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Riflessioni sulle scienze

Riflessioni sulle Scienze

di Alberto Viotto    indice articoli

 

Il gatto quantistico

Marzo 2008

  • Le onde e l’interferenza

  • L’interferenza degli elettroni

  • L’onda di probabilità

  • L’interpretazione di Copenhagen

  • La carta nascosta

  • La camera del gatto

  • L’uscita dal paradosso

 

Il gatto di Schroedinger Il paradosso del “Gatto di Schroedinger” venne proposto nel 1935 da Erwin Schroedinger (1887-1961) [N.d.r. scritto anche: Schrödinger], uno dei fondatori della meccanica quantistica. Secondo questa teoria gli oggetti non possono essere descritti con precisione, con conseguenze paradossali: una particella si può trovare in più di un posto contemporaneamente, un elettrone può passare attraverso barriere invalicabili. Questi effetti, però, sono confinati al mondo microscopico: nella realtà di tutti i giorni non percepiamo nulla di simile. Nel caso del paradosso di Schroedinger, invece, la m.q. sembra applicarsi ad un gatto “quantistico”, invadendo il campo delle normali esperienze. Per risolvere questo paradosso dobbiamo applicare il paradigma quantistico anche all’esperienza quotidiana.

 

 

Le onde e l’interferenza

   Per comprendere i fenomeni quantistici serve una parentesi sui fenomeni ondulatori, come le vibrazioni che si producono in una corda tesa quando viene pizzicata. Le onde che si formano sulle corde di uno strumento come il violino si trasmettono all'aria che le diffonde sotto forma di onde sonore. La lunghezza d'onda caratterizza l'altezza del suono; minore la lunghezza d'onda, più acuto il suono. Il violino, le cui corde sono corte, produce un suono di tonalità più alta rispetto al contrabbasso.
    Anche la propagazione della luce rientra nel campo della teoria ondulatoria; la luce è composta da onde elettromagnetiche. In questo caso la lunghezza d'onda determina il colore della luce; la radiazione con lunghezza d'onda maggiore (poco meno di un millesimo di millimetro) ha colore rosso, quella con lunghezza d'onda minore (circa mezzo millesimo di millimetro) violetto. La normale luce atmosferica, la luce "bianca", è composta dall'insieme della luce di tutti i colori, in cui può essere scomposta. Un esempio di scomposizione naturale della luce è l'arcobaleno, nel quale sono identificabili tutte le lunghezze d'onda visibili; la luce rossa si trova ad una estremità, la luce violetta all'estremità opposta.
    Gli esperimenti di laboratorio confermano la natura ondulatoria della luce; ad esempio i raggi luminosi possono fare osservare fenomeni di diffrazione ed interferenza. Se si fa passare un raggio di luce attraverso uno stretto forellino e si raccoglie la luce sullo schermo, si osserva una macchia luminosa con i bordi colorati (la figura di diffrazione), spiegabile dalla teoria ondulatoria.
   Per rilevare l’interferenza si fanno passare raggi luminosi attraverso un cartone con  due sottili fenditure; chiudendo prima l'una e poi l'altra si osservano due figure di diffrazione. Mantenendole invece tutte e due aperte non si osserva la sovrapposizione delle due figure di diffrazione, come ci si aspetterebbe, ma una successione di frange scure e luminose - la figura di interferenza, che può essere spiegata con la teoria ondulatoria. Nei vari punti dello schermo la luce proveniente da ciascuna delle due fenditure percorre una distanza diversa; nella posizione centrale il percorso è identico per i due raggi luminosi, spostandosi verso l'una o l'altra delle fenditure il percorso del raggio proveniente dalla fenditura più vicina è più breve rispetto a quello del raggio che viene dalla fenditura più lontana.
   Se la differenza di percorso è uguale alla lunghezza d'onda della radiazione (o ad un suo multiplo) i due raggi luminosi si trovano entrambi nella parte "alta" o nella parte "bassa" dell'onda, per cui si sovrappongono e si osserva una luminosità elevata. Se invece la differenza di percorso corrisponde a metà della lunghezza d'onda (o ad un suo multiplo più un mezzo) la parte "alta" di un raggio viene ad incontrarsi con la parte "bassa" dell'altro raggio, per cui i due raggi si annullano a vicenda e si osserva una frangia scura.

 

L’interferenza degli elettroni

   Le particelle studiate dalla meccanica quantistica, come l’elettrone, sono di dimensioni infinitesimali. L'elettrone è uno dei componenti dell'atomo, assieme a protone e neutrone. Normalmente è rappresentato come una particella, con la sua massa e la sua carica elettrica. Questo modello è sfruttato in numerose applicazioni pratiche, come i raggi catodici.
   In alcuni esperimenti, però, l’elettrone si comporta in maniera sorprendente: se ad esempio si modifica l’esperimento delle due fenditure, sostituendo alla sorgente di luce una sorgente di elettroni ed allo schermo un rivelatore di particelle, si osserva una figura di interferenza (una successione di zone colpite da molte particelle e di zone colpite da pochissime particelle). In questo esperimento gli elettroni sembrano comportarsi come onde.

 

L’onda di probabilità

   La meccanica quantistica permette di spiegare l’interferenza degli elettroni associando loro delle onde. L’onda che descrive l’elettrone, però, non è un’onda ordinaria, ma un’onda di probabilità. Ogni particella è descritta da una funzione d’onda che indica la probabilità che essa si trovi in una determinata posizione.
    L’interferenza tra gli elettroni si verifica perché una certa quota di probabilità di un elettrone passa da una fenditura ed un’altra quota di probabilità passa dall’altra fenditura. L’elettrone passa da entrambe le fenditure.
   L’aspetto più curioso è che non ci si può chiedere da quale fenditura sia passato un elettrone. Se mettessimo un contatore di elettroni su una delle due fenditure sapremmo con esattezza se un elettrone è passato da una fenditura o dall’altra, ma allo stesso tempo il fenomeno di interferenza scomparirebbe.

 

L’interpretazione di Copenhagen

   Le formule della meccanica quantistica sono molto precise nel prevedere i risultati degli esperimenti, ma la loro interpretazione è controversa. L’interpretazione che abbiamo descritto è detta “interpretazione di Copenhagen” dalla città di Niels Bohr (1885-1962), che la propose nel 1927. In questa interpretazione il concetto di “processo di misura” è fondamentale. Prima di una misura, l’elettrone si trova in uno stato indefinito; possiamo solamente calcolare la probabilità dei risultati che la misura potrà dare. Il processo di misura implica una interazione tra lo strumento e l’elettrone, per cui è possibile che dopo la misura lo stato del sistema sia diverso.
   Nel caso dell’esperimento delle due fenditure, l’elettrone si trova in una mescolanza di stati che genera interferenza. Per sapere a quale stato effettivamente appartenga (e quindi da che fenditura sia effettivamente passato) dobbiamo effettuare una misura; possiamo, per esempio, mettere un rilevatore di particelle su ogni fenditura. La misura ci dice in quale dei due stati si trova l’elettrone (si dice che la misura fa precipitare lo stato); di conseguenza, dopo la misura non si potrà più osservare interferenza. Effettuando la misura abbiamo scoperto che una delle due onde non esiste, e quindi essa non può interagire con l’altra onda. Se invece non sappiamo quale delle due onde effettivamente esista, esse possono interagire tra loro.
   Questa interpretazione ci costringe a ripensare il significato dei fenomeni fisici. Secondo l’interpretazione di Copenhagen, un fenomeno non è tale fino a che non viene osservato. Se non misuriamo la posizione dell’elettrone, non possiamo sapere da quale fenditura passi e anzi questa è una domanda priva di senso. In questo modo possiamo concepire l’idea che l’elettrone passi contemporaneamente da entrambe le fenditure.

 

La carta nascosta

    Immaginiamo che in una partita a carte il nostro avversario sia rimasto con una sola carta; dall’andamento dei turni di gioco precedenti sappiamo che questa carta può essere soltanto un Re di picche o un Asso di cuori. Secondo il nostro normale modo di pensare, questa carta è di fatto un Re di picche o un Asso di cuori. Quando la carta viene girata, ci limitiamo a prendere atto della situazione.
   Se invece interpretiamo questo esempio con i criteri della meccanica quantistica, la carta si trova in uno stato indefinito, 50% Re di picche e 50% Asso di cuori. Solo quando giriamo la carta questa assume uno dei due valori possibili. Non è facile adeguarsi a questo modo di pensare e non sorprende che molti fisici, come Albert Einstein, lo considerassero inaccettabile:

 

“Sembra difficile poter dare un’occhiata alle carte di Dio. Ma che Dio giochi a dadi come la attuale teoria quantistica gli richiede, è un fatto che non posso credere neppure per un solo momento.”

 

“Le teorie di Bohr mi interessano moltissimo, tuttavia non vorrei essere costretto ad abbandonare la causalità stretta senza difenderla più tenacemente di quanto abbia fatto finora. Trovo assolutamente intollerabile l'idea che un elettrone esposto a radiazione scelga di sua spontanea volontà la direzione del salto. In questo caso preferirei fare il croupier di casinò piuttosto che il fisico”.

 

La camera del gatto

   In tutti gli esempi che abbiamo visto le bizzarrie della meccanica quantistica sono confinate al mondo dell’infinitamente piccolo. Il paradosso proposto da Schroedinger, invece, sembra indicare che la meccanica quantistica può invadere il mondo macroscopico:

“Un gatto è posto all’interno di una camera d’acciaio assieme al seguente marchingegno: in un contatore Geiger c’è una piccola quantità di una sostanza radioattiva, tale che forse nell’intervallo di un’ora uno degli atomi decadrà, ma anche, con eguale probabilità, nessuno subirà questo processo; se questo accade il contatore genera una scarica e attraverso un relay libera un martello che frantuma un piccolo recipiente di vetro che contiene dell’acido prussico. Se l’intero sistema è rimasto isolato per un’ora, si può dire che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo ha subito un processo di decadimento. Il primo decadimento l’avrebbe avvelenato. La funzione d’onda del sistema completo esprimerà questo fatto per mezzo della combinazione di due termini che si riferiscono al gatto vivo o al gatto morto, due situazioni mescolate in parti uguali.”

 

   Il decadimento di una sostanza radioattiva (l’emissione di una particella da parte di un nucleo atomico che si trasforma in un altro elemento) è un fenomeno regolato dai principi della meccanica quantistica. Fino a che non effettuiamo una misura, non possiamo sapere se il decadimento ha avuto luogo. Il nucleo della sostanza radioattiva si trova in una mescolanza di stati, nucleo decaduto e nucleo non-decaduto, e soltanto una misura può fare in modo che assuma uno di questi due stati.
   Il meccanismo ideato da Schroedinger estende questa ambiguità al mondo macroscopico. Legando la sorte dell’atomo radioattivo a quella del gatto, si è costretti ad utilizzare il modello quantistico anche per quest’ultimo: fino a che non si effettua la misura (aprendo la camera d’acciaio), il gatto non è nè vivo nè morto: si trova in una mescolanza di stati. Il gatto va descritto da una funzione d’onda, che sarà una mescolanza dei due stati gatto-vivo e gatto-morto.

 

L’uscita dal paradosso

   Il concetto di incertezza di stato sembra assurdo se esteso ad un gatto o ad un altro essere vivente. Il gatto deve essere o vivo o morto, non riusciamo ad ammettere un’altra possibilità, come invece richiede l’esempio di Schroedinger. Per uscire da questo paradosso dobbiamo ripensare la nostra visione del mondo. Normalmente riteniamo che, al di fuori di noi, vi siano cose che esistono indipendentemente da noi; il gatto esiste, e questo implica che debba essere o vivo o morto.
   Proviamo invece ad accettare completamente il paradigma dell’interpretazione di Copenhagen: quando un oggetto o un essere vivente non influenza i nostri sensi (in altri termini, non viene misurato) possiamo dire di sapere qualcosa su di esso? Fino a quando non apriamo la gabbia del gatto (il che equivale ad effettuare una misura) ha senso chiederci se sia vivo o morto? Rispondere negativamente a queste domande non ci porta a conseguenze assurde. Le nostre concezioni non riflettono le cose come stanno là fuori, ma semplicemente ci servono, ci permettono di fare fronte all’ambiente naturale in cui ci troviamo. Chiederci come siano le cose là fuori indipendentemente da quanto possiamo osservare (chiederci se il gatto sia vivo o morto prima che la gabbia venga aperta) è privo di senso. Il paradosso del gatto può essere risolto soltanto attraverso questo cambio di prospettiva.

 

     Alberto Viotto

 

Se qualche lettore trovasse questo articolo interessante o ne volesse discutere, all'autore farebbe piacere ricevere delle e-mail all'indirizzo: alberto_viotto@hotmail.com

 

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