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Riflessioni Iniziatiche

Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito

di Gianmichele Galassi

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La Repubblica di Hiram: utopia massonica

Dicembre 2011

  1. Introduzione

  2. La Repubblica di Utopia

  3. La Repubblica di Hiram: utopia massonica

  4. Conclusioni

 

Quando mi è stato chiesto un articolo sul tema di “Utopia” ho accettato di buon grado: non capita spesso l’occasione di una speculazione filosofica che possa tradurre in lettera quelle convinzioni generatesi nel profondo della mente lungo il corso di tutta una vita…

Come vedremo, il concetto di Utopia racchiude in sé una moltitudine di concetti e significati, ma sicuramente quello più intrigante resta legato al suo aspetto primigenio, ossia la costruzione mentale di una società ideale: sogno di ogni uomo con qualunque grado di saggezza sarebbe realizzare un siffatto tipo di società nella quale le sofferenze umane fossero almeno alleviate.

A ben riflettere è quello che l’umanità sta faticosamente tentando di costruire sin dalla sua nascita: un cammino sovente segnato da un percorso accidentato, quasi sempre in salita, pieno di trappole che causano frequenti cadute, ma sempre in avanti alla ricerca della felicità, nel disperato tentativo di affrancarsi dalle proprie disgrazie, fonti inesauribili di sofferenza.

 

Utopia MoreIntroduzione

Il non (ôu) luogo (tópos) è certamente un richiamo alla meraviglia del tutto e del nulla, ed incarna l’idea stessa di “modernità” intellettuale: quel concetto di “moderno” che si innesta in un ambito strettamente qualitativo piuttosto che temporale. E’ un archetipo di tutto ciò che può rientrare nell’umanesimo, ossia in quell’antico filone del “libero pensiero”,  capace di restituire dignità all’uomo che pensa liberamente con il proprio cervello.

Utopia rappresenta appunto la liberazione dall’«ispirazione persuasiva» di un’autorità secolare, libertà che prende piede da La Republica di Platone, addirittura tre secoli prima di Cristo.

Utopia è un’isola mentale circondata da un mare inquinato dal preconcetto sociale, là, nel “non luogo”, vige la sola legge dell’umanità, è l’unica eccezione nello sconfinato spazio della regola, unica luce nel buio profondo dell’ignoranza.

Utopia è il “nessun luogo” ove regna la felicità, quella felicità che, per ogni teocrazia, l’uomo sembra non meritarsi in vita e che si riduce a premio dopo un’esistenza di stenti e sofferenza.

Utopia è il sogno, tutto umano, di felicità: pratica, quotidiana, terrena; quella felicità capace di affrancarti dalla pesante altrui volontà.

L’utopia si realizza, appunto, nell’emancipazione dell’uomo dalle promesse, nella volizione a far egli per sé stesso.

L’utopia è il paradiso terrestre, l’Eden… ha chiaramente qualcosa di divino, riscontrabile immediatamente nell’ignota e sacra essenza dello stile – divino, appunto - che pervade il concetto.

Di Utopia condivido quella di More, di Erasmo caratterizzata dal cammino con sé stessi verso la “méta” della vita: mentre non voglio credere a Stendhal quando afferma l’assenza di una méta, certamente questa convinzione, insieme al disinteresse, è un’ulteriore liberazione di noi stessi, liberazione che, però, reputo superabile con il duro lavoro di una vita dedita alla scoperta di sé e degli altri.

Infine utopia è il sogno di poter vedere oltre ciò che vedono i nostri occhi: capire, percepire, penetrare ciò che siamo.

Il “non luogo” per eccellenza è quello dell’anima, dello spirito, dell’«idea» e della felicità.


utopia


La Repubblica di Utopia

Probabilmente More, molto più di altri, aveva colto nel segno quando, descrivendo la sua Repubblica, attraverso le parole di Raffaele, aveva affermato che il principe, gli ambasciatori, i sacerdoti ed i controllori anziani (i protofilarchi o tranibori) fossero scelti fra gli studiosi. Studiosi che divenivano tali in base alle proprie attitudini e restavano tali in base ai risultati ottenuti; quindi non una casta sociale, ma il meglio scelto relativamente al merito (1): i giovani vengono tutti avviati allo studio, ma proseguono nelle specializzazioni soltanto coloro che dimostrano di poterlo fare.

Debbo dire che ho sempre condiviso gran parte del suo pensiero, che deve essere necessariamente attualizzato, ma che trae dal principio stesso la sua forza, in virtù della “bontà” dell’idea.

Basti pensare al gioco dei vizi e delle virtù, che oggi proponiamo sotto altra forma, ma della medesima sostanza, all’interno dei templi massonici…

Oppure l’esercizio dello Spirito e della Cultura nel tempo libero, attività che conduce l’uomo alla felicità. Ecco riaffacciarsi il Santo Graal dell’umanità, quell’inafferrabile sensazione, quell’effimero stato, definibile in una sola parola: felicità!

Ci sono molte ricette che indicano come prepararsi la felicità, la cui distinzione maggiore può forse individuarsi nella felicità personale, ottima e ricercabile ma non completa (o, meglio, assoluta), e quella collettiva, capace di innalzare l’intera comunità, facendo rapidamente progredire l’umanità intera.

La felicità qui trattata è quella del secondo tipo, assoluta, capace di espandersi e di irradiarsi al vicino, compiendo il miracolo dell’«armonia del tutto».

 

La Repubblica di Hiram: utopia massonica

Riallacciandoci al paragrafo precedente potremo percorrere l’esegesi dell’idea sociale massonica o, più precisamente, di quell’idea che – a parer mio - scaturisce dai principi e valori fondanti questa istituzione iniziatica. Certamente un richiamo allo stato sociale vigente in Europa nei secoli dal XV al XVIII può far meglio comprendere la forza che spinge alcuni a sognare qualcosa di diverso, qualcosa capace di escludere o, almeno, allontanare la pratica del “tutti contro tutti”.

Quella, fu un’epoca segnata dal pregiudizio, dalla lotta per il predominio sul prossimo, dove le ombre sembravano aver totalmente sopraffatto le pur flebili luci della speranza: il fanatismo dettava le regole di un impero diabolico, fondato sul terrore e l’ignoranza, era un luogo in cui la giustizia era stata completamente dimenticata a favore del guadagno e del potere, insomma un tempo intriso di morte e disperazione per il più debole. La caccia alle streghe, alle eresie, e l’Inquisizione Vaticana avevano lungamente prorogato il dominio del male e dell’ingiustizia, le guerra di religione avevano fatto il resto… In tutto questo, alcuni illuminati, a rischio della propria vita hanno portato avanti, innalzandoli a vessilli, i valori più nobili, rendendosi conto che questi stessi rappresentano l’unica caratteristica che ci rende umani.

Fu così, in pieno caos, che alcuni decisero di unirsi per combattere le tenebre che opprimevano gran parte del mondo conosciuto: ecco gli ideali illuministici, basati sul principio di libertà, giustizia e fratellanza, che culminarono nel tentativo di alfabetizzazione europea con la realizzazione della prima grande enciclopedia, così come auspica il Cavaliere Ramsay nei suoi celebri discorsi del 1736 e del 1737. Per l’Europa del periodo fu una vera rivoluzione culturale animata dalla scienza della Royal Society e dalle altre Accademie scientifiche che prosperavano nei pochi territori “liberi” (2): apertura mentale, uguaglianza e meritocrazia, assiomi della ricerca scientifica, dettero il via ad un movimento transnazionale che affondava le sue profonde radici nella tolleranza.

Fu così che gli uomini giusti cominciarono a sognare un futuro diverso, ricavando dalla migliore cultura millenaria dell’uomo quei landmarks, o capisaldi, che si identificarono nei valori più elevati dell’umanità, cercando di arginare – tramite impegno e scienza – egoismo e bassi impulsi animali che risiedono nell’uomo.

Scacciando superstizioni, pregiudizi ed ignoranza derivati direttamente dalla paura inculcata nel popolo contro il popolo, si iniziò diffondendo quello che prima dall’allora solamente alcuni avevano compreso: la fonte del male terreno come quella del bene non è un’entità esterna, ma è l’uomo stesso. Proprio così, per la prima volta, l’umanità intera poteva comprendere che la causa principale della propria sofferenza era individuabile in se stessa: progredendo, elevandosi poteva riaccendere quella luce che per lungo tempo era rimasta spenta.

L’idea di una società fondata sulla paura divina lasciò rapidamente spazio ad una prospettiva reale di miglioramento che trovò terreno ancor più fertile nel nuovo Mondo, la cui natura multietnica e pluriculturale favorì una forzata intesa a fronte del paventato e totale auto-annichilimento. Ecco la nascita dell’Età dei Lumi e del “sogno americano”, che in parte riuscì ben oltre gli esperimenti di Campanella in Calabria o di Cabet nel Texas.

Tutto questo si è tradotto nel più alto ideale che l’umanità sia stata capace di concepire: l’Universalità massonica. Ecco la base innovativa dell’utopia massonica, l’universalità umana, o più semplicemente la cultura del “noi” a dispetto del “loro” nella comprensione della convivenza nella diversità, della tolleranza dell’altrui pensare.

 

Conclusioni

Di certo non ho la pretesa di essermi cimentato alla pari con le numerose ed illustri menti che hanno affrontato il tema di uno stato ideale e perfetto, ove vige il principio di assoluta uguaglianza giuridica ed economica del cittadino, nella volontà comune di esaltare la virtù in sfavore del vizio. Ma almeno ho avuto un’ulteriore occasione di sognare, evitando lo spauracchio “realista” che sovente conduce ad una méta apologetica del fattibile, ovvero a sostenere l’insana politica “di quel che si fa e si è soliti fare”.

Sognando, possiamo allontanare la triste idea hobbesiana dell’homo homini lupus, abbracciando invece uno stile basato sulla fratellanza universale, ove il buon senso possa vincere sulla forza ed il potere…

Quale miglior modo di concludere se non con le parole di More stesso: “… non mi riesce di essere d’accordo con tutto quello che Raffaele ha detto, anche se so che è un uomo estremamente colto e saggio. Ma in tutta libertà riconosco che mi piacerebbe vedere applicate in Europa molte delle istituzioni della Repubblica di Utopia. Ho poca speranza, però, che il mio desiderio si avveri.”

 

Gianmichele Galassi
Da "La Repubblica di Hiram: utopia massonica" di G. Galassi.
Il Laboratorio vol.91:26-27, Turri Editore, Firenze, 2011


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NOTE

1) E’ quindi chiaro come debba essere la scienza a condurci all’Utopia e non viceversa, contrariamente a quanto affermato da Engels: lo scienziato, ossia colui che ama e si dedica alla scienza, lo fa per passione e nulla più, per cui è chiaro come ogni sacrificio a tal fine non ha lo stesso peso sulle spalle di colui che ha una volontà tanto forte…

2) Giova ricordare alcune prestigiose accademie nate in Toscana in quel periodo, quali l’Accademia delle Scienze di Siena detta de’ I Fisiocritici (1691) o l'Accademia dei Georgofili (1753), con sede in Firenze.


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