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Spiritualità del Mondo di Vincenzo Tartaglia

Spiritualità del Mondo

Massoneria teosofica. Simbolismo, Sacralità, Esoterismo, Reminiscenza, Profanità.
di Vincenzo Tartaglia   indice articoli

 

Massoneria agonizzante, tra Iniziazione e ignoranza

Prima - Seconda - Terza - Quarta - Quinta - Sesta parte - Settima

- Giugno 2016

 

La VITA è infinita, su livelli infiniti esperibili attraverso stati di coscienza parimenti senza fine, via via più spirituali ed elevanti.
Se tante vite peraltro ti occorrono, e tanti ritorni sulla Terra (reincarnazioni: tornate in Camera di Apprendista), è perché di molto Lavoro di perfezionamento e purificazione necessita la tua entità spirituale-animica (Maestro-Compagno: 5° anno muratorio), per avvicinarsi ulteriormente all’inarrivabile Perfezione. Sicché l’umiltà ti è necessaria, più di ogni altra virtù: è essa che, riscaldata dal vero Amore, ispira al Fratello i più alti pensieri ed i più fraterni sentimenti; lo sprona a migliorare senza sosta il Lavoro massonico, rafforzando in lui il convincimento ed il sentimento dell’illimitatezza della Costruzione e del perfezionamento.
Se l’umiltà fu per te il primo sostegno e la prima spinta, ora è la via maestra che dovrai percorrere. E’ la Voce che potrebbe parlarti interiormente così:
“… la Perfezione è soltanto temporanea: non si concede totalmente ma in momenti isolati, che fuggono e non appartengono a te. Essa è padrona e schiava di se stessa… Devi sempre valutare poca cosa ciò che hai, in confronto a ciò che ti manca e dovrai eternamente inseguire... Considera un dono divino, già la consapevolezza di ritenerti sempre imperfetto e perfettibile: divino è il desiderio stesso di aspirare alla Perfezione, sapendo di non poterla raggiungere né in questa esistenza né oltre! Potrai ritenerti degnamente eletto, quando mostrerai che nei tuoi più arcani desideri è l’Impossibile, il “Ciò” che appartiene a nessuno e a tutti.
… Non ti sfugga che l’INFINITO, ancorché irraggiungibile, è la sola vera META: ti è dunque concesso di desiderare in ogni momento e di costruire infinitamente, perché tu possa amare parimenti infinitamente…”
…così parla l’umiltà, al Fratello che avanza nel Buio…
Se allora ti credi potente, influente e determinante, sarà bene per te non illuderti che questa condizione possa a tuo vantaggio durare illimitatamente: non vivi all’interno di una fortezza inespugnabile, invincibile! Dove in verità tu speri di poter arrivare e troneggiare, altri sono già passati…: ormai essi guardano verso un Cielo più elevato, poiché nel destino di ogni culmine è il doversi “appiattire” al momento opportuno, affinché possano crearsi le basi per un’evoluzione superiore.
Se così non fosse, la COSTRUZIONE non sarebbe illimitata ma avrebbe una sommità: un culmine raggiungibile, che segna la fine dell’Iniziazione. Sennonché il cammino iniziatico è realmente infinito, poiché infinita è la capacità dello Spirito di evolvere. Se dunque un Venerabile, sul Trono del Tempio, mostra orgoglio e vanità, dovrà al più presto, per il suo stesso bene, spegnerli e trasformarli in Amore ed umiltà: soltanto così potrà servire nel miglior modo gli altri Fratelli, rinunciando ad essere (da questi) servito.
D’altra parte l’Amore spirituale, altruistico, non conosce sazietà e titubanze; non è mai fiacco: il suo cammino è lungo quanto l’umiltà, poiché questa è la sua vera Forza. E’ grazie all’umiltà  che l’Amore si fa piccolo, discende, cambia volto; rinuncia a ciò che ha, alla sua potenza; riprende volta a volta il cammino. Soltanto il divino AMORE è immutabile ed immobile (“testimone” indiviso), essendo ESSO stesso SPAZIO; ogni altro amore è destinato a muoversi e vagare infinitamente, per assumerNE sempre più le sembianze spirituali.
Se è guidato dall’intimo maestro (lo Spirito), il Fratello giudica i suoi atti d’amore tanto più meritori e sinceri ed efficaci, quanto più si dirigono verso i bassifondi e le lordure della Terra! Illuminato e sostenuto dall’umiltà, quel Fratello è in grado di amare ormai profondamente ed essenzialmente; contro se stesso, persino cercherà patimenti e miserie: esattamente ciò che i comuni individui invece temono ed allontanano, e di cui farebbero molto volentieri a meno!
Sennonché a troppi Fratelli, infedeli alla Luce e al Fuoco, sfugge l’affinità della vera potenza con la vera umiltà. Un autentico Maestro mai si sente tanto utile, appagato e troneggiante quanto nella condizione in cui, toccando i fondali della vita, ha la possibilità di soccorrere chi vi è stato scaraventato (…dalle occulte forze del male, che conficca la spada in ogni debolezza)!
Se tu giuri di amare con tutto te stesso l’umanità intera, probabilmente non convinci nessuno! Se invece, prodigandoti, mostri di amare un umile individuo bisognoso, confuso e dimenticato nello squallore dei suoi limiti, ebbene sarai amato al di sopra del tuo amore: tante anime prima o poi ti cercheranno, per imitarti nell’umiltà e costruire con te il bene comune.

 

Dal simbolismo del 2° Grado emerge la costante aspirazione del Compagno all’ascesa. La sua anima si lascia rapire dalle meraviglie spirituali del Cielo; con religiosità si volge alle eccelse entità immortali, per ricevere ispirazioni ed ammaestramenti. E’ giusto che sia così: similmente all’acqua, l’anima tende a tornare in alto. Bene.
Se un Maestro volta le spalle all’umiltà, significa che non ha ancora superato le turbolenze e le angosce dell’anima, ossia la condizione del Compagno. Troppi Maestri hanno gli occhi soprattutto sul Venerabile troneggiante: non avvertono la necessità di guardare in basso, verso il Fratello che pur amerebbe il loro sguardo e la considerazione, i loro insegnamenti.
Se inneggiando al FUOCO trascuriamo le umili Scintille (anime), mostriamo che il nostro amore è una finzione: e questo è certo.
I Maestri onorano tanto più la Luce ed il Fuoco, quanto meno distolgono  l’attenzione premurosa dal mondo del Compagno; sono da imitare indubbiamente, se con sincero trasporto e calda sensibilità considerano l’Apprendista: la sua solitudine iniziatica; l’impaccio, sulla via del perfezionamento; la condizione che egli vive nel silenzio dell’anima, costantemente messa alla prova dalle forze della terribile Pietra Grezza, la quale agisce nell’uomo come satana nell’universo.
Se davvero la Luce ed il Fuoco visitano di tanto in tanto la tua anima, Fratello Maestro, allora non ti è difficile capire questo: che il vero Amore è sempre pronto, per la gloria dell’AMORE, a ridursi umilmente in desiderio. Ciò affinché l’anima possa, secondo un divino disegno, riprendere più vigorosamente l’infinito Cammino: similmente del resto il fuoco, ridotto ad una scintilla, è suscettibile di riassumere le sembianze del fuoco… Come dunque pure ci viene trasmesso dall’antica inalterabile Saggezza, il grande non è sempre grande ed il piccolo non sempre piccolo: in virtù della coessenzialità, il grande ed il piccolo sono reciproci e si cercano; in modo analogo, interagiscono l’alto ed il basso.
Perciò al Maestro non dovrebbe sfuggire che, avendo raggiunto il massimo Splendore (Mezzogiorno in punto), deve predisporsi ormai a tornare nell’oscurità al fine di aiutare coloro che sono nell’anima ancora ciechi e tenebrosi! A chi infatti, se non ad un illuminato, potrebbe essere affidata la missione di soccorrere e guidare quanti animicamente vivono nelle tenebre, e ne sono schiavi? Appunto un Maestro, se infuso di vera Luce, ha nella Saggezza e nell’Amore la divina Forza per suscitare nei Cuori sentimenti nuovi e duraturi, fertili, degni di ascendere alle sublimi sfere degli Eterni Spiriti.
Destinati all’immortalità sono i desideri purificati dal Fuoco d’Amore, liberati dai malèfici influssi della Pietra Grezza: la quale infatti, erede della tenebrosità e delle imperfezioni terrene, tramite la sua forza disordinata (Perpendicolare) trattiene gli imperfetti individui quaggiù. Ebbene il Fuoco dell’Iniziazione agisce in modo che un Fratello, purificando i suoi desideri, cominci a provare una specie di nausea per le cose materiali e sempre più se ne allontani. Tale allontanamento accresce nell’anima l’incorporeo splendore: la rende simile all’Eternità, e gradita agli Eterni.
E’ dunque destinato a decadere ogni valore materiale, sulla Terra. Di ogni eccellenza, o supremazia, si perderà il ricordo; fortezze e reami saranno prima o poi polvere, al pari del nostro corpo fisico! Ma ditemi: questo scenario, che a tutta prima evoca la distruzione ed accende pessimismo, non annuncia forse l’alba di nuove vite e nuove forme? La distruzione è peraltro tanto necessaria al costruire, quanto la polvere è necessaria alla materia (e quanto la scintilla al fuoco). Diciamo che la COSTRUZIONE è infinita, poiché parimenti infinita è la polvere in tutte le sue potenzialità e mescolanze:
la polvere informe sonnecchia nella COSTRUZIONE, così come i primi barlumi di vita nel grembo di una madre.

 

Nel Tempio come nel mondo profano, il Maestro deve rappresentare un modello di saggezza e d’amore, di umiltà, equilibrio e riservatezza, di spiritualità nel senso più largo: pur sensibile alla concretezza e agli eventi, gli è necessario mostrare indifferenza verso tutto ciò che ha valore nel tempo, e poi nel tempo lo perde. Il suo interiore sguardo deve rivolgersi all’Eternità, nostra salvezza, ossia verso le cose spirituali che vivranno anche dopo che il tempo, riprendendosi quanto gli appartiene, avrà ricoperto di ruggine mortale i “vili metalli”: ogni valore materiale.
Le glorie terrene, tanto care ai vanagloriosi esterioristi (i quali sembrano meno vivi che morti, quando ne sono privati…), costituiscono un reale inciampo per il Fratello che aspira all’immortalità e ad un buon soggiorno ricreativo nell’oltretomba. Intanto egli deve mostrare, almeno ai Fratelli, di non temere la morte così come un comune mortale invece la teme; di poterla anzi affrontare serenamente. Tale serenità non è cosa da poco, e non per tutti: è condizione rara ed esemplare che si erge  sulla salda consapevolezza di avere,  tramite la purificazione interiore, condotto  già quaggiù un’esistenza essenziale e spirituale. La vita terrena è in questo senso una prova: se superata, riserva all’uomo un buon “salario” nell’aldilà.
Dalla Luce infatti apprendiamo che l’immortalità (o coscienza superiore, esperibile dopo la morte) è concessa agli individui che sulla Terra onorarono la Virtù, e che attraverso una rigida disciplina interiore seppero nelle cose passeggere cogliere il Seme dell’Eternità. Se allora un Maestro non riesce a smorzare la brama delle cose illusorie, di certo non si avvicinerà e non assomiglierà all’Eterno: con quale personalità e capacità guiderà gli iniziandi, verso l’eterna Quiete dello Spirito?
Il Fratello che percepisce l’energia vitale solo in ciò che si muove, è incapace di ravvisare il volto dell’Eternità nella compostezza sublime e paurosamente arcana della morte: il defunto appare infatti immobile poiché il suo corpo riflette la Pace celeste dello Spirito, rientrato nell’Eternità. Quale è dunque l’immagine umana, che più di ogni altra esprime l’eterna Quiete? E’ la salma!
Questa è dunque la figura antropomorfa della pietra… Nell’una e nell’altra è possibile ravvisare la condizione dello Spirito, nel suo mondo spirituale. Qui esso è talmente vivo, che a noi mortali appare morto…: ciò perché la vita spirituale scorre così velocemente, da sembrarci immobile!
L’Eternità è abbracciata allo SPIRITO: sono un’unica Cosa. Sono invero abbracciati ed immobili a motivo della loro velocità oltremodo elevata, percettibile solo spiritualmente. Dico che prenderemo realmente  coscienza della velocità spirituale, soltanto quando la nostra anima diventerà Spirito: allora spariranno le sofferenze legate alla corporeità, al divenire. Questo spirituale stato, è quanto chiamiamo divina Beatitudine: Pace e Quiete sovrasensoriali, nello Spirito che ritrova lo SPIRITO.

 

L’impassibilità del defunto mostra la felice condizione dell’anima, quando è risparmiata dal dolore. Tale condizione, la ritroviamo nell’immobilità e nell’indifferenza di una pietra: voglio dire che l’occhio spirituale, il quale percepisce il tormento nei fiori scossi dal vento… pure percepisce la beatificante Eternità nell’espressione impassibile e serena di una pietra, di una roccia, del defunto!
Allo spirito degli eletti Fratelli la morte non si presenta dunque come una punizione, un evento negativo e terrificante: non si manifesta come il capriccio di un’oscura, maligna entità. Dico che il morire si configura piuttosto come la possibilità che il Grande Architetto concede ai mortali affinché, passando dal mondo materiale all’oltretomba, possano assaporare i veri frutti dell’Amore eterno. Questa esperienza ultraterrena permetterà a determinati Spiriti, una volta tornati quaggiù, di spegnere l’amore egoistico.
I ripetuti passaggi nell’aldilà ci sono dunque richiesti (offerti?) affinché possiamo purificare noi stessi, spiritualizzarci, renderci sempre più simili e prossimi all’Eternità. Siamo eterni infatti, nello Spirito;… passeggeri e mortali, nel corpo. Nell’anima invece, apparteniamo al corpo e allo Spirito: a quale dei due, essa si avvicinerà?  In questo dubbio, effetto della dualità, sono nascoste le ragioni della sofferenza dei comuni mortali sulla Terra, e del loro folle terrore della morte.
Sennonché un Fratello illuminato nulla ha da temere dalla morte, poiché l’Illuminazione porta con sé il Fuoco purificatore. Grazie proprio alla purificazione, godremo di una migliore esistenza nell’aldilà: entrando nel mondo spirituale, l’anima purificata vivrà quindi una condizione di beatitudine persino più intensa e particolareggiata rispetto a quella vivibile, sulla Terra, durante un vivido e meraviglioso sogno!
I sogni sulla Terra, diventeranno celesti realtà…
Ma come piuttosto si presenta alla porta della morte, l’anima ancora impura e da sgrezzare? Si presenta confusa e con timore, nell’ignoranza e nell’incoscienza: la sua condizione è simile a quella del Compagno che, non assistito dallo Spirito e non illuminato, nell’Elevazione al 3° Grado avanza poco virilmente, mostrando impaccio e disorientamento!

 

   Vincenzo Tartaglia

 

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