Riflessioni al Femminile
di Rita Farneti - Indice articoli
Non me lo chiedete più.
La libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa
Dicembre 2022
Childless or childfree, this is the question! Il dubbio, legittimamente amletico, se corrispondere a dettami specie-specifici oppure contrastarli permane. Nel suo libro, dal titolo più che esaustivo ovvero Non me lo chiedete più, Michela Andreozzi, attrice e novella scrittrice, sposa una scelta, quella di non diventare madre.
Non sono poi così lontani gli anni nei quali la scienza iniziava ad offrire ogni possibile ausilio per evitare la procreazione.
Cinquanta anni fa era usuale, anzi più che legittimo, scegliere una sessualità che non prevedesse la procreazione, nei decenni a seguire sempre più si è invece imposto, grazie anche alla tecnica della Procreazione medicalmente assistita, il bisogno di riprodursi (favorito dalla stessa PMA). Con tutti i rischi, gli azzardi e le inevitabili diatribe - non ultima la perplessità che la scienza stessa possa farsi oggetto nelle mani dell’uomo - che ad oggi perdurano, fra etica e morale, religiosità e laicismo.
Sono posizioni talvolta decisamente conflittuali, spesso viste dentro un modello di vita relazionale che da una parte obbedisce a dettami insiti nel naturale e dall’altra propone il diritto di costruire relazioni liberamente intrecciate in una weltanschauung legittimante il concetto di cultura (rispetto all’ipotetica inconsistente consistenza di quanto s’accostuma usualmente intendere per natura).
L’autrice con una freschezza narrativa - che ne rappresenta forse l’aspetto letterario più incisivo - si mostra sicura di una propria interiore bussola ovvero decidere che il non avere figli possa essere chiamato semplicemente un diritto e non solo una scelta di libertà, ben spendibile davanti ad opportunità nuove, alimentate da un soggettivo ripensare il proprio ruolo all’interno della coppia.
Quasi una sorta di rivendicazione che può, ed a ragione, aggiungersi nel rileggere l’identità femminile non più (e solo) meramente inclusiva di maternità.
In effetti il testo diventa una specie di gioco degli specchi, attraverso i quali l’autrice sembra evocare, pagina dopo pagina, fino al fuoco di fila delle conclusioni finali, un dissenso, che si discosta dal comune sentire, o tale ritenuto, con argomentazioni pungenti, dando per scontata spesso in un potenziale interlocutore una forse blanda ed un po’ superficiale disapprovazione.
Possono esserci ragioni del cuore che la ragione non conosce?!?! Sono abitabili, addirittura consoni, equilibri nuovi, anche faticosamente raggiunti, nella soggettiva convinzione di non violare alcun confine, assisi dentro luoghi dell’anima non necessariamente inclusivi di una generosa (sempiterna e convinta) oblatività?!
Michela Andreozzi sottolinea un materno nel femminile sganciato dal vincolo specie-specifico, dunque non più prioritario. Pieno e sacrosanto è il diritto a svolgere una professione appagante, alla quale dedicarsi totalmente al pari di uomini, consapevoli le donne quanto spesso si scandisca disallineato un tempo del lavoro rispetto al tempo della cura.
Se l’autrice da una parte non avvalla sic et simpliciter le convinzioni che legano l’identità femminile alla funzione materna, dall’altra annota meticolosamente le argomentazioni denunciate con maggiore frequenza, per lo più incastrate nella perplessità di una scelta, ritenuta dai più obbligata ed obbligante.
Certo, ammette egoismi e paure, soprattutto la scomodità di decisioni a dir poco impopolari, totalmente controcorrente. Nella complessa polisemia del termine cultura, suo malgrado mal coniugato dentro una vaga obsolescenza semantica, il concetto di natura diventa a sua volta complesso da definire. L’essere madre rimane, ad avviso di Michela Andreozzi, una scelta personale, così come altrettanto altamente soggettiva è la percezione del materno dentro di noi. Occorrono ragioni potentemente coerenti, coraggiose, in grado di contrastare il potere soporifero degli stereotipi, fuori dal coro dei luoghi comuni, per conoscere e riconoscere la complessità e profondità del bisogno di decidere del proprio destino e la fatica di negoziare, in termini di dipendenza/autonomia, la relazione con l’altro da sé.
Forse è proprio questa la paura maggiore nella donna: il rischio di essere fagocitata dalla funzione materna sembra spingere nella direzione di rafforzare i propri confini, rivendicando un cambio di rotta rappresentato dal vivere una solida precarietà nella forma di un realistico disincanto.
Rita Farneti
Indice Riflessioni al Femminile
Bibliografia
Michela Andreozzi, Non me lo chiedete più. La libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa, Harper Collins, Milano, 2018.
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