Riflessioni sulla Psicosintesi
di Fabio Guidi indice articoli
Psicoanalisi e psicosintesi
Marzo 2011
Lo psichiatra Roberto Assagioli è noto per aver fondato un orientamento terapeutico a cui ha dato il nome di Psicosintesi, che rientra a pieno titolo tra le correnti esistenzialiste in campo psicologico. In una lezione tenuta all'Istituto di Psicosintesi il 6 marzo 1971, La psicologia e l'esistenza umana, lo psichiatra fiorentino dice:
“Il fatto stesso di esser vivi, di esistere, indipendentemente e in rapporto con gli altri, l'essere-nel-mondo, secondo l'espressione di Heidegger, pone di fronte a una serie di situazioni che si possono chiamare 'esistenziali'. Sono le varie tappe della vita, dalla nascita alla morte fisica; l'atteggiamento verso il male, la sofferenza, le malattie. Inoltre l'ampia serie dei rapporti interpersonali...; il problema dell'isolamento e della comunicazione; infine l'atteggiamento verso la natura, il mondo in generale e l'universo.”
Tutto questo implica che l'uomo compia delle scelte, in base ad un progetto esistenziale, a dei valori, e che attribuisca un significato del tutto personale alla propria vita. Di conseguenza, implica pure l’attenzione per la funzione integrativa e sintetica della terapia, che, per Jung e ancor più per il suo amico ed estimatore Assagioli, costituisce un aspetto imprescindibile della pratica analitica.
La problematica relativa al rapporto tra i due momenti della “psicoanalisi” e della “psicosintesi” all’interno del trattamento, ha suscitato ampie polemiche nel panorama della psicoterapia contemporanea. Per Freud la «psicosintesi» era un problema semplicemente inesistente. Nel 1919 pubblicava Vie della terapia psicoanalitica, articolo nel quale viene affrontato il tema dell’analisi e della sintesi nel trattamento psicoanalitico.
“Noi abbiamo analizzato il paziente, ossia abbiamo scomposto i suoi processi psichici nei loro costituenti elementari, individuando in lui questi elementi oggettuali, separatamente e isolatamente. Non è forse naturalissimo che si debba anche aiutarlo a ricomporli in una nuova, migliore combinazione? [...] Ci è stato detto che all’analisi di una mente malata, deve seguire una sintesi [...e] ne è seguito un movimento inteso a dare esclusiva importanza a questa sintesi, considerata il fattore primo dell’effetto terapeutico. Però io penso... che questa psicosintesi non c’imponga alcun nuovo compito. [...] Infatti, il paziente si presenta in realtà a noi con la psiche dilaniata, scissa dalle resistenze. A mano a mano che la analizziamo ed eliminiamo le resistenze, essa si reintegra. La grande unità che chiamiamo Io ricompone in sé tutti gli impulsi istintuali, che prima si erano scissi e separati da esso. Dunque la psicosintesi si attua durante il trattamento analitico, senza il nostro intervento, automaticamente e inevitabilmente.”
In definitiva, secondo Freud, la psicosintesi è, in una certa misura, inevitabile e si attua spontaneamente durante il processo psicoanalitico. Tuttavia, poco oltre lo stesso Freud ammette che
“gli sviluppi della nostra terapia dovranno procedere secondo altre linee, in primo luogo secondo quella direttiva che Ferenczi [...] ha recentemente definito «attività» da parte dell’analista. [...] Ciò apre un nuovo campo alla tecnica analitica, che richiederà una lunga applicazione e comporterà regole nuove e ben definite”.
Freud si riferisce alle cosiddette “tecniche attive”, le quali presuppongono che l’analista non limiti il suo intervento all’opera di svelamento, ma cerchi la collaborazione della volontà dell’individuo. Ferenczi riteneva che tali tecniche dovevano essere utilizzate soprattutto nell’ultima fase del trattamento, per impedire che il transfert stesso si trasformasse in una coazione e per promuovere uno “svezzamento della libido”, superando la dipendenza dalla figura dell’analista.
Le tecniche attive di cui parla Ferenczi consistono essenzialmente in “comandi” o “divieti”, cioè in suggerimenti tesi a evitare nei pazienti certi comportamenti (acting out) tali da sottrarre preziose energie psichiche al lavoro analitico, oppure ad incoraggiare altri comportamenti più creativi al di fuori della situazione analitica, permettendo così il manifestarsi di affetti intensi e facilitando il recupero di materiale rimosso.
Ebbene, non è forse vero che Freud in Prospettive future della terapia psicoanalitica, scritto nel 1910, suggeriva di proporre ai fobici di affrontare “uno stato d’ansia ormai fortemente mitigato”, cioè di rivivere, certamente non “fin dal principio della cura”, la situazione temuta? E la stessa regola dell’astinenza, enunciata da Freud al Congresso di Budapest del 1919, non è forse un divieto inflitto al paziente e, quindi, tale da essere annoverato tra le tecniche attive?
Ciò che, in definitiva, caratterizza le tecniche «attive» (da intendersi anche nel senso che è richiesta una maggiore ‘attività’ da parte dell’individuo) è l’accento posto sulla volontà, una volontà tesa al superamento della coazione a ripetere gli atteggiamenti, esteriori e interiori, sclerotizzati.
Sottolineare il ruolo della volontà equivale a richiamare la funzione coordinatrice dell’Io e costituisce l’aspetto centrale della «psicosintesi». Al riguardo, possiamo affermare quanto segue:
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La psicosintesi non è qualcosa di alieno dalla psicoanalisi, come lo stesso Freud sembra suggerire, ma costituisce una fase avanzata della stessa, oppure un intervento terapeutico successivo al trattamento analitico vero e proprio.
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Ciò significa che la psicosintesi non può essere attuata fin dall’inizio, se non in quei rari casi per i quali è superfluo, o non indicato, un trattamento analitico.
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In questo senso, la psicosintesi richiede una sufficiente integrazione e un adeguato sviluppo delle funzioni dell’Io: la volontà, innanzitutto, ma anche la sintesi, l’osservazione pura, la consapevolezza corporea... Ciò presuppone, in genere, un serio lavoro preparatorio con i classici strumenti psicoanalitici.
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La psicosintesi prevede un rapporto terapeutico diverso rispetto alla psicoanalisi: solo dopo avere elaborato le reazioni di transfert negativo e aver desessualizzato quello positivo, tale rapporto viene a fondarsi su un’amichevole fiducia che poggia sull’autorevolezza esistenziale dello psicosintetista e sull’importanza attribuita alla comune ricerca interiore. Diciamo che il sottile equilibrio, che s’instaura durante il trattamento analitico, tra nevrosi da transfert e alleanza terapeutica viene ad evolversi in favore di quest’ultima.
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La psicosintesi utilizza alcuni procedimenti ‘attivi’, che fanno leva essenzialmente sull’alleanza terapeutica e sull’allenamento della volontà. Una volta che la persona ha riconosciuto i suoi principali blocchi regressivi, che ha ricomposto in misura soddisfacente i suoi dualismi e le sue scissioni e che ha raggiunto un adeguato sviluppo delle funzioni dell’Io, ebbene, è arrivato il momento di mettersi al Lavoro.
L’obiettivo è quello di trasformare la propria personalità, dandole un’impronta più autentica. In questo senso, la persona è esortata a prendere delle decisioni, a cambiare abitudini, a esercitare e sviluppare le sue funzioni… insomma, ad agire. Pertanto, l’aspetto analitico, anche in psicosintesi, non è trascurato, ma perde progressivamente la sua caratteristica riduttiva per assumere una prospettiva più evolutiva. Lo scopo della psicosintesi èaiutare la persona a trovare la propria via, cioè a scoprire l’intero arco delle proprie potenzialità, e incoraggiare a sondarle, realizzando la proprianatura.
Fabio Guidi
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