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Ipazia: Riflessioni Filomatiche

di Danilo Campanella

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Il termine cultura tra significato e significante

Gennaio 2014

 

La cultura è erudizione, dottrina, sapere, quel bagaglio di conoscenze e di pratiche acquisite che vengono trasmesse di generazione in generazione. E’ intesa in senso sempre più largo e onnicomprensivo, fin forse ad annullare qualsiasi sua identità e significato.  Il termine « cultura » deriva dal verbo latino « colere », coltivare, benché a volte abbia rappresentato meglio altri due significati: colonizzazione e culto. La prima, quando essa vuole imporre un’egemonia, fagocitando altre credenze, altre dottrine , altri significati acquisiti e, la seconda,  quand’essa si pontifica ereggendosi a sistema dogmatico.

 

La forma di depravazione culturale più evidente è l’informazione di massa, di cui il ministro di culto è il prete-medium, il giornalista di stato. Nelle scuole dell’ « obbligo » nulla s’apprende : a scuola si studia, ma « studere », deriva da desiderare, mentre schola, scuola, deriva dal greco antico scholeion (scholeion), da scholé(scholé), significa « tempo libero », e nel tempo libero, si sa, non si studia: si ozia. Non di quell’ozio che noi intendiamo, ma indica un'occupazione principalmente votata alla ricerca intellettuale, l’otium, contrapposto a negotium, termine che indica occuparsi dei propri affari, di chi appunto sta in negozio. Dunque lo studio non ha nulla a che fare con la scuola e, di questo, i passati ministri alla pubblica « distruzione » non se ne sono crucciati affatto, anzi, se ne son beati. Han preferito formare le giovani generazioni a pagar la marchetta, a diventar clienti e consumatori, che non godono quando pagato, perché han pagato, e non godono quando concedono, perché si depauperano; eppure pensano a completare il meccanismo che fa capo ai soldi. I soldi sono il chiodo fisso di coloro che, lavorando dalla mattina per mangiucchiare qualcosa la sera, ne hanno sempre meno. Chi non lavora aspira a diventare ingranaggio della macchina, ad essere stritolato. Non c’è più nemmeno quella ignoranza agreste, bucolica, ma è rimasta l’ignoranza più arrogante, l’opinionismo di massa vanitoso da palinsesto televisivo. A ciò preferirei un vero, genuino cretinismo. Il cretino come essere di creta, come vaso in cui si può metter dentro qualcosa, il vaso di creta, l’essere fragile contenitore aperto alla varietà delle cose infinite. Invece ci tocca rimpiangere anche lui, il cretino totale.

 

   Danilo Campanella

 

 

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