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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

Sono un cervello che parla

Ottobre 2021


Dal primo capitolo


Le mie origini

Io possiedo, come ho già detto, la sensibilità, una parola composta dal verbo sentio (sentire) e dal sostantivo habilitas (disposizione, attitudine). La sensibilità è dunque la possibilità di sentire. Provengo da molto lontano, dagli abissi del tempo, atomi, molecole, organi, apparati e organismi, dai primi esseri animati (1). Sono un cervello raffinato, con un sottoinsieme di circuiti neurali di alto livello che aggiungono alla percezione e all’azione animale un senso specifico umano. Perché costruisco “rappresentazioni mentali” originali create da me, e non sono un passivo fruitore dell’ambiente. Oltre alla rappresentazione diretta di ciò che mi circonda, creo un mondo di idee intermedio che potremmo chiamare immaginazione, una simulazione della realtà esterna. Una lucertola afferra il moscerino posato vicino, non sbaglia tra le tante pietruzze accanto, il ghepardo insegue la preda e l’orso afferra a volo il salmone, ogni membro della medesima specie fa le stesse identiche cose. Le mie rappresentazioni, forgiate dal linguaggio, non sono solo immagini del mondo esterno, sono anche idee, ragionamenti, emozioni, nuove e inventate che mi rendono unico e diverso da tutti gli altri. I pensieri possono essere usati o immagazzinati nella memoria e riutilizzati in forme composite. Con la manipolazione mentale nascono nuove intenzioni, credenze, desideri, speranze. Posso osservare ciò che entra e sosta in me, mettere in fila le date, i fatti, le situazioni, gli eventi, le emozioni, i sentimenti. Posso tenerli uniti, incollati tra loro a formare un coerente “Io” che mi sostiene, una coscienza, un punto di vista personale, una prospettiva individuale. La sensibilità animale si trasforma allora in uno stato soggettivo di consapevolezza di me stesso e del mondo in cui vivo. Un’autonomia che può addirittura spingersi oltre l’istinto di specie. Il leone maschio non può rifiutarsi di obbedire e uccidere i cuccioli del leone rivale, la sua consapevolezza è maggiore di quella di un albero, ma è privo di un “Io” personale decisionale. Rispetto al girasole che insegue l’astro luminoso ha un cervello più ricca di sensazioni e percezioni, ma solo la coscienza umana arriva a comprendere la propria esistenza, decidere, scegliere e sentirsi libero. Io posso maneggiare il mio corpo, lo posso truccare, allenare, pettinare, radere, abbellire, vestire, mistificare, posso fingere. Gli animali non lo possono fare perché non “hanno” un corpo, ma “sono” un corpo. Possiedono un io generico di specie, perciò nei comportamenti, si somigliano tutti. Io racchiuso nella testa all’apice del corpo, non ho accesso diretto all’esterno, non posso uscire, sono carcerato a vita. Guardo fuori dalle finestre dei miei organi di senso e sono convinto di essere a contatto diretto con la realtà. Ho costruito un mondo nel buio, dove non ci sono luci, colori, suoni, odori, sono solo flussi di informazioni, treni di segnali elettrochimici. Perfino lo spazio e il tempo sono mie idee, come l’universo. Non esisterebbero le forme e i colori se non avessi gli occhi o il suono se non lo captassi con le orecchie. E anche gli odori non esisterebbero al di fuori di me. Tutto sarebbe spaventosamente silenzioso e vuoto. Nulla esiterebbe senza di me, tutto appare con me, quando entro nella scena della vita. Nascono solo allora luci, colori, suoni, odori, perché sono capace di trasformare e interpretare le onde elettromagnetiche, che di per sé non generano nulla. Come disse Emily Dickinson: “Il cervello, un piccolo nodo nella trama del mondo, è la sola fonte del mondo intero”.

Folgorazione
Sono stato colpito da una folgorazione (2), sono un cervello che parla e perciò posso raccontare la mia storia. In principio, quando ancora non c’era la vita, nulla si muoveva senza ragione e si spostava solo se era 'spinto'. Scivolavano le frane, rotolava la neve, cadeva la pioggia, la polvere volava nel vento, il vulcano sputava la lava e il mare batteva gli scogli. Ma le pietre, l'acqua, la polvere, la lava e il mare non si muovevano se non vi era energia a sufficienza. Poi qualcosa cominciò a muoversi da solo, una struttura si dispose a stampino, fenomeno rarissimo ma non impossibile, come una lunga serie di numeri giocati a caso può uscire se provati per miliardi di anni. Forse diede luogo a un impilaggio, è così che si formano catene di cristalli che possono separarsi e formarne altre due identiche. Poi, copie su copie, fece il suo ingresso l’instabilità della vita. Dopo milioni di anni di evoluzione apparvero gli organismi e alcuni formarono al loro interno i cervelli. Io ho la peculiare caratteristica di poter raccontare la mia storia, perché possiedo una mente capace di farlo, un fenomeno avvenuto poco tempo fa (3). Milioni di anni fa infatti ero un animale esattamente come gli altri che grugniva, fischiava e urlava. Cercavo la compagnia perché mi dava sicurezza, le istruzioni genetiche guidavano le interazioni con il mondo, dal tunnel del mio sguardo animale (4) con le strutture percettive in dotazione. Avanzavo come gli altri, un passo dietro l’altro, orientato dagli istinti di sopravvivenza, aggressività e sesso, senza vedere e senza sapere. Non sceglievo cosa provare, accompagnavo il fare con le sensazioni del momento. L’attenzione era sempre verso l’esterno, la mia interiorità non esisteva. Non potevo perdere tempo con l’introspezione, ammesso che ne fossi capace, il pericolo era ovunque, bisognava stare all’erta. Ogni tanto nel fiume mi pulivo dal fango e lavavo le ferite, salivo spesso sulla cima degli alberi da cui osservavo l’immensa distesa della natura. Ogni tanto altalenavo sui rami, per questo forse mi piace tanto dondolarmi. Quando scesi a terra mi drizzai in piedi, per vedere meglio tra l’erba alta della savana. In equilibrio sulle gambe, liberai le mani che aiutarono i denti ad afferrare, tirare, scuotere, piegare e stringere. Un giorno, senza accorgermene, non lasciai come facevo sempre, un grosso ramo secco e l’ho tenni con me. Così con quel bastone diventai il più forte. Come capo possedevo molte femmine, poi uno con un bastone più grosso mi spodestò. Molte generazioni dopo mi accorsi che era meglio cooperare che combattere. Un giorno in quattro trascinammo via una femmina dai nemici. Poi vicino al fiume eravamo pronti all’inesauribile voglia, tra le sue calde natiche. Il secondo strappò via il primo e si avventò, quando smontò il terzo, toccava a me, ma mentre tentennavo, scappò e la notte l’inghiottì. La ritrovammo accoccolata all’alba, infreddolita dietro un cespuglio sul ciglio del dirupo sul fiume. Ci avvicinammo, aveva gli occhi spaventati e lucidi. Fu allora che io, l’unico a non averla posseduta, in un accesso di rabbia balzai sui miei compagni e li scaraventai giù. La guardai, lei abbozzò un sorriso, mi offrì le natiche ma poi si voltò e mi trovai faccia a faccia, il mio petto contro il suo. C’ero io e lei che con i suoi occhi mi guardava, presi atto per la prima volta di un’altra presenza oltre la mia. Forse fu allora che il pensiero cominciò una svolta, molti secoli dopo i greci definirono prosopos la persona, che significa ‘chi mi sta di fronte’. Tornai al mio gruppo perché stare insieme con gli altri, toccarci, grattarci, riscaldarci, mitigava la paura. Poi riuscimmo a controllare il fuoco, ricordo ancora il dolore delle ustioni quando appariva improvvisamente e bruciava e quando urinavamo sopra per spegnerlo. Poi lo accendemmo da soli e arrostimmo la carne che, tenera e facile da digerire, ci arricchì di proteine. Bastavano poche fettine per un buon pasto, e non tutta quella frutta e verdura che masticavamo a lungo, scoreggiando con la pancia gonfia. Il fuoco riscaldava e di notte ci disponevamo intorno ai fuochi, vicino ai tizzoni ardenti, a quel cerchio gli animali non osavano avvicinarsi. Fu allora che guardandoci negli occhi e con il cervello ormai pronto, creammo le parole. Questi strumenti si rivelarono straordinari per domandare, anche se pochissimi di noi ancora accennavano risposte. Lo venerammo come un Dio, offrimmo doni, spesso animali, a volte anche sacrifici umani. Milioni di anni dopo povere donne psicotiche definite streghe o innocui frati eretici, furono di nuovo arsi al rogo. Intanto la facile comunicazione serviva ad avvisare dal pericolo, organizzare la caccia, costruire rifugi, ordinare, insegnare ai più piccoli. Aumentò il numero e la disciplina nel gruppo e vi fu una specie di auto-addomesticazione e riducendosi l’aggressività, ci ammansimmo. Vedendo certe esplosioni di violenza di oggi non si direbbe, ma provate a vedere se mettendo in uno stadio trenta- quarantamila individui di qualunque altra specie, riescono a stare seduti tranquilli a guardare lo spettacolo. Ormai condividevo la vita sociale da tempo, tuttavia esecuzioni e uccisioni erano all’ordine del giorno. La storia mi ha reso come il cane, mansueto ma deriva dal lupo tanto temuto, mi è rimasta la violenza potenziale. L’adozione di comportamenti docili mi ha permesso di controllare le reazioni più istintive, di vivere insieme a milioni di persone in stretto contatto. Però ho mantenuto e anzi aumentato un tipo di aggressività consapevole, programmata, mirata. Perché al di sotto della parte esterna, rimane la radice antica. Lo spettro tra bontà e cattiveria è amplissimo, dalla commovente generosità alla più indicibile crudeltà.

Luciano Peccarisi

Sono un cervello che parla
Isbn 9788885798199 - pagine 196

Sono un cervello che parlaSono un cervello che parla, possiedo un pensiero linguistico e una favella in grado di raccontare chi sono. Ho attraversato milioni di anni per raggiungere questo livello, all’inizio sapevo solo grugnire, fischiare e urlare. Cercavo la compagnia degli altri, perché mi dava sicurezza, seguivo le istruzioni genetiche perché, come tutti, sono un elaboratore di informazioni. Prima osservavo il mondo da un tunnel, il cibo e la riproduzione decidevano ogni cosa, la paura mi ha sempre ossessionato. Io ero i miei movimenti, i passi uno dietro l’altro, gli sguardi senza vedere, una vita senza sapere. Poi sono uscito dalla mia bolla eco-ambientale e la mente si è aperta. Perciò posso raccontarvi la mia storia.
Questo libro di Luciano Peccarisi affronta in modo chiaro, aggiornato e competente un tema complesso […] si tratta di un’opera scientifica, esaustiva e chiara, documentata e originale favorita da una sintesi argomentativa, sempre stimolante, il cui contributo conoscitivo non può che entusiasmare, sia il lettore specialista che quello mosso da curiosità conoscitiva.

Prof. Alessandro Salvini


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NOTE

1) La vita si evolve da circa quattro miliardi e gli unici esseri viventi erano entità unicellulari relativamente semplici, i batteri o i loro cugini, gli archei: i procarioti. Due procarioti si scontrarono presumibilmente innumerevoli volte e, almeno in un’occasione, una inghiottì l’altra, ma la lasciò vivere. Questo fu forse il primo esempio, rarissimo, riuscito in cui insiemi di competenze si unirono in qualcosa di più grande migliore. L’evoluzione è un processo che dipende dall’”amplificazione di eventi che non accadono quasi mai”, Dennett D.C. (2018) Dai batteri a Bach. Come evolve la mente, Raffaello Cortina, Milano, p. 7.
2) L’ha chiamata “folgorazione”, il grande etologo Konrad Lorenz in L’altra faccia dello specchio, questa svolta della parola. Lorenz K. (1991), gli Adelphi, p. 64.
3) La nostra e quella delle scimmie è una storia recente, paragonata a quella della vita, di quasi quattro miliardi di anni. Forse siamo tutti discendenti di Lucy il cui scheletro si trova presso il Museo Nazionale dell’Etiopia ad Addis Abeba, quello visibile è una copia. Lucy era alta poco più di un metro e pesava circa ventinove chilogrammi. Visse in Africa intorno a 3,2 milioni di anni fa. Dal ginocchio sinistro valgo si dedusse che quest’ominide camminava mantenendo una posizione eretta. Lucy era giovane nel momento in cui morì: l’età media era di circa venticinque anni.
4) Damasio A. (1995) L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, p. 40.


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