Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?

Aperto da PhyroSphera, 02 Luglio 2025, 19:17:28 PM

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Phil

Citazione di: iano il 20 Luglio 2025, 05:41:42 AMSe per amor di descrizione semplifichiamo dicendo che l'uomo è l'unico animale che desidera capire, cosa aggiunge questo capire al sapere stare al mondo?
Per rispondere in breve, direi che aggiunge al saper stare al mondo la gestione del proprio desiderio di capire e la gestione di ciò che si è capito. Nel senso che saper stare al mondo comprende anche fare i conti con tale desiderio (per chi lo ha e per chi ne è consapevole) e con quello che si è capito (che è ciò che costituisce la "crosta" del mondo in cui si cerca di saper stare).
Citazione di: iano il 20 Luglio 2025, 05:41:42 AMSe non c'è più niente da capire, come nella versione di inizio novecento, o non c'è niente da capire in assoluto, come nella recente versione, il desiderio di capire ancora diffuso è destinato a girare  a vuoto.
Il girare attuale non è a vuoto, ma è un mescolare una pienezza che si trasforma (come la società); quindi si tratta di un "comprendere liquido" e non più velleitariamente granitico come quello delle metafisiche, il cui motto è «trova la Verità, taci e contemplala».
Per il filosofo che non vive nel passato, ma vive nel suo tempo (non tutti lo fanno), la stessa AI non è solo uno strumento, ma un fenomeno da capire; proprio come lo era il lavoro industriale ai tempi di Marx, l'apertura verso oriente ai tempi di Schopenhauer, etc.
Il fatto che non ci sia niente di assoluto da capire (anche se non possiamo esserne assolutamente certi, per evitare il solito paradosso e restare onesti ed umili) comporta quantomeno che proprio la comprensione possa (non debba) essere costantemente all'opera. Finché c'è desiderio di capire e c'è qualcosa da capire, una filosofia attuale è possibile (magari non è più possibile una metafisica assolutistica, ma questo fa parte del suddetto "mescolare" contemporaneo).

iano

Citazione di: Phil il 20 Luglio 2025, 11:45:51 AMPer il filosofo che non vive nel passato, ma vive nel suo tempo (non tutti lo fanno), la stessa AI non è solo uno strumento, ma un fenomeno da capire; proprio come lo era il lavoro industriale ai tempi di Marx,
Non so se capire o comprendere siano termini che abbiano avuto delle definizioni filosofiche nel tempo.
Io, ispirato dal fisico Feynmann, ho proposto che comprendere le cose significa ripercorrere il processo che le genera.
Però, per quanto riguarda l'AI, sembra che gli stessi che l'anno generata non la comprendano.
Volendo mantenere la definizione di cui sopra, bisognerà ammettere allora che l'AI a partire da un certo punto inizia ad autogenerarsi, e ciò causa una imprevedibilità che la fa somigliare effettivamente all'intelligenza umana, motivo per cui il temine usato, AI, mi sembra almeno in parte giustificato.
Più in generale mi pare che le intelligenze, umane o artificiali, abbiano un percorso che non si può riprodurre, e  restano perciò inconprensibili a priori.
Cioè non è neanche il caso di provarci,  perchè la cosa non è economicamente sostenibile.
Questo ci suggerisce indirettamente quale sia l'utilità dell'intelligenza artificiale, e quindi forse anche di quella umana, di risparmiare su un costoso controllo di processo, decidendo comunque di non rinunciare al processo.
Il tutto si traduce in un mancato  controllo che è il vero motivo del nostro terrore, più che l'essere sostituiti , essere esautorati dal controllo dal processo, che non siamo capaci di riprodurre, quantomeno coscientemente.
Questa non è certo cosa che si accetti a cuor leggero, specie da parte di chi pensa di non doverci fare nulla con L'AI.
Diverso sarà l'atteggiamento di chi con essa può sperare di risolvere problemi diversamente relativamente impossibili.
Il primo utilizzo in tal senso, quando ancora l'AI non si chiamava così, mi pare sia stato la dimostrazione del teorema dei quattro colori.
L'intelligenza non sappiamo dunque come agisca, ma per quella artificiale sappiamo che non segue necessariamente la via breve nell'approccio ai problemi, cosa che la rende al momento in genere insostenibile per il consumo che richiede.
Il consumo del cervello umano al confronto è risibile.
L'evoluzione non è cosa che si possa trascurare in tal senso, anche quando guidata.
Non è tanto che la nostra intelligenza abbia dei limiti, ma anzi penso che i limiti la esaltino.
L'evoluzione sembra avere una intelligenza che a differenza di quella artificiale è sostenibile, perchè a differenza di questa si prende tutto il tempo che ci vuole, rendendo i suoi consumi cosi centellinati, appunto sostenibili.

Scriviamo con la mano, ma la miglior  scrittura è quella che ci prende la mano.

niko

Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMSe così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. 


L'ontologia del desiderio, significa solo che il nostro cervello, e tutti I nostri organi di senso, si sono evoluti in modo funzionale alla nostra sopravvivenza, genica e genetica, e quindi, tutto quello che ci mostrano, e tutto quello che pensano, concettualizzano, tramandano e imparano non sara' mai una "realta' oggettiva", ma sempre e solo una "illusione utile alla vita". 

Ciascuno, quasi sempre, soggettivamente e prospetticamente vuole vivere e non morire, quindi, quello che tu un po' impropriamente chiami "il residuo fenomenologico dell'esistenza", l'apparire stesso del mondo e della nostra coscienza di esso in esso, e' gia', immediatamente, un oggetto continuo della volonta' e del desiderio, e un processo altamente condizionato, impegnativo e finalizzato. Lo e' per il corpo, quale nuda e spesso impegativa vita, e lo e' per tutti gli stati, piu' o meno evoluti e culturalmente mediati, di ogni possibile mente. Basti pensare a quanti sforzi dobbiamo fare attivamente e coscientemente per vivere, giorno per giorno, e poi a come, di contro percepiamo il fatto stesso e la prospettiva del morire come l'archetipo assoluto di cio' che avviene spontaneamente, e a prescindare da ogni pensabilita', proggettualita' e volonta' propria individuale, soprattutto se non siamo dei suicidi. Insomma, una volta dato l'apparire del mondo e della nostra coscienza nel mondo quale "residuo fenomenologico", quale assoluto innegabile, la sua mancanza, il suo contrario, per noi puo' significare solo che siamo addormentati senza sogni o morti: la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse. 

Perfino il suicidio e la tutta umana possibilita' del suicidio, pur negando magari per un attimo la nuda vita (e la sua kantiana appercezione) quale scontato ed innegabile, e quindi primario, "oggetto del desiderio" c'è la fa apparire trasfigurata quale pura e continuamente rinnovabile possibilita', volonta' di vivere, patto possibile del singolo con la vita, e non certo, e non ancora, oggetto di conoscenza e neutra o realta' oggettiva.

Ed ecco che insomma il mondo e il suo apparire, ben lungi dall'essere consegnato all'assoluto di un dio, e' pero' consegnato all'assoluto di una, non ulteriormente fondata e fondabile volonta' di vivere, secondo la lezione di Schopenahuer, ripresa da Nietzsche eccetera.

Che viviamo in una illusione utile alla vita non e' un solipsismo, sarebbe un solipsismo il suo contrario. Con buona pace di Cartesio.

Quello che cade, con il paradigma metafisico, e' proprio la concezione cartesiana dell'intelletto come virtualmente e virtuosamente infallibile, e della volonta' come sede possibile dell'errore, qualora essa, all'intelletto non si accordi.

In realta', e' vero il contrario: la volonta', di vivere, e' infallibile, e lo e' se non in assoluto, data l'attualita', questa si' davvero innegabile, della vita nel momento presente, che della volonta', testimonia il relativo, quantomeno alla nostra attuale posizione e a posteriori, "successo"; se non avesse avuto successo, allora la volonta' non avrebbe attraversato l'infinito per consegnarci al presente, se non avesse avuto successo, allora sarebbe morta; e l'intelletto, e' la sede possibile dell'errore, soprattutto qualora non si accordi, alla volonta'.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

niko

Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMIl passaggio dall'inamovibile/immodificabile Verità divina, alla abbozzata e dinamica verità post-divina (fosse anche solo post-verità), è il marchio dell'attualità; doveva morire Dio affinché la verità potesse risorgere in tutta la sua umanità (e che il rapporto umano con il mondo sia pura illusione e desiderio è forse un spunto buddista, comunque di non facile coniugazione con l'epistemologia, e ancor meno con politica e dintorni).Non vedo cosa ci sia di impossibile ed eticamente non auspicabile, in ottica post-metafisica, nel farsi passato del presente (di oggetti o soggetti che sia). Forse il paradigma post-metafisico (se proprio vogliamo impropriamente usare il singolare) è contro il tempo o non ha bisogno del tempo o aspira al senza tempo? Forse l'etica, fuori della metafisica, è un'etica che non ha bisogno del passato? Non ti seguo.



La passatificazione del futuro, fa problema perche' il passato e' il regno dell'immodificabile e dell'inattingibile alla volonta': il passato non si puo' cambiare. E quindi, se il senso del tempo e' l'aumentare a valanga del passato, allora il senso del tempo e' (anche) la sconfitta inesorabile della volonta' umana quale continuo proggetto creativo, che in quanto tale continuamente prevede una materia malleabile alla creazione, una materia fangosa e morbida, e quindi, per assurdo, una materia non passatificata. 

La conoscenza, se ne infischia della volonta'. Se tu sai che due piu' due fa quattro, questa verita', non la puoi cambiare. Il passato, se ne infischia della volonta', e tutti noi vivi, che non in un certo senso conosciamo la morte, quale morte del se', conosciamo pero' il lutto, quale morte dell'altro. Passato e conoscenza, hanno in comune di prescindere dalla volonta', di metterla fuori campo, e sono praticamente la stessa cosa nella misura in cui la conoscenza e' flusso interiorizzato del tempo conoscenza-del-passato.

Il paradigma metafisico e' fondato sulla preminenza della conoscenza sulla volonta'. L'oggrtto di conoscenza, ci si presenta indipendentemente dalla volonta' e proprio da questo suo esserne indipendente e non da altro si riconosce come tale, e puo' rapresentare una possibilita' di sallvezza, di vita migliore, proprio nella misura in cui la volonta', e con essa la sofferenza, nella contemplazione di esso e nella partecipazione ad esso, si acquieta. Tutti vogliono il bene, non tutti lo conoscono. La forma universale della preminenza della conoscenza sulla volonta', e' proprio l'irreversibilita' del passato e la rammemorazione del passato, la dimensione memorica in cui vive l'uomo. Se si vuole (ri) mettere sul trono la volonta' come potenza creatrice infinita, bisogna ridimensionare, potenza della conoscenza e potenza del passato. E queste cose, si ridimensionano (solo) accettando che viviamo in una illusione utile alla vita e non in un mondo oggettivo o dantesi a prescindere da noi.
Non puoi (veramente) uccidere Dio, se permetti alla conoscenza o al passato di prendere immediatamente il posto del cadavere di Dio, se continui a considerarle cose-che(come fu Dio)-non-si-possono-cambiare.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

niko

Citazione di: Phil il 19 Luglio 2025, 16:55:08 PMLa domanda esistenziale sulla conoscenza non «si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio», giacché di tale quiete e appagamento non scorgo traccia, né nell'etica (quando la bioetica confligge con la conoscenza come poter fare), né nell'estetica, né in riflessioni esistenziali sulla conoscenza (e tantomeno, ovviamente, nell'epistemologia). Qualcuno può di certo trovarvi quiete e ristoro, ma non è una posizione che estenderei a discorsi più generali, come quello in corso.Riecco in azione la confusione fra metafisica e filosofia: nel secolo scorso la caduta dell'una (parte) è stata la liberazione dell'altra (tutto); magari può non piacere, soprattutto ai metafisici, che quindi parlano di secolo triste, ma è stato triste solo per quelli che si illudevano la filosofia sarebbe stata per sempre "la più bella del reame" (e quanto accaduto all'altra compagna di metafisica, ovvero la teologia, non è un caso).
In campo scientifico la filosofia non può essere più che epistemologia e se ciò viene visto come un difetto o una "caduta", di nuovo, si sta ancora ragionando con velleità meta-fisiche di altre epoche; ovvero ci si è persi almeno due o tre secoli in cui la filosofia, inevitabilmente, si è ristretta lasciando spazio a discipline più autonome e specializzate. Il che può essere un "male", appunto, solo se si intende la filosofia in modo "medievale", ossia come un regno che deve espandersi fino a conquistare il mondo intero, sottomettendo le altre discipline perché è lei quella trascendente spazio e tempo.
Si è passati dalla filosofia delle origini, che era anche umiltà del non-sapere, alla filosofia come armata del Risiko nello scibile umano; ora pare la filosofia stia ricalibrando la sua "messa a fuoco" su obiettivi che le sono più consoni (detto altrimenti: non è caduta, è solo riatterrata da un salto troppo ambizioso e se dice che "l'uva non è matura" non ne esce certo con più dignità).Che l'ermeneutica sia «nota a margine sul lavoro altrui» (v. sopra) o sia «negazione stessa della filosofia» mi sembra una svista e, nel dubbio, ripassare la storia dell'ermeneutica filosofica del novecento credo chiarisca sia cosa sia davvero l'ermeneutica, sia ogni dubbio in merito alla sua dialogicità.


La filosofia non e' ne' tuttologia ne' metodo, e' uno stile di vita finalizzato alla ricerca della felicita' e dell'autenticita'. Questa spiegazione, tutta americana, non ti piacerà ma amen.

Diventare gnoseologia, ermeneutica eccetera e' un destino di caduta della filosofia: la filosofia non e' ancella ne' della fede ne' della scienza, semmai, e' il controllo politico e sociale, della fede e della scienza, che e' altra cosa, rispetto all'ancillarita'.

Tu vuoi il metodo per interpretare correttamente o in buona fede o spassionatamente un testo, Platone ti direbbe vai a chiedere direttamente all'autore o lascia perdere. Se proprio e' morto o irraggiungibile, E se proprio non vuoi lasciare perdere, chiediti se ci sono obbiettivi comuni tra te e l'autore e se te la senti di continuare a perseguibili. In ogni caso, la scrittura prolifera nelle sue infinite interpretazioni, proprio perche' fallisce nel sostituire una presenza.


 

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

InVerno

Citazione di: Phil il 18 Luglio 2025, 16:32:46 PMFra noi due (atei) possiamo anche dirci che le religioni sono convenzionali, ossia basate su convenzioni (anche se forse non lo faremmo lo stesso); tuttavia per un credente non lo sono affatto: sono veritiere e sacre.
Fra noi filosofi invece che ci diciamo? Perchè le definizioni "per atei" (che concordano sull'elemento della convenzioni e altri) sono una bella cosa, ma prima di essere atei dovremmo essere interessati alla verità sulla vicenda religione. Mi sembra invece che nel voler "rispettare" le sensibilità religiosa gli si conceda sostanza su alcuni punti loro teologici che ne positano la differenza, ma proprio noi atei dovremmo essere i primi a non ritenere valida quelle differenze e perciò non rispettarle. L'idea stessa del "credere senza vedere" (origine in Ebrei 11) è un idea teologica, il fatto che sia possibile che accada si fonda unicamente nella fiducia nel testo che esprime questo concetto, altrimenti ci dovremmo accontentare che gli uomini credono perchè vedono o perchè credono di aver visto, come normalmente si sperimenta anche tra i più invasati tra i religiosi, sempre paradossalmente colpiti da visioni.

Citazione di: Phil il 18 Luglio 2025, 16:32:46 PMIn realtà, magari sarò banale, ma con «religione» intenderei solo ciò di cui si parla nei manuali di storia delle religioni. Se ho distinto fra religioni e "religioni" è stato per cercare di mediare (forse con scarso successo),
Dipende da che manuali, se sono quelli scolastici forse attingono a studi antichi, personalmente la mia definizione "con citazione" preferita di religione è quella di C.Geertz "un sistema di simboli che crea stati d'animo e motivazioni duraturi, formula concezioni  di un ordine generale dell'esistenza, conferisce a queste concezioni un'aura di fattualità, e rende le concezioni religiose vere presentandole artisticamente". Non ho idea se nel futuro sarà proprio questa a finire sui manuali, ma sono quasi certo che in nessuna sarà presente Dio perchè crea troppi problemi di applicazione. Ho fatto l'esempio dei diritti umani per parlare del presente, ma anche andando indietro nell'animismo avrai gli stessi problemi di applicazione. Dio è un idea che funziona nelle definizioni da un certo secolo ad un altro, è un concetto che, nonostante i credenti giurino il contrario, vive nella storia, nasce, matura, invecchia e muore.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AML'ontologia del desiderio, significa solo che il nostro cervello, e tutti I nostri organi di senso, si sono evoluti in modo funzionale alla nostra sopravvivenza, genica e genetica, e quindi, tutto quello che ci mostrano, e tutto quello che pensano, concettualizzano, tramandano e imparano non sara' mai una "realta' oggettiva", ma sempre e solo una "illusione utile alla vita".
Una illusione che di fatto mantiene vivi è un'illusione? Potremmo dire che respiriamo e ci cibiamo di illusioni, quando se non respiriamo e ci cibiamo accade la morte? Anche essa è un'illusione?
Dipende tutto da cosa intendiamo con «illusione»; per questo mettevo in guardia dal maneggiare questo concetto senza preoccuparsi delle sue conseguenze quando poi si parla di altre discipline o, in questo caso, di mera soddisfazione di bisogni primari (che siano o meno intesi come forma primitiva di desiderio, o qualcosa di totalmente altro).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMla dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Questa è la nota fallacia naturalistica (qui in sintesi ) elevata alla potenza di quel nozionismo umanistico e matafisico di cui ancora non si riesce a fare a meno (nonostante le lezioni del novecento). I concetti di «bene» e «male», per quanto possano sembrare scontati nel nostro ragionare umano, non hanno nulla di minimamente biologico. Non siamo spinti dal nostro istinto a mangiare perché «ciò è bene», o perché «restare vivi è bene», ma solo perché la nostra natura ci "programma" per farlo (e che tale programma sia metafisicamente "rivolto al bene" è ciò che rende fallace quel tipo di ingenuo "naturalismo"). La nostra interpretazione (che moraleggia e religioneggia sull'istinto naturale fino a definire «male» il suicidio) non usa categorie né naturali né biologiche quando parla di «bene e male» in quel contesto.
Altrimenti: quali sarebbero tali nessi "causali" fra biologia e morale (che è ciò che si occupa di bene/male e che, guarda caso, non è "scientificabile")? Sappiamo già dove portano queste banalizzazioni tipo vita=bene e quanti asterischi poi ci si finisca col mettere («in realtà dipende da questo... c'è però questa eccezione... è vero, ma non nel caso in cui... etc.»).
Un atomo che decade o una reazione chimica sono bene o male? Oppure la natura ha un "contenuto" di «bene e male» solo quando è relativa al "giardiniere dell'Eden", alla "creatura eletta", a "noi che siamo davvero intelligenti e quindi superiori agli altri animali", etc.?

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMl'intelletto, e' la sede possibile dell'errore, soprattutto qualora non si accordi, alla volonta'.
Manca il (meta)criterio che possa coniugare intelletto e volontà per sancire eventuali errori: quando l'intelletto ci dice di non uccidere il prossimo anche se vogliamo farlo (e le mutazioni biologiche, oggettive, del nostro corpo quando siamo adirati ci preparano a farlo e "non mentono"), tale intelletto è in errore contro la volontà della vita?
Di nuovo: usiamo il nostro intelletto (con annessi imprinting culturali e, volenti o nolenti, religiosi), non certo la volontà, per scegliere cosa preservare dell'istinto, perché è "bene", e cosa invece scartare, seppur parimenti istintivo, perché è "male". Solo una volontà addomesticata dalla ragione può parlare di errori; una volontà che non ragiona è solo istinto (e sappiamo quale è il suo ruolo in una società umana, reale o ideale che la pensiamo).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:16:30 PMse il senso del tempo e' l'aumentare a valanga del passato, allora il senso del tempo e' (anche) la sconfitta inesorabile della volonta' umana quale continuo proggetto creativo, che in quanto tale continuamente prevede una materia malleabile alla creazione, una materia fangosa e morbida, e quindi, per assurdo, una materia non passatificata.
Il senso del tempo non è «l'aumentare a valanga del passato» più di quanto non sia «l'aumentare a effetto domino del futuro» in cui non vi è «la sconfitta della volontà umana quale...» ma la sua possibile realizzazione, proprio nel senso di diventare realtà. La creatività umana è sconfitta se pensa di cambiare retroattivamente il passato, come un cecchino che prima preme il grilletto e poi inserisce il proiettile (non mi intendo di armi, ma credo si capisca). La materia non passatificata direi che è per definizione il futuro ed è a quello che si rivolge una "sana" creatività e volontà: se voglio creare una mia azienda, non è al passato che devo mirare per pianificare le mie attività (quello che mi torna utile è un calendario degli anni futuri, non passati).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:40:09 PMLa filosofia non e' ne' tuttologia ne' metodo, e' uno stile di vita finalizzato alla ricerca della felicita' e dell'autenticita'. Questa spiegazione, tutta americana, non ti piacerà ma amen.
Di fatto non è necessario che mi piaccia; l'importante, per intendersi, è avere una comune definizione di filosofia. Possiamo anche concordare che la filosofia è metafisica, che la filosofia è scienza dell'invisibile oppure edonismo, onanismo o altro; l'importante è capirsi (anche cestinando qualunque coerenza filologica e storica del termine). Potrei comunque obiettare che la filosofia americana (non quella stereotipata della cultura pop americana) non parla di sé stessa esattamente come «stile di vita finalizzato alla ricerca della felicità e dell'autenticità», nel senso che i filosofi americani (sempre se concordiamo su quali essi siano; evito di fare nomi) non sono in generale affatto estranei al desiderio di capire il mondo in senso epistemologico (tuttavia, come detto, l'importante è avere fra noi un linguaggio comune).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:40:09 PMIn ogni caso, la scrittura prolifera nelle sue infinite interpretazioni, proprio perche' fallisce nel sostituire una presenza.
Qualche post fa, non a caso, citai Derrida... quindi proprio per questo non possiamo che concordare che l'ermenutica (che dice anche ciò che hai appena scritto sulla presenza, sulla disseminazione, etc.) non sia propriamente una "caduta della filosofia".
Puoi definirla tale alle luce della tua definizione di filosofia? Certo, se tutto il discorso sulla "sostituzione della presenza", sull'invio di senso, sul circolo ermeneutico, sulla storia degli effetti, etc. per te non ha nulla di filosofico.

Phil

Citazione di: InVerno il 23 Luglio 2025, 13:50:36 PMFra noi filosofi invece che ci diciamo?
Ci diciamo che ognuno di noi è ingabbiato nella sua definizione di filosofia, e io, tu e niko ne abbiamo di differenti; così che saltellare da una gabbia all'altra aiuta quantomeno a "restare in forma".
Personalmente posso dirti, come fatto in passato, che alla radice delle religioni ci vedo i dogmi, non convenzioni, essendo i primi da ritenere veri (per chi ci crede) a prescindere dalle convenzioni e convinzioni umane. Ci credo in quei dogmi? No, ma mantengo comunque valida la distinzione fra dogma e convenzione (per come la vedo): il dogma è vero (credenti) o come minimo infalsificabile (non posso dimostrare scientificamente che Dio non esista, che chi fa il bravo non vada poi in paradiso, etc.), mentre la convenzione, in quanto tale, stabilisce norme a tavolino, più che verità (vedi dichiarazioni varie che si autodefiniscono universali, ma sono solo invenzioni, non scoperte) che sono tali solo se c'è consenso su di essa (o magari viene applicata con le brutte maniere, ma credo ci siamo capiti lo stesso).
Citazione di: InVerno il 23 Luglio 2025, 13:50:36 PMDio è un idea che funziona nelle definizioni da un certo secolo ad un altro, è un concetto che, nonostante i credenti giurino il contrario, vive nella storia, nasce, matura, invecchia e muore.
Concordo con te sul ciclo di vita delle "religioni con dio" e proprio per questo mi chiedo quanto sia funzionale chiamare religioni anche le "forme derivate senza dio" delle "religioni con dio"; non si fa solo gratuita confusione? Se chiamassimo religioni quelle "cose con dio" e in altro modo ben diverso quelle "cose simili ma senza dio"? Già immagino il contribuente che chiede al commercialista di dare il suo 8 per mille alla religione dei diritti umani e poi mettersi a dibattere che in fondo anche quella è una religione. Parafrasando un tale: in filosofia va bene il senso dell'ambiguità, ma ci vuole anche il gusto dell'evidenza.

niko

Citazione di: Phil il 23 Luglio 2025, 15:36:12 PMUna illusione che di fatto mantiene vivi è un'illusione? Potremmo dire che respiriamo e ci cibiamo di illusioni, quando se non respiriamo e ci cibiamo accade la morte? Anche essa è un'illusione?
Dipende tutto da cosa intendiamo con «illusione»; per questo mettevo in guardia dal maneggiare questo concetto senza preoccuparsi delle sue conseguenze quando poi si parla di altre discipline o, in questo caso, di mera soddisfazione di bisogni primari (che siano o meno intesi come forma primitiva di desiderio, o qualcosa di totalmente altro).
Questa è la nota fallacia naturalistica (qui in sintesi ) elevata alla potenza di quel nozionismo umanistico e matafisico di cui ancora non si riesce a fare a meno (nonostante le lezioni del novecento). I concetti di «bene» e «male», per quanto possano sembrare scontati nel nostro ragionare umano, non hanno nulla di minimamente biologico. Non siamo spinti dal nostro istinto a mangiare perché «ciò è bene», o perché «restare vivi è bene», ma solo perché la nostra natura ci "programma" per farlo (e che tale programma sia metafisicamente "rivolto al bene" è ciò che rende fallace quel tipo di ingenuo "naturalismo"). La nostra interpretazione (che moraleggia e religioneggia sull'istinto naturale fino a definire «male» il suicidio) non usa categorie né naturali né biologiche quando parla di «bene e male» in quel contesto.
Altrimenti: quali sarebbero tali nessi "causali" fra biologia e morale (che è ciò che si occupa di bene/male e che, guarda caso, non è "scientificabile")? Sappiamo già dove portano queste banalizzazioni tipo vita=bene e quanti asterischi poi ci si finisca col mettere («in realtà dipende da questo... c'è però questa eccezione... è vero, ma non nel caso in cui... etc.»).
Un atomo che decade o una reazione chimica sono bene o male? Oppure la natura ha un "contenuto" di «bene e male» solo quando è relativa al "giardiniere dell'Eden", alla "creatura eletta", a "noi che siamo davvero intelligenti e quindi superiori agli altri animali", etc.?
Manca il (meta)criterio che possa coniugare intelletto e volontà per sancire eventuali errori: quando l'intelletto ci dice di non uccidere il prossimo anche se vogliamo farlo (e le mutazioni biologiche, oggettive, del nostro corpo quando siamo adirati ci preparano a farlo e "non mentono"), tale intelletto è in errore contro la volontà della vita?
Di nuovo: usiamo il nostro intelletto (con annessi imprinting culturali e, volenti o nolenti, religiosi), non certo la volontà, per scegliere cosa preservare dell'istinto, perché è "bene", e cosa invece scartare, seppur parimenti istintivo, perché è "male". Solo una volontà addomesticata dalla ragione può parlare di errori; una volontà che non ragiona è solo istinto (e sappiamo quale è il suo ruolo in una società umana, reale o ideale che la pensiamo).
Il senso del tempo non è «l'aumentare a valanga del passato» più di quanto non sia «l'aumentare a effetto domino del futuro» in cui non vi è «la sconfitta della volontà umana quale...» ma la sua possibile realizzazione, proprio nel senso di diventare realtà. La creatività umana è sconfitta se pensa di cambiare retroattivamente il passato, come un cecchino che prima preme il grilletto e poi inserisce il proiettile (non mi intendo di armi, ma credo si capisca). La materia non passatificata direi che è per definizione il futuro ed è a quello che si rivolge una "sana" creatività e volontà: se voglio creare una mia azienda, non è al passato che devo mirare per pianificare le mie attività (quello che mi torna utile è un calendario degli anni futuri, non passati).
Di fatto non è necessario che mi piaccia; l'importante, per intendersi, è avere una comune definizione di filosofia. Possiamo anche concordare che la filosofia è metafisica, che la filosofia è scienza dell'invisibile oppure edonismo, onanismo o altro; l'importante è capirsi (anche cestinando qualunque coerenza filologica e storica del termine). Potrei comunque obiettare che la filosofia americana (non quella stereotipata della cultura pop americana) non parla di sé stessa esattamente come «stile di vita finalizzato alla ricerca della felicità e dell'autenticità», nel senso che i filosofi americani (sempre se concordiamo su quali essi siano; evito di fare nomi) non sono in generale affatto estranei al desiderio di capire il mondo in senso epistemologico (tuttavia, come detto, l'importante è avere fra noi un linguaggio comune).
Qualche post fa, non a caso, citai Derrida... quindi proprio per questo non possiamo che concordare che l'ermenutica (che dice anche ciò che hai appena scritto sulla presenza, sulla disseminazione, etc.) non sia propriamente una "caduta della filosofia".
Puoi definirla tale alle luce della tua definizione di filosofia? Certo, se tutto il discorso sulla "sostituzione della presenza", sull'invio di senso, sul circolo ermeneutico, sulla storia degli effetti, etc. per te non ha nulla di filosofico.


Te l'ho gia' detto nel mio post 92: un'illusione che di fatto mantiene vivi, e' primariamente un oggetto di volonta' e di desiderio, e' un voluto (chiunque a livello fisiologico vuole vivere, e, a livello intellettuale e conscio quasi chiunque lo vuole, tranne forse i suicidi) e quindi, tale "illusione utile alla vita" NON (e questo e' il punto fondamentale: NON) puo' essere indagata ad un livello, e con un intento, puramente gnoseologico o categoriale.

Basti comprendere il complesso rapporto tra Kant e Schopenahuer: il soggetto che conosce, NON puo' essere a sua volta conosciuto, ed esso E' (coincide con) la volonta' di vivere, proprio nella misura in cui, la vita "apparente" stessa, cioe' la rappresentazione, il grande teatro del mondo, e' oggetto di volonta' e non "oggetto" neutro.

L'oggetto di desiderio sovrasta, l'oggetto di conoscenza, e comprendere questo, rappresenta la fine del grande sogno, sia classico che positivista, di una conoscenza neutra oggettiva, cioe' sovrastante il desiderio, e potenzialmente anastetizzante il desiderio di per se stessa, e quindi, anche, eticamente "buona" per questo, per questa sua "drogante" potenzialita', state che il desiderio, sia primariamente sofferenza, e quindi un qualcosa di negativo, da estinguere. La volonta' NON puo' essere conosciuta, quantomeno non con categorie analitico divisive puramente intellettuali, perche' essa e' l'attivita' incessantemente ed eternamente conoscente che persegue, e mantiene, la vita quale oggetto di desiderio. 

Due piu' due fa quattro e magari, apparentemente, non si puo' realizzare una volonta' volente diversamente, tipo, che faccia cinque, ma il fatto che due piu' due faccia quattro e' gia' di per se' una illusione utile alla vita nel suo proggetto di perpetuarsi e riprodursi, e' gia' un voluto sebbene apparentemente non ammetta altri e il realizzarsi di altri. E lo e' proprio perche', diversamente, accade, la morte. In un modo deserto dagli uomini e dalla loro presenza, due piu' due, non fa quattro. E non fara' quattro, neanche quando, saremo sottoterra.

Derrida e' un critico della metafisica della presenza, e un fan della piena leggittimita' filosofica della scrittura, ma io sono rimasto al Fedro di Platone, sara' perche' ho trovato una . Certo per lui la scrittura e' cio' che lascia traccia, e quindi, cio' che e' idoneo a modificare la struttura pre-nascita e post-morte del mondo in relazione all'uomo, superando, la metafisica della presenza stessa. Condividiamo la scrittura con gli animali, perche' anche loro, proprio nel senso che ho detto adesso, lasciano traccia.

Io, dicevo solo che la base eudaimonistica e politica della filosofia e' un concetto molto americano, ma che e' sano e giusto, e che c'e' fin dai primordi. Sebbene in modo meno individualista, di come lo declinerebbe un americano medio.


La fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione. Avere un occhio, presso in corpo umano e' un fatto descrittivo e descrivobile, ma molti, tra i vivi, avrebbero qualcosa da ridire se glielo strappassero. E ne proverebbe grande dolore.  E' evidente; che il loro occhietto lo desiderino, sia in quanto tale, sia in quanto mezzo, utile per altri, fini e proggetti.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMTe l'ho gia' detto nel mio post 92: un'illusione che di fatto mantiene vivi, e' primariamente un oggetto di volonta' e di desiderio, e' un voluto [...]e quindi, tale "illusione utile alla vita" NON (e questo e' il punto fondamentale: NON) puo' essere indagata ad un livello, e con un intento, puramente gnoseologico o categoriale.
Eppure tale "illusione utile alla vita" viene di fatto «indagata ad un livello, e con un intento, [...] gnoseologico o categoriale». Tu stesso definendola «illusione utile alla vita» la categorizzi (e lo fai ancor più innestandola nel discorso volontaristico simil-nietzschiano con le sue ulteriori categorie) e tutte le scienze che si occupano della volontà e del volere (dalla psicologia alle neuroscienze, passando per la sociologia e l'antropologia), si occupano proprio di quello che secondo te non si può studiare. Altrimenti quelle discipline di cosa parlano, quando parlano di volontà, desideri etc.?

Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMBasti comprendere il complesso rapporto tra Kant e Schopenahuer: il soggetto che conosce, NON puo' essere a sua volta conosciuto
[...]
La volonta' NON puo' essere conosciuta, quantomeno non con categorie analitico divisive puramente intellettuali, perche' essa e' l'attivita' incessantemente ed eternamente conoscente che persegue, e mantiene, la vita quale oggetto di desiderio.
Se restiamo fermi a Kant e Schopenhauer (con tutto il rispetto) ci perdiamo un bel po' di sviluppi successivi (v. sopra): il soggetto conoscente può sia comprendere sé stesso che essere compreso dagli altri; ci può essere infatti auto-analisi (non facile, concordo) e analisi esterna (v. ancora scienze citate sopra).
L'oggetto di volontà/rappresentazione è anzitutto oggetto, intenzionale direbbe Husserl, e comunque categorizzato, ma anche senza fare nomi è intuitivo che identificarlo come oggetto è il contrario di renderlo un "mistico inconoscibile", anche se fosse "illusione" (nel senso un po' asetticamente "idealista" che intendi).

Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMLa fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione. Avere un occhio, presso in corpo umano e' un fatto descrittivo e descrivobile, ma molti, tra i vivi, avrebbero qualcosa da ridire se glielo strappassero. E ne proverebbe grande dolore.  E' evidente; che il loro occhietto lo desiderino, sia in quanto tale, sia in quanto mezzo, utile per altri, fini e proggetti.
Questo è invece un (altro) buon esempio di fallacia naturalistica; pensaci bene (soprattutto se associ il desiderare al "bene" e lo strappare l'occhio al "male", ossia confondendo "male" fisico con male etico).

Phil

Per intravvedere la fertilità filosofica dell'ermeneutica e una "utile" apertura della filosofia alle altre discipline, oltre ad avere in poco spazio tanti spunti di riflessione (a prescindere da quale sia la vostra definizione di «filosofia»), suggerisco la lettura di queste tre paginette introduttive ad una rivista del 2015, dove ritornano anche nomi e concetti citati in precedenza. Qui c'è la rivista completa.

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