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Sacro? Concetto umano e laico da de-divinizzare
Febbraio 2018
“Umano, troppo umano” ci ammonisce Nietzsche e questa umanizzazione è l’operazione semantica che mentalmente ci avvicina alla cose e al senso della vita, laddove, al suo opposto, la divinificazione, santificazione, l’aldilà-izzazione, la religionizzazione le rende solo partecipi di un mondo fittizio, abusivo, illusorio, mistificante, ingannante.
Tutto è e può essere, basta pensarlo, mentre prima di pensarlo non c’era. Ma essere non vuol dire esistere, che ci è dato dalla sensazione, concetto fondante della psicologia buddhista, dalla percezione sensoria che ci proietta e ci ricostruisce nella mente l’ente “sentito”. Non so se Berkeley la intendesse così ma a me tale appare il suo “Esse est percipi”.
Sacro è per convenzione e accezione un termine bellissimo, pregnante, inambiguo che esprime una alterità di grande rango morale, un che di sur-reale nel nostro quotidiano realissimo mondo. Sacro è ciò che non si discute perché apoditticamente ed iconicamente già lo si “sente”, pertiene ad un magistero di illuminazione interiore.
Sacro è un termine non scomponibile, la decostruzione significativa non gli si attiene: è un tutto integrale e solido consolidato in quello che di vibrante ci comunica: imbarattabile, affascinante, estaticizzante nella sua bellezza allo stato nascente: la madre, la patria, la vita, la morte, l’amore diadico fusionale, il lato vincolante della sofferenza sono solo esempi.
Sacro è pertanto un significante estremamente laico per un significato estremamente spirituale ed etico: se così non fosse, lo si declasserebbe ad una parola-amuleto o ad un orpello della fumosità liturgica ovvero a modesto contrafforte dell’enfasi oratoria.
Relativizzare si impone, nella complessa e composita realtà, per sfuggire alla pietrificazione del pensiero derivante da approcci dogmatici, per dar corpo alla valenza del dubbio, per non negare gli esiti rivelatori della scienza moderna, ma relativizzare non è il temuto nichilismo dei valori, anzi, proprio il relativizzare fa emergere l’”altro” che è insito nel sacro, nella sua commistione di amore, dolore, mistero della vita e della morte.
Il sacro si nutre di sacro, è una umanissima vicissitudine della condizione umana, allo stato puro, senza l’impostura di adulterazioni o attribuzioni metafisiche, divine, religiose, mistiche. Anche il sacro è “umano, troppo umano”.
Sacro è anche lo smarrimento e l’anelito della Coscienza che “cerca” e non si arrende a dover “credere”.
Paolo Bancale
Dalla rivista NonCredo
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