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Riflessioni sul Senso della Vita

Riflessioni sul Senso della Vita

di Ivo Nardi

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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Max Manfredi

Maggio 2010

 

Max Manfredi. Artista obliquo, giocoliere ed alchimista del dire cantando. Canzoni calibrate e vertiginose come una giostra di fine ottocento. Racconti di mare, di viaggi, città e metropoli, storie d’amore e di disincanto, schiaffi e carezze, evocazioni di scene meridiane o crepuscolari. Una musica onnivora, meteoropatica, poeticissima. Una presenza magnetica sul palco. Un poeta della scena che, per lucidità ironica e potere visionario non ha eguali oggi in Italia. Fabrizio De André lo ha definito “il più bravo„ mentre Roberto Vecchioni ha detto di lui: “E’ un capostipite (…), è uno che ha bazzicato col romanzo, con la poesia, col dialettale, con la canzone e senza, è un capace, uno che non posso nemmeno limitare con il termine di cantautore.”
Il suo ultimo album, “Luna persa” ha vinto la Targa come miglior disco dell’anno nell’ambito del Premio Tenco.
Sito web ufficiale www.maxmanfredi.com

 

Proviamo...
Domande così variegate e apparentemente ponderose avrebbero bisogno forse più di un dialogo, di un contraddittorio, che non di risposte ad un formulario.
Ma insomma, rispondo come in qualche convivio, in cui si può scusare l'ubriachezza, se non è troppo molesta. Se debbo suggerire una mia canzone propendo per "Cattedrali".

Grazie dell'invito.

 

1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?

Già dire che "rincorriamo" la felicità la situa in un altrove, ne fa un'utopia. Nella concezione della felicità c'è il ricatto della durata. Il pensiero di essa è divaricato fra un senso di benessere, di completezza, che è o può essere del "presente"; e un desiderio volto a qualcosa che non c'è, o che non c'è ancora: fosse anche la durata stessa del momento di benessere presente; durata che "non c'è ancora".
La felicità può essere anche traumatica, il momento folgorante in cui si ottiene, o sembra di ottenere, qualcosa che si sente proprio e che non si possedeva o non si incontrava fino ad allora.
Ma il suo paradosso sta proprio nel convivere, all'interno dello stesso concetto, di un senso avventuroso, immediato, lancinante, qualcosa di vertiginoso, che ha a che fare con la perdita e la finitudine; e di una pretesa di durata.

 

L'infelicità può, sì, temprare la consapevolezza, ed anche condurre all'azione; ma è anche un potente narcotico, e coloro che soffrono di "depressione" ne sanno qualcosa.

 

Vorrei ricondurre qui i due concetti al loro vago valore etimologico: "felice" ha la stessa radice di "fecondo, fertile".
La "felicità" diventa quindi qualcosa che travalica l'individualità e persino il senso personale del benessere o del piacere. C'è felicità dove c'è fertilità. Un individuo infelice può avere un'intuizione felice. La felicità creativa non coincide spesso con il benessere personale.

 

"Infelice" è chi non dà frutti, sterile. Chi è infelice è spesso viziato dalla sua stessa accidia, quindi non crea frutti. O sembra non crearne (bisogna vedere poi quali frutti: artistici? psicologici? etici?).

 

2) Cos’è per lei l’amore?

Come certi popoli del nord hanno tanti diversi nomi per dire il bianco e la neve, così si dovrebbero avere diversi nomi per indicare "gli amori". I vari tipi di amore, spesso in contrasto tra loro, a volte misteriosamente contaminati.
I Greci almeno davano alla dea dell'amore attributi diversi, a seconda delle dinamiche con cui agiva, dei luoghi che abitava.
Quale invariante sembra fondare questi diversissimi tipi di amore, che non è qui mestieri citare, che si eludono e si combattono e si intrecciano a vicenda?
Mi pare sia l'attrazione fra due poli, che avviene fra la somiglianza e la differenza.

 

Le varie sfaccettature dell'amore (che appartengono anche a campi semanticamente distanti e refrattari od ostili fra loro, quando non si danno appuntamenti in luoghi insospettabili) fanno come i colori dell'iride nel cerchio girato con energia: sfumano in un bianco indistinto.

 

L'amore sta forse tra le maglie della sua impossibile definizione.
L'amore è legiferante, ma non sopporta di "essere" legiferato. Ed è proprio quello che si tenta inesaustamente di fare.

 

3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Non lo so. Immagino sia una specie di attrito fra la volontà e la necessità. In tutti i campi, a cominciare da quello biologico.

 

4) Cos’è per lei la morte?

Un concetto oscuro, un limite del pensiero e dell'esperienza che si cristallizza in simboli di cui non possiamo fidarci ma che amano frequentarci (e amiamo frequentare).
Noi abbiamo coscienza della morte degli altri, e di ciò che la correda nella nostra esperienza: senso di vuoto, ospedali, bare, pianti, noia.
Oppure c'è il teatrino degli emblemi della Morte, la sua danza macabra inscritta nel nostro immaginario.
Ma l'esperienza della morte non l'abbiamo.
Guido Gozzano la chiamava "una cosa non tetra". Probabilmente è il classico esempio in cui la necessità biologica e la volontà individuale non riescono a collimare.
E la tetraggine dei suoi emblemi cannibalizza se stessa.

 

5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?

--- Se qualcuno "non è consapevole" di un percorso, il percorso, per lui, non c'è.
Che significa "percorso"? Da dove per dove? C'è una spia teleologica, in questa immagine? Vettoriale? O piuttosto labirintico, a spirale?
Di questi "cerchi nel grano" del pensiero son piene le mitologie sapienziali.

 

Noi siamo come i pastori erranti cantati (e cantanti) in Leopardi e Pascoli. Chi pascola la greggia, chi fa "il miele di sua vita" con l'illusione ronzante.
Ma siccome la vita è un continuo viaggio, tocca far sempre le valige, o almeno un fagotto, e decidere cosa metterci dentro. Cibo, vestiti, fiori... un quadretto, uno strumento, una bussola?

 

6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?

Non lo so. Posso solo porre il dubbio: rispetto a chi e che cosa?
Dubito sempre molto di un dovere non induttivo, di un dovere sancito all'esterno e che dall'esterno sancisce.

 

Se invece si intende "abbiamo da compiere" come "ci tocca compierlo", allora direi di sì.

 

7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?

Qui sono in franco disaccordo. Quest'epoca non esalta l'individuo, ma, al contrario, lo opprime dall'interno, lo svilisce e lo omologa. Gli schiavi di una volta subivano l'oppressione e l'ingiustizia, gli schiavi di oggi vi ristagnano.
E credo sia anche fuorviante parlare di"schiavi" come, appunto, di individui. Parlo piuttosto della "parte schiava" del cervello e dell'animo umano e sociale, è su quella che fanno leva le strategie del potere.
Quale potere? Non voglio dare qui altra definizione politica che quella di Leopardi: il "brutto poter che a comun danno impera". Ognuno faccia le sue con-siderazioni (e sprigioni i suoi de-sideri).
Le culture son roba forte. La nostra attuale società (posso aggiungere "italiana") è del tutto priva di anticorpi per difendersi da quella che, con comodità assiologica, veniva definita sottocultura; e che invece a me sembra una supercultura, una specie di pioggia di spore inquinanti che si depositano sugli strati precedenti, assimilandoli e rendendoli mostruosi.

 

8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Mi verrebbe da dire: finché possiamo riconoscerli, è segno che si camuffano!
Eppure ci sono, il bene e il male. Anzi, c'è il male. Non credo che il male sia assenza del bene, penso piuttosto che un ipotetico "bene" si crepi di quello che chiamiamo "male".
Il ritirarsi della divinità dalla creazione che determina il creato, questa mi pare una visione avvincente.
Stiamo attenti con Satana.
Non dimentichiamoci che, nella sua pretesa di eternità, è un'invenzione recente.

 

La domanda è: il bene, il male, come possiamo riconoscerli?
Non è una domanda un po', come dire, da play station?
Ma non è forse più semplice? Non cominciano loro a riconoscere noi?

 

9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?

--- Uhm. "In suo aiuto" mi sembra una parola grossa.
Certo, le religioni sono un apparato anche visionario e simbolico formidabile: hanno dato volto e forma ai terrori dell'ignoto, e persino l'apparenza di una scenografia alle sue gioie.
Hanno catalogato le angosce.
E soprattutto nelle loro mitologie hanno incessantemente evocato un processo, una fine, un fine.

 

Dubito anche un poco che "con la filosofia" sia arrivata "la ragione", come in un'allegoria settecentesca o in un vecchio film di cow boy.
Penso che la vicenda sia molto più intricata.
Cosa mi ha aiutato a far cosa?
L'uomo a volte è come un topo, terrorizzato dal noto (di cui soppesa il pericolo) e dall'ignoto (che il suo disperato istinto di sopravvivenza gli presenta come un possibile pericolo incombente e tanto più angoscioso).
La nostra vita sociale è (relativamente) sicura, anche se le macchie di sangue non mancano.
Questo però non basta a dare il benessere, o a liberarci dalle malinconie, o da quelle forme totalitarie di malinconìa che i medici chiamano, o chiamavano, nevrosi e depressioni.
Essere artefici della propria vita: non è un dettato da tromboni titanici, ma un'umile necessità. Ed è difficile anche solo averne il senso.

 

Cosa mi ha aiutato? Il vento, quand'è buono. La pioggia. Gli amici. Gli amori. L'amore. Il vino. Il tuono.

 

10) Qual è per lei il senso della vita?

Si confonde "senso" con "significato". Si cerca una base che fondi la vita al di fuori della vita stessa. Il "significato" della vita non lo conosco. Cerco di avvicinarmi al suo "senso".
Della poesia son più vicino alla lirica, stagionale e indugiante, che alla tragica, cieca e folgorante.

Il senso della vita è, etimologicamente, la sua percezione. Forse anche un vago ed esperto fiutare la direzione.
Forse è anche accettare la contraddizione, la danza dei pensieri, fino alla follia (possibilmente esclusa).


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