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Riflessioni sulla Psicosintesi

Riflessioni sulla Psicosintesi

di Fabio Guidi     indice articoli

 

Sul narcisismo - 3

Marzo 2014

 

Nel precedente contributo parlavo delle idee di grandezze del narcisista, le quali nascondono inevitabilmente illusioni di vario tipo. Tali idee di grandezza si nutrono del disprezzo: per la debolezza, l'impotenza, l'incapacità, l'insuccesso, l'insicurezza, la dipendenza; in altre parole per il bambino bisognoso che non si è potuto essere. Tutto questo è, in realtà, il disprezzo per il proprio vero , e nasconde il sentimento profondo di non significare nulla senza le qualità di cui il narcisista deve fare continuamente mostra. «Ciò significa: senza queste prestazioni, senza queste doti, mai potrei essere amato, mai sarei amato. [...] La grandiosità garantisce il persistere dell'illusione: sono stato amato» (Miller 1982).

 

Non è per niente facile affrontare questa illusione. Giulio è un commercialista di successo che da un po' di tempo si sente «sballottato». Si percepisce come il classico professionista stressato: «Fare soldi e lavorare come un mulo non mi va più; nella vita esistono altre cose». Suo padre ha sempre desiderato che primeggiasse a scuola e sul lavoro, ma adesso Giulio cerca lentamente di acquisire una nuova mentalità che racchiude nello slogan «meno successo e potere e più importanza alle relazioni». Sente che vuole «fare qualcosa per gli altri, ma non so cosa». Emerge subito, in barba alla presunta autonomia narcisistica, la sua tendenza a plasmarsi sulle altrui aspettative. «Ho paura di tradire le aspettative di chi ho di fronte e allora cerco di capire che cosa vuole da me per assecondarlo... Gli altri si aspettano da me chissà cosa!» E poi conclude «con mio padre ero acquiescente». Dopo circa un mese dall'inizio dell'analisi, durante una seduta gli faccio notare che tende a definirsi spesso uno «stronzo». «Sono falso dice e questo mi fa schifo, ma mi consente di esercitare il potere. Amo stare con le persone di potere, anche se mi fanno schifo». Queste considerazioni consentono di indagare sul rapporto di Giulio con i genitori. Emerge, allora, un mondo infantile dominato dal controllo possessivo da parte della madre, succube del padre, e dall'umiliazione da parte di un padre irraggiungibile, che voleva la supremazia. Ma, soprattutto, l'analisi di un sogno fa emergere un profondo senso di desolazione. «Non c'è nessuno intorno a me... Mia madre m'impediva di avvicinarmi agli altri. Mi metteva in guardia di fronte al mondo e mi diceva «quello che conta sei te; gli altri li devi fregare». Dice che non si fida di sua madre, anche se da bambino si nascondeva dietro di lei. Nei giorni successivi Giulio sta male. «In settimana mi sono sentito strano, scisso tra l'aspetto narcisistico e il baratro che c'è dietro. Oggi mi sembrava di essere uno zombie, sento un grande vuoto. Il non senso di tutto. Se ci vado dentro ho l'impressione che è come se mi spaccassi in tanti frammenti. Sono completamente apatico». Questo stato schizoide è messo dallo stesso Giulio in relazione con «l'espressione spaventosa» di sua madre. Dopo appena due mesi dall'inizio, afferma di voler interrompere l'analisi: «Ho bisogno di fermarmi con l'analisi, per un po' di tempo, per salvaguardarmi». Era un suo diritto: vedeva crollarsi un intero mondo addosso. Il narcisista, più degli altri disturbi del carattere, ha da perdere molto nell'analisi. Si tratta di «investire nella perdita», ma non molti sono disposti a correre questo rischio.

Quando si permette all'analisi di sondare strati più profondi della personalità, emerge il mondo affettivo «reale» della propria infanzia, caratterizzato da scarso rispetto, coazione al controllo, manipolazione e pressione ad alte prestazioni. Non di rado appaiono atteggiamenti umilianti che arrivano fino all'ironia ridicolizzante, al cinismo e al disprezzo. Ecco come si esprime Alice Miller:

 

«Uno dei cardini dell'analisi è che i pazienti con disturbi narcisistici arrivino a una comprensione emotiva del fatto che tutto l'amore che essi si erano conquistati con tanta fatica, a prezzo dell'autorinuncia, non riguardava affatto l'individuo che essi erano in realtà: l'ammirazione per la loro bellezza e le loro buone prestazioni era rivolta alla bellezza e alle prestazioni di per sé e non al bambino reale. Dietro la buona prestazione si affaccia nell'analisi il bambino - piccolo e solo - che si chiede: Come sarebbe andata se di fronte a voi ci fosse stato un bambino cattivo, rabbioso, brutto, geloso, pigro, sporco e puzzolente? Dove sarebbe finito, in tal caso, tutto il vostro amore? Eppure, io ero anche tutto ciò. Ciò non vorrà dire, forse, che non io fui amato, ma ciò che fingevo di essere? Che ad essere amato fu il bambino educato, ragionevole, scrupoloso, capace di mettersi nei panni degli altri, il bambino comodo che non era affatto un bambino? Che cosa ne è stato della mia infanzia? Non ne sono stato forse defraudato? Mai potrò recuperarla. Fin da principio sono stato un piccolo adulto. E delle mie capacità, non se ne è poi abusato?»

 

Solo quando arriva a permettersi tutta la sofferenza e il lutto che erano stati negati, l'individuo può ritrovare finalmente l'accesso al vero sé.
Se così stanno le cose, in quale misura possiamo parlare di indipendenza e autonomia nell'orientamento narcisistico del carattere? La supposta «autosufficienza», accennata da Freud, non è forse la facciata di un profondo disagio e di un disperato bisogno dell'altrui considerazione? I tratti «grandiosi» che caratterizzano il narcisista, non sono forse delle «compensazioni» a sentimenti d'insignificanza? Allora, le due scelte oggettuali di cui parla Freud, quella «per appoggio» e quella «narcisistica», si rivelano essere due atteggiamenti esistenziali complementari, ma entrambi improntati alla dipendenza.
Il primo tipo di scelta oggettuale sarebbe appannaggio di quegli orientamenti della personalità che tradiscono, senza alcun dubbio, una spiccata mancanza di autonomia all'interno delle loro relazioni. Tendono ad appoggiarsi agli altri nell'espletamento dei compiti sociali, si assumono malvolentieri delle responsabilità, hanno difficoltà a compiere delle scelte in prima persona, preferendo seguire le decisioni prese da altri, mostrano un'insicurezza sul piano affettivo tale da richiedere continuamente il sostegno altrui, sono facilmente condizionabili, e così via. Potremmo definire questi modelli di personalità «sotto-compensati», cioè non sufficientemente equipaggiati per ovviare alle esigenze di adattamento dell'ambiente sociale. In effetti, gli individui di questo tipo presentano invariabilmente delle difficoltà adattive.
Sul versante opposto, abbiamo gli individui che possiamo chiamare «sovra-compensati», le personalità narcisistiche, con tutti quei modi specifici in cui l'ego ha saputo o potuto rafforzarsi, «gonfiarsi», diventare ipertrofico per tappare le falle sottostanti. Un ego «gonfiato» è tipico di colui che ha sviluppato una serie di illusioni riguardo a se stesso: di essere al di sopra dei comuni mortali, di essere autosufficiente e di poter fare a meno degli altri, di non poter ricevere nulla da loro, ma solo dare, offrire i propri talenti e la propria generosità, ecc.
In definitiva, per fuggire dal confronto con sé stesso, l'essere umano può seguire due strade: può reclamare, esigere attenzione, protezione e sostegno, come il bambino bisognoso e dipendente, ma, all'opposto, può anche trincerarsi dietro una patina di autosufficienza, di forza e di inattaccabilità, come il genitore onnipotente e onniscente. Dal momento che queste ultime tendenze sono emerse come reazione difensiva alle tendenze precedenti, appare ovvio che sono perennemente in conflitto con esse.
Con due precisazioni. La prima è che entrambi gli atteggiamenti sono presenti, in varia misura, in ogni individuo, uno in maniera egosintonica e cosciente, l'altro in maniera egodistonica e inconscia. La seconda è che tali atteggiamenti sono speculari, perché l'uno trova nell'altro la sua ragion d'essere, vediamo regolarmente, nella vita degli uomini, legami - di coppia, di amicizia o altro - dove il ruolo passivo (essere curati, protetti, guidati...) e quello attivo (dominare, guidare, occuparsi di qualcuno...) sono ben delineati. Un partner tende ad appoggiarsi all'altro, il quale, a sua volta, fonda la sua pretesa e illusoria identità sul fatto che qualcuno ha bisogno di lui.

 

Non posso concludere il seguente contributo senza almeno accennare a ciò che è da definirsi «la vera autonomia», in opposizione alla pseudo-autonomia narcisistica.
Purtroppo, la psicologia si è interessata più dell'homo patiens, cioè alla patologia psichica, che non degli aspetti sani e creativi dell'espressione umana. Per di più, una certa tendenza della psicoanalisi, in un'ottica del «sospetto», ha contribuito a squalificare i contributi più fecondi ed elevati del pensiero e dell'azione umani, riducendoli a ingenui mascheramenti dei nostri impulsi più elementari, qualcosa di «umano, troppo umano». Come si sa, a questo stato di cose ha cercato di ovviare l'approccio «umanistico-esistenziale», la cosiddetta Terza Forza della psicologia, di cui la Psicosintesi fa parte. A questo proposito, gli studi di Abraham Maslow sulle persone in via di realizzazione, nelle quali l'autonomia si presenta come una delle caratteristiche principali, fanno ancora scuola.
In riferimento alla personalità «matura», egli dice che «gli onori, la collocazione sociale, le ricompense, la popolarità, il prestigio e l'amore che può venire dagli altri è meno importante dello sviluppo personale e della crescita interiore». Di contro, abbiamo visto che la personalità narcisista è insaziabilmente affamata di tutto ciò che costituisce un riconoscimento sociale.
Inoltre, la persona in via di realizzazione trascende il conformismo che rende l'individuo schiavo della buona opinione degli altri. Costui, «quando si adatta al modo di agire delle altre persone, è fondamentalmente come uno straniero in terra straniera. Pochi lo capiscono, anche se riesce molto gradito agli altri. Spesso si rattrista, si esaspera e si irrita degli spropositi delle persone medie, [...e] a volte, si tiene lontano da loro». Spesso questo può provocare incomprensione, perché scambiato per freddezza, snobismo, mancanza d'interesse. Eppure, questi individui manifestano un vero spirito cooperativo, solidaristico, perché sono «problemacentrici e non egocentrici», cioè meno intenti a curare i propri piccoli interessi egoistici, e più inclini a sentire un qualche compito personale nella vita, e ciò li induce ad una maggiore responsabilità di fronte agli altri.
In definitiva, la vera autonomia si raggiunge oltre la posizione narcisistica, la quale mira ad un puro rafforzamento dell'ego, della rappresentazione mentale di sé, e si autocelebra in una chiusura all'interno del proprio mondo interno, insensibile ad ogni autentico confronto con l'altro.


     Fabio Guidi

 

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