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Spiritualità del Mondo di Vincenzo Tartaglia

Spiritualità del Mondo

Massoneria teosofica. Simbolismo, Sacralità, Esoterismo, Reminiscenza, Profanità.
di Vincenzo Tartaglia   indice articoli

 

Gli occhi e l'anima

- Dicembre 2015

 

L’anima è votata al movimento, essendo imperfetta ed in cerca di perfezione. Non deve quindi vivacchiare, o racchiudersi in se stessa, o irrigidirsi, ma possibilmente tendere verso l’Ego, lo Spirito divino che la protegge ed istruisce, la purifica, la libera dal corpo e da questo mondo illusorio, per condurla all’immortalità, nel Regno dell’Eterno Reale. Imitando e seguendo l’anima, gli occhi debbono con sacralità volgersi al cielo, come cercando l’aria e l’invisibile, anziché indugiare sulle cose terrene che alla lunga li spingerebbero all’indifferenza e all’irrigidimento.

Possiamo dire che l’anima si avvicina all’Eternità e vive sempre più divinamente (fuori del tempo e dello spazio), via via che il corpo sprofonda a causa della “terrosità”. Il volare dell’anima verso l’Eternità si configura quindi come la condizione contraria a quella in cui, essendosi sottomessa al corpo, deve seguirne la sorte, sprofondando e morendo. Sicché l’anima vive oscillando tra il Reale che è fisso, eterno ed invariabile, e l’illusorio che è invece mobile, variabile e mortale, ossia temporaneo.

Nessun individuo peraltro esaurisce l’energia vitale e “muore” (secondo il nostro linguaggio comune ed improprio), appunto perché il suo divino Spirito è indissolubilmente legato alla VITA infinita, reale, dico all’inesauribile ALITO che soffia l’immortalità su tutto ciò che passa e muta ondeggiando col tempo scorrevole. Mentre dunque nel nostro mondo illusorio assistiamo al penoso deperimento dei nostri simili, i quali finiranno nella polvere e perderanno la forma corporea, cosa in effetti sta succedendo (se così posso esprimermi) nel mondo della Realtà? Ebbene in questo spirituale mondo il nostro Ego vive tra le braccia e nel calore dell’Eterno, attendendo il ritorno dell’anima affine che durante la vita terrena già lo cercava, aspirando all’Eternità.

Più volte il corpo prende una forma e poi la perde, per ritornare alla materia informe; vive e muore, più volte; si manifesta e poi sparisce nell’ultraterreno, altrettante volte. Ma durante questi cicli duali, lo Spirito divino resta immobile nell’Eternità; non però impassibilmente bensì attivandosi e proteggendoci nei modi che soltanto l’Iniziato conosce e comprende, poiché, in Spirito, già vive nell’Eternità.

Attraverso passaggi dall’Invisibile al visibile e da questo a quello, si perfeziona l’anima: è come aprire e chiudere gli occhi, infinitamente! E non potremmo del resto intendere la cosa diversamente, dal momento che l’alternarsi del giorno e della notte mostra la supremazia della dualità, motore del mondo e del divenire: la verità che emerge da tutti i libri scritti è davvero poca cosa, rispetto a quella nascosta nel rincorrersi ed intrecciarsi continuo del giorno e della notte!

La Sapienza che la Terra invia a noi, per mezzo di questo rincorrersi, è tanto indubitabile da lasciarsi percepire addirittura dagli occhi. I quali infatti captano l’albeggiare e culminare, il tramontare e l’oscurarsi del sole; ossia i passaggi dal mondo manifesto all’occulto, e poi i percorsi inversi. Tramite il giorno e la notte, le albe e i tramonti, la Terra mette alla prova l’anima: percepirà essa unicamente movimento ed illusioni, oppure, evitando di cadere nel tranello e andando oltre, sarà salvata dalla progressiva visione del Reale nascosto nell’illusorio?

L’anima non vive la medesima condizione, quando vede spiritualmente o tramite gli occhi materiali. In verità essa è se stessa, se vede in maniera duplice: ossia quando, grazie alla vista spirituale, estrae il Reale dal mondo illusorio percepito materialmente dagli occhi fisici. E’ una magia? Un miracolo? Una creazione?... E’ in effetti ciò che riesce all’Onnipotenza divina!

L’uomo è un miracolo divino: è dunque divino quando è miracoloso!

E’ il caso di dire: ciò che gli occhi vedono e riferiscono all’anima, non è totalmente ingannevole. Anzi nasconde una scintilla di Verità, una sola scintilla, divina, più verace di tutte le conclusioni alle quali sono insieme arrivate, e arriveranno, le menti degli individui più geniali!

 

Cosa desiderano e si aspettano gli occhi che scrutano il cielo, lo contemplano e vorrebbero perforarlo fino all’essenza del Vero? Ebbene essi osano, per conto dell’anima, interrogare gli eterni dèi. Ma con quale disposizione l’anima si volge all’Eternità: con arroganza, oppure umilmente? Per vanagloria, o perché spinta da autentico amore per la conoscenza e l’ignoto? L’anima illuminata non osa porre domande alle divine Entità, circa i terribili misteri della vita e della morte, ma piuttosto cerca di attrarle per avere la loro teosofica Sapienza, dalla quale avrà risposte veritiere ai quesiti che la tormentano.

Infatti l’eterna Sapienza non è un’astrazione e neppure un agglomerato di notizie, ma proprio una divina Sostanza spirituale che nel contempo ammaestra e vivifica l’anima.

Sicché l’anima divinizzata lascia che gli occhi scrutino umilmente e con devozione il cielo, e si abbandonino alla meraviglia senza nulla chiedere: essa sa che la meraviglia costituisce il suo divino nutrimento, poiché è più forte della conoscenza e lascia traccia nel cuore.

L’anima che invece è grezza ed oscurata, non frena la superbia e la folle curiosità di conoscere l’Inconoscibile, l’Inafferrabile, meglio direi ciò che per essa sarebbe vantaggioso ignorare: ossia i misteri della sua origine, dell’evoluzione e della sua natura… A tal fine, per conoscere cioè se stessa, lascia gli occhi vagare nel cielo. Ma quell’anima grezza ed impreparata ignora che, se vedesse allo specchio le immagini che raccontano la sua caduta dal Cielo e le sofferenze da essa subite passando da un corpo all’altro e da una condizione all’altra, morirebbe dallo spavento!

Pertanto dico che non tutti gli uomini sono idonei all’autoconoscenza, e ad affrontare gli arcani universali: dovrebbero anzitutto imparare l’umiltà e possibilmente tacere, evitando domande insensate che non avranno risposte.

I bambini invero domandano, e molto: la loro curiosità spontanea attira e seduce molto la Verità, che ama rifugiarsi nel calice della loro tiepida innocenza. E’ la medesima Verità che però punisce quei cervelli surriscaldati, ardimentosi oltre misura, i quali vorrebbero indagare al di là delle loro possibilità.

… il saggio istinto fa sì che il neonato cerchi il latte materno, bianco come la sua innocenza! Sicché siamo saggi, nella culla; siamo rimbambiti girovagando, e gonfiando il petto… Immaginiamo il petto rigonfio, che ha più visibilità della nostra intelligenza e sembra volerla precedere, come la superbia ama precedere l’umiltà ed oscurarla!

 

Il vagare degli occhi nello spazio, rivela l’innato desiderio dell’anima di esplorare le cose arcane. Ma nell’immensità essa rischia di perdersi, poiché l’eccessiva libertà scivola nell’indeterminatezza, che provoca timore. Per l’anima è dunque necessario sfuggire all’indeterminatezza e alla dispersione, e crearsi un mondo a sua immagine: a tal fine deve sviluppare la facoltà immaginativa ed alimentarsi con visioni appropriate, senza le quali resterebbe incompleta e senza pace. Persino durante il sonno l’anima deve costruire il suo destino, vagando e cercando; e quando cerca, percorrendo i sentieri astrali affini alla sua natura, gli occhi non debbono rimanere indifferenti e fissi ma seguire fedelmente le vibrazioni e gli umori della padrona (l’anima). Se fossero infedeli, gli occhi tradirebbero la loro missione e se stessi.

Del resto nel sonno non restiamo oziosi, dato che l’anima ritrova il suo mondo e le virtù originarie proprio quando è lontana dalla quotidianità: allora più efficacemente infatti lavora alla sua purificazione, alla salvezza. E’ dunque naturale la vivacità degli occhi, sia che l’uomo dorma sia quando è sveglio. In effetti l’anima sarà risparmiata dal muoversi, dal mutare e soffrire quando si sarà riunita agli Eterni. Soltanto allora chiuderà divinamente gli occhi, per assaporare l’Eternità che conclude un Grande Ciclo: ossia un Giorno divino che rientra nella NOTTE MADRE al pari degli infiniti Giorni, attendendo il Ciclo di un’ulteriore Eternità (o Anello; o Buco nero).

Dunque l’Eternità non è onnicomprensiva ed unica. Vi sono infinite Eternità: ognuna è inglobata nell’INDIFFERENZIATO, senza inizio e senza fine, unico degno testimone dell’Altissimo DIO in virtù della perfetta coessenzialità. Sicché l’Eternità è da intendere come “un” Buco nero, destinato a rientrare nel BUCO NERO, la NOTTE MADRE. Come quindi vi sono infiniti Giorni nella NOTTE, similmente vi sono infiniti Buchi neri nel BUCO NERO, MISTERO dei misteri.

Prima di poter gustare l’eccelsa condizione di riposo che chiamiamo Eternità, l’anima dovrà soggiornare più volte sulla Terra per purificarsi. Sarà sottoposta a tribolazioni e tentazioni; dovrà muoversi, per fuggire o andare incontro…: nel movimento necessiterà della collaborazione degli occhi, che mai dovranno dunque irrigidirsi e tradirla. Sicché il movimento è la salvezza degli impuri; è il filo che porta alla quiete e alla stabilità, come l’ignoranza è base e cammino verso la conoscenza vera. Quiete e conoscenza hanno nobiltà: sono incoronate. Ma alla corona dovranno rinunciare, poiché non vi è che la CORONA: è sulla testa dell’AMORE, DIO di credenti e non credenti!

Tramite il movimento, le coppie di opposti finiscono con l’incontrarsi ed armonizzarsi. Sulla Terra, per esempio il bene ed il male purtroppo s’incrociano il più delle volte caoticamente a causa dell’irrequietezza dell’anima umana! Poiché dunque i sentimenti si scontrano piuttosto che incontrarsi e fraternizzare, è lecito domandarsi: quando due individui calorosamente si abbracciano, l’abbraccio è il segno verace della fratellanza e dell’armonia? o forse, trattenendo il respiro, l’uno già architetta di sgozzare l’altro?

 

Il tempo è il figlio ribelle dell’Eternità: fugge… si nasconde… forse gioca; s’illude d’essere libero e di stravolgere le cose, di fare ciò che vuole…. Alla fine, pur sempre ritornerà nel Reame del Padre. E’ un fuggiasco che non lascia traccia durevole, ma illusioni e fantasmi inconsistenti! Per le sue caratteristiche, il tempo scorrevole trova l’alleato nell’occhio mobile: sono affini; sono messaggeri infedeli, uniti nell’infedeltà: nei loro messaggi è nondimeno l’eterna Verità, potenzialmente presente pur quando sembra il contrario di se stessa! L’uomo percepirà tuttavia l’illusorietà del tempo, solo dopo avere acceso in sé la visione dell’Eterno: da quel momento, saprà separare la Realtà dall’illusione.

E’ la condizione in cui il discepolo incontra il Maestro, e s’identifica nella sua divina Saggezza. Con altre parole dico: quando discepolo e Maestro si trasformano in un unico essere, allora l’anima ritrova l’Ego, la sua parte divina ed immortale, e avendo accolto la Conoscenza eterna ed immobile s’immobilizza a sua volta nel Punto Centrale dell’universo. Qui sonnecchia e riposa e si rafforza l’Eternità nell’attesa di gonfiarsi e riprendere a girare, tracciando “ruote” che occupano più spazio delle precedenti ruote…

Soltanto DIO è immaginabile mobile ed immobile, nel contempo (Grande Arcano); tutte le altre Entità, Creatore incluso, sono mobili o immobili, alternativamente. Tale affermazione è accettabile tuttavia solo parzialmente, poiché, secondo logica, il fisso non potrebbe trasformarsi in mobile se non avesse in sé l’ombra del movimento; e neppure il movimento potrebbe arrestarsi se non avesse un freno (!), un forza potenzialmente contraria, insomma la capacità d’immobilizzarsi e trasformarsi.

Allora è giusto dire:

il fisso è potenzialmente mobile; il mobile è potenzialmente fisso. Del resto l’uomo è potenzialmente donna, come la donna è potenzialmente uomo. Se ci riferiamo però all’Altissimo DIO dobbiamo, evitando la pazzia, poter creare paradossi ed affermare: solo DIO è, nel contempo, totalmente mobile e totalmente fisso!

Una riflessione analoga ci porta a dire: quando l’anima incontra il suo Spirito (Ego), diventa Maestro di se stessa e trova in sé l’Eternità agognata; il suo sguardo è ora fisso per eccesso di velocità, e parimenti fissi sono gli occhi fedeli all’anima!

 

Al fine di gustare l’eterna Beatitudine, l’uomo deve sfuggire al tempo; per essere più veloce del tempo e lasciarlo dietro, deve liberarsi del corpo ed affidarsi all’anima e allo Spirito: ciò significa morire, abbandonare la Terra. E’ però anche possibile staccarsi dal corpo attraverso l’Iniziazione: questa, spiritualizzando l’uomo tramite la Teosofia, nei momenti propizi gli dà infatti la possibilità di vivere quaggiù le condizioni animiche e spirituali che troveremo nell’aldilà.

In effetti la Teosofia non è soltanto la Sapienza eterna e reale, ma molto di più: è la medesima cosmica Energia che dà vita al singolo individuo, così come a quell’immenso essere che è la Natura apparentemente incosciente e morta. La divina Conoscenza che dunque s’illumina nell’uomo, parimenti lo arricchisce e lo espande; lo vitalizza profondamente: il che non riesce al sapere materialistico, rigonfio di nozioni morenti suscettibili d’essere aggiornate… messe da parte e magari riesumate, ma che non vivificano necessariamente l’anima e lo spirito di coloro che quelle nozioni ricevono! Queste provengono dalla materia; si armonizzano con la corporeità umana; sono destinate perlopiù alla vita materiale, similmente ad ogni altra cosa temporanea e non eterna.

Si capisce quanto il tempo scorrevole e la stessa Terra astronomica siano necessari all’uomo, che aspira all’immortalità. Lo sono non meno e non più delle illusioni, gioia e tormento dell’anima; ostacoli necessari. Se infatti non affrontasse tenacemente le illusioni, per estrarre la loro parte divina e nascosta, mai potrebbe l’anima avere la visione della REALTA’ e mai gusterebbe l’immortalità, chiudendo finalmente gli occhi.

Non dobbiamo a questo punto pensare che il tempo spezzetta invano, ciò che spezzetta! Esso si limita ad assolvere il suo dovere: dividere e polverizzare la materia appunto concepita per l’uomo fisico, ad immagine della polvere. Possiamo dire che la Terra, considerata nel suo aspetto materiale, è strutturata in modo da assumere forme compatibili con la sensorialità umana; la quale, per sua natura, non può altro percepire se non pezzetti illusori dell’UNO Reale.

Agli occhi fisici che sono aperti ed attivi, tutto dunque si presenta a pezzetti, come se vi fossero cocci e non vasi sulla Terra! Ne consegue che, almeno inizialmente, l’anima deve accontentarsi di una conoscenza proteiforme, disunita, la quale risente dell’attività disordinata dei sensi e subisce la frammentarietà stessa del mondo fisico. Tuttavia questa conoscenza, essendo spezzettata, proprio per questo è suscettibile d’essere sopportata da un’anima ancora debole, istintiva e crepuscolare, incapace di riunire, coordinare e sintetizzare.

Bisogna però anche osservare che questa conoscenza spezzettata, che si presenta in maniera caotica e non richiede all’anima sforzi particolari, non può contenere e trasmettere la Verità. La quale, essendo invece unitaria, richiede all’uomo lavoro e perseveranza, coraggio e sacrificio: constatiamo del resto che gli occhi ben sopportano la molteplicità dei raggi solari, ma non altrettanto impunemente sono in grado di fissare direttamente il sole, aspetto visibile della Verità.

La Verità assoluta è avvicinabile, ma irraggiungibile. La Verità eterna, che è soltanto la Luce del “nostro” universo solare, è invece raggiungibile: l’uomo deve tuttavia conquistarla poco a poco, sviluppando gradualmente in sé forza e purezza! E’ come dire: l’UNO si conquista iniziando dai pezzetti, sparsi qua e là… Arriverà il momento in cui la conoscenza del molteplice si ridurrà ad una penosa dualità; ma esattamente tale condizione prelude alla divina Quiete, che unicamente l’UNO assicura.

Parlando per simboli dico che l’uomo, quando sarà chiamato alla conoscenza, dovrà navigare tra due sponde; le quali si restringeranno sempre più, portando sollievo nell’anima. Alla fine le sponde spariranno; convergeranno in un solo punto da cui sarà possibile contemplare il vero Sole spirituale, nella magnificenza e nella perfezione della rotondità e della luminosità.

Durante la navigazione per così dire iniziatica, l’uomo subirà molteplici mutazioni. I suoi occhi non saranno quelli stessi che, attratti dalle apparenze, sulla Terra guardavano il falso; anzi non esisteranno più, poiché condivideranno la sorte delle sponde. Gli occhi fisici dunque si avvicineranno; dematerializzandosi, diventeranno un solo occhio, lo Spirito. Questo riappacificherà le ultime coppie avversarie, e avendo in tal modo salvato le anime dalla non conoscenza e dallo smarrimento, ricomporrà amorevolmente la Famiglia Solare.

 

Dopo aver aperto gli occhi fisici che colgono le cose nel movimento, nella molteplicità e nell’illusorietà, l’uomo deve imparare a vedere con gli occhi dell’anima e dello spirito, per poter unificare le visioni e dare potenza e centralità alla conoscenza. A tale scopo gli è necessaria la concentrazione: questa, vanificando caos e dispersione, porta tranquillità nell’anima e la riconcilia con lo Spirito.

Così riappacificata, immobile ed in pace con se stessa, l’anima trasmette tale felice condizione agli occhi; i quali, perdendo vivacità, a loro volta tenderanno ad irrigidirsi ed immobilizzarsi. Questo distacco dell’anima dal mondo sensoriale, dalla molteplicità e dall’illusorio, corrisponde all’evento che chiamiamo morte, ingannando noi stessi: infatti, proprio in seguito a tale separazione l’anima si avvicina allo SPIRITO e lo riconosce come l’Eterna Verità, l’UNO che dona e conserva la VITA.

L’anima comincia dunque a morire, quando cede alle necessità del corpo; allora perde fluidità, elasticità, smorza il movimento: s’irrigidisce. Analogamente si avvicina alla morte quando si lascia guidare dallo Spirito, e, espandendosi, acquista velocità a tal punto da rimanere immobile ed ancora rigida! Sicché l’anima ha due compagni di viaggio: il corpo e lo Spirito. Con quale dei due proseguirà? Da quale dei due è attratta? A quale, è più affine?

 

La mobilità degli occhi che guardano in basso, verso la Terra, esprime la condizione di un’anima inquieta ed insicura; schiava della materia e smarrita, nella molteplicità delle cose. E’ disarmonica ed in lotta con se stessa, senza riferimenti e senza centro: non percepisce il respiro e le vibrazioni della Terra; neppure realizza, che essa stessa è in vita!

Lo sguardo fisso, rivolto al cielo, indica la condizione dell’anima che invece assapora la contemplazione dell’UNO: morta per l’illusoria esistenza terrena, essa resiste ad ogni forza tendente a confonderla, indebolirla e tirarla in basso. Quando l’anima si eleva a tale sublime stato, i nostri pensieri e sentimenti vibrano con il Creatore: allora, il respiro della Terra è pure quello dell’uomo.

 

Se l’Everest avesse gli occhi, li terrebbe costantemente fissi; a volte chiusi a volte aperti, dormendo o vegliando, ma sempre fissi: il suo spirito purificato ha raggiunto il Cielo; nella contemplazione immobile dell’Eternità gusta ormai la Pace duratura, negata agli esseri imperfetti ancora sottoposti al movimento purificatore.

L’individuo che guarda spiritualmente a questa montagna, ne assapora la beatitudine e la sacralità. Ne percepisce la profondissima quiete, che ha vinto il movimento; il silenzio, che protegge la Verità; il rapporto con l’Eterno e con i Celesti, dai quali sembra essere più che protetta. La compattezza, l’autosufficienza e l’imperturbabilità dell’Everest, che perfora in solitudine lo spazio, lo fanno apparire simile ad un’entità ultraterrena: evocano allo Spirito umano la perfetta pace di chi ha superato ostacoli e dualismi, e non teme più la battaglia ma ritiene assurda la lotta!

Tale condizione di pace non si addice alla mediocrità, alla superbia, all’egoismo, alla frenesia delle anime grezze. La riscontriamo invece nella serenità e nella sicurezza dell’Iniziato che ha incontrato nel suo divino Spirito l’Umanità intera, alla quale concede l’amore che riserva a se stesso!

Contemplando le altezze addormentate e magnifiche dell’Everest, gli eletti individui si sentono sollevare all’eterno mondo delle Idee, dell’Immutabile e della Perfezione; gustano allora la vera spirituale libertà, l’elevante distacco da pensieri e sentimenti terreni, dalle ansie e dagli squilibri quotidiani: si sentono essi stessi eterni, più simili agli dèi! La pace di questa montagna, immobile per divina volontà, premia dunque gli individui particolarmente spirituali, contemplativi; mostra loro il volto dell’Eternità, che abbraccia e riunisce Cielo e Terra in un sol punto ideale.

Cosa in effetti è, l’Everest? Chi è? A queste domande, che prendono vita nell’anima, lo Spirito potrebbe rispondere con queste parole:

“ E’un dio, che ha assunto forma e caratteri di una montagna: un dio che si mostra incosciente, pur godendo della divina supercoscienza; e che appare morto, essendo in realtà eterno!”

… Ma l’uomo che ha spiritualmente sperimentato anche un solo attimo la sacralità di una montagna o di qualsiasi altra forma vivente, dovrà molto soffrire quando, riassorbito nella frenetica e dispersiva quotidianità, si ritroverà tra cose che non vorrebbe vedere e persone che amerebbe evitare; e dovrà sopportare frastuoni e parole, che preferirebbe non udire! O forse proprio ritornando quaggiù, poggiando i piedi dopo un’elevante esperienza spirituale, l’uomo si sente come rinato, iniziato, tanto benevolmente trasformato da provare amore verso tutto ciò che prima gli sembrava inutile e detestabile? Come sempre gli opposti, scambiandosi il posto, finiscono col raccontare la medesima storia.

Tra le colonne delle opposizioni gli uomini soffrono e gioiscono, avanzano e retrocedono, salgono e scendono, vivono e muoiono: appunto la loro capacità di districarsi tra queste opposte colonne, rivela la magnificenza e la divinità dell’anima umana quando è assetata di Conoscenza, Eternità e Perfezione.

 

   Vincenzo Tartaglia

 

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