Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?

Aperto da PhyroSphera, 02 Luglio 2025, 19:17:28 PM

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Phil

Non so quali fonti hai usato per intendere la fallacia naturalistica in quel modo, ma evidentemente non sono molto affidabili. La fallacia ha quel nome (naturalistica), in ambito filosofico, perché si applica a descrizioni naturali (della natura, quindi non c'entrano né gli schiavi, né i tetti delle case), sostenendo che da queste descrizioni naturalistiche non sia logicamente corretto derivare logicamente prescrizioni etiche. Indizio: nel bistrattato articolo di Wikipedia, al punto «Metaetico» (che direi è quello che qui ci interessa) c'è un link alla legge di Hume.
Un esempio sarebbe sostenere che: «la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ignoranza e male [sia] radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza» (citazione dal post 92).

Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 18:12:41 PMQuante volte, tu hai ricevuto una brutta notizia e non ti sei suicidato?
Il fatto che dopo un trauma non sempre ci si uccida non dimostra che, come sostenevi, «quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi» (cit.). Dimostra che, constatazione che nessuno qui ha mai messo in dubbio, il suicidio è molto meno istintivo, culturale e "praticato" dell'attaccamento alla vita (come confermano le scienze che studiano la vita e gli umani, anche se decidiamo di far finta che non siano abbastanza "oggettive" da essere affidabili).

niko

Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 19:04:36 PMNon so quali fonti hai usato per intendere la fallacia naturalistica in quel modo, ma evidentemente non sono molto affidabili. La fallacia ha quel nome (naturalistica), in ambito filosofico, perché si applica a descrizioni naturali (della natura, quindi non c'entrano né gli schiavi, né i tetti delle case), sostenendo che da queste descrizioni naturalistiche non sia logicamente corretto derivare logicamente prescrizioni etiche. Indizio: nel bistrattato articolo di Wikipedia, al punto «Metaetico» (che direi è quello che qui ci interessa) c'è un link alla legge di Hume.
Un esempio sarebbe sostenere che: «la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ignoranza e male [sia] radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza» (citazione dal post 92).
Il fatto che dopo un trauma non sempre ci si uccida non dimostra che, come sostenevi, «quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi» (cit.). Dimostra che, constatazione che nessuno qui ha mai messo in dubbio, il suicidio è molto meno istintivo, culturale e "praticato" dell'attaccamento alla vita (come confermano le scienze che studiano la vita e gli umani, anche se decidiamo di far finta che non siano abbastanza "oggettive" da essere affidabili).


La fallacia naturalistica, primariamente, si puo' intendere in senso ampio, come ogni situazione in cui, da una descrizione, derivi una prescrizione.

Vale per le case, per la schiavitu', per ogni possibile situazione consimile per tutto. Ogni volta che da una descrizione, si salta capsiosamente a una prescrizione, la fallacia naturalistica e' in agguato. Le Ferrari (macchine) sono sempre state rosse, le Ferrari devono continuare, ad essere, rosse.

Poi, secondariamente direi, si puo' intendere in senso stretto, come qualcuno che dia giudizi, o consigli o derivi norme comportamentali prescrittive in base al concetto che cio' che e' naturale, sia buono, e cio' che e' innaturale, sia cattivo.

In natura i pinguini non sono omosessuali, quindi, l'omosessualita', anche umana, e' un abominio.

Ma i gibboni hanno un'alta percentuale di omosessuali, quindi l'omosessualita', anche umana, e' una meraviglia. 

Si puo' andare avanti all'infinito. Il passo successivo, e' stabilie se sia piu' rappresentativo di un essere umano un pinguino, oppure un gibbone. O meglio ancora: lasciare perdere.

Mi pare(va) ovvio che ne stavamo parlando in senso lato, perche' io, scusa, in questa sede non ho mai dato consigli a nessuno, non ho giudicato nessuno, e non mi sono mai appellato alla natura come naturalita' o come vitalusmo per giustificare una mia, qualunque posizione etica (che poi quale sarebbe? Non ne ho espressa nessuna...).

Ho detto solo, in estrema sintesi, che la descrizione, della coscienza, vale identicamente [anche] come prescrizione, dal momento che ognuno vuole avere e mantenere per se' vita, e quindi, coscienza. Se ti e' prescritta la vita, ti e' prescritta la coscienza. E quindi, la coscienza stessa non si struttura a casaccio, ma per durare, e per restare. E anche per non restare e autodistruggersi, a certe condizioni, perche' la selezione naturale stessa non e', solo individuale, e' individuale e anche di gruppo, mentre, a quanto pare, la coscienza e', solo individuale. Non possono non esistere situazioni e strategie perfettamente razionali, ai fini di un gruppo ma distruttive e irrazionali, ai fini di un singolo; ad esempio tutte le situazioni di apoptosi e morte programmata. La vita e' iscritta fin dall'origine in un proggetto volontaristico, di autoperpetuazione e autoaccrescimento, sebbene a-finalistico, e ad origine (extra vitale) casuale. La nostra coscienza, si struttura nella vita, quindi, in questo stesso proggetto essendone parte in causa, possibile ostacolo, possibile risorsa, possibile oggetto di contesa, possibile mezzo ad altri, e ad essa esterni, fini. Non e' l'osservatore, non e' l'arbitro, non e' il testimone; semmai, in senso sportivo e' essa stessa un giocatore; in senso processuale e' una della parti in causa, e' l'avvocato o l'imputato. Insomma ho fatto una fallacia naturalistica, in senso lato, perche' ritengo che in un certo dato ambito, quello della nuda vita, la fallacia naturalistica intesa in senso lato (cioe' la "violazione", della legge di Hume "originale", non come ripresa e riformulata da Moore) non sia una fallacia. Ma una cosa giusta /vera, e a tratti perfino ovvia.

Ma certo non ho detto a nessuno cosa fare, o cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, appellandomi alla natura.

E bada, che la fallacia naturalistica in senso stretto, come tu ora improvvisamente la intendi, e altrettanto improvvisamente me la imputi, prevede che dalla natura, si derivi cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia consigliabile e cosa no, non, cosa sia vero o falso da un punto di vista strettamente gnoseologico o conoscitivo, (a-etico, altriche' metaetico!) tantomeno da uno, di punto di vista, che parta dalla natura, e nella natura resti, per dire di un fatto naturale, senza dare, consigli o giudizi.

Quindi, se non ho provato a venderti una crema dimagrante o non ho detto che tutti gli omosessuali sono pervertiti e l'aborto e' un omicidio a partire dalla potenza prescrittiva della natura, e non mi pare sia questo il caso, evita per il futuro, di imputarmi la fallacia naturalistica in senso stretto completamente a caso.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 21:47:25 PMQuindi, se non ho provato a venderti una crema dimagrante o non ho detto che tutti gli omosessuali sono pervertiti e l'aborto e' un omicidio a partire dalla potenza prescrittiva della natura, e non mi pare sia questo il caso, evita per il futuro, di imputarmi la fallacia naturalistica in senso stretto completamente a caso.
Non ti imput(av)o la fallacia naturalistica per rimproverarti o sminuirti, ma come quello che ti vede guidare con un faro fulminato e ti lampeggia dalla sua auto, non certo per accecarti.
Ciò premesso, a scanso di equivoci, questa a me sembra proprio una fallacia naturalistica che parla di bene e male radicati nella biologia (corsivo mio):
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMuna volta dato l'apparire del mondo e della nostra coscienza nel mondo quale "residuo fenomenologico", quale assoluto innegabile, la sua mancanza, il suo contrario, per noi puo' significare solo che siamo addormentati senza sogni o morti: la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Anche questa mi sembra una fallacia naturalistica (corsivo mio):
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMAvere quattro zampe e non tre, è il bene del cavallo, e rientra nell'idea platonica di cavallinità anche intesa nel suo valore noetico, causale e gnoseologico.
e anche questa (sempre corsivo mio):
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMIl gatto, è intero e deve, essere intero. Non c'è niente, di più lezioso e d inutile, che stare a dividere questo essere, da questo dover essere.
con questo corollario esplicativo:
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMnon puoi, a livello della nuda vita, dividere in due una descrizione da una prescrizione, senza ottenere una nuda vita, morta.
mentre dividere descrizione e prescrizione è proprio il consiglio per evitare la fallacia naturalistica.
Questa "difesa" della fallacia naturalistica, a livello della nuda vita, non spiega cosa sia, a questo punto, la "prescrizione" per la nuda vita, rispetto alla sua descrizione:
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMLa fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione.
Se tale "prescrizione" è il funzionamento della vita, allora è sinonimo di descrizione (quindi, mi stai praticamente "trollando"); se invece è un obbligo non immanente alla descrizione, allora è qualcosa che non può essere logicamente inferito dalla descrizione (e siamo in piena fallacia). Quando parlavi di metafisica, bene/male e radicamento della biologia e nell'istinto, non parlavi di questa coincidenza puramente descrittiva dell'oggetto con il suo dover essere (o no?).
Come dire: descrivo il teorema di Pitagora o la legge di gravitazione, qual è la prescrizione (come la intendi tu)? Che la legge descritta funziona sempre? Ma ciò fa parte del suo esser legge e, soprattutto, non è una prescrizione umana, ovvero quel tipo di prescrizione di cui parla la fallacia naturalistica (larga o stretta che tu le intenda) e che consente di parlare di bene e male (che, non a caso, non hanno senso se applicati al teorema di Pitagora o alla legge di gravitazione, salvo, appunto, cadere in fallacia naturalistica).

P.s.
A partire da questi "frammenti" si potrebbe fare un analisi ermeneutica, ma non sei un presocratico e inoltre a te l'ermeneutica non piace, quindi (proprio come con la questione della "vera" illusione), direi che anche stavolta siamo d'accordo.

niko

Citazione di: Phil il 25 Luglio 2025, 23:14:37 PMNon ti imput(av)o la fallacia naturalistica per rimproverarti o sminuirti, ma come quello che ti vede guidare con un faro fulminato e ti lampeggia dalla sua auto, non certo per accecarti.
Ciò premesso, a scanso di equivoci, questa a me sembra proprio una fallacia naturalistica che parla di bene e male radicati nella biologia (corsivo mio):Anche questa mi sembra una fallacia naturalistica (corsivo mio):e anche questa (sempre corsivo mio):con questo corollario esplicativo:mentre dividere descrizione e prescrizione è proprio il consiglio per evitare la fallacia naturalistica.
Questa "difesa" della fallacia naturalistica, a livello della nuda vita, non spiega cosa sia, a questo punto, la "prescrizione" per la nuda vita, rispetto alla sua descrizione:Se tale "prescrizione" è il funzionamento della vita, allora è sinonimo di descrizione (quindi, mi stai praticamente "trollando"); se invece è un obbligo non immanente alla descrizione, allora è qualcosa che non può essere logicamente inferito dalla descrizione (e siamo in piena fallacia). Quando parlavi di metafisica, bene/male e radicamento della biologia e nell'istinto, non parlavi di questa coincidenza puramente descrittiva dell'oggetto con il suo dover essere (o no?).
Come dire: descrivo il teorema di Pitagora o la legge di gravitazione, qual è la prescrizione (come la intendi tu)? Che la legge descritta funziona sempre? Ma ciò fa parte del suo esser legge e, soprattutto, non è una prescrizione umana, ovvero quel tipo di prescrizione di cui parla la fallacia naturalistica (larga o stretta che tu le intenda) e che consente di parlare di bene e male (che, non a caso, non hanno senso se applicati al teorema di Pitagora o alla legge di gravitazione, salvo, appunto, cadere in fallacia naturalistica).



A livello della nuda vita, la descrizione coincide con la prescrizione, proprio perche' l'anatomia ti descrive, in quanto essere umano, con la testa attaccata al collo, e la medicina/biologia ti consiglia/suggerisce che non puoi vivere, senza la tua testa attaccata al tuo collo, quindi, di evitare per quanto possibile che te la stacchino, ad esempio con una ghigliottina. Il mantenimento/implementazione della descrizione e', anche, buono, cioe' consigliabile, il suo stravolgimento, specie su tempi brevi e con poca gradualita', e' malvagio, cioe' sconsigliabile. La prescrizione, qui, di mantenerti vivo cioe' in buona misura coerente con la tua tipica descrizione, non e' assoluta, ma parte dal presupposto che tu voglia sopravvivere, cioe' che sopravvivere sia un obbiettivo per te. E anche veder sopravvivere le persone che ami, nella misura in cui le ami. E siccome questo e' quasi sempre vero, per quasi sempre tutti gli uomini in tutti i momenti, tranne forse I suicidi, il nesso tra descrizione e prescrizione a livello della nuda vita e' forte, e' un nesso forte, e quindi anche l'ammissibilita' della fallacia naturalistica... e' pressoche' totale!

Ci sono quindi un sacco di casi in cui noi umani, di oggi, comunemente accettiamo la fallacia naturalistica:

Le case hanno I tetti >>> le case devono avere I tetti.

Gli i bambini hanno due braccia >>> I bambini devono avere due braccia. (E ad esempio, ci scandalizzano per i bambini mutilati dalle mine, e cerchiamo di curarli o quantomeno mettergli una protesi, se essi hanno una malattia o un incidente per cui rischiano di perdere un braccio, soprattutto se sono i nostri figli).

Pochi, invece i casi in cui comunemente, a nostro probabile giudizio, la fallacia naturalistica in senso lato noi non la accettiamo:

I lavoratori di Amazon sono sfruttati >>> I lavoratori di Amazon devono essere sfruttati.

Viene da dubitare, dell'interesse filosofico di una fallacia che implica una riflessione su di essa caso per caso, cioe' che sostanzialmente non e' tale, non e' una fallacia.

Ma il motivo per cui e' nato tutto questo discorso e' che tu pensi che il cogito, il residuo ineliminabile della coscienza sia idoneo a confutare l'illusorieta' della vita.

Tu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.

Io ti dico che la vita vuole vivere, e quindi vuole avere, e mantenere, in forma di durata, il cogito. E, proprio volendolo e proprio perche' lo vuole, in una certa misura e per un certo tempo, lo ottiene, e lo mantiene. La volonta' e' (gia') nel pieno della relazione con il suo oggetto, con il suo voluto, al momento e all'atto dell'apparire del cogito. Che poi, non puo' apparire senza la sua relazione reale e immediata con un corpo, con buona pace di Cartesio.

Il cogito insomma non e' l'oggetto di conoscenza che con il suo apparire limita la volonta', ma e' la nuda vita stessa come oggetto comune e universale di tutte le volonta', che con il suo stesso apparire si auto realizza, almeno, appunto, nella sua forma comune elementare minima, e dischiude la possibilita' dell'apparire di nuovi, ulteriori, e piu' complessi, e piu' difficilmente ottenibili, oggetti del volere e del desiderio. Volere il cogito >>> cioe' volere, direttamente, la nuda vita, si supera, certo volendo nel cogito>>> la qualita', e il pudore, e il capriccio, di una, ulteriormente sopravveniente "vestita" vita; ma una obbiettivita', un punto di vista obbiettivo e disinteressato, in tutta questa dinamica e dialettica, non sorge mai.

Poi, tu dici che il male e il trauma, confutano, la natura di illusione volontaristica e utilitaristica della vita. Non ogni conosciuto e' un voluto.

Insomma tu dici:

Se potessimo proiettare la vita come sogno >>> la proietteremmo perfetta. Ma non la proiettiamo perfetta >>> allora la vita non e', illusione e sogno.

Ma io ti dico che tutte le volte che accetti il male che ti capita nella vita e vai avanti, preferisci restare nell'illusione, perche' l'alternativa all'illusione, che e' la vita, e' la morte, cioe' un male e una disillusione ancora peggiore. Non si sopravvivere al male, si sopravvive all'inscindibilira' del bene, dal male, cioe' si sceglie la vita, anche se questa contiene, il male. E proprio scegliendo nonostante tutto e nonostante tutto il male, la vita, si dimostra che essa, la vita non e' un sopravveniente oggettivo e conoscibile contro la volonta', ma, ancora e sempre un oggetto, di volonta'.

L'uomo ricerca il sapere, ma il sapere non e', un oggetto (passibile di descrizione) piu' forte dell'uomo, che, una volta conseguito, lo limiti: e', invece, un riflesso del voler vivere stesso dell'uomo, del suo volersi auto-sentire, in quanto e nella misura in cui, proprio, l'auto-sentirsi, l'avere un senso interno e una riflessione interna, e' forma e condizione stessa della vita e di quasi ogni vita, quantomeno complessa. Voler avere conoscenza, insomma, e' sempre una complicazione, e una co-implicazione, del voler avere e mantenere coscienza, cioe' del voler vivere, e del voler vegliare, vegetare e vigilare, sempre inteso ed intendibile finanche e basilarmente nel senso della nuda vita. E l'avere coscienza ci e' prescritto, dal corpo e dal suo programma di sopravvivenza, almeno nella misura in cui il suo oggetto, l'oggetto di coscienza, un descritto, e un descrivibile. Il descritto, qui, in questo caso, compare, immediatamente, gia', prescritto. Non c'e' "salto" possibile, perche' differenza alcuna, non c'e'.  Fallacia naturalistica. In questo caso, per me, pienamente accettabile.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Siamo passati dalla fallacia naturalistica come «ciofeca» (cit. post 92) alla distinzione fra fallacia naturalistica in senso stretto e largo (post 106); direi «bene», se così facendo non ricadessi a mia volta nella fallacia. Battute a parte, l'ultimo tassello di questo percorso potrebbe essere osservare (oltre al fatto che in filosofia con «prescrizione» solitamente non si intende la prescrizione medica di restare vivi, semmai ci sia) che la fallacia non significa che non possa esserci nessun rapporto tematico fra descrizione e prescrizione, ossia che al dolore di un occhio strappato non si possa affatto associare un qualunque giudizio (etico, metafisico o altro). La fallacia, che come tutte le fallacie (se non erro) si occupa del piano logico, indica solo che non c'è inferenza logica fra quella descrizione e quel giudizio o prescrizione («vietato strappare gli occhi»); intendendo per logica non il semplice "ragionare in modo coerente", ma la logica in senso forte (accademico, se vuoi) come cogenza argomentativa («x implica y» e simili).
Ad esempio, dalla descrizione che le case hanno i tetti (riciclo il tuo esempio) non deriva logicamente che è bene (e nemmeno necessario) che le case li abbiano; può suonare strano, ma così è per la logica, che chiamerebbe questa (fallace) autoreferenza una petitio principii (se non ricordo male). Esempio ancora più semplice: perché bisogna (prescrizione) passare con il verde? Perché (descrizione) con il verde si passa; non c'è alcuna autentica argomentazione né implicazione logica che lega il passare al colore verde (sappiamo infatti che tale rapporto passare/verde è basato su una legge, non su un'argomentazione logica).
Torniamo alle case: la prescrizione («le case devono avere i tetti») si applica alla descrizione («le case hanno i tetti»), ma questa non è logicamente il fondamento del contenuto della prescrizione. La fallacia naturalistica invita ad argomentare senza usare la descrizione (che comporterebbe petitio principii), ovvero invita a non affermare «ciò che è, è bene come è, perché così è». Tradotto in pratica: è utile che le case abbiano i tetti, non perché è così che vengono fatte, ma perché il tetto svolge una funzione utile, strutturale, etc. La fallacia naturalistica invita a non sovvertire quel «perché», mutandolo in «è utile che le case abbiano i tetti perché le case hanno i tetti»; quando l'argomentazione corretta è invece «le case hanno i tetti (descrizione) perché è utile che li abbiano (altra descrizione, con valore argomentativo da esplicitare)». Lo stesso vale per i bambini senza braccia e per i lavoratori di Amazon: l'argomentazione a favore della cura verso gli uni e lo sdegno per la condizione degli altri, non si basa su descrizioni del corpo umano o delle routine di lavoro, ma sulla valutazione di tali descrizioni. Questo è ulteriormente dimostrato, concretamente, dal fatto che sono possibili anche interpretazioni differenti delle routine di lavoro (sulle menomazioni fisiche è meno evidente, dato il consenso in merito), interpretazioni che, se fossero davvero fondate logicamente sulla descrizione, verrebbero facilmente falsificate ricorrendo alla descrizione stessa (non ad altre interpretazioni).
Al livello della nuda vita, ad esempio, la "prescrizione" «abbi cura che la tua testa rimanga attaccata al collo» non ha alcun fondamento logico nella descrizione «l'uomo vivo è colui che ha (oltre ad altro) la testa attaccata al collo». Il fatto che gli uomini vivi abbiano la testa attaccata al collo non implica affatto logicamente che restare vivi sia bene, consigliabile, desiderato, etc.; il restare vivi può essere tutte questa cose a causa di motivi estranei alla mera descrizione dell'uomo vivo: motivi come l'istinto di sopravvivenza, il valore della vita, la scelta di non uccidersi pur potendolo fare, etc. Questi non sono affatto immanenti alla descrizione dell'uomo vivo con la testa sul collo, non hanno valore logico-argomentativo tale da poter affermare «è bene restare vivi perché siamo vivi».
In ottica volontaristica ciò è ancor più lampante: «è bene restare vivi perché vogliamo restare vivi» prescinde, argomentativamente, dalla semplice descrizione dell'esser vivi; che rimane ovviamente necessaria per capire, in pratica, come poi alimentare tale voler restare vivi. La descrizione e la prescrizione non sono contraddittorie (non essendo nemmeno sullo stesso piano, a voler essere precisi) e possono benissimo essere dialettiche nel reciproco "collegarsi", almeno finché la descrizione non viene fallacemente intesa come fondamento della prescrizione.
Citazione di: niko il 26 Luglio 2025, 12:17:34 PMTu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.
Qui devo fermarti subito: quando l'ho detto o vagamente lasciato intendere? Perché non l'ho nemmeno pensato. Il cogito non confuta, ma anzi semmai fonda, il volontarismo e ogni illusione; dal momento in cui «io voglio» ha senso solo se esisto (sum) in quanto «io». E non credo si possa usare il cogito per avversare le illusioni di questo io, giacche il dubbio metodico cartesiano non è confutazione metodica.
Il cogito può confutare al massimo chi dica che cibarsi e respirare siano illusione, nel senso di non reali (inteso come: non c'è un io che mangia, non c'è il magiare, etc.), o che la vita e la morte non siano reali (ma non mi sembra sia quello che tu proponi); il che non significa, in questo il cogito docet, che debbano essere esattamente come ce li rappresentiamo. Se penso, sono certo di esistere, non di essere esattamente l'utente Phil che scrive su un forum; questa auto-rappresentazione potrebbe essere l'inganno del genio maligno, etc. in questo senso parlavo di «residuo fenomenologico» minimo dell'esistenza, ossia: per quanto estendiamo ciò che definiamo «illusione» (se lo abbiamo definito...) l'essere "qualcosa" (il sum) non può essere considerato un'illusione. Ma da qui a sostenere che il cogito addirittura confuti le illusioni (seppur definite ad libitum) o il volontarismo o l'utilitarismo (come potrebbe?), c'è un salto che non ho mai fatto e, a dirla tutta, non consiglierei nemmeno (come vedi, un po' di paziente ermeneutica sul testo altrui, a volte eviterebbe fraintendimenti colossali).

Per me, da bieco fanfarone, la vita può anche essere illusione, ma non nel modo vitalistico e volontaristico che intendi tu (miro molto più ad oriente in questo). La fede nel razionalismo, tanto più cartesiano o illuminista che sia, non è affatto la mia fede (dopo tutti i miei prediconi sull'attualizzare la filosofia, ti pare che potrei essere davvero un fan di Cartesio che cita Derrida e consiglia Ricoeur?). Il resto del tuo discorso, dopo la citazione messa sopra, soprattutto quando parla di "proiezione di perfezione"(?), "prescrizioni corporee"(!), parla quindi di te e di qualcun altro, di cui non posso fare le veci.

niko

Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. Il desiderante non è desiderio, il mondo ontico in cui il desiderante si muove non è desiderio, etc. per questo le scienze, anche filosofiche, che si occupano dell'uomo e del mondo, non possono essere appiattite in mero "esercizio" di desiderio, come non ci fossero un agente e un mondo "pre-" ed extra-desiderio (il che non significa certo espungerlo dall'orizzonte umano, di cui è sicuramente parte pulsante e costituente).





E' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...

Comunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai, inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra... l'oggetto di conoscenza non domina e non informa il desiderio, ma il contrario...

Quanto al sum del cogito, non c'e' un inizio del tempo, c'e' un inizio (attuale) della vita nel tempo nonostante l'infinita' del tempo come ostacolo, e quindi, qualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa... 


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PME' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...
L'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMComunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai, inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra...
Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMqualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa...
Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).

niko

Citazione di: Phil il 27 Luglio 2025, 14:09:39 PML'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).


La vita e' prescrittiva nel senso che essa e' un caso, ma, dato il caso, ci sono (solo!) un numero conchiuso e coerente e limitante di microcasi, o casi minori, che lo giustificano.

Se lancio due dadi a sei facce e ottengo 7 e' un caso, ma se ho a posteriori l'informazione che e' uscito, proprio, il totale di 7, e non un altro, sono sicuro, a priori, o se vogliamo retrospettivamente, che le combinazioni possibili sono [4 +3, 5+2, 6+1]. So, che e' uscita una di queste, anche se non vedo la combinazione precisa, ad esempio, sono cieco e un mio amico, vedente, mi informa che e' uscito 7 di totale.

Ugualmente la vita, (tanto sulla terra, come destino comune, quanto nella nostra singola storia personale, come destino individuale!) nasce per caso (non e' prescritta in assoluto) ma una volta nata ci vincola, e ci vincola a delle prescrizioni che, in grandissima parte non sono etiche o morali, non dipendono dal giudizio; sono tali di fatto, prescrizioni di fatto. Istinto di sopravvivenza, e volonta' di vivere prima di tutte. Se abbiamo un corpo, abbiamo il programma di mantenerlo vivo, e, quel corpo, ha specificamente gli organi di pensiero, di sentimento e di senso che gli servono per mantenersi vivo e proluferare, ( 5+2; 4+3, 6+1... ci vuole tanto a capirlo?) non, certo, organi di pensiero e di senso concepibili secondo la categoria, nefasta in quanto ad oggi culturalmente abusata,  di "liberta' ", o di caso.

Stante il, descritto, 7 (avere una vita) e' prescritto, l'implicito, 5+2, 6+1, 4+3 (avere un istinto, e un programma, di sopravvivenza, e organi di pensiero e di senso altamente condizionati, ai fini della sopravvivenza).

Secondo me, tu non mi capisci o fai finta di non capirmi, perche' sei ottimista, e pensi che l'umano giudizio, sulle cose, conti tantissimo. Il mondo per te, dovrebbe girare intorno al fatto, o meglio, alla differenza, che una, eventuale, valutazione etica dell'istinto, non sia, immediatamente, l'istinto.

Spoiler: nella stragrande maggioranza dei casi, incluso questo, l'umano giudizio non conta niente. Siamo polvere di stelle, fiato nel vento, diramazioni impreviste, note a margine. 

Se esce sette, e tu lo sai, la combinazione dei dadi in particolare, che tu non sai, non chiede il tuo permesso, per essere una tra 5+2, 6+1, 4+3. E' cosi' e basta. Non c'e' riflessione possibile, non c'e' duplicazione dei dadi e del loro risultato in un universo metaetico, non c'e' una morale della favola da trarne, non c'e' necessita' (solipsistica) di una tua precisa conoscenza in merito perche' le cose stiano come stanno, non c'e' bisogno che tutto questo sia, in qualche modo, "sancito". Le cose che sono arrivate tutte allo stesso identico punto, e che noi constatiamo, che sono arrivate li', magari, per la gioia degli ottimisti e degli idealisti non avranno seguito, tutte, necessariamente la stessa identica strada, ma sicuramente, lo stesso numero, limitato di strade.

E dunque, ai fini di stabilire quanta oggettivita' e quanto distacco sia possibile nell'ambito della  "conoscenza", conoscenza che poi, si riduce all'atto, umano, finito e ripetibile, dell'esperire e del conoscere, l'istinto di sopravvivenza e l'avere un corpo, esteso, contano; la riflessione pseudoetica o metaetica sull'istinto di sopravvivenza e sull'avere un corpo, in confronto, contano, si', ma come il due di coppe quando briscola e' bastoni. Io mi rifiuto, di metterli sullo stesso piano, perche' non stanno sullo stesso piano. E non voglio dire cosa sia buono e cosa sia cattivo. La prescrizione, qui, ai fini di questo discorso non e' etica perche' il mondo non gira, intorno all'etica. Non e' comportamentale, non e' una consulenza, non e' una pubblicita', non e' una prestazione. La prescrizione, qui, e' immediatamente la descrizione, senza esserne ne' inferita ne' argomentata. Ne' inferibile ne' argomentabile. Mi importa assai, se c'e' una regola, logica, che impedisce di inferirla. Anzi, che mi impedirebbe di inferirla se io volessi, inferirla.

E quindi, il Dio/conoscenza oggettiva, e' stato tale perche', e finche', piacque all'uomo, che fosse tale. Finita l'illusione, del Dio, resta il desiderio, che ci ha portato, ad immagginare quel Dio. La memoria, dell'errore, non e', a sua volta, errore. La maschera, sia pure riposta e dismessa, non smettere di essere, maschera. E questo impedisce di resettare la storia, o la vita, in modo stupido, ovvero in modo automatico, impedisce, un bel mattino, di capovolgere la clessidra per atto politico o con gesto della mano.

Il significato, di un sogno, e' l'irreversibilita', sostanziale, di quel sogno, stante la potenza della memoria che lo attinge. Stante il modo, tipico, dell'esperienza umana. Per cui la perdita di realta' o di verita', di qualche cosa che nella memoria si deposita, e che da un certo punto del nostro cammino in poi, noi sappiamo non essere piu'vero, non sempre, anzi, quasi mai, e' perdita di sensorialita' e di certezza, rispetto all'esperienza ed esperibita' di quella stessa data cosa. Non e' altro, non e' interessante il gioco infinito di cercargli un significato, altro. Al sogno.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Jacopus

In realtà neppure la vita è il "fondamento ultimo" indiscutibile e prescrittivo. Lo sarebbe in un mondo di monadi, ma la vita e la morte sono fenomeni relazionali. Anche in questo caso può nascondersi la fallacia naturalistica. Oltre al caso dell'uomo grasso, basti pensare al diritto di aborto, alla guerra, al diritto in nome della vita di poter possedere un harem, per riprodursi. La fallacia naturalistica presuppone che tutto sia dinamico e tutto sia relazionale, per cui il fondamento della "vita giusta" va cercato altrove. La distinzione prescrizione/descrizione è sia un principio logico afferente alla necessità di distinguere due dimensioni  (che possano interagire è un altro discorso), sia una affermazione che mette in primo piano la singolarità della specie sapiens in natura. Una singolarità che ha tratto origine dalla natura (ovvero un cervello fuori dal comune) ma che si è affrancata dalla natura grazie a quella singolarità. Ci troviamo così nella scomoda situazione di agire nella natura, sfruttandola così a fondo, da mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie. Il che comunque non è un evento eccezionale, visto che, mediamente si estinguono circa 1000 specie all'anno, dal 1980 in poi ( le specie esistenti sono circa l'uno per cento di tutte quelle che si sono presentate  sul pianeta terra).
Un altro argomento riguarda come la morte sia connessa con la vita addirittura negli stessi meccanismi biologici naturali che favoriscono la vita, come l'apoptosi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

Ho provato a capirci qualcosa fra fallacia naturalistica, prescrizione e descrizione. Non ci ho capito molto, comunque provo ad aggiungere qualche elemento di riflessione.

Il cortocircuito fra ciò che è e ciò che deve essere, credo derivi fondamentalmente dal fatto che ciò che viene descritto non coincide con ciò che è, o, in subordine,  non esiste una descrizione univoca per ciò che è.
Inoltre, seppure esistesse una descrizione univoca, esisterebbero descrizioni diverse da questa, ma logicamente equivalenti.
Le diverse  descrizioni in ogni caso influenzeranno in modo diverso le previsioni fatte in base ad esse, e quindi il nostro comportamento , perfino appunto quelle che logicamente si equivalgono.
Il bicchiere mezzo pieno equivale logicamente al bicchiere mezzo vuoto, ma gli effetti comportamentali sono notoriamente diversi.
Insomma, se la forma non è sostanza, una descrizione della realtà , essendo una forma,  non è la realtà, però determina il nostro modo di porci verso di essa, generando quindi prescrizioni su come sia bene farlo.

La forma è sostanza etica?

Due descrizioni diverse, ma logicamente equivalenti, producono lo stesso risultato quando diventano programmi per computer, per cui si può usare indifferentemente un programma oppure l'altro.

Due descrizioni diverse, seppur logicamente equivalenti, determinano comportamenti diversi nello stesso uomo.


Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

niko

Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 13:36:20 PMIn realtà neppure la vita è il "fondamento ultimo" indiscutibile e prescrittivo. Lo sarebbe in un mondo di monadi, ma la vita e la morte sono fenomeni relazionali. Anche in questo caso può nascondersi la fallacia naturalistica. Oltre al caso dell'uomo grasso, basti pensare al diritto di aborto, alla guerra, al diritto in nome della vita di poter possedere un harem, per riprodursi. La fallacia naturalistica presuppone che tutto sia dinamico e tutto sia relazionale, per cui il fondamento della "vita giusta" va cercato altrove. La distinzione prescrizione/descrizione è sia un principio logico afferente alla necessità di distinguere due dimensioni  (che possano interagire è un altro discorso), sia una affermazione che mette in primo piano la singolarità della specie sapiens in natura. Una singolarità che ha tratto origine dalla natura (ovvero un cervello fuori dal comune) ma che si è affrancata dalla natura grazie a quella singolarità. Ci troviamo così nella scomoda situazione di agire nella natura, sfruttandola così a fondo, da mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie. Il che comunque non è un evento eccezionale, visto che, mediamente si estinguono circa 1000 specie all'anno, dal 1980 in poi ( le specie esistenti sono circa l'uno per cento di tutte quelle che si sono presentate  sul pianeta terra).
Un altro argomento riguarda come la morte sia connessa con la vita addirittura negli stessi meccanismi biologici naturali che favoriscono la vita, come l'apoptosi.

Io volevo dire solo che il condizionamento biologico della nostra percezione e del nostro pensiero, e quindi indirettamente anche della nostra cultura, impedisce l'esistenza di una "realta' oggettiva", e quindi, di un "sapere disinteressato", o insomma di una contemplazione, abbastanza pregnante o abbastanza interessante da essere fondamento e motivo di esistere per la filosofia, in quanto disciplina; il fondamento e il motivo di esistere dell'universo mondo, invece, qui, non era in
questione.

Ribadisco, la vita ci vincola, ma la vita nasce dal caso, e il caso, non vincola. La forza vincolante dell'istinto, e' un a priori, di una descrizione, a posteriori. Se c'e' un orologio (vita) c'e' un orologiaio (istinto, e struttura). Non si tratta di affermare un assoluto, ma una inoggettivita' e inoggettualita' della conoscenza e del processo del conoscere, in quanto condizionato, dalla vita stessa. C'e' chi ci puo' vedere un assoluto, chi un modo si essere relativo, per cui stante un fatto, ci sono alcune premesse. Stante un caso grande, c'e' una reticolare concatenazione di casi piu' piccoli.

L'inoggettualuta' della conoscenza, non deriva dell'accettazione della premessa di un assoluto della vita o del vitalismo come filosofia, ma (semmai) dall'accettazione, dalla premessa, della realta', del condizionamento istintuale e biologico sulla conoscenza e presso la conoscenza.

Poi ho detto che l'abbaglio, umano, nella credenza in una simile oggettivita', e' molto simile all'abbaglio, uomano, della credenza in Dio. Dio e' morto, e con esso, la verita' oggettiva. O se vogliamo la verita' oggettiva, e' morta, insieme con Dio. Dio e' l'assoluto, opposto, all'assoluto, che

I tre punti fondamentali qui sono:

> Che io non ho tratto una morale prescrittiva dalla natura. Non ho detto a nessuno cosa fare, tranne forse che l'intelletto si deve adeguare alla volonta' e non viceversa, ma mi pare abbastanza vago, da permettere ad ognuno di vederci quello che vuole, dentro e attraverso questo mio "consiglio", che comunque, non e' e non vuole essere, anche,  un "giudizio".

> Che io eventualmente, quando in altra sede, e non in questa, traggo una morale prescrittiva dalla "natura", sono consapevole di farlo, e cerco di renderne consapevole chi mi legge. La fallacia interessante, a mio modo di vedere, e per quanto possibile anche di comunicare, semmai, e' quella segnalata. Con le strisce stradali, i cartelli eccetera. Questo sempre intendo, vale in generale.

> Che quando io in altra sede, traggo una morale prescrittiva dalla natura, questa, non ha niente, ma proprio niente, a che vedere con il divieto di aborto, piu' di qualcosa, si', con la guerra,  poco o quasi niente con gli harem maschili. Percio' lasciate perdere, le fallacie naturalistiche che credete di intendere. La vita non va' difesa, si difende da sola.

L'apoptosi e' come la vita intende la morte. Essa, l'apoptosi, e' un vantaggio per il gruppo e per il seme/gene, ma non gia' per il singolo, e, tanto meno, non per il singolo in quanto cosciente e desiderante. Non ci fa', accettare serenamente la prospettiva di schiattare, semplicemente, diciamo cosi', ce la impone. Un po' come tutto il resto, dei condizionamenti biologici. E istintuali. Da cui l'estrema difficolta' a trarre morali individuali dalla biologia. Si tratterebbe di trarre morali, inevitabilmente in certa misura individuali, cioe' contemplanti il piacere e la coscienza, da cio' che, nelle sue reali tendenze e finalita', e' tutto, essenzialmente, sovra/individuale (cioe' massificato, ecologico e moltitudinario) o sub/individuale (cioe' genico/genetico). L'individuo, e' proprio l'agnello sacrificale della biologia. Perche' esso e', direttamente, il "livello" della realta' che biologicamente e naturalisticamente, non esiste. Esistono, il suo sopra, e il suo sotto. Percio', se uno prende sul serio, il compito, di trarre una morale dalla natura/biologia, scusa, ma non puo' non sorridere di harem e aborti. E un po' anche di guerre. Perche' si rende conto di quanto ingrato sia, questo compito.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Jacopus

Se devo essere sincero Niko, non ho capito granché del tuo ultimo intervento, evidentemente mi sto velocemente rimbecillendo. Ad ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Ho il sospetto che tu riconduca tutto alle teorie scientifico-naturalistiche del marxismo classico, che però hanno fatto il loro tempo. Credere in una teoria oggettivamente e naturalmente "vera", va contro la necessità di ritrovare Marx e la sua teoria "vera" dello sfruttamento e dell'alienazione, ma su basi non oggettive o naturalistiche ma culturali (ed ecco avveratosi l'off-topic dell'off-topic, del resto se sono gli stessi moderatori a dare l'esempio🤓).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

Citazione di: niko il 28 Luglio 2025, 16:05:06 PMIo volevo dire solo che il condizionamento biologico della nostra percezione e del nostro pensiero, e quindi indirettamente anche della nostra cultura, impedisce l'esistenza di una "realta' oggettiva", e quindi, di un "sapere disinteressato", o insomma di una contemplazione, abbastanza pregnante o abbastanza interessante da essere fondamento e motivo di esistere per la filosofia, in quanto disciplina; il fondamento e il motivo di esistere dell'universo mondo, invece, qui, non era in
questione.






Non è che la impedisce: non c'è.
Un essere metabiologico non avrebbe maggior fortuna avendo una interazione con la realtà, perchè non c'è una realtà oggettiva, ma c'è una realtà oggettivabile.
E non necessariamente oggettivabile in quanto unità divisibile, perchè  la divisione è solo un esempio di interazione con la realtà, e possiamo portarlo come esempio perchè operazione a noi nota.
Noi non conosciamo in genere l'operazione oggettivante.
Una però la conosciamo, quella che porta avanti la ricerca scientifica, la quale però non produce  propriamente l'oggettività che ci aspetteremmo, in quanto produce una oggettività  definibile, contrariamente all'oggettività attesa, non definibile, se non si ha l'ardire di accettare ''la cosa che è in se'' come definizione .
Perchè, ora che disponiamo di un oggetto definibile, entità fisica, la cosa in sè dovrebbe apparirci per esclusione,  come cosa che nasce da un operazione di non defezione.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

iano

Citazione di: Jacopus il 28 Luglio 2025, 16:30:34 PMAd ogni buon conto mi sai dire brevemente se dalle leggi di natura si possono trarre leggi morali, e in caso di risposta affermativa, mi domando come conciliare questa prescrittività etico-naturale, con il cambiamento pressoché continuo della natura e delle sue strutture.
Questo cambiamento è continuo quanto costante.
Se il divenire è costante, non possiamo porre l'accento sul divenire, piuttosto che sulla costanza.
La natura è gattopardesca, cambia per restare uguale.
In ogni caso non credo che su questa costanza si possa fondare la legge morale, che, come ho suggerito nei post precedenti, fonderei meglio sull'estetica.


Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

iano

Non mi sembra neanche desiderabile ridurre le leggi umane a quelle materiali.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

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