Inventare una nuova religione

Aperto da anthonyi, 27 Agosto 2025, 14:03:01 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Phil

Citazione di: Alexander il 09 Settembre 2025, 17:11:45 PMMa devi pur aver fede nei dati, nella casistica, ecc. Non ne fai certo una esperienza diretta. La tua decisione è mediata dalla fiducia in questi. E comunque parliamo di due tipi di fedi diverse.
Concordo ed è proprio questa diversità che volevo sottolineare. Se non ho mai preso un farmaco in vita mia, la prima volta lo farò per fiducia nei confronti di chi mi dice che funziona o nelle statistiche, ma dopo (passaggio fondamentale) che il farmaco ha fatto effetto, non sarà più necessaria alcuna fiducia e anche i dati e la casistica inizieranno a sembrarmi più credibili (per quanto il mio caso personale valga poco su larga scala, resterà quello che conta di più per me). In ambito religioso, questo «dopo» che renderebbe superflua la fede (nell'esistenza di Dio, etc.), non arriva mai; o meglio, se arriva è dopo la morte, ossia fuori tempo limite se si parla di scelte di/in vita.

Citazione di: Alexander il 09 Settembre 2025, 17:11:45 PMsenza un' apertura, provando pregiudizio, difficilmente sorge fede.
In realtà la fede è il pre-giudizio per eccellenza (e spesso va a braccetto con la chiusura, sia all'esperienza sia alle altre fedi), mentre l'apertura è quella che può accadere mettendo in sordina la fede per far parlare anzitutto l'esperienza diretta (il mettersi in ascolto della realtà senza avere le orecchie già troppo piene di dogmi, per intenderci).
Ho parlato di studiare psicologia, non di andare dallo psicologo: se ti metti a studiare psicologia (non ad impararla a memoria) avrai probabilmente esperienza di un tuo cambio di prospettiva sul mondo e sugli altri, ma non perché accetti per fede quello che è scritto sui libri, ma perché ti faranno riflettere, osservare e interpretare la realtà in modo differente (magari anche diverso da quello che leggi sui testi, ma farai esperienza diretta del cambiamento di "visione").
Che alcune scelte (studiare psicologia, prendere un farmaco, "assaggiare" il buddismo, etc.) si basino sulla fiducia, in altri o su testi o su dati statistici, è ovvio perché anche se così non fosse si baserebbero quantomeno sulla fiducia in se stessi, ossia nel proprio intuito, intelletto, etc. l'alternativa sarebbe non decidere noi in prima persona, ma fare un'estrazione tipo lotteria o far decidere qualcuno per noi (entrambi scenari piuttosto insoliti come "stile di vita").
Si tratta quindi di distinguere fra scelte di fiducia che poi ci aprono ad un'esperienza diretta (che può andare bene o male) dell'"oggetto di fiducia" (un farmaco, la psicologia, il buddismo, etc.) e scelte di fede che sono esperienze che non portano ad un'esperienza diretta dell'"oggetto di fede" (Dio, il paradiso, etc.), almeno non in questa vita, che è la sola vita certa che abbiamo.

Alexander

Sembra che hai una visione tardo medievale delle fedi religiose ( dogmi, credenza cieca, superstizione). Non è che non ci sono ancora, purtroppo, ma non è più da un pezzo lo "stato dell'arte", direi. Almeno negli spiriti più avveduti.  ;)

Comunque non è motivo del topic e non mi interessa mostrare la bontà o meno di una determinata fede. Più in topic desideravo osservare che non si crea una nuova religione senza partire da un vissuto calato nella realtà storica e sociale in cui si naviga. Le grandi religioni universalistiche non sono nate da un foglio bianco. Senza Mosè niente Cristo, senza i veda niente Buddha. 

Jacopus

Il dibattito mi fa venire in mente un convegno con Galimberti che parlava della differenza sostanziale fra le due radici della nostra cultura: la cultura ebraica sarebbe fondata sull'udito, mentre la cultura ellenistica sulla vista. Per la cultura ebraica quindi diventa importante "ascoltare", "eseguire gli ordini che vengono impartiti a voce". Ha sostanzialmente una visuale gerarchica che si trasmette oralmente, così come è stata trasmessa oralmente la bibbia per generazioni.
La cultura ellenistica invece pone al centro la vista, attraverso la quale non si ha fede cieca in una voce che impartisce ordini, ma attraverso di essa (la vista) si esplora il mondo e si pone al centro della nostra riflessione in modo esperienzale. E' una possibile lettura, ma a me sembra piuttosto convincente. I popoli dei mari sono più sensibili alle diversità, a scoprire il mondo, ad accettare il diverso, a vedere nuovi mondi e a considerarsi "relativi" e collegati con i commerci ad altri popoli.
Il pensiero ebraico è un pensiero asiatico, continentale, che privilegia il comando e la sottomissione al comando, la fede come fedeltà e come accettazione acritica del potere.
Se vogliamo sono due tipi molto diversi di fede, ma una fonda la democrazia e l'altra la tirannia. Ci voleva il cristianesimo per cercare di fondere queste due tradizioni e in un certo senso ci è anche riuscito.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Adalberto

 Translator
 
 
La caratteristica fondante di una religione non mi sembra  sia  la semplice "fede", bensì quell'alterità che viene definita "sacra" e che emerge da articolate mitologie pregne di significati simbolici che fondano la visione del cosmo e dell'umanità stesa. Presumo che il concetto di sacro preceda quello di religione, essendo riconoscibile in epoche precedenti il neolitico.
Invece la fede penso sia  una conseguente esperienza umana, fortemente emozionale. Capisco che possa essere vissuta anche in altri ambiti profani ma identitari: politici, sentimentali, sportivi. Ma in questi casi la parola religione  mi appare con un senso traslato, metaforico e con una ridotta carica mitopoietica.

Condivido le opinioni altrui che escludono la possibilitò di "inventare" una religione basata sul sacro, la quale invece "emerge" da una pluralità di fattori. All'opposto, quelle che con un certo sforzo potrei definire definire "religioni laiche" hanno sovente dei copyright più precisi.
Al contempo osservo che in occasione di importanti  salti evolutivi nella storia umana (la scoperta dell'agricoltura e dell'allevamento, la formazione di nuove strutture di potere e di proprietà, la fondazione dei primi spazi urbani, la nascita della scrittura ecc.) diverse concezioni divine si sovrappongono e si sostituiscono le une alle altre in  parallelo alla definizone di nuove  composizioni sociali ed etniche, alle modifiche dei sistemi produttifi e alla nascita di nuove strutture di potere che ovviamente  traggono legittimità proprio da narrazioni mitico religiose. Perchè mai tale processo dovrebbe essere esaurito?  
Peraltro in questi decenni  siamo testimoni di  strabilitanti salti innovativi, fra cui  l'intelligenza artificale generativa che entro fine decennio sarà potenziata in modo esponenziale dai computer quantistici. Non ci sarbbe da stupirsi se le crisi e le conseguenti insicurezze  generate da tali  cambiamenti  epocali non facciano mettere profonde radici alla mai spenta capacità umana di produrre nuovi miti. Non escluderei a priori quelli sacri.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

InVerno

Citazione di: Jacopus il 09 Settembre 2025, 19:13:31 PMIl dibattito mi fa venire in mente un convegno con Galimberti che parlava della differenza sostanziale fra le due radici della nostra cultura: la cultura ebraica sarebbe fondata sull'udito, mentre la cultura ellenistica sulla vista. Per la cultura ebraica quindi diventa importante "ascoltare", "eseguire gli ordini che vengono impartiti a voce". Ha sostanzialmente una visuale gerarchica che si trasmette oralmente, così come è stata trasmessa oralmente la bibbia per generazioni.
La cultura ellenistica invece pone al centro la vista, attraverso la quale non si ha fede cieca in una voce che impartisce ordini, ma attraverso di essa (la vista) si esplora il mondo e si pone al centro della nostra riflessione in modo esperienzale. E' una possibile lettura, ma a me sembra piuttosto convincente. I popoli dei mari sono più sensibili alle diversità, a scoprire il mondo, ad accettare il diverso, a vedere nuovi mondi e a considerarsi "relativi" e collegati con i commerci ad altri popoli.
Il pensiero ebraico è un pensiero asiatico, continentale, che privilegia il comando e la sottomissione al comando, la fede come fedeltà e come accettazione acritica del potere.
Se vogliamo sono due tipi molto diversi di fede, ma una fonda la democrazia e l'altra la tirannia. Ci voleva il cristianesimo per cercare di fondere queste due tradizioni e in un certo senso ci è anche riuscito.
Mah, sarei perlomeno scettico di questa lettura, nel mondo antico la diffidenza verso la tradizione scritta era piuttosto ubiqua, non ho punti di riferimento per i greci se non Platone che nel Fedro fa dire a Socrate che la lettura atrofizza il cervello, ma i miei studi tendono a suggerirmi che la scrittura era considerata un surrogato peggiorativo della tradizione orale praticamente ovunque. Al contrario, la diffusione della scrittura inaugura il fondamentalismo, una volta che la parola è scritta smette di essere dinamica come quando è necessaria la mediazione di un oratore e al fedele rimane poco spazio di manovra, prova di questo il protestantesimo americano dove è concentrata la più alta percentuale di fondamentalisti cristiani. Al contrario la mediazione  del clero europeo tra il testo e il fedele ha invece parzialmente "re-oralizzato" la tradizione cristiana, tanto che i cristiani continentali hanno idee molto confuse su quel che è scritto nel testo, fidandosi maggiormente della rappresentazione dei mediatori orali.
Ora Noè, coltivatore della terra, cominció a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacó. Genesi 9:20

iano

#155
Citazione di: InVerno il Oggi alle 09:22:37 AMnel mondo antico la diffidenza verso la tradizione scritta era piuttosto ubiqua, non ho punti di riferimento per i greci se non Platone che nel Fedro fa dire a Socrate che la lettura atrofizza il cervello, ma i miei studi tendono a suggerirmi che la scrittura era considerata un surrogato peggiorativo della tradizione orale praticamente ovunque. Al contrario, la diffusione della scrittura inaugura il fondamentalismo,
E' il destino di ogni innovazione tecnologica.
All'inizio la si vede come un sostituto  che snatura ciò di cui vuol fare le veci, e, non considerandone le specificità, dalle loro  conseguenze ci lasciamo sorprendere, e ci ritroviamo con cose come ad esempio le religioni monoteistiche senza neanche accorgercene.
Quindi col tempo l'opinione si capovolge e si perviene a un ''verba volant, scripta manent'', che nel caso di questo forum, come nuova tecnologia rispetto al libro, diviene... cosa?
Ancora non lo sappiamo bene, perchè questo eventuale cambio di opinione è in corso.
Di quello che scriviamo rimane memoria, ma chi  va a rileggere davvero, anche considerandone l'enorme mole?
Può essere solo alimento per l'AI.
E a noi che ci rimane?
Per me è stato un fattore di crescita personale inatteso.
Le rare volte che  rileggo i miei post infatti mi pare che sia stato un altro a scriverli, perchè effettivamente era un altro.
Di fatto, di ciò che scriviamo rimane testimonianza indiretta, nel nostro cambiamento.

Col tempo la tecnologia può diventare parte di noi fino a considerarla sacra, come noi ci consideriamo.

Come si fa a inventare una religione?
Scrivendo un paio di libri, come ha fatto il nostro, o in alternativa...




Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

iano

....ma questa sarebbe tutta un altra religione, che ancora non sappiamo.
Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

daniele22

Citazione di: Duc in altum! il 09 Settembre 2025, 00:13:37 AMCiao @daniele22, tutto bene, grazie!

Ti ringrazio per la delucidazione...

Ah, una cosa, non ci accontentiamo perché la sola felicità o gratificazione in questo mondo, non soddisfa mai pienamente nessuno.
Ciao Duc, vecchia simpatica canaglia, ho notato che hai tagliato la parte più importante del mio intervento che terminava con una domanda che riporto di seguito:
Ma visto il comandamento "non rubare", quello che proprio non capisco è cosa c'entri la spiritualità con la proprietà privata. Possibile che Dio, ma anche Gesù, abbiano avallato questa frattura provocatrice di inimicizia tra gli uomini?
Allora ho visto che non hai messo un like all'intervento di anthonyi che invece ha prontamente ripreso tale domanda rispondendovi.
Da ultimo ti dirò che non ci accontentiamo per il fatto che non accettiamo che "il mondo è così perché è cosi": nascita vita e morte, tanto per dare una spiegazione tra molte. Ma se questa ineluttabilità può anche essere dura, sarebbe ancor più duro accettare l'ineluttabilità della giustizia che regna in terra quando si pensi che vi sia ingiustizia. Tra l'altro, nonostante sia in uso dire che Dio è morto, mi sembra che le opposte fazioni di fatto siano ancora tra credenti e non credenti.
Sarebbe infine il "non rubare", ancor più che la menzogna come dici tu, a fare la differenza ... Certo, l'apparenza fa pensare alla menzogna, ma per come la penso è soprattutto la proprietà, privata o pubblica che sia, ad acutizzare la menzogna.. tra individui e tra nazioni. Dalla menzogna alla rapina il passo è breve
Saluti a te e al Vaticano

daniele22

@fabriba
@Phil
Grazie intanto per gli interventi.
In totale ho vissuto un paio di esperienze con il mondo buddhista. La prima fu quella di partecipare per qualche giorno in veste di ospite alla vita all'interno di un centro buddhista qui in Italia (una decina di monaci e una novizia). Questa esperienza fu in parte una delusione e sorvolo sulla natura della delusione. L'altra, più "illuminante", è stata quella di assistere a una lezione di un maestro buddhista di tradizione mahayana. Mi ha sorpreso la lucidità del discorso, abbastanza breve, ma tutto di natura assertiva, apodittica. Alla fine, nello spazio dedicato agli interventi chiesi se potessi meditare facendo qualcosa, avendo difficoltà a farlo stando fermo. Gli dissi che mi dilettavo a farlo camminando in equilibrio su un binario di una linea poco frequentata. Mi rispose che potevo senz'altro farlo, ma mi invitò a cambiare l'azione. Abbandonai la pratica meditativa .... forse accettavo di essere un po' squilibrato.
Sul discorso di Nagarjuna sono d'accordo con la "mancanza di un referente mondano fisso" (problema linguistico) in concomitanza dell'impermanenza della realtà e del pensiero espressa da Phil. Penso quindi che se il samsara è il luogo dove esiste il "pieno dell'azione relativa a....", il nirvana corrisponderebbe invece al vuoto di "azione relativa a....". Nella via di mezzo auspicata da Nagarjuna forse questi pensava (giustamente a mio giudizio) che anche il vuoto di "azione relativa a...." non potesse per forza di cose raggiungere l'assoluto poiché anche l'azione di generare il vuoto, pretesa di andare oltre il samsara, sarebbe comunque "un'azione relativa a...." raggiungere il nirvana, ma non potrebbe raggiungere l'assoluto che invece sta fuori dal tempo, ovvero fuori dall'azione (prerogativa del mondano)

fabriba

#159
Citazione di: daniele22 il Oggi alle 15:00:40 PManche l'azione di generare il vuoto, pretesa di andare oltre il samsara, sarebbe comunque "un'azione relativa a...." raggiungere il nirvana

Tocchi un aspetto fondamentale della pratica, che è parte del motivo per cui i Dhyāna sono così sfuggenti (specie all'inizio): la ricerca del piacere che procurano ti allontana da essi perché ti allontana dal rifiuto del dualismo.
Qualcuno ha già citato il bisogno di "Trovare l'Uno al di sopra del bene e del male" del Maestro Battiato, che non a caso era praticante.

Secondo me la teoria Zen aiuta: una volta assimilato il motivo per cui ogni dualismo è irreale (in breve: perché nulla esiste se tutto può essere ridotto in parti più piccole all'infinito - principio della atomicità), si può -stando dentro quella cornice- accettare l'inesistenza della separazione tra  dualismo e  non dualismo, e tra il samsara e il nirvana.
Tutto è Uno, ma la ricerca dell'Uno ci mette in una cornice in cui esiste l'Uno e il non-Uno, e quindi ci allontana dall'obiettivo.

D'altronde, come disse un papa parlando col Dalai Lama in tempi recenti (non trovo più la fonte, ma è una cosa degli ultimi 30 anni), "Il buddismo è una grande disciplina umana" ... il Dalai Lama lo prese come un complimento, in realtà quello che stava facendo era negare al buddismo lo status di religione. Ovvero:

Citazione di: daniele22 il Oggi alle 15:00:40 PMma non potrebbe raggiungere l'assoluto che invece sta fuori dal tempo, ovvero fuori dall'azione (prerogativa del mondano)
effettivamente non penso sia ciò che il buddismo cerca di fare nella sua formulazione originale, ha la ambizione molto più umile, di eliminare la radice della sofferenza.
Il ciclo di reincarnazioni ecc ecc, è un aspetto senza il quale tutto il resto si regge da se, ed io avanzo qui un sospetto che sia stato messo li anche perché il Buddha sapeva che senza elementi di trascendenza, non se lo sarebbe filato nessuno ai suoi tempi, e tutto il suo studio per migliorare lo stato dell'essere umano sarebbe stato per nulla.

Phil

Citazione di: daniele22 il Oggi alle 15:00:40 PMchiesi se potessi meditare facendo qualcosa, avendo difficoltà a farlo stando fermo. Gli dissi che mi dilettavo a farlo camminando in equilibrio su un binario di una linea poco frequentata. Mi rispose che potevo senz'altro farlo, ma mi invitò a cambiare l'azione.
Sul meditare camminando, so che nello zen esiste il kinhin, una forma di "meditazione camminata" che aiuta a "sgranchire le gambe" e tenere attiva la circolazione; perché va bene occuparsi della mente, ma anche il corpo ha le sue esigenze. Forse ti sconsigliavano di farlo sui binari perché, per quanto una mente presente a se stessa non è di intralcio alla reattività del corpo, ma anzi la accresce, resta il fatto che addestrarsi a schivare treni è una pratica eccessiva anche per il più spietato apprendistato zen in stile jigoku (inferno).
Sul "raggiungere l'assoluto" (traduzione infelicemente all'occidentale) Nagarjuna ci ammonisce che Samsara e Nirvana sono qui, coincidono "ontologicamente" (sempre per dirla all'occidentale), ma si differenziano per come il soggetto ne vive la realtà (che poi il soggetto, meditando, si scopre essere un aggregato illusorio, anatman, etc.).

Adalberto

 Translator


Citazione di: Jacopus il 09 Settembre 2025, 19:13:31 PMIl dibattito mi fa venire in mente un convegno con Galimberti che parlava della differenza sostanziale fra le due radici della nostra cultura: la cultura ebraica sarebbe fondata sull'udito, mentre la cultura ellenistica sulla vista. Per la cultura ebraica quindi diventa importante "ascoltare", "eseguire gli ordini che vengono impartiti a voce". Ha sostanzialmente una visuale gerarchica che si trasmette oralmente, così come è stata trasmessa oralmente la bibbia per generazioni.
La cultura ellenistica invece pone al centro la vista, attraverso la quale non si ha fede cieca in una voce che impartisce ordini, ma attraverso di essa (la vista) si esplora il mondo e si pone al centro della nostra riflessione in modo esperienzale. E' una possibile lettura, ma a me sembra piuttosto convincente. I popoli dei mari sono più sensibili alle diversità, a scoprire il mondo, ad accettare il diverso, a vedere nuovi mondi e a considerarsi "relativi" e collegati con i commerci ad altri popoli.
Il pensiero ebraico è un pensiero asiatico, continentale, che privilegia il comando e la sottomissione al comando, la fede come fedeltà e come accettazione acritica del potere.
Se vogliamo sono due tipi molto diversi di fede, ma una fonda la democrazia e l'altra la tirannia. Ci voleva il cristianesimo per cercare di fondere queste due tradizioni e in un certo senso ci è anche riuscito.
Conosco poco il pensiero di Galimberti ma mi permetto di dubitare che lui possa avallare le (suppongo tue)  conclusioni che ho sottolineato  qui sopra. 
Non capisco come la "fede ebraica" possa "fondare la tirannia", come se quest'ultima non fosse stata un'esperienza politica ben diffusa anche nelle città greche.  
Segnalo invece che la religione ebraica rimase  priva  di una guida univoca e dogmatica  ( =tirannica ?) quando nel 70 aC i ceti pololari dei Farisei sconfissero il ceto aristocratico dei Sadducei che esprimeva la carica di sommo sacerdote, mai più rinnovata.
Proprio l'assenza di un'autorità suprema religiosa ha permesso lo sviluppo parallelo di variegate correnti ebraiche di pensiero tuttora vivaci e fra loro contradditorie (reformer, conservativi, ortodossi ecc.).
La coesistenza di opinioni diverse è tipica anche del politeismo greco e la fondazione delle polis indipendenti hanno favorito la pluralità del pensiero,
Proprio per questo le due culture (una di origine linguistica indoeuropea e l'altra semitica) sono state le prime radici che con sucessivi innesti hanno contribuito alla costruzione del pensiero occidentale

PS per quanto riguarda la cosiddetta  "obbedienza alle voci" mi sembra che le due culture abbiano qualcosa in comune, che va oltre la concezione politica della tirannia, sperimentata dall'umanità intera di ogni credo o religione.  
Segnalo l'interessante studio dello psicologo Julian Jaynes, il quale trasse dall'Iliade e dalla Bibbia tutta una serie di esempi in cui i protagonisti delle narrazioni risultano obbedire alle "voci divine:" inutile elencare le vicende di Abramo o degli eroi omerici che appaiono privi di volontà essendo dominati da voci esterne, intese dall'autore come  allucinazioni uditive simili a quelle della schizofrenia.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

Jacopus

Sulla fedeltà a Galimberti hai ragione al 50 per cento. Il nesso udito-ebraismo, vista-ellenismo lo ha sicuramente detto. Non so se trova in proposito qualcosa in rete, ma trattandosi di una metafora elegante, me la ricordo benissimo. Gli altri pezzi scritti in grassetto sono in effetto mie "glosse" al pensiero galimbertiano, ma non credo che siano molto lontane dal pensiero dell'autore. Ovviamente ogni tradizione culturale non è un monolite e vi sono possibili agganci per interpretazioni anche molto lontane fra di loro. Ad ogni buon conto, anche ad un livello molto basico, avere a che fare con tanti dei oppure con uno solo, descrive un panorama teologico ben diverso. Il primo adatto alla dialettica, il secondo al monismo, dove esiste una sola verità. E le strutture religiose a loro volta condizionano le strutture politiche ed anche quelle economiche se è per questo. Da Weber in poi struttura e sovrastrutture sono in un rapporto circolare di continuo feed-back.
Che vi siano state vicende legate al clero ebraico, non riduce l'aspetto principale della religione ebraica, ovvero il monoteismo, che può essere un ottimo carburante per ogni pensiero tirannico. Non voglio sembrare troppo anedottico ma non è un caso che i tre grandi dittatori del XX secolo provenissero da culture cristiane (Hitler dall'Austria, Mussolini dall'Italia, Stalin dalla Georgia).

Rispetto all'obbdienza alle voci, si tratta di un classico sintomo psicotico, e la follia fino al rinascimento era molto vicino alla dimensione del sacro. Quindi concordo sul fatto che in questo caso possa esserci una base comune.
Però se vogliamo continuare sul tema, basta confrontare due personaggi iconici delle due tradizioni per scorgere delle differenze fenomenali su cosa è la vita per l'ebraismo e cosa è la vita per l'ellenismo e questi due personaggi sono Adamo ed Edipo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Discussioni simili (5)