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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Maciej Bielawski

Agosto 2013

 

Maciej Bielawski, nato in Polonia, da oltre vent’anni in Italia; studioso di varie tradizioni religiose e filosofiche, scrittore e pittore; autore di una quindicina di libri tra cui di recente in Italia ha pubblicato la monografia Panikkar. Un uomo e il suo pensiero (Campo dei fiori, Fazi Editore, 2013) e Tragedia folle. Mondo letterario di Vittorino Andreoli, (Narcissus.me, 2013 - ebook); per conoscere di più il suo pensiero e le sue opere si può visitare il sito: www.maciejbielawski.com

 

1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?

Io non credo che le grandi domande nascano principalmente dall’esperienza del dolore. Il dolore può anche stordirci e paralizzare totalmente il pensiero. Lo stesso vale per la felicità che può rendere spensierati e superficiali. La sofferenza e la felicità possono ogni tanto spingerci verso le domande fondamentali, ma non ne sono né un garante né una condizione sine qua non. Pensare diversamente proviene dalla visione contorta della realtà, perché suppone che bisogna soffrire per cercare il senso della vita e le risposte alle grande domande, si dovrebbe concludere che bisogna soffrire per essere felici. Insomma, la realtà sarebbe perversa e io mi rifiuto di vederla in tal modo. Felicità è una parola che ha subito una inflazione, preferisco parlare di serenità che possiede un tocco di serietà, di responsabilità, di riflessione. Per me la felicità ha qualcosa di eccessivo e di momentaneo, perciò preferisco parlare della serenità che è segnata dalla tranquillità ed è duratura. Rincorrere la felicità rende infelici, la serenità invece si raggiunge, perché ci raggiunge, la si riceve ma anche crea. Perciò non rincorro la felicità,  ma aspiro alla serenità che associo a libertà, serietà, pensiero profondo, tranquillità, creatività di vario tipo e anche a  qualcosa di inesplicabile e senza nome che emerge nel silenzio.

 

2) Dott. Bielawski cos’è per lei l’amore?

Propongo di togliere dalla sua domanda le prime quattro lettere con il puntino “dott.” che mi sembrano paralizzanti, soprattutto nel discorso esistenziale che qui facciamo. Mi è difficile costruire il ponte tra “dott.” e “amore”.

L’amore non è una “cosa”, come sfortunatamente suggerisce la domanda, ma la luce in cui ogni cosa è percepita, pensata e vissuta. L’amore non può essere né “cosificato” né definito. Ne parliamo usando delle metafore. Per me l’amore è come un vento che smuove tutto, come il profumo che riempie ogni angolo. In queste frasi importante è la parola “come” che indica l’inesprimibile. L’amore è la relazione o piuttosto il relazionarsi,  perché è agire e essere, perciò bisogna usare il verbo (relazionarsi) e non un sostantivo (relazione). In questo relazionarsi alle persone, alle cose, al mistero della realtà, vedo, sono visto, so che vedo e sono visto, comprendo e sono compreso, e nonostante ciò rimango libero. Nell’amore c’è sempre un tocco concreto: un volto, una persona, una cosa, una pianta, un animale, una oggetto, un pensiero, un silenzio. Questo tocco, che sembra un punto, nell’amore è come una finestra attraverso la quale fluisce la luce che mi illumina e che illumina tutto.

 

3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Io non me la spiego soprattutto perché non ne esiste una spiegazione. Tutte le spiegazioni sono frammentarie, consolatorie, illudenti e di breve durata. Il desiderio di voler avere la spiegazione a proposito della sofferenza la aumenta, proprio perché non può essere soddisfatto. Questo non vuol dire che non mi pongo la domanda. Io sto dentro la sofferenza e la domanda al proposito mi trafigge come una lama. Ma vorrei affermare che la sofferenza non è l’unica dimensione che ci circonda, caratterizza e penetra. Per questo siamo in grado di opporci ad essa, domandarci e cercare di alleviarla. Bisogna farlo costantemente, sempre in un modo nuovo e con gentilezza.

 

4) Cos’è per lei la morte?

Non lo so e finché sono vivo non posso saperlo. La morte non può essere afferrata mentalmente, la percepiamo come un orizzonte che ci circonda in ogni momento. Sembra che la morte sia inevitabile, naturale e importante, perciò bisogna viverla bene. La morte è un limite e, grazie ad essa, sperimento la mia contingenza. La morte è un contenitore in cui la vita è vissuta. Si vive la morte a misura di come si vive la vita. Ma vale anche la direzione apposta: si vive a misura di come si sa morire. Ma tale riflessione è possibile e lecita solo per chi ha vissuto almeno un po’ di tempo e non vale per la morte violenta che stronca la vita giovane o appena spuntata. In tale caso la morte mi sembra una sfida, una ingiustizia, una disgrazia.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

Per concretizzare gli obiettivi della vita bisogna riflettere e agire. Il pensiero deve sfociare nell’attività e l’attività deve generare il pensiero. È una relazione vitale,  permanente e senza una conclusione da cui gli obbiettivi emergono, vengono precisati e modificati. Pensare e agire, agire e pensare vuol dire vivere. Vivendo, l’uomo realizza se stesso, diventa se stesso, che è l’obiettivo principale dell’esistenza, accompagnato da obiettivi minori. Questi ultimi sono come i gradini  di una scala che porta sulla cima. A me piace tenerli nascosti, non parlarne, ma realizzarli, perché il parlare diminuisce la forza misteriosa che vibra dentro di me, che mi spinge alla creatività. Senza svelare i miei segreti direi che in questo momento vorrei ripensare alcuni grandi temi dell’umanità, condividerli in qualche scritto. Vorrei anche dipingere nuovi quadri e camminare nei vasti spazi della terra, ma mi lascio anche libero, pronto a modificare questi “obiettivi minori” o a rinunciarvi totalmente per intraprendere  sentieri finora sconosciuti che potrebbero risultare necessari per salire sulla cima.

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Non tanto da compiere, quanto da costruire o piuttosto da creare. Non credo che esista un piano già prefissato che noi dobbiamo solo scoprire e realizzare. Per esempio, l’idea di un dio che ha già predisposto tutto per tutti è un brutto demone che ogni tanto affligge l’uomo. Noi creiamo e modifichiamo la nostra esistenza, collaborando con la dimensione divina, con gli altri e con il mondo materiale. Ma questa creatività è libera. Possiede alcune coordinate, ma la varietà delle possibilità è infinita. Anche le coordinate non sono rigide. È come in pittura: abbiamo alcuni colori e il tema che vogliamo dipingere, ma perché e da dove mi è venuto proprio questo tema?; come esso si modifica mentre dipingo!; come sorprendente è il mescolare dei colori e il risultato finale! E poi c’è anche l’invisibile, senza il quale la pittura non esiste. Nella creatività artistica abbiamo a che fare con un’idea di base (un tema), un materiale di partenza (colori, pennelli, sfondo), le persone per le quali creiamo (si dipinge sempre per qualcuno), ma anche un misterioso “nulla” che si infila realizzando un’opera (l’ignoto che attira nella creatività). Ogni opera in qualche modo è sempre una creatio ex nihilo. Lo stesso vale per la vita che è una opera d’arte per eccellenza e una creatio ex nihilo in ogni momento.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

A dir il vero la questione dell’individualismo finora non mi si è presentata come un problema, ma questo forse è stato causato dal fatto che sono cresciuto in un paese totalitario dove si insisteva sulla “società” e poi ho vissuto dentro una chiesa con la sua idea di “comunità”, a scapito dell’unicità della persona.

Non credo poi neanche agli schemi evolutivi o involutivi delle culture, perché sono riduttivi, illudenti e fuorvianti. La realtà è troppo ricca e complessa per essere appiattita entro uno schema di evoluzione, progresso o involuzione, regresso. Ogni cultura possiede i suoi vantaggi e i suoi svantaggi e l’arte della vita sta nel servirsi dei primi e sfruttare bene i secondi. Penso che il rischio dell’individualismo sta nel solipsismo che soffoca chi si è chiuso dentro di esso e distrugge la vita intorno, ma d’altra parte lascia sempre la porta aperta alla vera libertà in cui l’uomo diventa se stesso e proprio come tale vive con e per gli altri.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Da una parte si fanno riconoscere da sé e io sono convinto che siamo capaci e liberi di riconoscerli. Basta prendere in considerazione i tre principi simbolici: rispettare la vita, perseguire la verità, realizzare la bellezza... Ma non esistono definizioni e regole predefinite, rivelate una volta per sempre. Bisogna stare attenti, domandarsi sempre, di continuo perfezionare la propria attività e la riflessione intorno al bene e al male. Scegliendo una volte per tutte, la vita, la verità, la bellezza, in ogni momento comunque bisogna operare delle scelte.

 

9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

Ma l’ignoto è affascinante! Angosciante e terrorizzante è anche il mondo in cui tutto è spiegato e accertato. L’uomo deve voler vivere l’ignoto il cui altro nome è mistero. Lo stesso vale per una vera filosofia o piuttosto per la vita filosofica. Pensare la vita secondo uno schema (cripto-hegeliano): religione, filosofia, ragione è una storiosofia cronologica piuttosto sbagliata che si è fatta strada sulle ali dell’idea di progresso e di evoluzione. Ecco le cose che sono intorno a me e che mi sostengono nell’esistenza, presenti e misteriose; ecco il cosmo misterioso che mi circonda, che è intorno e dentro di me, così famigliare e così strano; ecco gli altri con cui condivido i sentimenti, i pensieri, la vita, così vicini e così lontani; ecco io stesso, mi conosco e di continuo cerco di comprendere questo straniero che sono per me stesso.

In questo cammino di grande aiuto mi sono state e sono: lunghe camminate e periodi di meditazione, frequentazione e lettura di grandi autori di diverse epoche e culture, incontri e dialoghi con gli amici, viaggi e incontri, la solitudine e la vita di emigrazione che offre l’opportunità di distanziarsi dalle cose ovvie e scontate. Ma aggiungerei anche il silenzio orante, lo scrivere e il dipingere.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Stare dentro tale domanda. Stare con essa dentro la vita e con la voglia di vivere. Saper rischiare e ricominciare da capo in ogni momento.


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