
Riflessioni sulla Mente
di Luciano Peccarisi - indice articoli
Il cervello e i suoi segreti
Estratto del primo capitolo del libro: “Il cervello e i suoi segreti. La maschera della mente”, Ed. DIARKOS, 2025
Dicembre 2025
Dio muove il giocatore, e questi i pezzi. Quale dio dietro di Dio dà inizio alla trama di polvere, tempo, sonno e agonia?(1)

In una delle varie leggende diffuse sull’origine del gioco degli scacchi, il re fece uccidere il suo inventore dopo che questi espresse una richiesta impossibile. Egli aveva rifiutato la metà del regno offerto dal sovrano come ricompensa, chiedendo invece solo un chicco di grano sulla prima casella della scacchiera, che venisse però via via raddoppiato per ognuna delle restanti sessantaquattro. Noi esseri umani siamo tutti attori protagonisti nella grande scacchiera della vita. Con un grande problema: non abbiamo, come gli animali, un unico copione da seguire, bensì due. Uno è quello genetico, chiuso e definito, simile a quello delle altre scimmie antropomorfe; l’altro è quello scritto dalle nostre culture e società, aperto e infinito. Nel primo copione siamo comparse, come lo sono gli animali che ripetono tutti la stessa interpretazione: le gazzelle, i tordi, i salmoni, le zebre sembrano tutti fotocopie l’uno dell’altro. Nel secondo copione, dove prevale l’apprendimento individuale, siamo invece tutti diversi, con piccole o grandi differenze, ma unici come le impronte digitali o la geografia dei contatti tra neuroni del cervello – anche detta “connettoma”. Il secondo copione è il nostro mondo e al suo interno cerchiamo nuove idee e soluzioni: «Se una creatura proveniente dallo spazio si imbattesse in un prodotto umano complesso, per esempio un semaforo, senza vederlo in funzione, potrebbe smontarlo e analizzarne la struttura in eterno, senza capire perché esso fa ciò che fa».(2) Ogni umano è un originale, tuttavia, mentre un solo copione determina equilibrio e stabilità, da quello doppio deriva uno squilibrio della mente. Infatti, il copione biologico non ci informa di tutto, ha istruzioni precise su come vivere, ma non ci fa pensare a noi stessi; tuttavia, il nostro romanzo inizia e lo conserviamo grazie alla lunga memoria, sapendo come finirà. Questa autosservazione può essere l’ancora di salvezza per mantenere l’equilibrio mentale, oppure, allo stesso tempo un grande problema. Nessun animale allo stato naturale può essere definito come nervoso, inquieto, stressato, esaurito, ansioso, preoccupato, insoddisfatto, scontento. Tutti vivono nel modo previsto la loro vita e, se non vi sono condizioni di pericolo o sofferenze di qualche tipo, in modo tranquillo. Chiunque abbia avuto un cane o un gatto in casa sa benissimo che questi animali conoscono poco la noia. Possono stare ore e ore sdraiati a sonnecchiare, davanti alla finestra e con sempre lo stesso panorama. Una passeggiatina ogni tanto, ma in genere sono reclusi in casa, non sembrano troppo stressati; forse dipende dalla qualità dei loro pensieri. Se, come sembra, la loro mente funziona soprattutto per associazione e sotto i loro occhi non appare nulla di nuovo, i pensieri tendono a girare in un circolo senza scosse o emozioni. Non generano tuttavia una vera noia, perché? Forse agli animali mancano le emozioni che tipicamente attanagliano l’umano dal pensiero creativo che viaggia nel tempo, ricordando e pensando al futuro. Quindi nostalgia, memorie, progetti, fallimenti, rimorsi, il tempo che scade, la fine. La mente degli animali è enormemente differente dalla nostra, che pur in condizioni di apparente benessere è avvinta da un male interiore. Lo diceva poeticamente già Leopardi in Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, invidiando gli animali. Per fare un paragone più moderno, Martha Friel, la protagonista del romanzo L’opposto di me stessa di Meg Mason sa che «vi è qualcosa di molto sbagliato in lei», ma non di cosa si tratti, uno squilibrio di natura imprecisata che nessun medico riconosce come malattia. Nell’ultima pagina, l’autrice come nota al testo scrive: «I sintomi clinici descritti nel romanzo non sono indicativi di una patologia mentale identificabile. La descrizione delle terapie, dei farmaci e dei consigli medici è completamente di mia invenzione».(3) La domanda è: da quando noi umani siamo diversi dagli altri animali? Gli animali che non indossano maschere sono veri, non fingono, fanno quello che pensano, sono il loro stesso corpo e si comportano di conseguenza alle esigenze. Per loro esiste un solo copione, quella e la legge ed è scritta nella carne. Il leone maschio deve uccidere i cuccioletti dell’harem avversario, obbedirà senza patemi d’animo o rimorsi, senza dubbi e incertezze. Noi umani, animali particolari, possiamo parlare di noi stessi agli altri e viceversa, confrontare idee e opinioni, fare domande, riflettere sulle risposte, far evolvere una cultura per generazioni e costruire un secondo copione che si affianca a quello genetico. Il secondo copione è diventato la nostra grande mente da cui attingere, come un secchio che sale e prende l’acqua dal pozzo. Sa che come gli altri vive ma è destinato a perire, instillando in ognuno un senso di precarietà che qualcuno ha descritto come “inquietudine”. «Questa malinconia collettiva, questo pattern culturale patogeno (per dirla con le antropologhe americane Margaret Mead e Ruth Benedict) contamina tutte le generazioni, i generi, le etnie, i ceti sociali» afferma la sociologa e filosofa Elisa Manna. «Nella maggior parte dei casi rimanendo a livello di latenza o di disturbo mascherato che compromettono però ugualmente l’equilibrio e il benessere di molti».(4) Ogni attore è la maschera del personaggio che interpreta, ma l’animale attore interpreta se stesso, egli “è” la propria maschera forgiata dentro di sé, diversa per ognuno.
Possibilità di “aggiustarci”
A differenza del nostro corpo, che presenta tratti su cui possiamo incidere poco, come statura, colore di occhi, pelle, capelli, forma del naso, estetica, la fiducia della nostra immagine come attori sociali è qualcosa che si può modificare, registrare, regolare, migliorare. La tecnica di visualizzare se stessi può essere allenata, forse è una pratica involontaria da sempre, fin dalle pitture rupestri, quando 15-20 mila anni fa si dipingevano sulle pareti delle caverne animali cacciati e uccisi. Forse, ma è solo un’ipotesi, era l’ultima cosa che i raccoglitori-cacciatori vedevano prima di lasciare il calduccio e la sicurezza delle loro grotte: la fiducia delle immagini di spedizioni precedenti di caccia andate a buon fine. Come avviene ancora oggi negli spogliatoi delle grandi squadre, con poster e foto dei successi del passato. Questo immaginario positivo del passato potrebbe essere usato per aumentare la volontà ottimista del presente.(5) Creare il nostro personaggio che recita ed è apprezzato deve essere il nostro compito, come un artista crea la sua opera. Nella sua essenza più intima, l’atto di creazione è un appropriarsi dell’esperienza degli altri, del già detto e pensato, per condurlo oltre le soglie del non ancora detto, visto, pensato. Si racconta che l’imperatore romano Augusto pronunciò poco prima di morire le parole in latino: «Acta est fabula, plaudite!» Questa frase è stata tradotta come: “La commedia è finita. Applaudite!”
Luciano Peccarisi
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NOTE
1) Borges J.L., Ajedrez (Scacchi) in El Hacedor (L’artefice), 1960.
2) Tomasello M., Unicamente umano, Il Mulino, Bologna 2014, p. 200.
3) Mason M., L’opposto di me stessa. HarperCollins, Milano 2024.
4) Manna E., Cultura e salute: depressione sociale e depressione individuale, BRINDISI MEDICA semestrale dell’Ordine dei Medici di Brindisi
Brindisi Medica, n.1, p. 16, 2025.
5) Mcpherson D., Calma la scimmia che hai in testa, Giunti, Firenze 2025, p. 94.
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