più poveri.
Citazione di: anthonyi il 13 Luglio 2025, 13:50:49 PML'esempio l'ho già fatto, hai fatto caso che tra i paesi occidentali quelli che hanno mantenuto la forma monarchica originaria tendono ad avere maggiore stabilità democratica e un migliore sviluppo sociale?
E' vero, però della monarchia è rimasta appunto solo la forma, che però almeno garantisce una continuità.
Citazione di: Phil il 13 Luglio 2025, 11:42:16 AMCredo che il dogmatismo sia inevitabilmente il fondamento e l'essenza di ogni religione, nel momento in cui ogni religione si basa sull'esistenza della sua divinità, esistenza che va accettata per fede come dogma. Senza divinità non c'è religione e può esserci divinità solo per dogma, non per verifica empirica o dimostrazione. Partendo da questo dogma di esistenza divina si possono fare tutte le elucubrazioni teologiche e spirituali coerenti, ma il chiodino che regge tutto il sontuoso quadro è il dogma.Non credo tu intenda davvero che vincere un premio scientifico sia un modo in cui una religione si innesta nel mondo; salvo non ci sia un Nobel a contenuto religioso o premi scientifici che abbiano corroborato dogmi e dettami religiosi.
Il fatto è che questo tipo di definizione che necessità la presenza di un dio per parlare di religione è stata accantonata, secondo me giustamente, per il semplice fatto che genera valanghe di strani ibridi, dalle famose immanenti asiatiche al semplice cargo cult africano, il minimo comun denonimatore non sembra essere il personaggio divino antropomorfizzato che nel mito rappresenta i valori, quanto invece i valori stessi, l'area etica del "sacro", di ciò che è considerato innegabile, e la presenza o meno di un Dio o di un eroe-profeta, più una cifra stilistica in voga in certi tempi che qualcosa che ha una sua rilevanza funzionale nel processo religioso. I cosidetti "diritti umani" oggi sono incontentidibili sia dai processi culturali (inutile protestarvi contro) sia dai processi istituzionali (inutile farvi politica contro), anche se non li giustifichiamo con la venuta del "Dio dei diritti umani" sono un elemento di religatura della società proprio per l'aura di incontestabilità con cui li proteggiamo, rappresentano un "minimo generico" per cui chiamarci fratelli, sono religione.
Il dogmatismo che ha ovviamente le sue radici teologiche ma ha anche una sua dimensione storica. Si sottovaluta quanto il dogma fosse efficiente nella preservazione e trasmissione di un messaggio inalterato in tempi dove capitava forse una volta nella vita di vedere due "edizioni" di un testo nella stessa stanza, la paranoia di fronte a copisti sbadati, aedi troppo virtuosi e analfabeti creativi. Arriva Gutemberg ad alleviare certi problemi, e immediatemente il dogmatismo cristiano si squaglia in decine di scheggie protestanti, ognuna con la propria interpretazione del testo. Allo stessa maniera, comparando diverse religioni il dogmatismo è diverso, alcune non ti permettono di scrivere il nome, altre ti lasciano disegnare l'uccello. In entrambi i casi, sia per il dogmatismo che per Dio, pur riconoscendo che sono storicamente condizioni prevalenti del pensiero religioso, sostenere che sono condizioni sine qua non provoca problemi con la definizione stessa di religione che risulta inadeguata all'osservazioni di fenomeni simili.
Riguardo ad ebrei e nobel sarebbe una digressione troppo lunga da fare, comunque no, non intendevo un nesso causale, quanto una conseguenza istituzionale di tradizioni che premiano lo studio e l'interazione con il mondo esterno, anzichè il fissarsi sul proprio ombelico nell'idea astratta di un Dio apofatico.
Non misuro il successo di una religione dal numero di credenti o l'oro nei suoi templi, ma dalla sua capacità di motivare le persone, perchè a questo serve. Attento che ti ho dato ragione, riguardo alla scelta di un "cavallo vincente", il problema è che secondo me non è una priorità molto alta degli esseri umani, avere cavalli vincenti nelle discussioni teologiche, c'è forse un pò di bias per noi forumisti, ma ciò che si cerca nella religione è primariamente altro, secondo me.
Ho sentito dire dall'arcivescovo di Canterbury che secondo lui il problema principale del cristianesimo moderno è che non ha una prassi, che l'Islam e il Buddismo propongono un innesto nel mondo reale mentre il cristiano "non si sa cosa fa", è una religione troppo celebrale dove le persone credono apaticamente, accusava i credenti di "solipsimo spirituale". Lui lo chiama sogno io coma, ma la sostanza non cambia, la religione cristiana vorrebbe tornare ad essere scienza, come lo è sempre stata, è come è ancora per moltissimi, di cui sottovaluti il numero ed importanza sociale. La religione può essere vissuta separatamente dalla scienza, se si hanno gli strumenti filosofici adeguati per organizzare l'armadio delle idee, ma veramente pochi hanno questo lusso e quando si parla di "religione" bisorrebbe tenere in considerazione anche gli altri, non come credenti di un "dio minore" ma come partecipanti alla stessa tradizione.
Citazione di: InVerno il 16 Luglio 2025, 16:01:34 PMil minimo comun denonimatore non sembra essere il personaggio divino antropomorfizzato che nel mito rappresenta i valori, quanto invece i valori stessi, l'area etica del "sacro", di ciò che è considerato innegabile, e la presenza o meno di un Dio o di un eroe-profeta, più una cifra stilistica in voga in certi tempi che qualcosa che ha una sua rilevanza funzionale nel processo religioso. I cosidetti "diritti umani" oggi sono incontentidibili sia dai processi culturali (inutile protestarvi contro) sia dai processi istituzionali (inutile farvi politica contro), anche se non li giustifichiamo con la venuta del "Dio dei diritti umani" sono un elemento di religatura della società proprio per l'aura di incontestabilità con cui li proteggiamo, rappresentano un "minimo generico" per cui chiamarci fratelli, sono religione.
Ci sono "religioni", che sono tali in senso più o meno metaforico, anche senza un dio, e questo è buon motivo per distinguerle attentamente da quelle che un dio ce l'hanno e, soprattutto, non possono farne almeno per avere un senso. La "religione dei diritti umani", per quanto universalmente riconosciuta, accettata, "venerata", "celebrata", praticata, etc. è di fatto esplicitamente e dichiaratamente immanente, opinabile (seppur a bassa voce), convenzionale quanto ogni dichiarazione dattiloscritta in un convegno o conferenza, etc. Possiamo dire che ha un valore
spirituale e
religioso? Direi di no. Ha valore etico, culturale, politico e sociologico? Direi proprio di sì. Possiamo confonderla con una religione che ha una divinità, ossia che è incentrata su trascendenza, assolutezza (non convenzionale né arbitraria), sacralità (non in senso mondano-culturale), etc.? Direi di no. A questo punto non resta che chiarire se si vuole discutere di religioni o "religioni", in rapporto con la scienza e le altre discipline.
Citazione di: InVerno il 16 Luglio 2025, 16:01:34 PMIn entrambi i casi, sia per il dogmatismo che per Dio, pur riconoscendo che sono storicamente condizioni prevalenti del pensiero religioso, sostenere che sono condizioni sine qua non provoca problemi con la definizione stessa di religione che risulta inadeguata all'osservazioni di fenomeni simili.
In che senso «inadeguata»? Se assegniamo ad ogni religione il
suo dio, i
suoi dogmi, etc. dov'è il "cortocircuito"? Pensa ad una dimostrazione per assurdo: ci sono religioni che non hanno divinità e dogmi come
conditio sine qua non? Certo, le "religioni" (v. sopra) mondane e convenzionali magari non ce li hanno, ma allora rimane la domanda: vogliamo parlare di religioni (spirituali, trascendenti, etc.) o "religioni" (convenzionali, consensuali, etc.)? Perché a seconda della scelta, cambia tutto il discorso che ne consegue.
Citazione di: InVerno il 16 Luglio 2025, 16:01:34 PMil problema è che secondo me non è una priorità molto alta degli esseri umani, avere cavalli vincenti nelle discussioni teologiche, c'è forse un pò di bias per noi forumisti, ma ciò che si cerca nella religione è primariamente altro, secondo me.
Secondo me si cerca, come detto, un supporto esistenziale, coordinate etiche
per l'azione, etc. per cui il dogmatismo basta e avanza (ed è piuttosto solido come appoggio, nella sua autoreferenza). Per questo sottolineavo come (alcuni forumisti "
docunt") "gemellare" la fede con le altre discipline, o anche solo i "giochi di prestigio teologici", siano piuttosto irrilevanti per il credente che ha i suddetti bisogni e non è interessato a dimostrazioni epistemologiche o decodifiche teologiche di "messaggi cifrati" fra le righe dei testi sacri. Per questo colui che è scienziato di giorno, può recitare la preghiera della sera (senza arrovellarsi il cervello se Cristo sia stato possessore delle sue vesti o meno).
Citazione di: InVerno il 16 Luglio 2025, 16:01:34 PMHo sentito dire dall'arcivescovo di Canterbury che secondo lui il problema principale del cristianesimo moderno è che non ha una prassi, che l'Islam e il Buddismo propongono un innesto nel mondo reale mentre il cristiano "non si sa cosa fa", è una religione troppo celebrale dove le persone credono apaticamente, accusava i credenti di "solipsimo spirituale".
Considerazione interessante quella dell'arcivescovo, e farei persino un passo avanti: come fanno il buddismo e l'Islam ad essere prassi? La risposta forse è proprio nel "solipsismo spirituale" quando si fa "cerebrale"; perché abbiamo questa tendenza? Forse perché siamo (o meglio alcuni sono) convinti che religione e teologia
debbano (ancora: eredità del medioevo) andare a braccetto e, soprattutto, che la religione sia in competizione con... esatto, la scienza. Il cristianesimo secolarizzato ha dato l'impressione che tutto debba implodere in lui, come un motore immobile e centripeto che attrae tutto: astronomia, politica, scienza, economia, etc. A questo punto il credente, mediamente istruito, preso atto del fallimentare ipertrofismo religioso (che rivela la sua debole
umanità, l'ultimo tratto che una religione deve mostrare per sopravvivere) fa fatica "in cuor suo" a
fidarsi della religione anche su questioni religiose; magari la esegue diligentemente con la messa di Pasqua e Natale, ma poi (complice, da non sottovalutare, il clima culturale postmoderno e multiculturale, che altrove non è ancora arrivato e forse non arriverà mai) si prende la libertà anti-dogmatica (e qui muore davvero la religione) di affermare che «Dio esiste, tuttavia
secondo me Dio è...» , «massimo rispetto per i comandamenti, però...», facendone una questione di opinione (la famosa religione fai-da-te, di cui ho spesso parlato, non mi ripeto).
Islam e buddismo non conoscono questa "competizione interdisciplinare" né tale voracità, perché o sottomettono e strumentalizzano le altre discipline alla religione (nell'Islam si pone il problema dell'"obiezione di coscienza" su tematiche in cui la scienza e la religione confliggono?); oppure perché la scienza non è che una variabile antropologica totalmente contingente e irrilevante per la spiritualità (buddismo).
Per dirla in modo più spiccio: quando una religione si limita a fare la religione, funziona meglio lei e consente al praticante di non dover scegliere (o restare apatico e perplesso) fra religione e altre discipline; evitando così che i dogmi della prima si "alienino" nell'invadere altri campi dove i dogmi, che pure ci sono, hanno altri connotati o semplicemente non "funzionano" come quelli religiosi.
La filosofia determina il successo e la pervasivita' "totalitaria" della religione, e alcuni eventi specifici della storia dell'occidente andrebbero visti come una generica debolezza umana o come un destino.
Certo si osserva, ed e' facile da osservare, che la religione in se' come fenomeno umano, e' piu' antica della filosofia.
Il difficile, e' osservare, che tutti i grandi sistemi umani religione centrici e in cui comunemente e diffusamente la religione diviene il centro e il senso della vita, come la societa' medioevale occidentale, la societa' islamica eccetera, sono post filosofici e debitori della filosofia greco classica, che non hanno di fatto mai "sconfitto", ma sussunto.
Gli antichi in quanto uomini prefilosofici, conoscono e praticano la religione, ma non ne sono, ossessionati. Gli orientali e i popoli non toccati dall'influenza della filosofia occidentale pure, conoscono e praticano la religione, ma non ne sono ossessionati; quantomeno non quanto è non nel senso in cui ne' e' ossessionato un cristiano medioevale tipico, o un islamico radicale anche moderno.
Ci vuole la religione, ovvio, per fare la filosofia, ma poi di contro, ci vuole la filosofia, per fare una grande religione monoteista e scritturato in grado di "sussumere" in qualche modo il mondo, e diventarne il centro.
La legge di sviluppo con cui potrei sintetizzare il concetto e' la seguente:
Dato un formidabile e raffinato sistema di retorica pubblica e logica, finalizzato a far funzionare una democrazia diretta reale > e quindi filosofia, nel senso occidentale del termine
+
E' solo una questione di tempo, prima che qualcuno lo usi, e lo snaturi, per sostenere l'irrazionale e il consolatorio > religione, nel senso occidentale del termine.
+
Da questo impasse, se ne esce solo comprendendo e accettando il desiderio insoddisfatto reale che ha portato a un certo punto della strada ad illudersi, in altre parole, comprendendo l'irreversibilita' del fatto stesso esperienziale dell'illusione anche qualora disvelata.
Come dire che un sogno, non sparisce dalla coscienza e non si dimentica per il fatto stesso che si comprende che e' un sogno, anzi in quanto sogno, la sua durabilita' e accessibilita' alla coscienza risiede tutta e solo, nella sua necessitata rammemorazione: attraversata completamente l'illusione, non si puo' reinstaurare, tantomeno "con atto politico" la realta'; si comprende, invece, che essa, e' morta insieme all'illuminazione stessa. Ugualmente, attraversata completamente la religione, non si puo' reinstaurare la filosofia, se non forse quel ramo, minoritario e inesplorato nella filosofia stessa in quanto fenomeno originale, che concerne la formazione non veritativa o para veritativa dell'opinione (l'ancillarita' della doxa, in quanto annullare alla verita') >>> nichilismo, come cifra della modernita'.
Certo questa e' un po' la storia dell'occidente, ma secondo me e' anche una caratteristica intrinseca dell'uomo: dato un grande sistema della parola, della persuasione, della dimensione pubblica della vita e della verita', che originariamente deriva e non puo' che derivare da uno stretto e profondo rapporto dell'individuo (sociale) col mondo, e' naturale, usarlo, prima o poi, per raccontarsi delle "verita' " molto poco probabili, ma molto consolatorie, quindi, per "rompere" e tradire, lo stretto rapporto con la natura e col mondo, da cui il grande sistema della persuasione è della parola, di fatto deriva.
Crearsi una bolla di mondo poco probabile ma a misura d'uomo.
La rottura di questa bolla e' a sua volta traumatica, perche' dopo, non si puo' tornare "ingenuamente", e come se niente fosse e fosse stato, nel mondo: l'illusione umana che genera se non "la religione" in generale, quantomeno il dominio (post filosofico) del religioso, nasce, e origina, da un desiderio insoddisfatto reale. Che, anche dopo la fase del dominio antropico del religioso, necessariamente forte e per un certo dato tempo epocale (appunto) perche' filosoficamente fondato (la teologia...), richiede vie di soddisfazione ulteriori.
Citazione di: niko il 16 Luglio 2025, 22:38:25 PMCerto si osserva, ed e' facile da osservare, che la religione in se' come fenomeno umano, e' piu' antica della filosofia.
In realtà non è così facile, perché non è un'affermazione pacifica, dipendendo in gran parte da cosa si intende per filosofia (sul cosa fosse la religione anticamente è più facile concordare). La filo-sofia, restando sull'accademico (non dico nulla di troppo soggettivo o "sperimentale") è
indagine mossa dallo
stupore verso il mondo e dal
desiderio di
conoscerlo e comprenderlo. Non a caso, anticamente, come insegnano i greci, la scienza e la tecnica erano infatti
parte della filosofia. E anche la religione, non ancora teo-logia, non ancora
rivelata, non ancora "religione del libro", era una branca della filosofia, orientata alla conoscenza del divino (il filosofo-sapiente dell'epoca era un tuttologo, anche se oggi suona forse un po' dispregiativo).
I filosofi antichi parlavano già degli dei, ma non perché fosse nata prima la religione, ma perché plausibilmente altri proto-filosofi, prima di loro e prima della scrittura, avevano dato come risposta e spiegazione, ad alcuni fenomeni, quella del divino (non trovandone di migliori, evidentemente). Persino lo stregone del villaggio che cerca di spiegare fenomeni naturali con divinità e feticci, o rende tali fenomeni divinità stesse, è a suo modo un filosofo, più che un religioso: probabilmente non avrà nemmeno il concetto di religione, per come la intendiamo noi, ma avrà sicuramente quello di conoscenza (mossa da stupore e da desiderio di comprendere).
Quello che è successo in seguito, in occidente, con la religione che si separa dalla filosofia (o la "schiavizza") e poi le varie scienze che si separano anch'esse dal seno filosofico, spinge alcuni contemporanei a credere che oggi filosofia sia sinonimo di metafisica, perché «oggi solo quello le è rimasto come
fil rouge con il passato». Il che significa, da un lato, ignorare ciò che la filosofia è stata fino a ieri: non certo solo metafisica, se è vero che Aristotele aveva scritto anche molto altro e che i filosofi moderni flirtavano con la scienza più all'avanguardia
dei loro tempi (attività che quelli contemporanei si dimenticano di fare). Dall'altro, relegare la filosofia a scienza antiquaria o nostalgica che si gratta la barba e snobba il mondo che la circonda, passando da filosofia a "filosonnia" (amore per il sonno e per il sogno, "filia" dimentica di Eraclito che a suo tempo invitava a diffidare dei dormienti).
"Per fortuna" ci sono l'epistemologia e la filosofia analitica (perlopiù in lingua anglosassone) che, per una certa ironia storica, si e ci ricordano di quanto la filosofia greca originaria non fosse "passione per l'astratto e per la retorica", ma passione per la
conoscenza, inevitabilmente per come essa è possibile
ai tempi dell'aspirante filosofo.
Il disarmante e arbitrario
aut aut filosofico «metafisica o nichilismo!», è tale (e valido) solo per quella filosofia, tipica del pensiero del vecchio continente post-medievale, che si è chiusa nella torre di avorio fra libri antichi e, quando si affaccia, si ritrova fuori sincrono, parlando una lingua di secoli passati mentre fuori si parla l'inglese dei
social e della globalizzazione, così che tale fras
tornata (vetero)filosofia urla sprezzante «nichilisti!» (o «
egoisti»?) e richiude la finestra sbattendola, per tornare ai suoi "pensamenti epocali" (ossia di altra epoca).
Cosa c'entra questo con la religione? Evidentemente se la filosofia è desiderio di conoscenza che ha saputo tramutarsi in desiderio di rigore epistemologico (almeno per chi è rimasto fuori dalla torre di avorio), viene ribadito una volta di più di come la religione, che non è desiderio di conoscenza del "funzionamento" del mondo o dell'uomo, ma al massimo desiderio di
relazione con Dio e sottomissione (consensuale) a quello che è giusto fare
per Dio, ossia non è fatta di domande ma di risposte (addirittura già scritte previdentemente e provvidenzialmente nei testi sacri), non possa essere con
fusa né con l'attività filosofica, né tantomeno con l'attività scientifica (entrambe con dogmi differenti da quelli religiosi).
Mi sembra superfluo e un po' fuori tema ricordare qui tutte le caratteristiche di unicità della filosofia greco classica occidentale, sappi comunque che non credo che "tutto sia filosofia", credo nella specificità della filosofia come metodo.
Credo anche che l'afflato etico, eudaimonistico, politico e tecnico della filosofia sovrasti di gran lunga il suo afflato "epistemico" e sia, in essa e per essa, molto più fondamentale. Per quanto il filosofo possa essere "tuttologo", la filosofia non è ricerca di conoscenza qualunque o fine a se stessa, è e resta ricerca di conoscenza utile alla vita, individuale e collettiva.
Vedere la filosofia come "epistemica" è una gran proiezione del moderno sull'antico, nel senso preciso che è (solo!) il capitalismo, l'unica società a poter valorizzare la conoscenza fine a se stessa, e quindi in cui la ricerca della conoscenza fine a se stessa è (perfettamente!) razionale. Il capitalismo, fa i soldi pure dai parchi giochi, diseneyani e scientifici e quindi ri-razionalizza a posteriori l'infinità dei possibili atti conoscitivi afinalistici, e finanche voyeuristici umani, i quali sono follia e squarcio quantomeno problematico sulla follia per pressoché tutte le altre umane forme di società, dai Maori alla Grecia antica. Le quali, necessariamente fanno una cernita, tra conoscenze utili e inutili. A loro, per quanto pure loro abbiano delle elites sociali o intellettuali e si sforzino di entrarci, nessuno li paga, per gigioneggiare all'infinito e verso l'infinito in un parco giochi. Se guardano intorno, vedono che neanche il Faraone o l'Arconte, lo fa. Ecco: la filosofia è molto di piu' l'arte di questa continua inevitabile cernita, piuttosto che essere tecnicamente o specificamente epistemica. Conoscenza del bene, del bello, dell'utile eccetera.
E quindi, la filosofia nasce come antireligiosa, ma, inevitabilmente, tradendo se stessa, finisce per nutrire le forme e rilanciare le forme più ipertrofiche e tarde, della religione, come una sorta di metafisica di ritorno. Quando sei in grado di sostenere e argomentare tutto, è inevitabile sostenere e argomentare paradisi artificiali e mondi a misura d'uomo. Il canto del cigno eccetera.
Il teatro, la democrazia assembleare diretta, lo schiavismo come contro-etica del lavoro (la ricchezza compra l'agio di non fare un cavolo tutto il giorno non altra ricchezza), il maschilismo come sublimazione e subordinazione della donna, la società pre-scritturale e dell'oralità, la pederastia come amore non familistico e frammentazione sociale dell'autorità paterna, la logica come anti sofistica in un agone politico reale e non come automazione del linguaggio e del pensiero sono i principali presupposti, della forma di vita specifica della filosofia. Più ci si allontana, da tali presupposti, più la filosofia si avvicina al suo destino negativo/inevitabile, di diventare nutrimento paradossale per una religiosità consolatoria e nichilistica di ritorno. Infatti, il trauma della messa a morte del giusto, da ciò che non deve essere in assoluto ripetuto (Socrate, lo stato normale, e formalmente iniziale, della filosofia) diventa ciò di cui è interiormente e esteriormente auspicabile la ripetizione infinita (Cristo, il suo stato, invece, tardivo e delirante, che ne testimonia una diretta inversione, negli scopi e negli auspici generali, non gia' nel metodo, che per assurdo, anche stante l'inversione, degli scopi, resta invariato).
Non è possibile tornare alla realtà, e all'innocenza di una vita solo vigilante e vigile, dopo il sogno, così come non è possibile tornare alla filosofia, dopo la sua fase di asservimento totale alla religione. Forse, non è neanche auspicabile, ma non è questo il punto. Quello che di buono e di salvabile ci insegna la modernità, soprattutto scientifica, socialista e cristiana, è la redenzione del futuro accettando di lasciare marcio e sofferente il passato, quindi, direi che tutto cio' fa segno ad una saggezza di fondo nell'accettazione dell'irreversibile che rimane valida, e affascinante, come traccia vuota, anche quando tutte le bugie della modernità siano state disilluse, dissolte e sbugiardate. Saggezza nell'accettazione dell'irreversibile, di cui non c'è traccia nello stato classico, ed iniziale della filosofia, e che quindi, ne indica, appunto, l'irrecuperabilità.
Il mio ricordare l'istanza epistemica della filosofia non voleva essere un recintarla alla sola episteme, ma voleva essere un promemoria di come la filosofia, da sempre, sia
anche rivolta a discorsi che cercano un saldo ancoraggio al reale e non solo a "viaggi iperuranici". Come dire: volevo ricordare che Aristotele si era occupato anche degli animali, Cartesio anche delle calcolatrici, Derrida anche dei computer, etc. perché
ai loro tempi anche quella era filo-sofia, per quanto ovviamente la riflessione aristotelica più di successo storico e più spendibile contenutisticamente oggi non è certo quella zoologica. Ovviamente la filosofia è anche estetica, ermeneutica, etica, etc. tutte discipline, come dicevo, non "scientificabili", ma comunque squisitamente filosofiche.
Citazione di: niko il 17 Luglio 2025, 03:40:20 AMnon è possibile tornare alla filosofia, dopo la sua fase di asservimento totale alla religione.
Ciò che dichiari impossibile è tale solo se intendi un "tornare alla filosofia
metafisica" (mi ero portato avanti parlandone già sopra); altrimenti il proseguire della filosofia mi pare ciò che di fatto sta accadendo, non senza inciampi ovviamente, in occidente (e qui torna in gioco l'epistemologia): se la filosofia è «
indagine mossa dallo
stupore verso il mondo e dal desiderio di
conoscerlo e comprenderlo», il fatto che ci sia stato un acquazzone religioso durante il viaggio, non significa che non si possa continuare a camminare ora che si inizia ad essere più all'asciutto. Chiaramente la strada può non essere la stessa di prima (tranne che per quelle filosofie che girano in tondo, nel circuito chiuso dei loro assoluti o delle loro utopie), perché è cambiato lo scenario tecnologico, politico, sociologico, etc., ma l'
attitudine e, entro certi limiti, i possibili
metodi filosofici, non sono poi molto differenti da quelli del passato
filosofico.
Come far rivoltare nella tomba due filosofi in un colpo solo: fu Pascal a inventare una calcolatrice, non Cartesio; mi scuso e torno in ginocchio sui ceci dietro la lavagna.
Citazione di: Phil il 17 Luglio 2025, 11:17:58 AMIl mio ricordare l'istanza epistemica della filosofia non voleva essere un recintarla alla sola episteme, ma voleva essere un promemoria di come la filosofia, da sempre, sia anche rivolta a discorsi che cercano un saldo ancoraggio al reale e non solo a "viaggi iperuranici". Come dire: volevo ricordare che Aristotele si era occupato anche degli animali, Cartesio anche delle calcolatrici, Derrida anche dei computer, etc. perché ai loro tempi anche quella era filo-sofia, per quanto ovviamente la riflessione aristotelica più di successo storico e più spendibile contenutisticamente oggi non è certo quella zoologica. Ovviamente la filosofia è anche estetica, ermeneutica, etica, etc. tutte discipline, come dicevo, non "scientificabili", ma comunque squisitamente filosofiche.Ciò che dichiari impossibile è tale solo se intendi un "tornare alla filosofia metafisica" (mi ero portato avanti parlandone già sopra); altrimenti il proseguire della filosofia mi pare ciò che di fatto sta accadendo, non senza inciampi ovviamente, in occidente (e qui torna in gioco l'epistemologia): se la filosofia è «indagine mossa dallo stupore verso il mondo e dal desiderio di conoscerlo e comprenderlo», il fatto che ci sia stato un acquazzone religioso durante il viaggio, non significa che non si possa continuare a camminare ora che si inizia ad essere più all'asciutto. Chiaramente la strada può non essere la stessa di prima (tranne che per quelle filosofie che girano in tondo, nel circuito chiuso dei loro assoluti o delle loro utopie), perché è cambiato lo scenario tecnologico, politico, sociologico, etc., ma l'attitudine e, entro certi limiti, i possibili metodi filosofici, non sono poi molto differenti da quelli del passato filosofico.
Il problema, e' che a un certo punto, della storia del pensiero; l'ancoraggio possibile/necessario alla realta'
del desiderio di illudersi, diviene (anche) l'aspetto fondamentale (ovverosia: quello piu' "epistemico" nel senso che intendi tu) della realta'.
Gli uomini, vedono il mondo con la lente della volonta' di potenza, della pulsione, della sopravvivenza genica come elemento meramente funzionale. Anche prescindendo un attimo da Marx, da Hegel, e dagli assoluti "politici", e' assai difficile fare (o meglio: continuare a fare), seriamente, filosofia dopo Freud, Darwin e Nietzsche, per dire i tre piu' ovvi.
E' un corto circuito logico che costringe a considerare l'acquazzone, teologico medioevale, e ultra religioso, premoderno, non come un acquazzone, ma come un irreversibile nella storia della coscienza singolare e lineare umana, che, in quanto tale, non "dimentica" e non puo' in assoluto dimenticare, quello da cui, meramente, si "disillude": Il paradiso artificiale e' falso, il desiderio umano che ha portato a rinchiudersi nel paradiso artificiale (invece) e' vero. Non c'e' altra realta', di quella che scaturisce, dalle dinamiche della volonta'. Il nulla ontologico, e gnoseologico, in cui vive l'uomo, non e' pero', anche, un nulla funzionale. Nel (doppio) senso, che le funzioni e le funzionalita' ci sono, e che, anche se non ci fossero, sono comunque desiderabili. E, finche' non si affronta e non si risolve questo, di "punto", della situazione, non sorgera' niente, di piu' "epistemico", ne tantomeno di piu' "interessante" di questo.
Neanche tra centomila anni. Neanche nell'imminenza di una guerra in grado di annientare fisicamente, l'intera umanita'. Lo stupor mundi di un mondo che sopravvive alla morte di dio ci deve bastare, altrimenti, il gioco stesso della filosofia sarebbe all'infinito, e quindi al massacro. Non si tratta, di integrare nel discorso filosofico "attuale" le ragioni di quelli che hanno ammazzato Cristo, ma quelle, di quelli, che hanno ammazzato, o comunque messo a morte, Socrate. Piu' facile. O magari, piu' difficile. Ma insomma c'e' sempre un evento, scabroso, che traumatizza i successori, di una certa riconoscibile tradizione, da non ripetere. E' il metodo, per non ripeterlo ad essere discutibile.
E infatti, finita ogni pretesa sistemica, nel mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica, ci dicono che alla filosofia, rimanga, solo, ad oggi, "il metodo". E il discorso sul metodo. La revisione, a posteriori, della (altrui) verita'. Da ancella della fede, a ancella della scienza, ma sempre ancella deve essere. Il timbro finale sulla carta virtualmente gia' scritta, il controllo qualita'.
Se questo ci sta stretto, oltre al metodo, la filosofia dovrebbe recuperare il discorso, sulla formazione, dell'opinione. Attaccare, e infiltrare, il regno della propaganda, della sondaggistica, della pubblicita', dell'intrattenimento, dei rimasugli dell' "arte", tutta quella roba li', che ad oggi forse conta ancora di piu', della scienza e della tecnica, e, languente in assoluta solitudine, non ha, valide e di compagnia, "ancelle". In fondo, tutti i migliori maestri, della piu' elevata e insospettabile filosofia, ci hanno comandato di conoscere l'opinione e il metodo dell'opinione, oltreche' la verita' e il metodo per la verita', che tanto, ad oggi langue, e, a quanto pare, languira' sempre.
Citazione di: Phil il 16 Luglio 2025, 18:16:04 PMCi sono "religioni", che sono tali in senso più o meno metaforico, anche senza un dio, e questo è buon motivo per distinguerle attentamente da quelle che un dio ce l'hanno e,
Pensa ad una dimostrazione per assurdo: ci sono religioni che non hanno divinità e dogmi come conditio sine qua non? Certo, le "religioni" (v. sopra) mondane e convenzionali magari non ce li hanno, ma allora rimane la domanda: vogliamo parlare di religioni (spirituali, trascendenti, etc.) o "religioni" (convenzionali, consensuali, etc.)?
Sono d'accordo che l'intera discussione dipende da dove si mettono i paletti di "religione", non capisco i termini per cui differenzi una parte proponendo come loro caratteristiche "convenzionali, consensuali", che sono due proprietà che applicherei anche al primo gruppo, le religioni stabiliscono convenzioni quindi sono convenzionali, e consensuali anche? Dipende da come si interpretano certi nodi intermedi riguardo le gerarchie, ma dibattibile. "Definizione inadeguata" nel senso che se hai necessità di differenziare tra "religioni" e "religioni metaforiche" (cioè non-religioni?) hai un problema nell'adeguatezza della definizione di religione che ti costringe a strane perifrasi che offuscano anziché che chiarire. Ti chiedi da solo "vogliamo distinguere quelle con Dio?" e ti rispondi positivamente, però poi ti accorgi che rispondendo positivamente le categorie non ti seguono e devi usare quegli "strani ibridi" di cui parlavo il post prima, io penso invece ci sia da lavorare di più sulla definizione di religione, non per interesse semantico ma antropologico e filosofico, io non penso di avere una risposta adeguata a molte contraddizioni, indico solamente dove mi pare sia il problema.Condivido l'individuazione del thauma come origine filosofica, ed in esso pensa sia la risposta del diverso spettro con la religione, la filosofia è una domanda scaturita dallo stupore, la religione è un tentativo di risposta, le risposte invecchiano, le domande si affinano col tempo, il passatismo e la deferenza con cui si guarda il passato filosofico, metafisico o meno, mi lascia sempre perplesso.
Riguardo invece alla differenza tra Cristianesimo Buddishmo e Islam penso che molto della evoluzione moderna del cristianesimo sia una "naturale" conseguenza della teologia che esprime, S.Paolo richiede ai cristiani non di credere a certe parabole belle o seguire il complesso garbuglio di prassi veterotestamentaria, ma di credere nella resurrezione di Gesù Cristo (e sperare nella propria), un evento "molto fisico" e individuale. Non è certo l'unico esempio ma simboleggia bene come questo "solipsmo" fosse nelle corde cristiane già dai testi di riferimento, ma che non ha per niente fermato i cristiani dal voler cercare le prove del diluvio universale (troveranno invece, serendipity, quelle della tettonica a placche) e indire crociate sanguinose nei posti della natività per ancorare la religione alla terra. Questo istinto totalitario della religione si dimentica in fretta dei propri limiti e ad un certo punto ti svegli che il tuo colore dei calzini è un fatto socialmente rilevante perchè disturba l'equilibrio religioso della comunità, il problema di definizione è che osserviamo comportamenti molto simili anche in assenza di divinità totalitarie, specialmente nel secolo scorso.
Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMIl nulla ontologico, e gnoseologico, in cui vive l'uomo, non e' pero', anche, un nulla funzionale. Nel (doppio) senso, che le funzioni e le funzionalita' ci sono, e che, anche se non ci fossero, sono comunque desiderabili. E, finche' non si affronta e non si risolve questo, di "punto", della situazione, non sorgera' niente, di piu' "epistemico", ne tantomeno di piu' "interessante" di questo.
E' la differenza fra un mobile fatto e uno da montare, fra la cosa in se e il fai da te.
Ma questo lo può capire solo chi si passa le domeniche all'Ikea. :)
E' la differenza fra il desiderio di verità, che è conoscenza in se, e il conoscere come in se desiderabile.
E' la soddisfazione di lottare col libretto di istruzioni di montaggio, quando il disegno diventa realtà, come processo possibile inverso della sua descrizione, con lo stesso diritto di priorità che c'è fra l'uovo e la gallina.
L'uovo esce dal culo della gallina, oppure è un pianeta da cui la gallina decolla in cerca di futuro?
Il mistero di chi viene prima nasce dal considerare uovo e gallina, ciò che descrive il processo, come cose in se, e non in se il processo .
L'uovo e la gallina come oggetti e non soggetti della conoscenza
Citazione di: iano il 18 Luglio 2025, 14:55:04 PML'uovo e la gallina come oggetti e non soggetti della conoscenza.
L'uovo e la gallina come oggetti e non come termini della conoscenza
Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMIl problema, e' che a un certo punto, della storia del pensiero; l'ancoraggio possibile/necessario alla realta' del desiderio di illudersi, diviene (anche) l'aspetto fondamentale (ovverosia: quello piu' "epistemico" nel
senso che intendi tu) della realta'.
Per epistemico intendo epistemico, quindi il
desiderio di illudersi, ancorato o meno al reale, è quanto di meno epistemico si possa concepire; e proprio per questo ricordavo che la filosofia è
anche epistemo-logia (e intendo davvero epistemologia: quella che dialoga che le scienze, le evidenze, l'agognata oggettività o quantomeno si barcamena con onestà intellettuale, etc. non l'ermeneutica esistenziale). Bisognerebbe poi distinguere fra desiderio di illudersi (cattiva fede) e desiderio di non avere risposte irrisolte che porta ad illudersi (in buona fede).
Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMe' assai difficile fare (o meglio: continuare a fare), seriamente, filosofia dopo Freud, Darwin e Nietzsche, per dire i tre piu' ovvi.
Come dicevo: è difficile fare filosofia
metafisica, dopo di loro. Le altre filosofie, dall'ermeneutica all'epistemologia alle altre, sono possibili (e altrettanto "serie" direi), e infatti vengono attualmente e concretamente "fatte". Il "gioco della filosofia" non è all'infinito, ma dura quantomeno la presenza di una comunità di uomini che fanno filosofia e non vedo perché questo ti spinga a definirlo come "al massacro" (di nuovo: magari è stata massacrata la metafisica e se la identifichiamo come l'essenza della filosofia allora siamo a lutto; ma in realtà così non è, come dimostra tutta l'
altra filosofia).
Citazione di: niko il 18 Luglio 2025, 13:32:09 PMSe questo ci sta stretto, oltre al metodo, la filosofia dovrebbe recuperare il discorso, sulla formazione, dell'opinione. Attaccare, e infiltrare, il regno della propaganda, della sondaggistica, della pubblicita', dell'intrattenimento, dei rimasugli dell' "arte", tutta quella roba li' [...] In fondo, tutti i migliori maestri, della piu' elevata e insospettabile filosofia, ci hanno comandato di conoscere l'opinione e il metodo dell'opinione, oltreche' la verita' e il metodo per la verita'
Questo è esattamente quello con intendevo quando osservavo come la filosofia
può essere sintonizzata sul mondo che la circonda, occuparsene "in diretta", essere attuale, etc. Come vedi, anche dopo la religione, la filosofia può avere un'agenda molto piena, fatta di ciò che fa (v. sopra) e ciò che potrebbe fare in più.
Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2025, 13:49:03 PMSono d'accordo che l'intera discussione dipende da dove si mettono i paletti di "religione", non capisco i termini per cui differenzi una parte proponendo come loro caratteristiche "convenzionali, consensuali", che sono due proprietà che applicherei anche al primo gruppo, le religioni stabiliscono convenzioni quindi sono convenzionali, e consensuali anche? Dipende da come si interpretano certi nodi intermedi riguardo le gerarchie, ma dibattibile.
Fra noi due (atei) possiamo anche dirci che le religioni sono convenzionali, ossia
basate su convenzioni (anche se forse non lo faremmo lo stesso); tuttavia per un credente non lo sono affatto: sono veritiere e sacre. Per lui l'esistenza di Dio non è una convenzione stabilita e accettata a tavolino (ma una
verità di fede), come invece lo è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Lo stesso dicasi per la consensualità: per un credente (non quelli "della domenica") non si pone nemmeno il dilemma se essere d'accordo o meno con il volere di Dio, che già il solo porre l'interrogativo è blasfemia (mentre può porsi, sempre a bassa voce, tale interrogativo riguardo i diritti umani, proprio perché sono convenzionali e basati su un consenso che può,
legittimamente, anche non essere il suo).
Detto in sintesi: la differenza sta nel fatto che la "religione", dei diritti umani o altro, prevede che i suoi adepti la riconoscano come convenzionale e come consensuale, mentre solitamente una religione, rivelata o meno, prevede di essere verità assoluta (non per mera convenzione) e eccedente qualunque consenso in nome della sua trascendenza (ossia sarebbe tale anche se nessuno fosse d'accordo).
Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2025, 13:49:03 PM"Definizione inadeguata" nel senso che se hai necessità di differenziare tra "religioni" e "religioni metaforiche" (cioè non-religioni?) hai un problema nell'adeguatezza della definizione di religione che ti costringe a strane perifrasi che offuscano anziché che chiarire. Ti chiedi da solo "vogliamo distinguere quelle con Dio?" e ti rispondi positivamente, però poi ti accorgi che rispondendo positivamente le categorie non ti seguono e devi usare quegli "strani ibridi" di cui parlavo il post prima
In realtà, magari sarò banale, ma con «religione» intenderei solo ciò di cui si parla nei manuali di storia delle religioni. Se ho distinto fra religioni e "religioni" è stato per cercare di mediare (forse con scarso successo), fra il mio linguaggio e il tuo: avendo tu detto che i diritti umani «sono religione» (post n. 72), ho pensato di assecondarti nell'uso del temine, differenziandolo almeno con le virgolette da quello del dizionario. Se vogliamo parlare di "religioni" in senso metaforico (in politica, sport, arte, etc.), posso anche stare al gioco, al prezzo di evitare confusioni usando quantomeno virgolette e fermo restando che mischiare religioni e "religioni" con strane perifrasi è l'opposto dello scopo del mio discorso (che, se fosse soliloquio, parlerebbe semplicemente di religioni e ideologie, più o meno "popolari").
Citazione di: Phil il 18 Luglio 2025, 16:14:16 PMPer epistemico intendo epistemico, quindi il desiderio di illudersi, ancorato o meno al reale, è quanto di meno epistemico si possa concepire; e proprio per questo ricordavo che la filosofia è anche epistemo-logia (e intendo davvero epistemologia: quella che dialoga che le scienze, le evidenze, l'agognata oggettività o quantomeno si barcamena con onestà intellettuale, etc. non l'ermeneutica esistenziale). Bisognerebbe poi distinguere fra desiderio di illudersi (cattiva fede) e desiderio di non avere risposte irrisolte che porta ad illudersi (in buona fede).Come dicevo: è difficile fare filosofia metafisica, dopo di loro. Le altre filosofie, dall'ermeneutica all'epistemologia alle altre, sono possibili (e altrettanto "serie" direi), e infatti vengono attualmente e concretamente "fatte". Il "gioco della filosofia" non è all'infinito, ma dura quantomeno la presenza di una comunità di uomini che fanno filosofia e non vedo perché questo ti spinga a definirlo come "al massacro" (di nuovo: magari è stata massacrata la metafisica e se la identifichiamo come l'essenza della filosofia allora siamo a lutto; ma in realtà così non è, come dimostra tutta l'altra filosofia).Questo è esattamente quello con intendevo quando osservavo come la filosofia può essere sintonizzata sul mondo che la circonda, occuparsene "in diretta", essere attuale, etc. Come vedi, anche dopo la religione, la filosofia può avere un'agenda molto piena, fatta di ciò che fa (v. sopra) e ciò che potrebbe fare in più.
Il desiderio di illudersi e' epistemico perche' al suo fondo non c'e' nulla di altro: il movimento con cui, in modo apparentemente "isolato", l'oggetto di conoscenza specifico
della metafisica si rivela un oggetto di desiderio ( > Dio non esiste ma e' solo un'illusione e rassicurante) e', anche, lo stesso identico movimento con cui tutti gli oggetti di conoscenza, possibili, si rivelano, in fondo, "solo" oggetti di volonta' e di desiderio ( > tutto il pensabile e il conoscibile e' un'illusione utile alla vita, e per giunta un'illusione eventualmente ripetibile data la finitezza di uno spazio, in cui tale illusione potrebbe comporsi e situarsi, e l'infinitudine di un tempo: insieme a Dio, muore la verita', e, insieme alla verita', muore anche il passato in quanto forma preferenziale dell'inamovibile/immodificabile).
La fuga continua del tempo nel passato, e' (anche) la fuga continua di tutti gli oggetti presenti e viaggianti nel tempo alla presa e alla "manipolazione" della volonta', il che e' possibile, e anche auspicabile, in un paradigma metafisico, ma impossibile, e anche eticamente non auspicabile, in un paradigma post-metafisico.
Insomma nel paradigma metafisico, l'oggetto di conoscenza domina, l'oggetto di desiderio, e si suppone che in fine la volontasi umana si acquieti e si paghi nella conoscenza, cioe' proprio nella visione memoriale e passatificata di mondo, e di un paesaggio, che non (piu'!) la implica (contemplazione); nel paradigma post metafisico e' vero il contrario, il desiderio genera conoscenza e quindi gerarchicamente e prioritariamente la domina, e la conoscenza, o meglio, la domanda esistenziale di essa e su di essa, al limite, si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio, perche' al suo "fondo", al suo fondamento, non c'e' altro.
L'episteme, ad oggi, non puo' fare a meno dell'episteme, della morte, della metafisica.
Infatti, caro Phil, con un minimo di realismo, non si puo' non riconoscere che la caduta, della filosofia tutta e non solo della metafisica, in Occidente, quantomeno nell'ultimo precedente secolo, (ma con prodromi iniziati nell'ultimo millennio), che l'ha portata dall'essere un elemento culturalmente egemone e intrinsecamente motivante, da sola, o al limite anche insieme alla teologia, all'essere, invece, solo una pregiudiziale di metodo [epistemologia] o una nota a margine [ermeneutica] sul lavoro altrui, sia una caduta. Il valore irripetibile della filosofia, consisteva nel suo essere uno stile di vita, e questo, ne imponeva almeno in un certo grado, l'autonomia e l'originalita'. Il filosofo, vale per quello che fa', non per quello che pensa.
L'ermeneutica poi, nel suo concetto che un testo prolifichi e dia frutto in un altro testo, e non nel dialogo diretto e scambievole per quanto possibile tra lettore e autore, e' la negazione stessa della filosofia. L'interpretazione, per riferirsi alla realta' e non al testo stesso, deve essere finita. Come la metafisica. Che e' bella proprio perche' e' stata pensata, fin dal principio, per essere finita. Lo dobbiamo ai suoi migliori autori, se oggi, la possiamo vedere da fuori.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMIl desiderio di illudersi e' epistemico perche' al suo fondo non c'e' nulla di altro: il movimento con cui, in modo apparentemente "isolato", l'oggetto di conoscenza specifico della metafisica si rivela un oggetto di desiderio ( > Dio non esiste ma e' solo un'illusione e rassicurante) e', anche, lo stesso identico movimento con cui tutti gli oggetti di conoscenza, possibili, si rivelano, in fondo, "solo" oggetti di volonta' e di desiderio ( > tutto il pensabile e il conoscibile e' un'illusione utile alla vita, e per giunta un'illusione eventualmente ripetibile data la finitezza di uno spazio, in cui tale illusione potrebbe comporsi e situarsi, e l'infinitudine di un tempo: insieme a Dio, muore la verita', e, insieme alla verita', muore anche il passato in quanto forma preferenziale dell'inamovibile/immodificabile).
Se così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda:
chi sogna?
dov'è chi sogna? Esiste
solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed
evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. Il desiderante non è desiderio, il mondo ontico in cui il desiderante si muove non è desiderio, etc. per questo le scienze, anche filosofiche, che si occupano dell'uomo e del mondo, non possono essere appiattite in mero "esercizio" di desiderio, come non ci fossero un agente e un mondo "pre-" ed extra-desiderio (il che non significa certo espungerlo dall'orizzonte umano, di cui è sicuramente parte pulsante e costituente).
Il passaggio dall'inamovibile/immodificabile Verità divina, alla abbozzata e dinamica verità post-divina (fosse anche solo post-verità), è il marchio dell'attualità; doveva morire Dio affinché la verità potesse risorgere in
tutta la sua umanità (e che il rapporto umano con il mondo sia pura illusione e desiderio è forse un spunto buddista, comunque di non facile coniugazione con l'epistemologia, e ancor meno con politica e dintorni).
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMLa fuga continua del tempo nel passato, e' (anche) la fuga continua di tutti gli oggetti presenti e viaggianti nel tempo alla presa e alla "manipolazione" della volonta', il che e' possibile, e anche auspicabile, in un paradigma metafisico, ma impossibile, e anche eticamente non auspicabile, in un paradigma post-metafisico.
Non vedo cosa ci sia di impossibile ed eticamente non auspicabile, in ottica post-metafisica, nel farsi passato del presente (di oggetti o soggetti che sia). Forse il paradigma post-metafisico (se proprio vogliamo impropriamente usare il singolare) è contro il tempo o non ha bisogno del tempo o aspira al senza tempo? Forse l'etica, fuori della metafisica, è un'etica che non ha bisogno del passato? Non ti seguo.
Un metafisico forse sosterrebbe queste bislacche ipotesi (quasi fossero un'anatema per eventuali "apostati"), ma se soppesiamo la post-metafisica con un paradigma metafisico è chiaro che ne derivano conclusioni surreali e, soprattutto,
inattuali.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMnel paradigma post metafisico e' vero il contrario, il desiderio genera conoscenza e quindi gerarchicamente e prioritariamente la domina, e la conoscenza, o meglio, la domanda esistenziale di essa e su di essa, al limite, si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio, perche' al suo "fondo", al suo fondamento, non c'e' altro.
Il desiderio è solo uno dei due ingredienti della conoscenza, così come in passato, da sempre. Qual è l'altro? Ciò che si
vuole conoscere, ciò che ancora non si domina e ciò che, da sempre è (e probabilmente sarà) in mutamento; sia esso il mondo esterno, il cosmo, le relazioni umane, le culture, etc. Questa
dialettica conoscitiva (soggetto/oggetto, per dirla in sintesi), non è molto cambiata dai tempi dei presocratici, ciò che è cambiato è il bagaglio di conoscenze acquisite nel frattempo che, non a caso, hanno portato a un sensibile ridimensionamento della metafisica. Possiamo dire che è anche cambiato, di pari passo, il desiderio di conoscere? Di certo ha acquisito nuove forme e (forse) nuove finalità, ma resta valido che affermare che «il desiderio genera conoscenza» non rende giustizia né al desiderio (che non è solo di conoscenza), né alla conoscenza che richiede molto, molto di più del mero desiderio (senza contare i casi in cui un desiderio "fuorviante" è di ostacolo alla conoscenza).
La domanda esistenziale sulla conoscenza non «si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio», giacché di tale quiete e appagamento non scorgo traccia, né nell'etica (quando la bioetica confligge con la conoscenza come poter fare), né nell'estetica, né in riflessioni esistenziali sulla conoscenza (e tantomeno, ovviamente, nell'epistemologia). Qualcuno può di certo trovarvi quiete e ristoro, ma non è una posizione che estenderei a discorsi più generali, come quello in corso.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMInfatti, caro Phil, con un minimo di realismo, non si puo' non riconoscere che la caduta, della filosofia tutta e non solo della metafisica, in Occidente, quantomeno nell'ultimo precedente secolo, (ma con prodromi iniziati nell'ultimo millennio), che l'ha portata dall'essere un elemento culturalmente egemone e intrinsecamente motivante, da sola, o al limite anche insieme alla teologia, all'essere, invece, solo una pregiudiziale di metodo [epistemologia] o una nota a margine [ermeneutica] sul lavoro altrui, sia una caduta. Il valore irripetibile della filosofia, consisteva nel suo essere uno stile di vita, e questo, ne imponeva almeno in un certo grado, l'autonomia e l'originalita'.
Riecco in azione la con
fusione fra metafisica e filosofia: nel secolo scorso la caduta dell'una (parte) è stata la liberazione dell'altra (tutto); magari può non piacere, soprattutto ai metafisici, che quindi parlano di secolo triste, ma è stato triste solo per quelli che si illudevano la filosofia sarebbe stata per sempre "la più bella del reame" (e quanto accaduto all'altra compagna di metafisica, ovvero la teologia, non è un caso).
In campo scientifico la filosofia non può essere più che epistemologia e se ciò viene visto come un difetto o una "caduta", di nuovo, si sta ancora ragionando con velleità meta-fisiche di altre epoche; ovvero ci si è persi almeno due o tre secoli in cui la filosofia, inevitabilmente, si è ristretta lasciando spazio a discipline più auto
nome e specializzate. Il che può essere un "male", appunto, solo se si intende la filosofia in modo "medievale", ossia come un regno che deve espandersi fino a conquistare il mondo intero, sottomettendo le altre discipline perché è lei quella trascendente spazio e tempo.
Si è passati dalla filosofia delle origini, che era
anche umiltà del non-sapere, alla filosofia come armata del Risiko nello scibile umano; ora pare la filosofia stia ricalibrando la sua "messa a fuoco" su obiettivi che le sono più consoni (detto altrimenti: non è caduta, è solo riatterrata da un salto troppo ambizioso e se dice che "l'uva non è matura" non ne esce certo con più dignità).
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PML'ermeneutica poi, nel suo concetto che un testo prolifichi e dia frutto in un altro testo, e non nel dialogo diretto e scambievole per quanto possibile tra lettore e autore, e' la negazione stessa della filosofia.
Che l'ermeneutica sia «nota a margine sul lavoro altrui» (v. sopra) o sia «negazione stessa della filosofia» mi sembra una svista e, nel dubbio, ripassare la storia dell'ermeneutica
filosofica del novecento credo chiarisca sia cosa sia davvero l'ermeneutica, sia ogni dubbio in merito alla sua dialogicità.
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza.
Cogito ergo sum. Il pensiero mi dice che sono, ma non mi dice chi sono.
La realtà non è ne caotica ne ordinata, ma è tale per cui posso interagirvi, e nella misura in cui ci riesco la dirò ordinata, e diversamente caotica. L'ordine in se non esiste, o meglio è sinonimo di azione, e il caos di inazione. L'atto divino che crea l'universo dal caos, è appunto un azione.
Se non abbiamo coscienza , e di ciò che avviene perciò chiameremo un Dio a testimone, pur un barlume deve essercene , se questo Dio è ''fatto a nostra somiglianza''.
Il minimo común denominatore di ogni azione è mettere ordine. Non c'è quindi un ordine precedente all'azione che la consente, come non c'è uno spazio degli avvenimenti, ma avvenimenti descrivibili dentro uno spazio.
Il sogno è una interazione a vuoto, che distinguo dalla veglia per il maggior grado di incoerenza, ma un diverso grado di coerenza attribuibile alla stessa sostanza.
Anche qui però non è la realtà ad essere coerente, e della realtà possiamo dire solo che ci consente interazioni diversamente coerenti, delle quali le più incoerenti diremo sogni.
Detto ciò, nei vostri discorsi, tuoi e di Niko, mi sfugge la necessità di dover fare riferimento a volontà e desiderio, a meno che volontà e desiderio non siano gli equivalenti interiori dell'ordine e del caos .
Prima che niko proponesse la tematica del desiderio come, se non ho frainteso, elemento centrale nella sua interpretazione del rapporto storico fra uomo e mondo (interpretazione non certo infondata né priva di autorevoli predecessori), ho tirato in ballo il desiderio associandolo al philein della philo-sophia, per cui il filosofo è colui che (sintetizzo brutalmente) desidera capire il mondo e quindi lo indaga. Dunque è opportuno non mettere l'accento solo sul capire filosofico, ma anche sul desiderare filosofico; soprattutto, aggiungo ora, in tempi in cui qualcuno potrebbe dire che l'AI sta iniziando a "capire il mondo"; nessuno, si spera, dirà invece che l'AI desidera capire il mondo.
Questo desiderio filosofico come si esplica, in quale prassi si traduce? Finito (o quasi) il periodo in cui viene frustrato dalla religione, che a suon di dogmi e campane sovrasta gli interrogativi filosofici (pur rispondendogli a suo modo), viene da un lato mantenuto come filosofia in azione, ossia come filosofare (nelle varie discipline tipiche); dall'altro, recuperato dalla scienza che, anche per intrinseca dissonanza con la religione, può portare avanti alcuni interrogativi filosofici rendendoli meno filosofici (paradosso solo apparente), istituendo discipline specifiche che mirano a trovare risposte adeguate (e meno "fragili" di quelle fornite finora dalla filosofia, a cui resta sicuramente il suo bel da fare con le discipline non "scientificabili", come etica, estetica, ermeneutica, etc.).
Caos e ordine, coerenza e incoerenza, più che essere attributi della realtà "in sé", per me sono conseguenze dell'applicazione di categorie del soggetto che guarda la realtà: un'eclissi verrà giudicata come evento caotico e incoerente, da chi considera che il sole abbia la sua ordinata coerenza nel non essere mai coperto, se non dalle nuvole; tuttavia, in un sistema più complesso di analisi astronomica, l'eclissi è quanto di più coerente, ordinato e prevedibile possa esserci (sempre ricordando che è tale solo per chi abita sulla Terra, essendo questione di "prospettivismo").
Citazione di: Phil il 20 Luglio 2025, 00:59:35 AMPrima che niko proponesse la tematica del desiderio come, se non ho frainteso, elemento centrale nella sua interpretazione del rapporto storico fra uomo e mondo (interpretazione non certo infondata né priva di autorevoli predecessori), ho tirato in ballo il desiderio associandolo al philein della philo-sophia, per cui il filosofo è colui che (sintetizzo brutalmente) desidera capire il mondo e quindi lo indaga. Dunque è opportuno non mettere l'accento solo sul capire filosofico, ma anche sul desiderare filosofico; soprattutto, aggiungo ora, in tempi in cui qualcuno potrebbe dire che l'AI sta iniziando a "capire il mondo"; nessuno, si spera, dirà invece che l'AI desidera capire il mondo.
Questo desiderio filosofico come si esplica, in quale prassi si traduce? Finito (o quasi) il periodo in cui viene frustrato dalla religione, che a suon di dogmi e campane sovrasta gli interrogativi filosofici (pur rispondendogli a suo modo), viene da un lato mantenuto come filosofia in azione, ossia come filosofare (nelle varie discipline tipiche); dall'altro, recuperato dalla scienza che, anche per intrinseca dissonanza con la religione, può portare avanti alcuni interrogativi filosofici rendendoli meno filosofici (paradosso solo apparente), istituendo discipline specifiche che mirano a trovare risposte adeguate (e meno "fragili" di quelle fornite finora dalla filosofia, a cui resta sicuramente il suo bel da fare con le discipline non "scientificabili", come etica, estetica, ermeneutica, etc.).
Caos e ordine, coerenza e incoerenza, più che essere attributi della realtà "in sé", per me sono conseguenze dell'applicazione di categorie del soggetto che guarda la realtà: un'eclissi verrà giudicata come evento caotico e incoerente, da chi considera che il sole abbia la sua ordinata coerenza nel non essere mai coperto, se non dalle nuvole; tuttavia, in un sistema più complesso di analisi astronomica, l'eclissi è quanto di più coerente, ordinato e prevedibile possa esserci (sempre ricordando che è tale solo per chi abita sulla Terra, essendo questione di "prospettivismo").
Se per amor di descrizione semplifichiamo dicendo che l'uomo è l'unico animale che desidera capire, cosa aggiunge questo capire al sapere stare al mondo?
Si potrebbe rispondere nulla, attribuendo al capire un valore in sè, e mi pare che è quello che abbiamo fatto dandogli anche un nome: verità, come volontà di comprendere fine a se stessa.
Il novecento inizia con la presunzione di aver capito tutto quello che c'era da capire, per cui salvo dover definire qualche dettaglio, l'inizio del secolo coincideva con la fine della fisica e l'inizio di un era di pure applicazioni tecniche. Era invece solo la fine di una fisica che possiamo dire classica dove capire aveva ancora un senso.
La fisica seguente è stata quella in cui non c'è nulla capire, alla quale di prezioso ausilio è dunque ogni cosa che non abbisogna di comprensione, come L'AI.
Essendo partiti da dogmi da accettare senza capire, il cerchio si chiude.
Quei dogmi oggi si chiamano algoritmi.
Così noi siamo rimasti col desiderio di capire, come amanti della verità mollati dall'amata sul più bello.
Siamo rimasti col desiderio che solo la penetrazione della verità avrebbe fatto assopire.
Se non c'è più niente da capire, come nella versione di inizio novecento, o non c'è niente da capire in assoluto, come nella recente versione, il desiderio di capire ancora diffuso è destinato a girare a vuoto.
Desidero adesso dire ciò che in effetti non penso, che se desideriamo ciò che ci manca, perciò l'AI non ha desideri. Noi per stargli alla pari abbiamo bisogno di capire.
Citazione di: iano il 20 Luglio 2025, 05:41:42 AMSe per amor di descrizione semplifichiamo dicendo che l'uomo è l'unico animale che desidera capire, cosa aggiunge questo capire al sapere stare al mondo?
Per rispondere in breve, direi che aggiunge al saper stare al mondo la gestione del proprio desiderio di capire e la gestione di ciò che si è capito. Nel senso che saper stare al mondo comprende anche fare i conti con tale desiderio (per chi lo ha e per chi ne è consapevole) e con quello che si è capito (che è ciò che costituisce la "crosta" del mondo in cui si cerca di
saper stare).
Citazione di: iano il 20 Luglio 2025, 05:41:42 AMSe non c'è più niente da capire, come nella versione di inizio novecento, o non c'è niente da capire in assoluto, come nella recente versione, il desiderio di capire ancora diffuso è destinato a girare a vuoto.
Il girare attuale non è a vuoto, ma è un mescolare una pienezza che si trasforma (come la società); quindi si tratta di un "comprendere liquido" e non più velleitariamente granitico come quello delle metafisiche, il cui motto è «trova la Verità,
taci e contemplala».
Per il filosofo che non vive nel passato, ma vive nel
suo tempo (non tutti lo fanno), la stessa AI non è solo uno strumento, ma un fenomeno da capire; proprio come lo era il lavoro industriale
ai tempi di Marx, l'apertura verso oriente
ai tempi di Schopenhauer, etc.
Il fatto che non ci sia niente di assoluto da capire (anche se non possiamo esserne assolutamente certi, per evitare il solito paradosso e restare onesti ed umili) comporta quantomeno che proprio la comprensione
possa (non debba) essere costantemente all'opera. Finché c'è desiderio di capire e c'è qualcosa da capire, una filosofia
attuale è possibile (magari non è più possibile una metafisica assolutistica, ma questo fa parte del suddetto "mescolare" contemporaneo).
Citazione di: Phil il 20 Luglio 2025, 11:45:51 AMPer il filosofo che non vive nel passato, ma vive nel suo tempo (non tutti lo fanno), la stessa AI non è solo uno strumento, ma un fenomeno da capire; proprio come lo era il lavoro industriale ai tempi di Marx,
Non so se capire o comprendere siano termini che abbiano avuto delle definizioni filosofiche nel tempo.
Io, ispirato dal fisico Feynmann, ho proposto che comprendere le cose significa ripercorrere il processo che le genera.
Però, per quanto riguarda l'AI, sembra che gli stessi che l'anno generata non la comprendano.
Volendo mantenere la definizione di cui sopra, bisognerà ammettere allora che l'AI a partire da un certo punto inizia ad autogenerarsi, e ciò causa una imprevedibilità che la fa somigliare effettivamente all'intelligenza umana, motivo per cui il temine usato, AI, mi sembra almeno in parte giustificato.
Più in generale mi pare che le intelligenze, umane o artificiali, abbiano un percorso che non si può riprodurre, e restano perciò inconprensibili a priori.
Cioè non è neanche il caso di provarci, perchè la cosa non è economicamente sostenibile.
Questo ci suggerisce indirettamente quale sia l'utilità dell'intelligenza artificiale, e quindi forse anche di quella umana, di risparmiare su un costoso controllo di processo, decidendo comunque di non rinunciare al processo.
Il tutto si traduce in un mancato controllo che è il vero motivo del nostro terrore, più che l'essere sostituiti , essere esautorati dal controllo dal processo, che non siamo capaci di riprodurre, quantomeno coscientemente.
Questa non è certo cosa che si accetti a cuor leggero, specie da parte di chi pensa di non doverci fare nulla con L'AI.
Diverso sarà l'atteggiamento di chi con essa può sperare di risolvere problemi diversamente relativamente impossibili.
Il primo utilizzo in tal senso, quando ancora l'AI non si chiamava così, mi pare sia stato la dimostrazione del teorema dei quattro colori.
L'intelligenza non sappiamo dunque come agisca, ma per quella artificiale sappiamo che non segue necessariamente la via breve nell'approccio ai problemi, cosa che la rende al momento in genere insostenibile per il consumo che richiede.
Il consumo del cervello umano al confronto è risibile.
L'evoluzione non è cosa che si possa trascurare in tal senso, anche quando guidata.
Non è tanto che la nostra intelligenza abbia dei limiti, ma anzi penso che i limiti la esaltino.
L'evoluzione sembra avere una intelligenza che a differenza di quella artificiale è sostenibile, perchè a differenza di questa si prende tutto il tempo che ci vuole, rendendo i suoi consumi cosi centellinati, appunto sostenibili.
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza.
L'ontologia del desiderio, significa solo che il nostro cervello, e tutti I nostri organi di senso, si sono evoluti in modo funzionale alla nostra sopravvivenza, genica e genetica, e quindi, tutto quello che ci mostrano, e tutto quello che pensano, concettualizzano, tramandano e imparano non sara' mai una "realta' oggettiva", ma sempre e solo una "illusione utile alla vita".
Ciascuno, quasi sempre, soggettivamente e prospetticamente vuole vivere e non morire, quindi, quello che tu un po' impropriamente chiami "il residuo fenomenologico dell'esistenza", l'apparire stesso del mondo e della nostra coscienza di esso in esso, e' gia', immediatamente, un oggetto continuo della volonta' e del desiderio, e un processo altamente condizionato, impegnativo e finalizzato. Lo e' per il corpo, quale nuda e spesso impegativa vita, e lo e' per tutti gli stati, piu' o meno evoluti e culturalmente mediati, di ogni possibile mente. Basti pensare a quanti sforzi dobbiamo fare attivamente e coscientemente per vivere, giorno per giorno, e poi a come, di contro percepiamo il fatto stesso e la prospettiva del morire come l'archetipo assoluto di cio' che avviene spontaneamente, e a prescindare da ogni pensabilita', proggettualita' e volonta' propria individuale, soprattutto se non siamo dei suicidi. Insomma, una volta dato l'apparire del mondo e della nostra coscienza nel mondo quale "residuo fenomenologico", quale assoluto innegabile, la sua mancanza, il suo contrario, per noi puo' significare solo che siamo addormentati senza sogni o morti: la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Perfino il suicidio e la tutta umana possibilita' del suicidio, pur negando magari per un attimo la nuda vita (e la sua kantiana appercezione) quale scontato ed innegabile, e quindi primario, "oggetto del desiderio" c'è la fa apparire trasfigurata quale pura e continuamente rinnovabile possibilita', volonta' di vivere, patto possibile del singolo con la vita, e non certo, e non ancora, oggetto di conoscenza e neutra o realta' oggettiva.
Ed ecco che insomma il mondo e il suo apparire, ben lungi dall'essere consegnato all'assoluto di un dio, e' pero' consegnato all'assoluto di una, non ulteriormente fondata e fondabile volonta' di vivere, secondo la lezione di Schopenahuer, ripresa da Nietzsche eccetera.
Che viviamo in una illusione utile alla vita non e' un solipsismo, sarebbe un solipsismo il suo contrario. Con buona pace di Cartesio.
Quello che cade, con il paradigma metafisico, e' proprio la concezione cartesiana dell'intelletto come virtualmente e virtuosamente infallibile, e della volonta' come sede possibile dell'errore, qualora essa, all'intelletto non si accordi.
In realta', e' vero il contrario: la volonta', di vivere, e' infallibile, e lo e' se non in assoluto, data l'attualita', questa si' davvero innegabile, della vita nel momento presente, che della volonta', testimonia il relativo, quantomeno alla nostra attuale posizione e a posteriori, "successo"; se non avesse avuto successo, allora la volonta' non avrebbe attraversato l'infinito per consegnarci al presente, se non avesse avuto successo, allora sarebbe morta; e l'intelletto, e' la sede possibile dell'errore, soprattutto qualora
non si accordi, alla volonta'.
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMIl passaggio dall'inamovibile/immodificabile Verità divina, alla abbozzata e dinamica verità post-divina (fosse anche solo post-verità), è il marchio dell'attualità; doveva morire Dio affinché la verità potesse risorgere in tutta la sua umanità (e che il rapporto umano con il mondo sia pura illusione e desiderio è forse un spunto buddista, comunque di non facile coniugazione con l'epistemologia, e ancor meno con politica e dintorni).Non vedo cosa ci sia di impossibile ed eticamente non auspicabile, in ottica post-metafisica, nel farsi passato del presente (di oggetti o soggetti che sia). Forse il paradigma post-metafisico (se proprio vogliamo impropriamente usare il singolare) è contro il tempo o non ha bisogno del tempo o aspira al senza tempo? Forse l'etica, fuori della metafisica, è un'etica che non ha bisogno del passato? Non ti seguo.
La passatificazione del futuro, fa problema perche' il passato e' il regno dell'immodificabile e dell'inattingibile alla volonta': il passato non si puo' cambiare. E quindi, se il senso del tempo e' l'aumentare a valanga del passato, allora il senso del tempo e' (anche) la sconfitta inesorabile della volonta' umana quale continuo proggetto creativo, che in quanto tale continuamente prevede una materia malleabile alla creazione, una materia fangosa e morbida, e quindi, per assurdo, una materia non passatificata.
La conoscenza, se ne infischia della volonta'. Se tu sai che due piu' due fa quattro, questa verita', non la puoi cambiare. Il passato, se ne infischia della volonta', e tutti noi vivi, che non in un certo senso conosciamo la morte, quale morte del se', conosciamo pero' il lutto, quale morte dell'altro. Passato e conoscenza, hanno in comune di prescindere dalla volonta', di metterla fuori campo, e sono praticamente la stessa cosa nella misura in cui la conoscenza e' flusso interiorizzato del tempo conoscenza-del-passato.
Il paradigma metafisico e' fondato sulla preminenza della conoscenza sulla volonta'. L'oggrtto di conoscenza, ci si presenta indipendentemente dalla volonta' e proprio da questo suo esserne indipendente e non da altro si riconosce come tale, e puo' rapresentare una possibilita' di sallvezza, di vita migliore, proprio nella misura in cui la volonta', e con essa la sofferenza, nella contemplazione di esso e nella partecipazione ad esso, si acquieta. Tutti vogliono il bene, non tutti lo conoscono. La forma universale della preminenza della conoscenza sulla volonta', e' proprio l'irreversibilita' del passato e la rammemorazione del passato, la dimensione memorica in cui vive l'uomo. Se si vuole (ri) mettere sul trono la volonta' come potenza creatrice infinita, bisogna ridimensionare, potenza della conoscenza e potenza del passato. E queste cose, si ridimensionano (solo) accettando che viviamo in una illusione utile alla vita e non in un mondo oggettivo o dantesi a prescindere da noi.
Non puoi (veramente) uccidere Dio, se permetti alla conoscenza o al passato di prendere immediatamente il posto del cadavere di Dio, se continui a considerarle cose-che(come fu Dio)-non-si-possono-cambiare.
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMLa domanda esistenziale sulla conoscenza non «si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio», giacché di tale quiete e appagamento non scorgo traccia, né nell'etica (quando la bioetica confligge con la conoscenza come poter fare), né nell'estetica, né in riflessioni esistenziali sulla conoscenza (e tantomeno, ovviamente, nell'epistemologia). Qualcuno può di certo trovarvi quiete e ristoro, ma non è una posizione che estenderei a discorsi più generali, come quello in corso.Riecco in azione la confusione fra metafisica e filosofia: nel secolo scorso la caduta dell'una (parte) è stata la liberazione dell'altra (tutto); magari può non piacere, soprattutto ai metafisici, che quindi parlano di secolo triste, ma è stato triste solo per quelli che si illudevano la filosofia sarebbe stata per sempre "la più bella del reame" (e quanto accaduto all'altra compagna di metafisica, ovvero la teologia, non è un caso).
In campo scientifico la filosofia non può essere più che epistemologia e se ciò viene visto come un difetto o una "caduta", di nuovo, si sta ancora ragionando con velleità meta-fisiche di altre epoche; ovvero ci si è persi almeno due o tre secoli in cui la filosofia, inevitabilmente, si è ristretta lasciando spazio a discipline più autonome e specializzate. Il che può essere un "male", appunto, solo se si intende la filosofia in modo "medievale", ossia come un regno che deve espandersi fino a conquistare il mondo intero, sottomettendo le altre discipline perché è lei quella trascendente spazio e tempo.
Si è passati dalla filosofia delle origini, che era anche umiltà del non-sapere, alla filosofia come armata del Risiko nello scibile umano; ora pare la filosofia stia ricalibrando la sua "messa a fuoco" su obiettivi che le sono più consoni (detto altrimenti: non è caduta, è solo riatterrata da un salto troppo ambizioso e se dice che "l'uva non è matura" non ne esce certo con più dignità).Che l'ermeneutica sia «nota a margine sul lavoro altrui» (v. sopra) o sia «negazione stessa della filosofia» mi sembra una svista e, nel dubbio, ripassare la storia dell'ermeneutica filosofica del novecento credo chiarisca sia cosa sia davvero l'ermeneutica, sia ogni dubbio in merito alla sua dialogicità.
La filosofia non e' ne' tuttologia ne' metodo, e' uno stile di vita finalizzato alla ricerca della felicita' e dell'autenticita'. Questa spiegazione, tutta americana, non ti piacerà ma amen.
Diventare gnoseologia, ermeneutica eccetera e' un destino di caduta della filosofia: la filosofia non e' ancella ne' della fede ne' della scienza, semmai, e' il controllo politico e sociale, della fede e della scienza, che e' altra cosa, rispetto all'ancillarita'.
Tu vuoi il metodo per interpretare correttamente o in buona fede o spassionatamente un testo, Platone ti direbbe vai a chiedere direttamente all'autore o lascia perdere. Se proprio e' morto o irraggiungibile, E se proprio non vuoi lasciare perdere, chiediti se ci sono obbiettivi comuni tra te e l'autore e se te la senti di continuare a perseguibili. In ogni caso, la scrittura prolifera nelle sue infinite interpretazioni, proprio perche' fallisce nel sostituire una presenza.
Citazione di: Phil il 18 Luglio 2025, 16:32:46 PMFra noi due (atei) possiamo anche dirci che le religioni sono convenzionali, ossia basate su convenzioni (anche se forse non lo faremmo lo stesso); tuttavia per un credente non lo sono affatto: sono veritiere e sacre.
Fra noi filosofi invece che ci diciamo? Perchè le definizioni "per atei" (che concordano sull'elemento della convenzioni e altri) sono una bella cosa, ma prima di essere atei dovremmo essere interessati alla verità sulla vicenda religione. Mi sembra invece che nel voler "rispettare" le sensibilità religiosa gli si conceda sostanza su alcuni punti loro teologici che ne positano la differenza, ma proprio noi atei dovremmo essere i primi a non ritenere valida quelle differenze e perciò non rispettarle. L'idea stessa del "credere senza vedere" (origine in Ebrei 11) è un idea teologica, il fatto che sia possibile che accada si fonda unicamente nella fiducia nel testo che esprime questo concetto, altrimenti ci dovremmo accontentare che gli uomini credono perchè vedono o perchè credono di aver visto, come normalmente si sperimenta anche tra i più invasati tra i religiosi, sempre paradossalmente colpiti da visioni.
Citazione di: Phil il 18 Luglio 2025, 16:32:46 PMIn realtà, magari sarò banale, ma con «religione» intenderei solo ciò di cui si parla nei manuali di storia delle religioni. Se ho distinto fra religioni e "religioni" è stato per cercare di mediare (forse con scarso successo),
Dipende da che manuali, se sono quelli scolastici forse attingono a studi antichi, personalmente la mia definizione "con citazione" preferita di religione è quella di C.Geertz "un sistema di simboli che crea stati d'animo e motivazioni duraturi, formula concezioni di un ordine generale dell'esistenza, conferisce a queste concezioni un'aura di fattualità, e rende le concezioni religiose vere presentandole artisticamente". Non ho idea se nel futuro sarà proprio questa a finire sui manuali, ma sono quasi certo che in nessuna sarà presente Dio perchè crea troppi problemi di applicazione. Ho fatto l'esempio dei diritti umani per parlare del presente, ma anche andando indietro nell'animismo avrai gli stessi problemi di applicazione. Dio è un idea che funziona nelle definizioni da un certo secolo ad un altro, è un concetto che, nonostante i credenti giurino il contrario, vive nella storia, nasce, matura, invecchia e muore.
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AML'ontologia del desiderio, significa solo che il nostro cervello, e tutti I nostri organi di senso, si sono evoluti in modo funzionale alla nostra sopravvivenza, genica e genetica, e quindi, tutto quello che ci mostrano, e tutto quello che pensano, concettualizzano, tramandano e imparano non sara' mai una "realta' oggettiva", ma sempre e solo una "illusione utile alla vita".
Una illusione che
di fatto mantiene vivi è un'illusione? Potremmo dire che respiriamo e ci cibiamo di illusioni, quando se non respiriamo e ci cibiamo
accade la morte? Anche essa è un'illusione?
Dipende tutto da cosa intendiamo con «illusione»; per questo mettevo in guardia dal maneggiare questo concetto senza preoccuparsi delle sue conseguenze quando poi si parla di altre discipline o, in questo caso, di mera soddisfazione di bisogni primari (che siano o meno intesi come forma primitiva di desiderio, o qualcosa di totalmente altro).
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMla dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Questa è la nota fallacia naturalistica (
qui in sintesi ) elevata alla potenza di quel nozionismo umanistico e matafisico di cui ancora non si riesce a fare a meno (nonostante le lezioni del novecento). I concetti di «bene» e «male», per quanto possano sembrare scontati nel nostro ragionare
umano, non hanno nulla di minimamente biologico. Non siamo spinti dal nostro istinto a mangiare perché «ciò è bene», o perché «restare vivi è bene», ma solo perché la nostra natura ci "programma" per farlo (e che tale programma sia metafisicamente "rivolto al bene" è ciò che rende fallace quel tipo di ingenuo "naturalismo"). La nostra
interpretazione (che moraleggia e religioneggia sull'istinto naturale fino a definire «male» il suicidio) non usa categorie né naturali né biologiche quando parla di «bene e male» in quel contesto.
Altrimenti: quali sarebbero tali nessi "causali" fra biologia e morale (che è ciò che si occupa di bene/male e che, guarda caso, non è "scientificabile")? Sappiamo già dove portano queste banalizzazioni tipo vita=bene e quanti asterischi poi ci si finisca col mettere («in realtà dipende da questo... c'è però questa eccezione... è vero, ma non nel caso in cui... etc.»).
Un atomo che decade o una reazione chimica sono bene o male? Oppure la natura ha un "
contenuto" di «bene e male» solo quando è
relativa al "giardiniere dell'Eden", alla "creatura eletta", a "noi che siamo davvero intelligenti e
quindi superiori agli altri animali", etc.?
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMl'intelletto, e' la sede possibile dell'errore, soprattutto qualora non si accordi, alla volonta'.
Manca il (meta)criterio che possa coniugare intelletto e volontà per sancire eventuali errori: quando l'intelletto ci dice di non uccidere il prossimo anche se vogliamo farlo (e le mutazioni biologiche,
oggettive, del nostro corpo quando siamo adirati
ci preparano a farlo e "non mentono"), tale intelletto è in errore
contro la volontà della vita?
Di nuovo: usiamo il nostro intelletto (con annessi
imprinting culturali e, volenti o nolenti, religiosi), non certo la volontà, per scegliere cosa preservare dell'istinto, perché è "bene", e cosa invece scartare, seppur
parimenti istintivo, perché è "male". Solo una volontà addomesticata dalla ragione può parlare di errori; una volontà che non ragiona è solo istinto (e sappiamo quale è il suo ruolo in una società
umana, reale o ideale che la pensiamo).
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:16:30 PMse il senso del tempo e' l'aumentare a valanga del passato, allora il senso del tempo e' (anche) la sconfitta inesorabile della volonta' umana quale continuo proggetto creativo, che in quanto tale continuamente prevede una materia malleabile alla creazione, una materia fangosa e morbida, e quindi, per assurdo, una materia non passatificata.
Il senso del tempo non è «l'aumentare a valanga del passato» più di quanto non sia «l'aumentare a effetto domino del futuro» in cui non vi è «la sconfitta della volontà umana quale...» ma la sua
possibile realizzazione, proprio nel senso di diventare
realtà. La creatività umana è sconfitta se pensa di cambiare retroattivamente il passato, come un cecchino che prima preme il grilletto e poi inserisce il proiettile (non mi intendo di armi, ma credo si capisca). La materia non passatificata direi che è per definizione il futuro ed è a quello che si rivolge una "sana" creatività e volontà: se voglio creare una mia azienda, non è al passato che devo mirare per pianificare le mie attività (quello che mi torna utile è un calendario degli anni futuri, non passati).
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:40:09 PMLa filosofia non e' ne' tuttologia ne' metodo, e' uno stile di vita finalizzato alla ricerca della felicita' e dell'autenticita'. Questa spiegazione, tutta americana, non ti piacerà ma amen.
Di fatto non è necessario che mi piaccia; l'importante, per intendersi, è avere una comune definizione di filosofia. Possiamo anche concordare che la filosofia è metafisica, che la filosofia è scienza dell'invisibile oppure edonismo, onanismo o altro; l'importante è capirsi (anche cestinando qualunque coerenza filologica e storica del termine). Potrei comunque obiettare che la
filosofia americana (non quella stereotipata della cultura
pop americana) non parla di sé stessa esattamente come «stile di vita finalizzato alla ricerca della felicità e dell'autenticità», nel senso che i filosofi americani (sempre se concordiamo su quali essi siano; evito di fare nomi) non sono
in generale affatto estranei al
desiderio di capire il mondo in senso epistemologico (tuttavia, come detto, l'importante è avere fra noi un linguaggio comune).
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:40:09 PMIn ogni caso, la scrittura prolifera nelle sue infinite interpretazioni, proprio perche' fallisce nel sostituire una presenza.
Qualche post fa, non a caso, citai Derrida... quindi proprio per questo non possiamo che concordare che l'ermenutica (che dice
anche ciò che hai appena scritto sulla presenza, sulla disseminazione, etc.) non sia propriamente una "caduta della filosofia".
Puoi definirla tale alle luce della
tua definizione di filosofia? Certo, se tutto il
discorso sulla "sostituzione della presenza", sull'invio di senso, sul circolo ermeneutico, sulla storia degli effetti, etc. per te non ha nulla di filosofico.
Citazione di: InVerno il 23 Luglio 2025, 13:50:36 PMFra noi filosofi invece che ci diciamo?
Ci diciamo che ognuno di noi è ingabbiato nella sua definizione di filosofia, e io, tu e
niko ne abbiamo di differenti; così che saltellare da una gabbia all'altra aiuta quantomeno a "restare in forma".
Personalmente posso dirti, come fatto in passato, che alla radice delle religioni ci vedo i dogmi, non convenzioni, essendo i primi da ritenere veri (per chi ci crede) a prescindere dalle convenzioni e convinzioni umane. Ci credo in quei dogmi? No, ma mantengo comunque valida la distinzione fra dogma e convenzione (per come la vedo): il dogma è vero (credenti) o come minimo infalsificabile (non posso dimostrare scientificamente che Dio non esista, che chi fa il bravo non vada poi in paradiso, etc.), mentre la convenzione, in quanto tale, stabilisce norme a tavolino, più che verità (vedi dichiarazioni varie che si
autodefiniscono universali, ma sono solo invenzioni, non scoperte) che sono tali solo se c'è consenso su di essa (o magari viene applicata con le brutte maniere, ma credo ci siamo capiti lo stesso).
Citazione di: InVerno il 23 Luglio 2025, 13:50:36 PMDio è un idea che funziona nelle definizioni da un certo secolo ad un altro, è un concetto che, nonostante i credenti giurino il contrario, vive nella storia, nasce, matura, invecchia e muore.
Concordo con te sul ciclo di vita delle "religioni con dio" e proprio per questo mi chiedo quanto sia funzionale chiamare religioni anche le "forme derivate senza dio" delle "religioni con dio"; non si fa solo gratuita confusione? Se chiamassimo religioni quelle "cose con dio" e in altro modo ben diverso quelle "cose simili ma senza dio"? Già immagino il contribuente che chiede al commercialista di dare il suo 8 per mille alla religione dei diritti umani e poi mettersi a dibattere che in fondo anche quella è una religione. Parafrasando un tale: in filosofia va bene il senso dell'ambiguità, ma ci vuole anche il gusto dell'evidenza.
Citazione di: Phil il 23 Luglio 2025, 15:36:12 PMUna illusione che di fatto mantiene vivi è un'illusione? Potremmo dire che respiriamo e ci cibiamo di illusioni, quando se non respiriamo e ci cibiamo accade la morte? Anche essa è un'illusione?
Dipende tutto da cosa intendiamo con «illusione»; per questo mettevo in guardia dal maneggiare questo concetto senza preoccuparsi delle sue conseguenze quando poi si parla di altre discipline o, in questo caso, di mera soddisfazione di bisogni primari (che siano o meno intesi come forma primitiva di desiderio, o qualcosa di totalmente altro).
Questa è la nota fallacia naturalistica (qui in sintesi ) elevata alla potenza di quel nozionismo umanistico e matafisico di cui ancora non si riesce a fare a meno (nonostante le lezioni del novecento). I concetti di «bene» e «male», per quanto possano sembrare scontati nel nostro ragionare umano, non hanno nulla di minimamente biologico. Non siamo spinti dal nostro istinto a mangiare perché «ciò è bene», o perché «restare vivi è bene», ma solo perché la nostra natura ci "programma" per farlo (e che tale programma sia metafisicamente "rivolto al bene" è ciò che rende fallace quel tipo di ingenuo "naturalismo"). La nostra interpretazione (che moraleggia e religioneggia sull'istinto naturale fino a definire «male» il suicidio) non usa categorie né naturali né biologiche quando parla di «bene e male» in quel contesto.
Altrimenti: quali sarebbero tali nessi "causali" fra biologia e morale (che è ciò che si occupa di bene/male e che, guarda caso, non è "scientificabile")? Sappiamo già dove portano queste banalizzazioni tipo vita=bene e quanti asterischi poi ci si finisca col mettere («in realtà dipende da questo... c'è però questa eccezione... è vero, ma non nel caso in cui... etc.»).
Un atomo che decade o una reazione chimica sono bene o male? Oppure la natura ha un "contenuto" di «bene e male» solo quando è relativa al "giardiniere dell'Eden", alla "creatura eletta", a "noi che siamo davvero intelligenti e quindi superiori agli altri animali", etc.?
Manca il (meta)criterio che possa coniugare intelletto e volontà per sancire eventuali errori: quando l'intelletto ci dice di non uccidere il prossimo anche se vogliamo farlo (e le mutazioni biologiche, oggettive, del nostro corpo quando siamo adirati ci preparano a farlo e "non mentono"), tale intelletto è in errore contro la volontà della vita?
Di nuovo: usiamo il nostro intelletto (con annessi imprinting culturali e, volenti o nolenti, religiosi), non certo la volontà, per scegliere cosa preservare dell'istinto, perché è "bene", e cosa invece scartare, seppur parimenti istintivo, perché è "male". Solo una volontà addomesticata dalla ragione può parlare di errori; una volontà che non ragiona è solo istinto (e sappiamo quale è il suo ruolo in una società umana, reale o ideale che la pensiamo).
Il senso del tempo non è «l'aumentare a valanga del passato» più di quanto non sia «l'aumentare a effetto domino del futuro» in cui non vi è «la sconfitta della volontà umana quale...» ma la sua possibile realizzazione, proprio nel senso di diventare realtà. La creatività umana è sconfitta se pensa di cambiare retroattivamente il passato, come un cecchino che prima preme il grilletto e poi inserisce il proiettile (non mi intendo di armi, ma credo si capisca). La materia non passatificata direi che è per definizione il futuro ed è a quello che si rivolge una "sana" creatività e volontà: se voglio creare una mia azienda, non è al passato che devo mirare per pianificare le mie attività (quello che mi torna utile è un calendario degli anni futuri, non passati).
Di fatto non è necessario che mi piaccia; l'importante, per intendersi, è avere una comune definizione di filosofia. Possiamo anche concordare che la filosofia è metafisica, che la filosofia è scienza dell'invisibile oppure edonismo, onanismo o altro; l'importante è capirsi (anche cestinando qualunque coerenza filologica e storica del termine). Potrei comunque obiettare che la filosofia americana (non quella stereotipata della cultura pop americana) non parla di sé stessa esattamente come «stile di vita finalizzato alla ricerca della felicità e dell'autenticità», nel senso che i filosofi americani (sempre se concordiamo su quali essi siano; evito di fare nomi) non sono in generale affatto estranei al desiderio di capire il mondo in senso epistemologico (tuttavia, come detto, l'importante è avere fra noi un linguaggio comune).
Qualche post fa, non a caso, citai Derrida... quindi proprio per questo non possiamo che concordare che l'ermenutica (che dice anche ciò che hai appena scritto sulla presenza, sulla disseminazione, etc.) non sia propriamente una "caduta della filosofia".
Puoi definirla tale alle luce della tua definizione di filosofia? Certo, se tutto il discorso sulla "sostituzione della presenza", sull'invio di senso, sul circolo ermeneutico, sulla storia degli effetti, etc. per te non ha nulla di filosofico.
Te l'ho gia' detto nel mio post 92: un'illusione che di fatto mantiene vivi, e' primariamente un oggetto di volonta' e di desiderio, e' un
voluto (chiunque a livello fisiologico vuole vivere, e, a livello intellettuale e conscio
quasi chiunque lo vuole, tranne forse i suicidi) e quindi, tale "illusione utile alla vita" NON (e questo e' il punto fondamentale: NON) puo' essere indagata ad un livello, e con un intento, puramente gnoseologico o categoriale.
Basti comprendere il complesso rapporto tra Kant e Schopenahuer: il soggetto che conosce, NON puo' essere a sua volta conosciuto, ed esso E' (coincide con) la volonta' di vivere, proprio nella misura in cui, la vita "apparente" stessa, cioe' la
rappresentazione, il grande teatro del mondo, e' oggetto di volonta' e non "oggetto" neutro.
L'oggetto di desiderio
sovrasta, l'oggetto di conoscenza, e comprendere questo, rappresenta la fine del grande sogno, sia classico che positivista, di una conoscenza neutra oggettiva, cioe' sovrastante il desiderio, e potenzialmente anastetizzante il desiderio di per se stessa, e quindi, anche, eticamente "buona" per questo, per questa sua "drogante" potenzialita', state che il desiderio, sia primariamente sofferenza, e quindi un qualcosa di negativo, da estinguere. La volonta' NON puo' essere
conosciuta, quantomeno non con categorie analitico divisive puramente intellettuali, perche' essa e' l'attivita' incessantemente ed eternamente
conoscente che persegue, e mantiene, la vita quale oggetto di desiderio.
Due piu' due fa quattro e magari, apparentemente, non si puo' realizzare una volonta' volente diversamente, tipo, che faccia cinque, ma il fatto che due piu' due faccia quattro e' gia' di per se' una illusione utile alla vita nel suo proggetto di perpetuarsi e riprodursi, e' gia' un
voluto sebbene apparentemente non ammetta altri e il realizzarsi di altri. E lo e' proprio perche', diversamente, accade, la morte. In un modo deserto dagli uomini e dalla loro presenza, due piu' due, non fa quattro. E non fara' quattro, neanche quando, saremo sottoterra.
Derrida e' un critico della metafisica della presenza, e un fan della piena leggittimita' filosofica della scrittura, ma io sono rimasto al Fedro di Platone, sara' perche' ho trovato una . Certo per lui la scrittura e' cio' che lascia traccia, e quindi, cio' che e' idoneo a modificare la struttura pre-nascita e post-morte del mondo in relazione all'uomo, superando, la metafisica della presenza stessa. Condividiamo la scrittura con gli animali, perche' anche loro, proprio nel senso che ho detto adesso, lasciano traccia.
Io, dicevo solo che la base eudaimonistica e politica della filosofia e' un concetto molto americano, ma che e' sano e giusto, e che c'e' fin dai primordi. Sebbene in modo meno
individualista, di come lo declinerebbe un americano medio.La fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione. Avere un occhio, presso in corpo umano e' un fatto descrittivo e descrivobile, ma molti, tra i vivi, avrebbero qualcosa da ridire se glielo strappassero. E ne proverebbe grande dolore. E' evidente; che il loro occhietto lo
desiderino, sia in quanto tale, sia in quanto mezzo, utile per altri, fini e proggetti.
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMTe l'ho gia' detto nel mio post 92: un'illusione che di fatto mantiene vivi, e' primariamente un oggetto di volonta' e di desiderio, e' un voluto [...]e quindi, tale "illusione utile alla vita" NON (e questo e' il punto fondamentale: NON) puo' essere indagata ad un livello, e con un intento, puramente gnoseologico o categoriale.
Eppure tale "illusione utile alla vita" viene
di fatto «indagata ad un livello, e con un intento, [...] gnoseologico o categoriale». Tu stesso definendola «illusione utile alla vita» la categorizzi (e lo fai ancor più innestandola nel discorso volontaristico simil-nietzschiano con le sue ulteriori categorie) e tutte le scienze che
si occupano della volontà e del volere (dalla psicologia alle neuroscienze, passando per la sociologia e l'antropologia), si occupano proprio di quello che secondo te non si può studiare. Altrimenti quelle discipline di cosa parlano, quando parlano di volontà, desideri etc.?
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMBasti comprendere il complesso rapporto tra Kant e Schopenahuer: il soggetto che conosce, NON puo' essere a sua volta conosciuto
[...]
La volonta' NON puo' essere conosciuta, quantomeno non con categorie analitico divisive puramente intellettuali, perche' essa e' l'attivita' incessantemente ed eternamente conoscente che persegue, e mantiene, la vita quale oggetto di desiderio.
Se restiamo fermi a Kant e Schopenhauer (con tutto il rispetto) ci perdiamo un bel po' di sviluppi successivi (v. sopra): il soggetto conoscente
può sia comprendere sé stesso che essere compreso dagli altri; ci può essere infatti auto-analisi (non facile, concordo) e analisi esterna (v. ancora scienze citate sopra).
L'oggetto di volontà/rappresentazione è anzitutto
oggetto, intenzionale direbbe Husserl, e comunque
categorizzato, ma anche senza fare nomi è intuitivo che
identificarlo come oggetto è il contrario di renderlo un "mistico
inconoscibile", anche se fosse "illusione" (nel senso un po' asetticamente "idealista" che intendi).
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMLa fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione. Avere un occhio, presso in corpo umano e' un fatto descrittivo e descrivobile, ma molti, tra i vivi, avrebbero qualcosa da ridire se glielo strappassero. E ne proverebbe grande dolore. E' evidente; che il loro occhietto lo desiderino, sia in quanto tale, sia in quanto mezzo, utile per altri, fini e proggetti.
Questo è invece un (altro) buon esempio di fallacia naturalistica; pensaci bene (soprattutto se associ il desiderare al "bene" e lo strappare l'occhio al "male", ossia con
fondendo "male" fisico con male
etico).
Per intravvedere la fertilità filosofica dell'ermeneutica e una "utile" apertura della filosofia alle altre discipline, oltre ad avere in poco spazio tanti spunti di riflessione (a prescindere da quale sia la vostra definizione di «filosofia»), suggerisco la lettura di
queste tre paginette introduttive ad una rivista del 2015, dove ritornano anche nomi e concetti citati in precedenza.
Qui c'è la rivista completa.
Citazione di: Phil il 24 Luglio 2025, 14:12:51 PMEppure tale "illusione utile alla vita" viene di fatto «indagata ad un livello, e con un intento, [...] gnoseologico o categoriale». Tu stesso definendola «illusione utile alla vita» la categorizzi (e lo fai ancor più innestandola nel discorso volontaristico simil-nietzschiano con le sue ulteriori categorie) e tutte le scienze che si occupano della volontà e del volere (dalla psicologia alle neuroscienze, passando per la sociologia e l'antropologia), si occupano proprio di quello che secondo te non si può studiare. Altrimenti quelle discipline di cosa parlano, quando parlano di volontà, desideri etc.?
Come te lo devo dire? Un illusione utile alla vita, non è una vera illusione (mannaggia a me e a quando l'ho chiamata così, che tanto la gente si attacca sempre alle parole) ma è un vero
voluto, perché la vita è un oggetto di volontà. Ed è anche un'unica ed auto conchiusa possibilità, e quindi una relativa necessità, a livello ontico, perché non si può esistere, al di fuori della vita.
Quindi, c'è una gerarchia che indica anche un contenimento, se vogliamo, insiemistico, nel rapporto, unico possibile, tra volontà e conoscenza:
quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi.
[Quantomeno perché gli organi di pensiero e di senso, si sono formati biologicamente ed evolutivamente, e a fini biologici ed evolutivi funzionano. Il
cogito, anche inteso come residuo ineliminabile dopo un'applicazione metodica del dubbio, e' utile alla vita, e non può esistere, senza un corpo. Quando lotti per la vita, lotti anche per l'ultimo barlume, della coscienza/residuo, come può capire, senza tanti filosofemi e chiacchiere, chiunque si sia trovato, almeno una volta, in evidente ed immediato pericolo di morte, tipo scampato ad un incidente un annegamento eccetera.]
Viceversaquello che vuoi > non sempre e non necessariamente, rientra > in quello che conosci.
Quantomeno perché è esistito Freud, e non mi dilungo.
Questa gerarchia, nel paradigma metafisico, appunto, platonico cristiano, cammina coi piedi per aria, nel senso che la temperie intellettuale e culturale corrispondete a tale paradigma è che: quello che vuoi, sempre rientra in quello che conosci, quello che conosci, non sempre rientra in quello che vuoi. Basti pensare a Cartesio, visto che ti piace tanto: l'intelletto, secondo Cartesio è virtualmente infallibile, la possibilità dell'errore, è attribuibile all'ambito della volontà, la quale "rfallisce", proprio perché, e nella misura in cui NON, si adegua e non si conforma all'intelletto. E invece, secondo me, che sono un anti cartesiano, la volontà, è infallibile, l'intelletto, è passibile di errore. Mi auguro, spassianatamente, un "adeguamento" di segno, e di gerarchia, direttamente opposta.
Io dico che il filosofo, debba fare una scelta, non indicare cosa si possa studiare e cosa no. Nell'ambito delle scienze e delle altre discipline. Quello, lo dici tu.
Citazione di: Phil il 24 Luglio 2025, 14:12:51 PMQuesto è invece un (altro) buon esempio di fallacia naturalistica; pensaci bene (soprattutto se associ il desiderare al "bene" e lo strappare l'occhio al "male", ossia confondendo "male" fisico con male etico).
Che, a livello della nuda e semplice vita, la descrizione coincida con la prescrizione, mi sembra indubitabile. Prova a vivere senza testa, o senza cuore. Stiamo sempre all'ancoramento al corpo del cogito cartesiano, come residuo, dopo il dubbio, di indubitabilità.
Invece, ho notato che wikipedia, alla voce fallacia naturalistica, non ci degna di un esempio, di fallacia naturalistica.
Ci sono esempi, invece, alla voce "fallacia dell'uomo di paglia", fallacia della brutta china, petizione di principio eccetera.
Il motivo per cui il filosofo non è un ermeneuta o uno gnoseologo, è proprio perché il filosofo sa', che una cosa, una certa affermazione, se non si può spiegare con un esempio a un bambino di sette otto anni, a livello prettamente filosofico, quella cosa è spazzatura. Non aiuta, a vivere meglio.
Può essere interessante ermeneuticamente, gnoseologicamente, scientificamente, può essere anche vitale e decidere del destino di tantissime persone, può perfino in certi casi giustificare lo stipendio che prende un professore universitario, ma una cosa, se non si può spiegare con un semplice esempio, resta una "ciofeca" ai fini della filosofia intesa nel suo senso originale e originario.
La vita, può anche non essere considerata consegnata ad una volontà assoluta o mistico idealistica poiché essa nasce per caso, e avrebbe potuto anche non nascere, ed è assente in certi (immensi) luoghi e tempi e presente solo in certi (pochi) altri, ma noi siamo in quel caso, siamo nati fisicamente e simbolicamente nel caso che è la vita, e non troveremo metodo
gnoseologico ed
ermeneutico migliore, che non esaminare la serie di circostanza e micro-casi che quel macro-caso, rendono possibile.
Un gatto, vuole vivere, sia nel senso che lui
preferisce vivere, insomma sente la preferibilità del piacere rispetto al dolore, sia nel senso che, stante e posto come a priori che vive, può vivere solo in un certo conchiuso e limitato modo o serie di modi, e non in un altro, o serie di altri. Avere quattro zampe e non tre, è il bene del cavallo, e rientra nell'idea platonica di cavallinità anche intesa nel suo valore noetico, causale e gnoseologico. Se vediamo un disegnino di un cavallo con tre gambe, è meno probabile che lo riconosciamo immediatamente come disegnino di un cavallo, che non se lo vedessimo fatto "meglio" e con un po' più di cura, con quattro. I due sensi, descrizione del cavallo, e prescrizione, del bene, del cavallo, non sono in contraddizione tra loro.
Ci viene in aiuto anche la monade leibniziana: se spezzi in due un sasso, adesso hai due, sassi.
Se spezzi in due un gatto, adesso hai ancora un gatto, morto.
Il gatto è più vivo, del sasso, nel senso che è meno, divisibile, in parti uguali, simili, o equivalenti, rispetto ad esso. E' più vicino al concetto di a-tomo, indivisibile, sebbene rideclianto in senso non fisico, ma spirituale.
E come non puoi dividere in due un gatto senza ottenere un gatto morto, non puoi, a livello della nuda vita, dividere in due una descrizione da una prescrizione, senza ottenere una nuda vita, morta. Il gatto, è intero e deve, essere intero. Non c'è niente, di più lezioso e d inutile, che stare a dividere questo essere, da questo dover essere. Quantomeno dal punto di vista del gatto. E di chi lo ama. E ne piangerebbe la morte eccetera eccetera. Ma anche se uno fosse radicalmente egoista e amasse pochi o nessun altro essere al di fuori di se', e non fosse propenso a piangerne la morte, quantomeno, avrebbe il punto di vista della vita e della nuda vita, valido per se stesso e in considerazione di se stesso. In cui la descrizione, coincide, con la prescrizione.
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 12:39:57 PMUn illusione utile alla vita, non è una vera illusione (mannaggia a me e a quando l'ho chiamata così, che tanto la gente si attacca sempre alle parole)
Mi concederai che se usi la parola «illusione»,
ci insisti, non la definisci e poi dici che in realtà non intendevi «vera illusione», mi rendi un po' difficile cercare di seguirti (ho solo le tue parole come punto di contatto con i tuoi pensieri); ma è un "buona palestra" anche questa. Comunque, è importante aver capito che l'illusione "vera" non c'entra, siamo (infine) d'accordo.
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 12:39:57 PMQuindi, c'è una gerarchia che indica anche un contenimento, se vogliamo, insiemistico, nel rapporto, unico possibile, tra volontà e conoscenza:
quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi.
«Sempre» e «necessariamente» sono parole molto impegnative; infatti non sempre ciò che conosco rientra in ciò che voglio. Spesso veniamo a conoscenza di realtà che non avremmo voluto fossero tali, ma le conosciamo pur
non volendo e pur non volendo
le. Si pensi ad esempio ai traumi, o a ciò che semplicemente
non avremmo voluto vedere o sapere, ma di fatto, purtroppo, abbiamo conosciuto;
contro, prima e/o fuori della nostra volontà (a te non è mai capitato? Pensaci bene).
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 12:39:57 PMIo dico che il filosofo, debba fare una scelta, non indicare cosa si possa studiare e cosa no. Nell'ambito delle scienze e delle altre discipline. Quello, lo dici tu.
In realtà non ho mai detto quello che il filosofo
deve fare o studiare (correggimi pure se sbaglio), ma quello che il filosofi
può fare (come quando dico che la filosofia
può essere
anche epistemologia,
può dialogare
anche con altre discipline senza chiudersi in sé stessa, etc.), fino a spingermi ad affermare che la filosofia
può essere come la definisci tu, l'importante è usare lo stesso significato quando usiamo quella parola (per cui non posso certo assegnare
doveri a ciò che non definisco rigidamente). Potere non è dovere, e questa differenza è fondamentale per capire tutto quello che ho scritto finora.
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMInvece, ho notato che wikipedia, alla voce fallacia naturalistica, non ci degna di un esempio, di fallacia naturalistica.
Ho citato Wikipedia per praticità, ma sono sicuro che sai approfondire da solo la questione. Tu stesso hai già fatto esempi di fallacia naturalistica e io l'ho esemplificata al volo (male fisico → male etico). Capisco se non ti fidi di me, quindi evito di dare lezioni "più grandi di me", ma non salterei frettolosamente alla conclusione che «se Wikipedia non lo spiega con un semplice esempio per bambini, allora la fallacia naturalistica è solo "ciofeca cervellotica"». Approfondisci tu stesso
online o
offline così la (e mi) capirai meglio (
se sei interessato, ovviamente è solo un consiglio). Approfondendo, scoprirai ad esempio che la fallacia naturalistica non afferma che descrizione e prescrizione sono in contraddizione (come nel tuo esempio del cavallo, che è l'ennesima fallacia naturalistica, se mai mancassero esempi migliori).
Sul fatto che l'autentica filosofia
debba per te essere l'eudemonologia "platonico-americana"(!), non ho obiezioni (stante il «per te»), ma sulla separazione fra descrizioni e prescrizioni spiegata spezzando un gatto in due, pur volendo spiegarla a un bambino, mi permetto di invitarti ad un'analisi un po' più
filosofica attenta (e qui ritorna utile l'approfondimento consigliato sopra).
P.s.
Con quel «visto che ti piace tanto» riferito a Cartesio, dopo che lo avevo persino confuso con Pascal, mi hai strappato un sorriso, grazie.
Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 15:03:51 PMMi concederai che se usi la parola «illusione», ci insisti, non la definisci e poi dici che in realtà non intendevi «vera illusione», mi rendi un po' difficile cercare di seguirti (ho solo le tue parole come punto di contatto con i tuoi pensieri); ma è un "buona palestra" anche questa. Comunque, è importante aver capito che l'illusione "vera" non c'entra, siamo (infine) d'accordo.«Sempre» e «necessariamente» sono parole molto impegnative; infatti non sempre ciò che conosco rientra in ciò che voglio. Spesso veniamo a conoscenza di realtà che non avremmo voluto fossero tali, ma le conosciamo pur non volendo e pur non volendole. Si pensi ad esempio ai traumi, o a ciò che semplicemente non avremmo voluto vedere o sapere, ma di fatto, purtroppo, abbiamo conosciuto; contro, prima e/o fuori della nostra volontà (a te non è mai capitato? Pensaci bene).In realtà non ho mai detto quello che il filosofo deve fare o studiare (correggimi pure se sbaglio), ma quello che il filosofi può fare (come quando dico che la filosofia può essere anche epistemologia, può dialogare anche con altre discipline senza chiudersi in sé stessa, etc.), fino a spingermi ad affermare che la filosofia può essere come la definisci tu, l'importante è usare lo stesso significato quando usiamo quella parola (per cui non posso certo assegnare doveri a ciò che non definisco rigidamente). Potere non è dovere, e questa differenza è fondamentale per capire tutto quello che ho scritto finora.
Ho citato Wikipedia per praticità, ma sono sicuro che sai approfondire da solo la questione. Tu stesso hai già fatto esempi di fallacia naturalistica e io l'ho esemplificata al volo (male fisico → male etico). Capisco se non ti fidi di me, quindi evito di dare lezioni "più grandi di me", ma non salterei frettolosamente alla conclusione che «se Wikipedia non lo spiega con un semplice esempio per bambini, allora la fallacia naturalistica è solo "ciofeca cervellotica"». Approfondisci tu stesso online o offline così la (e mi) capirai meglio (se sei interessato, ovviamente è solo un consiglio). Approfondendo, scoprirai ad esempio che la fallacia naturalistica non afferma che descrizione e prescrizione sono in contraddizione (come nel tuo esempio del cavallo, che è l'ennesima fallacia naturalistica, se mai mancassero esempi migliori).
Sul fatto che l'autentica filosofia debba per te essere l'eudemonologia "platonico-americana"(!), non ho obiezioni (stante il «per te»), ma sulla separazione fra descrizioni e prescrizioni spiegata spezzando un gatto in due, pur volendo spiegarla a un bambino, mi permetto di invitarti ad un'analisi un po' più filosofica attenta (e qui ritorna utile l'approfondimento consigliato sopra).
P.s.
Con quel «visto che ti piace tanto» riferito a Cartesio, dopo che lo avevo persino confuso con Pascal, mi hai strappato un sorriso, grazie.
Io penso che ci sono un sacco di ambiti, nella vita, in cui e' pienamente corretto derivare le norme dai fatti:
Le case hanno i tetti >>> le case
devono avere i tetti.
Gli uomini hanno la testa attaccata al collo>>> gli uomini
devono, avere la testa attaccata al collo.
Prova a vivere senza testa o in una casa fatta di solo pavimento e pareti e poi ne riparliamo. Non sara' una verita' universale, questa, ma e' vera nella misura in cui tu vuoi vivere, e vuoi veder vivere le persone che ami, e vuoi vivere in una casa decente, e vuoi vedere le persone che ami, vivere, in una casa decente.
Non si puo' "enunciare" la fallacia naturalistica perche' non ci sono, esempi universalmente validi di essa. Validi cioe', in base alla forma stessa del possibile enunciato. Come nella vere, e facilmente esemplificabili, fallacie logiche.
Bisogna, o meglio, bisognerebbe, invece, per tentare, invano, di "enunciare" (che poi, un
vero, enunciare
non e' e non sara' mai perche' la verita', di quanto enunciato, non dipende e non dipendera' mai, dalla forma, dell'enunciato stesso) la fallacia
naturalistica, toccare casi limite, del tipo:
Quelli che raccolgono i pomodori, in Puglia, sono pagati poco [fatto, su cui tutti, tranne forse i matti completi, saranno perfettamente d'accordo]
>>> che evidentemente non giustifica, e non e' equivalente a:
>>> Quelli che raccolgono i pomodori, in Puglia,
devono, essere pagati poco [affermazione prescrittiva: chiunque sia comunista, o un minimo progressista, o un raccoglitore di pomodori diretto interessato
non sara' d'accordo, e
non lo sara' pur essendo d'accordo, con la prima, versione, dell'enunciato].
I latifondisti sudisti, hanno gli schiavi neri
>>> non giustifica, e non e' equivalente a:
>>> i latifondisti sudditi
devono, avere gli schiavi neri.
Evidentemente, non tutte le prescrizioni, derivano dalle descrizioni, ma la maggior parte, si'.
La nuda vita e' sia una descrizione, che una prescrizione. Da cui l'anatomia e tante belle cose simili. La medicina, a un livello molto basilare, si limita, ad aggiustare, quello che non funziona.
Il tuo cuore, definitivamente e irrimediabilmente non funziona (piu') >>> o fai un trapianto, o muori.
Non e' che ci siano molti filosofemi o alternative in merito. E io parlo, e parlavo di nuda vita.
Quante volte, tu hai ricevuto una brutta notizia e
non ti sei suicidato?
Ecco, tutte quelle volte, tu, hai continuato a vivere. Hai riconfermato la vita, la tua vita, come
voluta. Alla meno peggio, come un voluto. Brutta notizia compresa. Hai soppesato, hai simulato con la mente i vari scenari, e hai visto che la morte, la tua, morte, sarebbe stata un
brutta notizia, ancora peggiore. Di quella appena ricevuta. In mancanza dell'onnipotenza, e di un mondo ideale, hai
voluto fare quello che potevi, per andare avanti.
E quindi, chi davanti al trauma non si suicida, riconferma la vita, e dunque con essa la coscienza, e tutti gli oggetti, i concetti e le rappresentazioni che essa contiene, come oggetto di una, attuale, effettiva sua scelta e, quindi, anche, come una soggettivamente avvertita, necessita'. Necessita'
per la vita, stante che di una vita, non si puo' vivere, selettivamente solo quello che si vorrebbe o si vuole, di una coscienza, non si puo' esperire selettivamente solo quello che si vuole, e che l'alternativa al viverla, tutta intera, tale vita nella sua innegabile indivisibilita' (il cogito, la monade), sarebbe la morte. Chi si suicida, la riconferma comunque, la sua vita, come astratta, possibilita', contro almeno un'altra singola, di possibilita', quella rappresentata dal suicidio stesso.
Proprio dopo il trauma come non ridere, di chi voglia studiare la vita come un oggetto di coscienza o di conoscenza neutro, dantesi a prescindere dalla volonta'. Anzi, forse proprio questa e' l'unica cosa che, dopo il trauma, comincia, o continua, a farci, ridere.
La vita, o e' scelta direttamente necessaria a se stessa, o e' possibilita' languente e galleggiante tra le altre, di possibilita'. Quello che essa
non e', e' proprio il darsi neutro di una verita' o di un oggetto. Cio' che appare, appare gia', nel proggetto, di una volonta'che lo vuole. Anche solo continuando a vivere, e sopravvivendo a tale apparire. Per perseguire l'obbiettivita', e magari la salvificita' in quanto tale del sapere, la superiorita' del noetico in generale sulla volonta' in generale e sul voluto, bisogna, o meglio bisognerebbe, ignorare tale proggetto, ed e'giusto, e dignitoso, a un certo punto della storia del pensiero, smettere, di ignorarlo; smettere di pensare, che la conoscenza sia indisponibile alla volonta', e magari buona, e salvifica, proprio per questo. Quello che e' sempre e comunque voluto, un voluto, magari non sara' illusione, ma non puo' essere e non sara' mai, nemmeno, gelida, e intellettualmente divisibile obbiettivita'.
Sopravvivere
nonostante, l'indivisibilita'del bene, dal male, e' sopravvivere, direttamente
alla, indivisibilita' del bene, dal male. Al problema che essa in quanto tale e in quanto indivisibilita' pone. Accettare che la vita e', restare interi, restare monadici, e quindi, anche convivere con la memoria del male subito, che ormai, una volta avvenuto il male, fa parte di noi, e della nostra, vitalmente necessaria, e direttamente alternativa alla morte, interezza.
Non so quali fonti hai usato per intendere la fallacia naturalistica in quel modo, ma evidentemente non sono molto affidabili. La fallacia ha quel nome (
naturalistica), in ambito filosofico, perché si applica a descrizioni naturali (della natura, quindi non c'entrano né gli schiavi, né i tetti delle case), sostenendo che da queste descrizioni
naturalistiche non sia logicamente corretto
derivare logicamente prescrizioni etiche. Indizio: nel bistrattato articolo di Wikipedia, al punto «Metaetico» (che direi è quello che qui ci interessa) c'è un
link alla legge di Hume.
Un esempio sarebbe sostenere che: «la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ignoranza e male [sia] radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza» (citazione dal post 92).
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 18:12:41 PMQuante volte, tu hai ricevuto una brutta notizia e non ti sei suicidato?
Il fatto che dopo un trauma non sempre ci si uccida non dimostra che, come sostenevi, «quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi» (cit.). Dimostra che, constatazione che nessuno qui ha mai messo in dubbio, il suicidio è molto meno istintivo, culturale e "praticato" dell'attaccamento alla vita (come confermano le scienze che studiano la vita e gli umani, anche se decidiamo di far finta che non siano abbastanza "oggettive" da essere affidabili).
Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 19:04:36 PMNon so quali fonti hai usato per intendere la fallacia naturalistica in quel modo, ma evidentemente non sono molto affidabili. La fallacia ha quel nome (naturalistica), in ambito filosofico, perché si applica a descrizioni naturali (della natura, quindi non c'entrano né gli schiavi, né i tetti delle case), sostenendo che da queste descrizioni naturalistiche non sia logicamente corretto derivare logicamente prescrizioni etiche. Indizio: nel bistrattato articolo di Wikipedia, al punto «Metaetico» (che direi è quello che qui ci interessa) c'è un link alla legge di Hume.
Un esempio sarebbe sostenere che: «la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ignoranza e male [sia] radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza» (citazione dal post 92).
Il fatto che dopo un trauma non sempre ci si uccida non dimostra che, come sostenevi, «quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi» (cit.). Dimostra che, constatazione che nessuno qui ha mai messo in dubbio, il suicidio è molto meno istintivo, culturale e "praticato" dell'attaccamento alla vita (come confermano le scienze che studiano la vita e gli umani, anche se decidiamo di far finta che non siano abbastanza "oggettive" da essere affidabili).
La fallacia naturalistica, primariamente, si puo' intendere in senso ampio, come ogni situazione in cui, da una descrizione, derivi una prescrizione.
Vale per le case, per la schiavitu', per ogni possibile situazione consimile per tutto. Ogni volta che da una descrizione, si salta capsiosamente a una prescrizione, la fallacia naturalistica e' in agguato. Le Ferrari (macchine) sono sempre state rosse, le Ferrari devono continuare, ad essere, rosse.
Poi, secondariamente direi, si puo' intendere in senso stretto, come qualcuno che dia giudizi, o consigli o derivi norme comportamentali prescrittive in base al concetto che cio' che e' naturale, sia buono, e cio' che e' innaturale, sia cattivo.
In natura i pinguini non sono omosessuali, quindi, l'omosessualita', anche umana, e' un abominio.
Ma i gibboni hanno un'alta percentuale di omosessuali, quindi l'omosessualita', anche umana, e' una meraviglia.
Si puo' andare avanti all'infinito. Il passo successivo, e' stabilie se sia piu' rappresentativo di un essere umano un pinguino, oppure un gibbone. O meglio ancora: lasciare perdere.
Mi pare(va) ovvio che ne stavamo parlando in senso lato, perche' io, scusa, in questa sede non ho mai dato consigli a nessuno, non ho giudicato nessuno, e non mi sono mai appellato alla natura come naturalita' o come vitalusmo per giustificare una mia, qualunque posizione etica (che poi quale sarebbe? Non ne ho espressa nessuna...).
Ho detto solo, in estrema sintesi, che la descrizione, della coscienza, vale identicamente [anche] come prescrizione, dal momento che ognuno vuole avere e mantenere per se' vita, e quindi, coscienza. Se ti e' prescritta la vita, ti e' prescritta la coscienza. E quindi, la coscienza stessa non si struttura a casaccio, ma per durare, e per restare. E anche per non restare e autodistruggersi, a certe condizioni, perche' la selezione naturale stessa non e', solo individuale, e' individuale e anche di gruppo, mentre, a quanto pare, la coscienza e', solo individuale. Non possono non esistere situazioni e strategie perfettamente razionali, ai fini di un gruppo ma distruttive e irrazionali, ai fini di un singolo; ad esempio tutte le situazioni di apoptosi e morte programmata. La vita e' iscritta fin dall'origine in un proggetto volontaristico, di autoperpetuazione e autoaccrescimento, sebbene a-finalistico, e ad origine (extra vitale) casuale. La nostra coscienza, si struttura nella vita, quindi, in questo stesso proggetto essendone parte in causa, possibile ostacolo, possibile risorsa, possibile oggetto di contesa, possibile mezzo ad altri, e ad essa esterni, fini. Non e' l'osservatore, non e' l'arbitro, non e' il testimone; semmai, in senso sportivo e' essa stessa un giocatore; in senso processuale e' una della parti in causa, e' l'avvocato o l'imputato. Insomma ho fatto una fallacia naturalistica, in senso lato, perche' ritengo che in un certo dato ambito, quello della nuda vita, la fallacia naturalistica
intesa in senso lato (cioe' la "violazione", della legge di Hume "originale", non come ripresa e riformulata da Moore) non sia una fallacia. Ma una cosa
giusta /
vera, e a tratti perfino ovvia.
Ma certo non ho detto a nessuno cosa fare, o cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, appellandomi alla natura.
E bada, che la fallacia naturalistica in senso stretto, come tu ora improvvisamente la intendi, e altrettanto improvvisamente me la imputi, prevede che dalla natura, si derivi cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia consigliabile e cosa no, non, cosa sia
vero o
falso da un punto di vista strettamente gnoseologico o conoscitivo, (a-etico, altriche' metaetico!) tantomeno da uno, di punto di vista, che parta dalla natura, e nella natura resti, per dire di un fatto naturale, senza dare, consigli o giudizi.
Quindi, se non ho provato a venderti una crema dimagrante o non ho detto che tutti gli omosessuali sono pervertiti e l'aborto e' un omicidio a partire dalla potenza prescrittiva della natura, e non mi pare sia questo il caso, evita per il futuro, di imputarmi la fallacia naturalistica in senso stretto completamente a caso.
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 21:47:25 PMQuindi, se non ho provato a venderti una crema dimagrante o non ho detto che tutti gli omosessuali sono pervertiti e l'aborto e' un omicidio a partire dalla potenza prescrittiva della natura, e non mi pare sia questo il caso, evita per il futuro, di imputarmi la fallacia naturalistica in senso stretto completamente a caso.
Non ti imput(av)o la fallacia naturalistica per rimproverarti o sminuirti, ma come quello che ti vede guidare con un faro fulminato e ti lampeggia dalla sua auto, non certo per accecarti.
Ciò premesso, a scanso di equivoci, questa a me sembra proprio una fallacia naturalistica che parla di bene e male radicati nella biologia (corsivo mio):
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMuna volta dato l'apparire del mondo e della nostra coscienza nel mondo quale "residuo fenomenologico", quale assoluto innegabile, la sua mancanza, il suo contrario, per noi puo' significare solo che siamo addormentati senza sogni o morti: la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Anche questa mi sembra una fallacia naturalistica (corsivo mio):
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMAvere quattro zampe e non tre, è il bene del cavallo, e rientra nell'idea platonica di cavallinità anche intesa nel suo valore noetico, causale e gnoseologico.
e anche questa (sempre corsivo mio):
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMIl gatto, è intero e deve, essere intero. Non c'è niente, di più lezioso e d inutile, che stare a dividere questo essere, da questo dover essere.
con questo corollario esplicativo:
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMnon puoi, a livello della nuda vita, dividere in due una descrizione da una prescrizione, senza ottenere una nuda vita, morta.
mentre dividere descrizione e prescrizione è proprio il consiglio per evitare la fallacia naturalistica.
Questa "difesa" della fallacia naturalistica, a livello della nuda vita, non spiega cosa sia, a questo punto, la "prescrizione" per la nuda vita, rispetto alla sua descrizione:
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMLa fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione.
Se tale "prescrizione" è il funzionamento della vita, allora è sinonimo di descrizione (quindi, mi stai praticamente "trollando"); se invece è un obbligo non immanente alla descrizione, allora è qualcosa che non può essere logicamente inferito dalla descrizione (e siamo in piena fallacia). Quando parlavi di metafisica, bene/male e radicamento della biologia e nell'istinto, non parlavi di questa coincidenza puramente descrittiva dell'oggetto con il suo dover essere (o no?).
Come dire:
descrivo il teorema di Pitagora o la legge di gravitazione, qual è la prescrizione (come la intendi tu)? Che la legge descritta funziona sempre? Ma ciò fa parte del suo esser legge e, soprattutto, non è una prescrizione
umana, ovvero quel tipo di prescrizione di cui parla la fallacia naturalistica (larga o stretta che tu le intenda) e che consente di parlare di
bene e
male (che, non a caso, non hanno senso se applicati al teorema di Pitagora o alla legge di gravitazione, salvo, appunto, cadere in fallacia naturalistica).
P.s.
A partire da questi "frammenti" si potrebbe fare un analisi ermeneutica, ma non sei un presocratico e inoltre a te l'ermeneutica non piace, quindi (proprio come con la questione della "vera" illusione), direi che anche stavolta siamo d'accordo.
Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 23:14:37 PMNon ti imput(av)o la fallacia naturalistica per rimproverarti o sminuirti, ma come quello che ti vede guidare con un faro fulminato e ti lampeggia dalla sua auto, non certo per accecarti.
Ciò premesso, a scanso di equivoci, questa a me sembra proprio una fallacia naturalistica che parla di bene e male radicati nella biologia (corsivo mio):Anche questa mi sembra una fallacia naturalistica (corsivo mio):e anche questa (sempre corsivo mio):con questo corollario esplicativo:mentre dividere descrizione e prescrizione è proprio il consiglio per evitare la fallacia naturalistica.
Questa "difesa" della fallacia naturalistica, a livello della nuda vita, non spiega cosa sia, a questo punto, la "prescrizione" per la nuda vita, rispetto alla sua descrizione:Se tale "prescrizione" è il funzionamento della vita, allora è sinonimo di descrizione (quindi, mi stai praticamente "trollando"); se invece è un obbligo non immanente alla descrizione, allora è qualcosa che non può essere logicamente inferito dalla descrizione (e siamo in piena fallacia). Quando parlavi di metafisica, bene/male e radicamento della biologia e nell'istinto, non parlavi di questa coincidenza puramente descrittiva dell'oggetto con il suo dover essere (o no?).
Come dire: descrivo il teorema di Pitagora o la legge di gravitazione, qual è la prescrizione (come la intendi tu)? Che la legge descritta funziona sempre? Ma ciò fa parte del suo esser legge e, soprattutto, non è una prescrizione umana, ovvero quel tipo di prescrizione di cui parla la fallacia naturalistica (larga o stretta che tu le intenda) e che consente di parlare di bene e male (che, non a caso, non hanno senso se applicati al teorema di Pitagora o alla legge di gravitazione, salvo, appunto, cadere in fallacia naturalistica).
A livello della nuda vita, la descrizione coincide con la prescrizione, proprio perche' l'anatomia ti
descrive, in quanto essere umano, con la testa attaccata al collo, e la medicina/biologia ti
consiglia/suggerisce che non puoi vivere, senza la tua testa attaccata al tuo collo, quindi, di evitare per quanto possibile che te la stacchino, ad esempio con una ghigliottina. Il mantenimento/implementazione della descrizione e', anche, buono, cioe' consigliabile, il suo stravolgimento, specie su tempi brevi e con poca gradualita', e' malvagio, cioe' sconsigliabile. La prescrizione, qui, di mantenerti vivo cioe' in buona misura coerente con la tua tipica descrizione, non e' assoluta, ma parte dal presupposto che tu voglia sopravvivere, cioe' che sopravvivere sia un obbiettivo per te. E anche veder sopravvivere le persone che ami, nella misura in cui le ami. E siccome questo e' quasi sempre vero, per quasi sempre tutti gli uomini in tutti i momenti, tranne forse I suicidi, il nesso tra descrizione e prescrizione a livello della nuda vita e' forte, e' un nesso forte, e quindi anche l'ammissibilita' della fallacia naturalistica... e' pressoche' totale!
Ci sono quindi un sacco di casi in cui noi umani, di oggi, comunemente accettiamo la fallacia naturalistica:
Le case hanno I tetti >>> le case devono avere I tetti.
Gli i bambini hanno due braccia >>> I bambini devono avere due braccia. (E ad esempio, ci scandalizzano per i bambini mutilati dalle mine, e cerchiamo di curarli o quantomeno mettergli una protesi, se essi hanno una malattia o un incidente per cui rischiano di perdere un braccio, soprattutto se sono i nostri figli).
Pochi, invece i casi in cui comunemente, a nostro probabile giudizio, la fallacia naturalistica in senso lato noi non la accettiamo:
I lavoratori di Amazon sono sfruttati >>> I lavoratori di Amazon devono essere sfruttati.
Viene da dubitare, dell'interesse filosofico di una fallacia che implica una riflessione su di essa caso per caso, cioe' che sostanzialmente
non e' tale,
non e' una fallacia.
Ma il motivo per cui e' nato tutto questo discorso e' che tu pensi che il cogito, il residuo ineliminabile della coscienza sia idoneo a confutare l'illusorieta' della vita.
Tu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.
Io ti dico che la vita vuole vivere, e quindi vuole avere, e mantenere, in forma di durata, il cogito. E, proprio volendolo e proprio perche' lo vuole, in una certa misura e per un certo tempo, lo ottiene, e lo mantiene. La volonta' e' (gia') nel pieno della relazione con il suo oggetto, con il suo
voluto, al momento e all'atto dell'apparire del cogito. Che poi, non puo' apparire senza la sua relazione reale e immediata con un corpo, con buona pace di Cartesio.
Il cogito insomma non e' l'oggetto di conoscenza che con il suo apparire
limita la volonta', ma e' la nuda vita stessa come oggetto comune e universale di tutte le volonta', che con il suo stesso apparire si auto realizza, almeno, appunto, nella sua forma comune elementare minima, e dischiude la possibilita' dell'apparire di nuovi, ulteriori, e piu' complessi, e piu' difficilmente ottenibili, oggetti del volere e del desiderio. Volere
il cogito >>> cioe' volere, direttamente, la nuda vita, si supera, certo volendo
nel cogito>>> la qualita', e il pudore, e il capriccio, di una, ulteriormente sopravveniente "vestita" vita; ma una obbiettivita', un punto di vista obbiettivo e disinteressato, in tutta questa dinamica e dialettica, non sorge mai.
Poi, tu dici che il male e il trauma, confutano, la natura di illusione volontaristica e utilitaristica della vita. Non ogni conosciuto e' un voluto.
Insomma tu dici:
Se potessimo proiettare la vita come sogno >>> la proietteremmo perfetta. Ma
non la proiettiamo perfetta >>> allora la vita
non e', illusione e sogno.
Ma io ti dico che tutte le volte che accetti il male che ti capita nella vita e vai avanti, preferisci restare nell'illusione, perche' l'alternativa all'illusione, che e' la vita, e' la morte, cioe' un male e una disillusione ancora peggiore. Non si sopravvivere al male, si sopravvive all'inscindibilira' del bene, dal male, cioe' si sceglie la vita, anche se questa contiene, il male. E proprio scegliendo nonostante tutto e nonostante tutto il male, la vita, si dimostra che essa, la vita non e' un sopravveniente oggettivo e conoscibile contro la volonta', ma, ancora e sempre un oggetto, di volonta'.
L'uomo ricerca il sapere, ma il sapere non e', un oggetto (passibile di descrizione) piu' forte dell'uomo, che, una volta conseguito, lo limiti: e', invece, un riflesso del voler vivere stesso dell'uomo, del suo volersi auto-sentire, in quanto e nella misura in cui, proprio, l'auto-sentirsi, l'avere un senso interno e una riflessione interna, e' forma e condizione stessa della vita e di quasi ogni vita, quantomeno complessa. Voler avere conoscenza, insomma, e' sempre una complicazione, e una co-implicazione, del voler avere e mantenere coscienza, cioe' del voler vivere, e del voler vegliare, vegetare e vigilare, sempre inteso ed intendibile finanche e basilarmente nel senso della nuda vita. E l'avere coscienza ci e' prescritto, dal corpo e dal suo programma di sopravvivenza, almeno nella misura in cui il suo oggetto, l'oggetto di coscienza, un descritto, e un descrivibile. Il descritto, qui, in questo caso, compare, immediatamente, gia', prescritto. Non c'e' "salto" possibile, perche' differenza alcuna, non c'e'. Fallacia naturalistica. In questo caso, per me, pienamente accettabile.
Siamo passati dalla fallacia naturalistica come «ciofeca» (cit. post 92) alla distinzione fra fallacia naturalistica in senso stretto e largo (post 106); direi «bene», se così facendo non ricadessi a mia volta nella fallacia. Battute a parte, l'ultimo tassello di questo percorso potrebbe essere osservare (oltre al fatto che
in filosofia con «prescrizione» solitamente non si intende la prescrizione medica di restare vivi, semmai ci sia) che la fallacia non significa che non possa esserci
nessun rapporto tematico fra descrizione e prescrizione, ossia che al dolore di un occhio strappato non si
possa affatto associare un qualunque giudizio (etico, metafisico o altro). La fallacia, che come tutte le fallacie (se non erro) si occupa del piano
logico, indica solo che non c'è
inferenza logica fra quella descrizione e quel giudizio o prescrizione («vietato strappare gli occhi»); intendendo per logica non il semplice "ragionare in modo coerente", ma la logica in senso forte (accademico, se vuoi) come cogenza argomentativa («x implica y» e simili).
Ad esempio, dalla descrizione che le case hanno i tetti (riciclo il tuo esempio) non
deriva logicamente che è bene (e nemmeno necessario) che le case li abbiano; può suonare strano, ma così è per la logica, che chiamerebbe questa (fallace) autoreferenza una
petitio principii (se non ricordo male). Esempio ancora più semplice: perché bisogna (prescrizione) passare con il verde? Perché (descrizione) con il verde si passa; non c'è alcuna autentica
argomentazione né implicazione
logica che lega il passare al colore verde (sappiamo infatti che tale rapporto passare/verde è basato su una legge, non su un'argomentazione logica).
Torniamo alle case: la prescrizione («le case
devono avere i tetti») si
applica alla descrizione («le case
hanno i tetti»), ma questa non è
logicamente il
fondamento del contenuto della prescrizione. La fallacia naturalistica invita ad
argomentare senza usare la descrizione (che comporterebbe
petitio principii), ovvero invita a non affermare «ciò che è, è bene come è,
perché così è». Tradotto in pratica: è utile che le case abbiano i tetti, non
perché è così che vengono fatte, ma perché il tetto svolge una funzione utile, strutturale, etc. La fallacia naturalistica invita a non sovvertire quel «perché», mutandolo in «è utile che le case abbiano i tetti perché le case hanno i tetti»; quando l'argomentazione corretta è invece «le case hanno i tetti (descrizione) perché è utile che li abbiano (altra descrizione, con valore argomentativo
da esplicitare)». Lo stesso vale per i bambini senza braccia e per i lavoratori di Amazon: l'
argomentazione a favore della cura verso gli uni e lo sdegno per la condizione degli altri, non si basa su
descrizioni del corpo umano o delle
routine di lavoro, ma sulla
valutazione di tali descrizioni. Questo è ulteriormente dimostrato, concretamente, dal fatto che sono possibili anche interpretazioni differenti delle
routine di lavoro (sulle menomazioni fisiche è meno evidente, dato il
consenso in merito), interpretazioni che, se fossero davvero fondate logicamente sulla descrizione, verrebbero facilmente
falsificate ricorrendo alla descrizione stessa (non ad altre interpretazioni).
Al livello della nuda vita, ad esempio, la "prescrizione" «abbi cura che la tua testa rimanga attaccata al collo» non ha alcun fondamento
logico nella descrizione «l'uomo vivo è colui che ha (oltre ad altro) la testa attaccata al collo». Il fatto che gli uomini vivi abbiano la testa attaccata al collo non implica affatto
logicamente che restare vivi sia bene, consigliabile,
desiderato, etc.; il restare vivi
può essere tutte questa cose a causa di motivi
estranei alla mera descrizione dell'uomo vivo: motivi come l'istinto di sopravvivenza, il valore della vita, la scelta di non uccidersi pur potendolo fare, etc. Questi non sono affatto immanenti alla descrizione dell'uomo vivo con la testa sul collo, non hanno valore logico-argomentativo tale da poter affermare «è bene restare vivi
perché siamo vivi».
In ottica volontaristica ciò è ancor più lampante: «è bene restare vivi perché
vogliamo restare vivi» prescinde,
argomentativamente, dalla semplice descrizione dell'esser vivi; che rimane ovviamente necessaria per capire, in pratica, come
poi alimentare tale
voler restare vivi. La descrizione e la prescrizione non sono contraddittorie (non essendo nemmeno sullo stesso piano, a voler essere precisi) e possono benissimo essere
dialettiche nel reciproco "collegarsi", almeno finché la descrizione non viene fallacemente intesa come
fondamento della prescrizione.
Citazione di: niko il 26 Luglio 2025, 12:17:34 PMTu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.
Qui devo fermarti subito: quando l'ho detto o vagamente lasciato intendere? Perché non l'ho nemmeno pensato. Il
cogito non confuta, ma anzi semmai fonda, il volontarismo e ogni illusione; dal momento in cui «
io voglio» ha senso solo se esisto (
sum) in quanto «io». E non credo si possa usare il
cogito per avversare le illusioni di questo io, giacche il dubbio metodico cartesiano non è confutazione metodica.
Il
cogito può confutare al massimo chi dica che cibarsi e respirare siano illusione, nel senso di non reali (inteso come: non c'è un io che mangia, non c'è il magiare, etc.), o che la vita e la morte non siano reali (ma non mi sembra sia quello che tu proponi); il che non significa, in questo il
cogito docet, che debbano essere esattamente
come ce li
rappresentiamo. Se penso, sono certo di esistere, non di essere esattamente l'utente Phil che scrive su un forum; questa auto-rappresentazione potrebbe essere l'inganno del genio maligno, etc. in questo senso parlavo di «residuo fenomenologico» minimo dell'esistenza, ossia: per quanto estendiamo ciò che definiamo «illusione» (
se lo abbiamo definito...) l'essere "qualcosa" (il
sum) non può essere considerato un'illusione. Ma da qui a sostenere che il
cogito addirittura
confuti le illusioni (seppur definite
ad libitum) o il volontarismo o l'utilitarismo (come potrebbe?), c'è un salto che non ho mai fatto e, a dirla tutta, non consiglierei nemmeno (come vedi, un po' di paziente ermeneutica sul testo altrui, a volte eviterebbe fraintendimenti colossali).
Per me, da bieco fanfarone, la vita può anche essere illusione, ma non nel modo vitalistico e volontaristico che intendi tu (miro molto più ad oriente in questo). La fede nel razionalismo, tanto più cartesiano o illuminista che sia, non è affatto la mia fede (dopo tutti i miei prediconi sull'
attualizzare la filosofia, ti pare che potrei essere davvero un
fan di Cartesio che cita Derrida e consiglia Ricoeur?). Il resto del tuo discorso, dopo la citazione messa sopra, soprattutto quando parla di "proiezione di perfezione"(?), "prescrizioni corporee"(!), parla quindi di te e di qualcun altro, di cui non posso fare le veci.
Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. Il desiderante non è desiderio, il mondo ontico in cui il desiderante si muove non è desiderio, etc. per questo le scienze, anche filosofiche, che si occupano dell'uomo e del mondo, non possono essere appiattite in mero "esercizio" di desiderio, come non ci fossero un agente e un mondo "pre-" ed extra-desiderio (il che non significa certo espungerlo dall'orizzonte umano, di cui è sicuramente parte pulsante e costituente).
E' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...
Comunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai,
inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra... l'oggetto di conoscenza non domina e non informa il desiderio, ma il contrario...
Quanto al
sum del cogito, non c'e' un inizio del tempo, c'e' un inizio (attuale) della vita nel tempo nonostante l'infinita' del tempo come ostacolo, e quindi, qualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa...
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PME' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...
L'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il
sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMComunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai, inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra...
Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una
prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un
istinto. Se affermi che l'uomo
vuole vivere per istinto, ne fai una
descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece
valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o,
andando oltre l'istinto,
scegliamo consapevolmente di restare vivi, in
entrambi i casi non possiamo
argomentarlo semplicemente
descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione
valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre
prescrizini, prese (non dalla
descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMqualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa...
Qui sarò sintetico perché ormai siamo
offtopic anche rispetto all'
offtopic: l'intelletto non
può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non
vorrei capire, come già detto, e non posso
illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno
borderline, riguarda anche la divinità).
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2025, 14:09:39 PML'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).
La vita e' prescrittiva nel senso che essa e' un caso, ma, dato il caso, ci sono (solo!) un numero conchiuso e coerente e limitante di microcasi, o casi minori, che lo giustificano.
Se lancio due dadi a sei facce e ottengo 7 e' un caso, ma se ho a posteriori l'informazione che e' uscito, proprio, il totale di 7, e non un altro, sono sicuro, a priori, o se vogliamo retrospettivamente, che le combinazioni possibili sono [4 +3, 5+2, 6+1]. So, che e' uscita una di queste, anche se non vedo la combinazione precisa, ad esempio, sono cieco e un mio amico, vedente, mi informa che e' uscito 7 di totale.
Ugualmente la vita, (tanto sulla terra, come destino comune, quanto nella nostra singola storia personale, come destino individuale!) nasce per caso (non e' prescritta in assoluto) ma una volta nata ci vincola, e ci vincola a delle prescrizioni che, in grandissima parte non sono etiche o morali, non dipendono dal giudizio; sono tali di fatto, prescrizioni di fatto. Istinto di sopravvivenza, e volonta' di vivere prima di tutte. Se abbiamo un corpo, abbiamo il programma di mantenerlo vivo, e, quel corpo, ha specificamente gli organi di pensiero, di sentimento e di senso che gli servono per mantenersi vivo e proluferare, ( 5+2; 4+3, 6+1... ci vuole tanto a capirlo?)
non, certo, organi di pensiero e di senso concepibili secondo la categoria, nefasta in quanto ad oggi culturalmente abusata, di "liberta' ", o di caso.
Stante il, descritto, 7 (avere una vita) e' prescritto, l'implicito, 5+2, 6+1, 4+3 (avere un istinto, e un programma, di sopravvivenza, e organi di pensiero e di senso altamente condizionati, ai fini della sopravvivenza).
Secondo me, tu non mi capisci o fai finta di non capirmi, perche' sei ottimista, e pensi che l'umano giudizio, sulle cose, conti tantissimo. Il mondo per te, dovrebbe girare intorno al fatto, o meglio, alla
differenza, che una, eventuale, valutazione etica dell'istinto, non sia, immediatamente, l'istinto.
Spoiler: nella stragrande maggioranza dei casi, incluso questo, l'umano giudizio non conta niente. Siamo polvere di stelle, fiato nel vento, diramazioni impreviste, note a margine.
Se esce sette, e tu lo sai, la combinazione dei dadi in particolare, che tu non sai, non chiede il tuo permesso, per essere una tra 5+2, 6+1, 4+3. E' cosi' e basta. Non c'e' riflessione possibile, non c'e' duplicazione dei dadi e del loro risultato in un universo metaetico, non c'e' una morale della favola da trarne, non c'e' necessita' (solipsistica) di una tua precisa conoscenza in merito perche' le cose stiano come stanno, non c'e' bisogno che tutto questo sia, in qualche modo, "sancito". Le cose che sono arrivate tutte allo stesso identico punto, e che noi constatiamo, che sono arrivate li', magari, per la gioia degli ottimisti e degli idealisti non avranno seguito, tutte, necessariamente la stessa identica strada, ma sicuramente, lo stesso numero, limitato di strade.
E dunque, ai fini di stabilire quanta oggettivita' e quanto distacco sia possibile nell'ambito della "conoscenza", conoscenza che poi, si riduce all'atto, umano, finito e ripetibile, dell'esperire e del conoscere, l'istinto di sopravvivenza e l'avere un corpo, esteso, contano; la riflessione pseudoetica o metaetica sull'istinto di sopravvivenza e sull'avere un corpo, in confronto, contano, si', ma come il due di coppe quando briscola e' bastoni. Io mi rifiuto, di metterli sullo stesso piano, perche' non stanno sullo stesso piano. E non voglio dire cosa sia buono e cosa sia cattivo. La prescrizione, qui, ai fini di questo discorso non e' etica perche' il mondo non gira, intorno all'etica. Non e' comportamentale, non e' una consulenza, non e' una pubblicita', non e' una prestazione. La prescrizione, qui, e' immediatamente la descrizione, senza esserne ne' inferita ne' argomentata. Ne' inferibile ne' argomentabile. Mi importa assai, se c'e' una regola, logica, che impedisce di inferirla. Anzi, che mi impedirebbe di inferirla se io volessi, inferirla.
E quindi, il Dio/conoscenza oggettiva, e' stato tale perche', e finche', piacque all'uomo, che fosse tale. Finita l'illusione, del Dio, resta il desiderio, che ci ha portato, ad immagginare quel Dio. La memoria, dell'errore, non e', a sua volta, errore. La maschera, sia pure riposta e dismessa, non smettere di essere, maschera. E questo impedisce di resettare la storia, o la vita, in modo stupido, ovvero in modo automatico, impedisce, un bel mattino, di capovolgere la clessidra per atto politico o con gesto della mano.
Il significato, di un sogno, e' l'irreversibilita', sostanziale, di quel sogno, stante la potenza della memoria che lo attinge. Stante il modo, tipico, dell'esperienza umana. Per cui la perdita di realta' o di verita', di qualche cosa che nella memoria si deposita, e che da un certo punto del nostro cammino in poi, noi sappiamo non essere piu'vero, non sempre, anzi, quasi mai, e' perdita di sensorialita' e di certezza, rispetto all'esperienza ed esperibita' di quella stessa data cosa. Non e' altro, non e' interessante il gioco infinito di cercargli un significato, altro. Al sogno.
In realtà neppure la vita è il "fondamento ultimo" indiscutibile e prescrittivo. Lo sarebbe in un mondo di monadi, ma la vita e la morte sono fenomeni relazionali. Anche in questo caso può nascondersi la fallacia naturalistica. Oltre al caso dell'uomo grasso, basti pensare al diritto di aborto, alla guerra, al diritto in nome della vita di poter possedere un harem, per riprodursi. La fallacia naturalistica presuppone che tutto sia dinamico e tutto sia relazionale, per cui il fondamento della "vita giusta" va cercato altrove. La distinzione prescrizione/descrizione è sia un principio logico afferente alla necessità di distinguere due dimensioni (che possano interagire è un altro discorso), sia una affermazione che mette in primo piano la singolarità della specie sapiens in natura. Una singolarità che ha tratto origine dalla natura (ovvero un cervello fuori dal comune) ma che si è affrancata dalla natura grazie a quella singolarità. Ci troviamo così nella scomoda situazione di agire nella natura, sfruttandola così a fondo, da mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie. Il che comunque non è un evento eccezionale, visto che, mediamente si estinguono circa 1000 specie all'anno, dal 1980 in poi ( le specie esistenti sono circa l'uno per cento di tutte quelle che si sono presentate sul pianeta terra).
Un altro argomento riguarda come la morte sia connessa con la vita addirittura negli stessi meccanismi biologici naturali che favoriscono la vita, come l'apoptosi.
Ho provato a capirci qualcosa fra fallacia naturalistica, prescrizione e descrizione. Non ci ho capito molto, comunque provo ad aggiungere qualche elemento di riflessione.
Il cortocircuito fra ciò che è e ciò che deve essere, credo derivi fondamentalmente dal fatto che ciò che viene descritto non coincide con ciò che è, o, in subordine, non esiste una descrizione univoca per ciò che è.
Inoltre, seppure esistesse una descrizione univoca, esisterebbero descrizioni diverse da questa, ma logicamente equivalenti.
Le diverse descrizioni in ogni caso influenzeranno in modo diverso le previsioni fatte in base ad esse, e quindi il nostro comportamento , perfino appunto quelle che logicamente si equivalgono.
Il bicchiere mezzo pieno equivale logicamente al bicchiere mezzo vuoto, ma gli effetti comportamentali sono notoriamente diversi.
Insomma, se la forma non è sostanza, una descrizione della realtà , essendo una forma, non è la realtà, però determina il nostro modo di porci verso di essa, generando quindi prescrizioni su come sia bene farlo.
La forma è sostanza etica?
Due descrizioni diverse, ma logicamente equivalenti, producono lo stesso risultato quando diventano programmi per computer, per cui si può usare indifferentemente un programma oppure l'altro.
Due descrizioni diverse, seppur logicamente equivalenti, determinano comportamenti diversi nello stesso uomo.
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 13:36:20 PMIn realtà neppure la vita è il "fondamento ultimo" indiscutibile e prescrittivo. Lo sarebbe in un mondo di monadi, ma la vita e la morte sono fenomeni relazionali. Anche in questo caso può nascondersi la fallacia naturalistica. Oltre al caso dell'uomo grasso, basti pensare al diritto di aborto, alla guerra, al diritto in nome della vita di poter possedere un harem, per riprodursi. La fallacia naturalistica presuppone che tutto sia dinamico e tutto sia relazionale, per cui il fondamento della "vita giusta" va cercato altrove. La distinzione prescrizione/descrizione è sia un principio logico afferente alla necessità di distinguere due dimensioni (che possano interagire è un altro discorso), sia una affermazione che mette in primo piano la singolarità della specie sapiens in natura. Una singolarità che ha tratto origine dalla natura (ovvero un cervello fuori dal comune) ma che si è affrancata dalla natura grazie a quella singolarità. Ci troviamo così nella scomoda situazione di agire nella natura, sfruttandola così a fondo, da mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie. Il che comunque non è un evento eccezionale, visto che, mediamente si estinguono circa 1000 specie all'anno, dal 1980 in poi ( le specie esistenti sono circa l'uno per cento di tutte quelle che si sono presentate sul pianeta terra).
Un altro argomento riguarda come la morte sia connessa con la vita addirittura negli stessi meccanismi biologici naturali che favoriscono la vita, come l'apoptosi.
Io volevo dire solo che il condizionamento biologico della nostra percezione e del nostro pensiero, e quindi indirettamente anche della nostra cultura, impedisce l'esistenza di una "realta' oggettiva", e quindi, di un "sapere disinteressato", o insomma di una contemplazione, abbastanza pregnante o abbastanza interessante da essere fondamento e motivo di esistere
per la filosofia, in quanto disciplina; il fondamento e il motivo di esistere dell'universo mondo, invece, qui, non era in
questione.
Ribadisco, la vita ci vincola, ma la vita nasce dal caso, e il caso, non vincola. La forza vincolante dell'istinto, e' un a priori, di una descrizione, a posteriori. Se c'e' un orologio (vita) c'e' un orologiaio (istinto, e struttura). Non si tratta di affermare un assoluto, ma una inoggettivita' e inoggettualita' della conoscenza e del processo del conoscere, in quanto condizionato, dalla vita stessa. C'e' chi ci puo' vedere un assoluto, chi un modo si essere relativo, per cui stante un fatto, ci sono alcune premesse. Stante un caso grande, c'e' una reticolare concatenazione di casi piu' piccoli.
L'inoggettualuta' della conoscenza,
non deriva dell'accettazione della premessa di un assoluto della vita o del vitalismo come filosofia,
ma (semmai) dall'accettazione, dalla premessa, della realta', del condizionamento istintuale e biologico sulla conoscenza e presso la conoscenza.
Poi ho detto che l'abbaglio, umano, nella credenza in una simile oggettivita', e' molto simile all'abbaglio, uomano, della credenza in Dio. Dio e' morto, e con esso, la verita' oggettiva. O se vogliamo la verita' oggettiva, e' morta, insieme con Dio. Dio e' l'assoluto, opposto, all'assoluto, che
I tre punti fondamentali qui sono:
> Che io
non ho tratto una morale prescrittiva dalla natura. Non ho detto a nessuno cosa fare, tranne forse che l'intelletto si deve adeguare alla volonta' e non viceversa, ma mi pare abbastanza vago, da permettere ad ognuno di vederci quello che vuole, dentro e attraverso questo mio "consiglio", che comunque, non e' e non vuole essere, anche, un "giudizio".
> Che io eventualmente, quando in altra sede, e non in questa, traggo una morale prescrittiva dalla "natura", sono consapevole di farlo, e cerco di renderne consapevole chi mi legge. La fallacia interessante, a mio modo di vedere, e per quanto possibile anche di comunicare, semmai, e' quella segnalata. Con le strisce stradali, i cartelli eccetera. Questo sempre intendo, vale in generale.
> Che quando io in altra sede, traggo una morale prescrittiva dalla natura, questa, non ha niente, ma proprio niente, a che vedere con il divieto di aborto, piu' di qualcosa, si', con la guerra, poco o quasi niente con gli harem maschili. Percio' lasciate perdere, le fallacie naturalistiche che credete di intendere. La vita non va' difesa, si difende da sola.
L'apoptosi e' come la vita intende la morte. Essa, l'apoptosi, e' un vantaggio per il gruppo e per il seme/gene, ma non gia' per il singolo, e, tanto meno, non per il singolo in quanto cosciente e desiderante. Non ci fa', accettare serenamente la prospettiva di schiattare, semplicemente, diciamo cosi', ce la impone. Un po' come tutto il resto, dei condizionamenti biologici. E istintuali. Da cui l'estrema difficolta' a trarre morali individuali dalla biologia. Si tratterebbe di trarre morali, inevitabilmente in certa misura individuali, cioe' contemplanti il piacere e la coscienza, da cio' che, nelle sue reali tendenze e finalita', e' tutto, essenzialmente, sovra/individuale (cioe' massificato, ecologico e moltitudinario) o sub/individuale (cioe' genico/genetico). L'individuo, e' proprio l'agnello sacrificale della biologia. Perche' esso e', direttamente, il "livello" della realta' che biologicamente e naturalisticamente, non esiste. Esistono, il suo sopra, e il suo sotto. Percio', se uno prende sul serio, il compito, di trarre una morale dalla natura/biologia, scusa, ma non puo' non sorridere di harem e aborti. E un po' anche di guerre. Perche' si rende conto di quanto ingrato sia, questo compito.
Se devo essere sincero Niko, non ho capito granché del tuo ultimo intervento, evidentemente mi sto velocemente rimbecillendo. Ad ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Ho il sospetto che tu riconduca tutto alle teorie scientifico-naturalistiche del marxismo classico, che però hanno fatto il loro tempo. Credere in una teoria oggettivamente e naturalmente "vera", va contro la necessità di ritrovare Marx e la sua teoria "vera" dello sfruttamento e dell'alienazione, ma su basi non oggettive o naturalistiche ma culturali (ed ecco avveratosi l'off-topic dell'off-topic, del resto se sono gli stessi moderatori a dare l'esempio🤓).
Citazione di: niko il 28 Luglio 2025, 16:05:06 PMIo volevo dire solo che il condizionamento biologico della nostra percezione e del nostro pensiero, e quindi indirettamente anche della nostra cultura, impedisce l'esistenza di una "realta' oggettiva", e quindi, di un "sapere disinteressato", o insomma di una contemplazione, abbastanza pregnante o abbastanza interessante da essere fondamento e motivo di esistere per la filosofia, in quanto disciplina; il fondamento e il motivo di esistere dell'universo mondo, invece, qui, non era in
questione.
Non è che la impedisce: non c'è.
Un essere metabiologico non avrebbe maggior fortuna avendo una interazione con la realtà, perchè non c'è una realtà oggettiva, ma c'è una realtà oggettivabile.
E non necessariamente oggettivabile in quanto unità divisibile, perchè la divisione è solo un esempio di interazione con la realtà, e possiamo portarlo come esempio perchè operazione a noi nota.
Noi non conosciamo in genere l'operazione oggettivante.
Una però la conosciamo, quella che porta avanti la ricerca scientifica, la quale però non produce propriamente l'oggettività che ci aspetteremmo, in quanto produce una oggettività definibile, contrariamente all'oggettività attesa, non definibile, se non si ha l'ardire di accettare ''la cosa che è in se'' come definizione .
Perchè, ora che disponiamo di un oggetto definibile, entità fisica, la cosa in sè dovrebbe apparirci per esclusione, come cosa che nasce da un operazione di non defezione.
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 16:30:34 PMAd ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Questo cambiamento è continuo quanto costante.
Se il divenire è costante, non possiamo porre l'accento sul divenire, piuttosto che sulla costanza.
La natura è gattopardesca, cambia per restare uguale.
In ogni caso non credo che su questa costanza si possa fondare la legge morale, che, come ho suggerito nei post precedenti, fonderei meglio sull'estetica.
Non mi sembra neanche desiderabile ridurre le leggi umane a quelle materiali.
Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 16:30:34 PMSe devo essere sincero Niko, non ho capito granché del tuo ultimo intervento, evidentemente mi sto velocemente rimbecillendo. Ad ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Ho il sospetto che tu riconduca tutto alle teorie scientifico-naturalistiche del marxismo classico, che però hanno fatto il loro tempo. Credere in una teoria oggettivamente e naturalmente "vera", va contro la necessità di ritrovare Marx e la sua teoria "vera" dello sfruttamento e dell'alienazione, ma su basi non oggettive o naturalistiche ma culturali (ed ecco avveratosi l'off-topic dell'off-topic, del resto se sono gli stessi moderatori a dare l'esempio🤓).
> si, penso che si possa trarre una morale dalla natura.
> ma, no, non l'ho fatto in questa sede e in questo topic, quindi, non mi piace che mi si imputi la fallacia naturalistica solo perche' ho parlato dell'impossibilita' di una conoscenza oggettiva, e del fallimento del paradigma metafisico occidentale, insomma di cosa resta di Dio, che poi, sarebbe l'argomento iniziale. Sostanzialmente, affermare, come ho fatto io, che l'apparire del mondo dipenda dalla volonta' di vivere dei singoli viventi, e magari dire anche che, la forma di questa apparenza sia altamente condizionata,
quantomeno perche' la vita
non galleggia, in un mare di liberta' infinita quanto a se stessa e alle sue specifiche condizioni, (data a la verita' di un caso, sono vere anche tutte le ragioni necessarie del suo verificarsi), sempre come ho fatto io, non e', e non costituisce, una fallacia naturalistica, perche' manca, l'elemento prescrittivo, esortativo, morale o di giudizio.
> la natura e' dinamica, e quindi, pure una morale naturalistica deve esserlo, ma la cosa ci porterebbe lontano... ti dico solo che, dato che secondo me siamo consegnati all'assoluto della vita, la sua qualita', conta piu' della sua conservazione o quantita'.
Io voglio fare la rivoluzione, ma non perche' io come uomo o come soggetto collettivo voglia in qualche modo "salvarmi", tantomeno lo voglio contro una, eventuale, spaventosa, possibilita' opposta, di non salvarmi (e quale sarebbe mi chiedo? ridicolo...) ma perche', a condizioni di vita mediocri e o indecenti, la salvezza stessa, fa problema.
Non si evolve verso lo smettere di volere, ma verso il volere qualcosa si diverso... il volere qualcosa di diverso, pero', a sua volta, implica il terminare, il compito o l'atto, storico, di volere, quello che (gia') c'e'; di terminare, quello che e' gia' iniziato. E' facile, parlare di rivoluzione ma la verita' e' che quello di cui vuoi liberarti, devi volerlo in modo esaustivo, devi viverlo fino in fondo, proprio per, e al fine di, non volerlo piu'.
E quindi, questo mondo, pieno di guai, non passa, si sofferma e perdura, proprio perche' nessuno, realmente, lo ama e lo vuole, soprattutto: non per quello che realmente esso e'; molti, semmai, lo vedono, si illudono e lo amano per quello che dovrebbe essere, per la differenza che non e', per il fantastico e fantasioso "mondo dietro al mondo" e con cio', diciamo cosi', gli fanno, ulteriormente torto. Ma la sua mera, innegabile, scheletrica e non metafisicamente abbellita presenza, per noi, per il suo sognificato rispetto a noi intendo, e' (solo) una grande richiesta di amore, e (solo) in questo senso, fintanto che essa resta ignorata, abbellita o negata, ha tutto il diritto a durare; questo tempo, con tutte le sue montagne, le sue torri, i suoi ingranaggi e i suoi campanili, deve passare entro e oltre la soglia della nostra (non libera) volonta', cioe' realmente... deve passare, intendo, realmente.
Citazione di: iano il 28 Luglio 2025, 17:43:07 PMNon è che la impedisce: non c'è.
Un essere metabiologico non avrebbe maggior fortuna avendo una interazione con la realtà, perchè non c'è una realtà oggettiva, ma c'è una realtà oggettivabile.
E non necessariamente oggettivabile in quanto unità divisibile, perchè la divisione è solo un esempio di interazione con la realtà, e possiamo portarlo come esempio perchè operazione a noi nota.
Noi non conosciamo in genere l'operazione oggettivante.
Una però la conosciamo, quella che porta avanti la ricerca scientifica, la quale però non produce propriamente l'oggettività che ci aspetteremmo, in quanto produce una oggettività definibile, contrariamente all'oggettività attesa, non definibile, se non si ha l'ardire di accettare ''la cosa che è in se'' come definizione .
Perchè, ora che disponiamo di un oggetto definibile, entità fisica, la cosa in sè dovrebbe apparirci per esclusione, come cosa che nasce da un operazione di non defezione.
Sono d'accordo direi. Non c'e' una realta' oggettiva. Solo una oggettivabile.
Direi che non ci puo' essere nemmeno un essere, o un punto di vista sul mondo, "metabiologico". Tutto cio' che vive, e' biologico, e punti di vista fuori dalla vita... non ce ne sono.
Citazione di: niko il 29 Luglio 2025, 12:52:06 PMSono d'accordo direi. Non c'e' una realta' oggettiva. Solo una oggettivabile.
Su questo punto noto fra i partecipanti alla discussione una concordanza superiore a quella che mi attendevo.
Dall'abbracciare questo punto mi aspetterei però una maggiore semplificazione dei discorsi, che invece non vedo.
Citazione di: niko il 29 Luglio 2025, 12:47:25 PM> si, penso che si possa trarre una morale dalla natura.
Se la natura è ciò che della realtà abbiamo oggetivizzato, la morale che ne possiamo trarre dipende dalla operazione di oggettivizzazione che abbiamo effettuato.
Di questa operazione possiamo non avere coscienza, e ciò spiegherebbe l'idea che possiamo trarre in modo diretto la morale dalla natura.
Era, se non ricordo male, anche il cavallo di battaglia di Ipazia, (dov'è finita?) e anch'io quando ne discutevamo allora concordavo.
Però adesso mi sono fatto altre idee, come ho provato a dire.
Possiamo anche credere che Dio non sia all'origine del creato, e io non lo credo, ma non credo neanche che se non è in Dio la loro origine, noi si possa dire quale sia in alternativa.
Preso atto della difficoltà a dirlo, posso quindi comprendere che qualcuno abbia dato come risposta una non risposta , Dio.
Se l'ha creato Dio è oggettivo, se l'abbiamo creato noi, pur non sapendo come, oggettivo non lo è.
Se l'ha creato Dio, il mondo in cui viviamo coincide con una realtà fatta di cose oggettive, di cose che hanno una esistenza in se.
Diversamente il mondo è il nostro modo soggettivo, per quanto condiviso ( soggettività dell'umanità), di vivere la realtà.
Il mondo è la nostra consolle di comando della realtà.
''Non ci vuole una scienza per farlo, ma anche con la scienza si può fare.''
Se lo facciamo con la scienza, gli enti coi quali la realtà viene oggettivata non hanno una esistenza in se, perchè non avrà mai una esistenza in se il prodotto delle nostre creazioni. Potranno restare sospesi fra l'astratto e il concreto, fra una ipotesi ad hoc e una cosa che si incastra così bene nella realtà, che se non c'era bisognava inventarla.
Un esistenza in se può darla solo Dio, o noi possiamo supporre che lui l'abbia dato quando ignoriamo di trattarsi di una nostra creazione.
Nel momento in cui abbiamo iniziato ad oggettivare la realtà attraverso il processo scientifico, ponendo in confronto gli enti fisici che ne sono risultati, coi buoni vecchi oggetti in se, del loro privilegio di possedere una esistenza a prescindere, abbiamo iniziato a dubitare.
E nella misura in cui le cose che esistevano in se testimoniavano Dio, indirettamente Dio è stato messo in dubbio, come ipotesi sufficiente, ma non necessaria.
Quello che dico non è vero. Io alla verità non ci credo.
E su quello che dico posso cambiare idea come ho già fatto. Però credo di aver fatto un discorso chiaro.
Non dico che io manchi di complicazione. Dico che non faccio della complicazione il mio fine, ne dico che lo faccia tu.
Pure c'è un esempio su questo forum, che mi è caro, come esempio da non seguire.
Citazione di: niko il 29 Luglio 2025, 12:47:25 PMNon si evolve verso lo smettere di volere, ma verso il volere qualcosa si diverso... il volere qualcosa di diverso, pero', a sua volta, implica il terminare, il compito o l'atto, storico, di volere, quello che (gia') c'e'; di terminare, quello che e' gia' iniziato. E' facile, parlare di rivoluzione ma la verita' e' che quello di cui vuoi liberarti, devi volerlo in modo esaustivo, devi viverlo fino in fondo, proprio per, e al fine di, non volerlo piu'.
Ecco un esempio di discorso complicato, che però siccome condivido, capisco bene.
Se vogliamo esclusivamente la verità, raggiungerla è smettere di volere.
E, messa la questione in questi termini, chi davvero potrebbe dichiarare di voler smettere di volere?
Se anche non volessimo qualcosa di diverso, ci ritroveremmo diversi contro la nostra volontà, perchè questo significa essere vivi.
Cerchiamo per noi una eternità che è propria delle cose che esistendo in se, però non hanno vita.
Vorremo diventare come uno scoglio che contempla il mare, acquisendone la stessa presunta oggettività.
Quello che non vogliamo considerare è quali sarebbero le conseguenze nefaste dei nostri desideri se si avverassero, divenire un sasso in mezzo al mare, perchè non vogliamo smettere di desiderare.
Dedichiamo la vita a professare religioni che ci promettono una vita postuma, che se l'avessimo in questa , sarebbe un mortorio.
Citazione di: iano il 29 Luglio 2025, 23:08:57 PMEcco un esempio di discorso complicato, che però siccome condivido, capisco bene.
Se vogliamo esclusivamente la verità, raggiungerla è smettere di volere.
E, messa la questione in questi termini, chi davvero potrebbe dichiarare di voler smettere di volere?
Se anche non volessimo qualcosa di diverso, ci ritroveremmo diversi contro la nostra volontà, perchè questo significa essere vivi.
Cerchiamo per noi una eternità che è propria delle cose che esistendo in se, però non hanno vita.
Vorremo diventare come uno scoglio che contempla il mare, acquisendone la stessa presunta oggettività.
Quello che non vogliamo considerare è quali sarebbero le conseguenze nefaste dei nostri desideri se si avverassero, divenire un sasso in mezzo al mare, perchè non vogliamo smettere di desiderare.
Dedichiamo la vita a professare religioni che ci promettono una vita postuma, che se l'avessimo in questa , sarebbe un mortorio.
Non si vuole al fine di smettere di volere, ma al fine di volere altro.
Insomma bisogna accettare il divenire inesauribile di tutto, anche e soprattutto della nostra stessa volonta', che in fondo anche personalmente, e come forza, vuole e non puo' che volere, il divenire continuo di tutto, quantomeno perche' di un tutto continuamente diveniente, essa stessa fa parte.
Si da' per scontato che l'atto in se' del volere sia facile, sia "naturale" per l'uomo, e che il difficile sia estinguere la volonta', e quindi la sofferenza ad essa connessa, alternativamente, o nella soddisfazione oggettuale esterna, nell'ottenimento di qualcosa in qualche misura fuori di noi, che soddisfi i nostri desideri, o nella ascesi e nel lavoro su noi stessi al fine di estinguere, o cambiare arbitrariamente i nostri desideri, ad esempio qualora questi siano piu' o meno sfacciatamente impossibili. Insomma, o ottenere, o, saggiamente, smettere di desiderare.
Invece, la vita e' piena di situazioni, in cui il volere stesso, e il desiderare, e' difficile. E questo smaschera il falso problema sia del soddisfarsi esternamente, del conquistare un oggetto, una "vittoria" o qualcosa, che del non volere, e del magari credere, falsamente, di poter essere paghi della conoscenza e della contemplazione. Ci sono cose (direttamente) difficili da volere, prima ancora che (indirettamente) difficili da ottenere o da estingure nella contemplazione e nell'ascesi una volta volute.
E questa qui e' un poi la mia morale, tratta dalla natura.