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Riflessioni sulla Mente

Riflessioni sulla Mente

di Luciano Peccarisi -  indice articoli

 

La storia dello spirito

dicembre 2010

  • Cosa sappiamo?

  • Innalzamento dello spirito

  • Il cammino tortuoso dello spirito

 

(Tratto da ‘Lo spirito’ di Allen Wheelis)

 

In questi brani poetici lo psichiatra Allen Wheelis illustra la concezione misteriosa e sconcertante che la scienza moderna ci ha fornito della nostra posizione nel disegno delle cose. E’ un modo di descrivere il cammino apparentemente finalistico dell’evoluzione, come se dietro di esso ci fosse una grande forza a guidarlo (Douglas R. Hofstadter)

 

Noi veniamo all’essere sotto forma di un minuscolo rigonfiamento all’estremità di un lungo filo. Le cellule proliferano, diventano un’escrescenza, assumono la forma di un uomo. L’estremità del filo ora giace sepolta lì dentro, protetta, inviolata. Il nostro compito è di portarlo innanzi, di tramandarlo. Fioriamo per un breve momento, intrecciamo qualche canzone, accantoniamo qualche ricordo che vorremmo scolpire nella pietra, poi avvizziamo, la nostra forma decade e scompare. L’estremità del filo è ora nei nostri figli, e si prolunga all’indietro attraverso di noi, ininterrotta, fin nelle profondità insondabili del passato. Su di esso sono comparsi innumerevoli rigonfiamenti che sono fioriti e poi avvizziti come ora avvizziamo noi. Nulla rimane, se non nella linea germinatrice. Ciò che cambia per produrre strutture nuove con l’evolversi della vita non è l’escrescenza momentanea, bensì le disposizioni ereditarie contenute in quel filo. Noi siamo portatori dello spirito. Non sappiamo né come né perché né dove. Portiamo tutto il suo peso sulle nostre spalle, nei nostri occhi, nelle mani angosciate muovendo per regni brumosi verso un futuro sconosciuto, in conoscibile e in eterna creazione. Esso dipende interamente da noi, eppure non lo conosciamo. Lo facciamo avanzare lentamente con ogni battito del nostro cuore, gli dedichiamo il lavoro delle mani e della mente. Vacilliamo, lo passiamo ai nostri figli, posiamo le nostre ossa, veniamo meno, perduti, dimenticati. Lo spirito procede, ingrandito, arricchito, più strano, più complesso.
Veniamo usati. Non dovremmo sapere al servizio di chi? A chi, a che cosa diamo inconsapevolmente la nostra lealtà? Che cos’è questa ricerca? Oltre a ciò che abbiamo, che cosa potremmo volere? Che cos’è lo spirito?

 

Cosa sappiamo?

Un fiume o una roccia, scrive Jacques Monod, “sappiamo, o crediamo, che siano stati modellati dal libero gioco di forze fisiche alle quali non possiamo attribuire nessun disegno, alcun ‘progetto’ o scopo. Non possiamo, cioè, se accettiamo il postulato fondamentale del metodo scientifico, ossia che la natura è oggettiva e non proiettiva”. Questo postulato fondamentale esercita una possente attrazione. Ricordiamo infatti il tempo, non più di alcune generazioni fa, in cui sembrava evidente il contrario; che la roccia volesse cadere, il fiume volesse cantare o infuriare. Spiriti dotati di volontà percorrevano l’universo e piegavano la natura al loro capriccio. E sappiamo quanto abbiamo guadagnato in comprensione e in controllo adottando un punto di vista secondo il quale gli eventi e gli oggetti naturali non hanno né scopi né intenzioni. La roccia non vuole nulla, il vulcano non persegue alcun fine, il fiume non desidera il mare, il vento non cerca alcuna meta.
Ma esiste un’altra concezione. L’animismo del primitivo non è l’unica alternativa all’oggettività scientifica. Questa oggettività può essere valida per i periodi di tempi con i quali abbiamo a che fare, ma può non esser vera per periodi di durata enormemente maggiore, la proposizione che la luce si sposta in linea retta, senza essere influenzata dalle masse vicine, ci è utile quando dobbiamo fare una mappa della nostra fattoria, ma provoca errori nella rappresentazione di galassie remote. Allo stesso modo la proposizione che la natura, ciò che è “là fuori”, è senza scopo ci è utile se i nostri rapporti con la natura sono di giorni, di anni o di generazioni umane, ma può ingannarci sulle pianure dell’eternità. Lo spirito sorge, la materia decade. Lo spirito si leva come una fiamma, slancio di un danzatore. Dal vuoto esso crea la forma come un dio, è dio. Lo spirito era fin dall’inizio, anche se quel principio è stato forse la fine di qualche inizio precedente.
Se guardiamo abbastanza indietro, arriviamo ad una nebbia primordiale in cui lo spirito è solo un’irrequietezza di atomi, il fremito di qualcosa che non vuole restare nell’immobilità e nel freddo. La materia vorrebbe l’universo come una dispersione uniforme, immota, completa. Lo spirito vuole una terra, un cielo e un inferno, turbine e conflitto, un sole incandescente per cacciare le tenebre, per illuminare il bene e il male, vuole il pensiero, la memoria, il desiderio, vuole costruire una scala di forme di complessità e di comprensività crescenti, fino ad un cielo lassù che sempre arretra, che sempre cambia forma e che, una volta raggiunto, diventa la strada per cieli più lontani, l’ultimo… ma non esiste un ultimo, poiché lo spirito tende verso l’alto senza fine, erra, vortica, si tuffa, ma tende sempre verso l’alto, usando senza misericordia forme inferiori per crearne di superiori, procedendo verso una sempre maggiore interiorità, coscienza, spontaneità, verso una libertà sempre più grande.

 

Innalzamento dello spirito

Le particelle si animano. Lo spirito si stacca con un balzo dalla materia, che sempre lo tira giù, per immobilizzarlo. Creature minuscole s’agitano nei tiepidi oceani. Sempre più complesse diventano le piccolissime forme che racchiudono per un momento uno spirito ansioso di ricerca. Si avvicinano, si toccano, lo spirito comincia a creare l’amore. Si toccano, qualcosa passa. Muoiono, muoiono, muoiono senza fine. Chi saprà mai le procreazioni nei fiumi del nostro passato? Chi conterà i pesci danzanti sulle spiagge degli antichi mari? Chi udrà il battere mai udito di quella risacca? Chi piangerà i conigli delle pianure, le morbide maree del lemming? Muoiono, muoiono, muoiono ma hanno toccato qualcosa e qualcosa passa. Lo spirito balza via, crea incessantemente corpi nuovi, ricettacoli sempre più complessi che portino avanti lo spirito, lo passino, ingrandito, a coloro che seguono. I virus diventano batteri, diventano alghe, diventano felci. L’impeto dello spirito spezza la pietra, spinge in alto l’abete odoroso (…) l’anemone diventa calamaro, diventa pesce; lo scodinzolamento diventa nuoto, diventa strisciare; il pesce diventa lumaca, diventa lucertola; lo strisciare diventa cammino, diventa corsa, diventa volo. Le cose viventi si protendono l’una verso l’altra, lo spirito balza tra di loro. Il tropismo diventa fiuto, diventa fascino, diventa concupiscenza, diventa amore. Dalla lucertola alla volpe alla scimmia all’uomo, con uno sguardo, con una parola noi ci attiriamo, ci tocchiamo, moriamo, serviamo lo spirito senza saperlo, lo portiamo innanzi, lo tramandiamo. Sempre più alato, questo spirito, sempre più grandi i suoi balzi. Amiamo qualcuno che è molto lontano, qualcuno che è morto tanto tempo fa.

 

Il cammino tortuoso dello spirito

Se lo si osserva da vicino, si vede che il cammino dello spirito è tortuoso, è il luccichio lasciato da una chiocciola nella foresta notturna; ma dall’alto le piccole sinuosità si fondono in un corso regolare e continuo. L’uomo ha raggiunto un’altura dalla quale può volgersi indietro a guardare. Per migliaia di anni la pista è sgombra e al di là, nonostante la foschia, per altre migliaia di anni si vedono molte cose. L’orizzonte è milioni di anni dietro di noi. Oltre i meandri errabondi della nostra ultima marcia, si stende un sentiero splendente che corre dritto attraverso quella vasta distesa. Non è stato l’uomo a cominciarlo né sarà lui a compierlo, ma è lui che lo traccia, ora, che trova i valichi, taglia i canali. Di chi è la via che facciamo avanzare in questa maniera? Non è dell’uomo, poiché vi è contenuta la nostra prima impronta. Non è della vita, poiché quando la vita non era ancora il sentiero c’era già. Il viaggiatore è lo spirito: ora esso passa attraverso il regno dell’uomo. Non creammo noi lo spirito, non lo possediamo, non possiamo definirlo, ne siamo solo i portatori. Lo raccogliamo da forme dimenticate e incompiute, lo portiamo per la durata della nostra vita, lo tramanderemo, aumentato o diminuito, a coloro che seguiranno. Lo spirito è il viandante, l’uomo è il vaso.
Lo spirito crea, lo spirito distrugge. La creazione senza distruzione non è possibile; la distruzione senza creazione si alimenta della creazione passata, riduce la forma alla materia, tende all’immobilità. Dalla primordiale nebbia della materia fino alle galassie a spirale e ai sistemi solari precisi come un meccanismo, dalla roccia fusa fino ad un pianeta di aria, terra e acqua, dalla pesantezza alla leggerezza e alla vita, dalla sensazione alla percezione, dalla memoria alla coscienza; ora l’uomo regge uno specchio e lo spirito contempla se stesso…L’armonia tra uomo e natura la si trova nel proseguimento di questo viaggio lungo il suo antico corso, verso una libertà e una coscienza più ampie.

 

(“Spirit”. Da On Not Knowing How to Live, di Allen Wheelis, 1975, riprodotto su L’IO DELLA MENTE, D.R. Hofstadter e D.C. Dennett, Adelphi, 1985, p. 123)

 

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