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Sufismo

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di Aldo Strisciullo    indice articoli


 

Naturalismo e scienze dello spirito

Agosto 2008

 

I nostri discorsi appariranno sempre semplici e controcorrente, detti da “idioti”;
eppure cosa c’è di più naturale della semplicità e della spontaneità del mondo?

âlJâmi A.S. (1224-1348)

 

Naturalismo e scienze dello spiritoL’uomo si sforza di conoscere il mondo, quindi di cercare inconsapevolmente Dio, utilizzando ogni mezzo a sua disposizione. Il sufi ne ha uno solo: Dio stesso. Lo scienziato contemporaneo ricerca senza trascendere la ricerca stessa, riducendo la sua visione perché il suo sapere rimane legato a ipotesi, a misurazioni, a modelli che egli stesso crea e nei quali desidera far rientrare il mondo.

Il paradigma naturalistico della scienza moderna, come ormai è noto, poneva la realtà oggettiva di là dall’uomo. Cioè spostava in un orizzonte astratto e deterministico la realtà, spingendone via l’uomo quale conoscitore spontaneo. Per conoscere l’ordine causale del mondo era necessario isolarlo rigidamente, calcolarlo e spezzettarlo, al fine di inferirne leggi generali, applicabili ad ordini diversi di realtà. Per cui, nessun processo di significazione e di sentimento doveva disturbare l’analisi oggettiva della realtà. In psicologia, il paradigma che ne derivò si tramutò nella misurazione dell’essere umano, alla ricerca di quelle leggi generali che unissero il tema di indagine, la psiche, e il metodo, quello meccanicista, in una sintesi conoscitiva adatta a studiare e a prevenire gli atteggiamenti umani. In questo caso, lo scienziato pensava e analizzava l’uomo, pretendendo di eliminare lo stesso pensiero e gli stessi fenomeni psichici che lo riguardavano in quanto essere umano, costringendo i soggetti al ruolo di meccanismi reagenti.

Questo genere di psicologia ha trattato l’uomo e “la guarigione” secondo un materialismo che opponeva il corpo e i suoi processi alla fenomenologia della coscienza. Quando si studiava il comportamento del soggetto, la coscienza veniva eliminata dalla misurazione delle reazioni, quale ostacolo all’analisi. Tuttavia, la coscienza non costituisce, nelle “filosofie spirituali”, la totalità dell’essere umano, men che meno il corpo. Dunque, oltre all’arbitrarietà di questa considerazione, le scienze moderne mancano di considerare la natura della coscienza. Ha detto un Maestro indiano, Sri Nisargadatta Maharaj: «la consapevolezza è primordiale. E’ lo stato originario, senza inizio, senza fine, non causato, senza base di sostegno, indiviso e immutabile. La coscienza è per contatto, è un riflesso su una superficie, uno stato di dualità». Dal dilemma di pensatori quali Wundt e Brentano, alle origini della fondazione della psicologia quale scienza, alle “psicologie” che ne sono derivate non si è mai abbandonata la dimensione materialistica della conoscenza e dell’essere. Lo stesso Freud cercava delle cause, delle regole per far rientrare la psicologia del profondo nella dimensione scientifica meccanicista dell’epoca.

Queste considerazioni valgono, ovviamente, anche per quella psicologia che si è basata, in anni più recenti, sulla metafora computazionale, paragonando il funzionamento mentale umano all’hardware e al software di un calcolatore. Ma anche, per quella psicologia, più prettamente fenomenologica, che, partendo dalla prospettiva del soggetto, considera la realtà come esperienza in quanto è in relazione di significato con il soggetto percipiente, descrivendo in questo modo i fenomeni psicologici richiamando in causa la coscienza. Le scienze spirituali dell’uomo (religiose, mistiche) hanno considerato i fenomeni della coscienza illusori e transitori. Sri Nisargadatta ha detto: «la causalità è nella mente: la memoria dà l’illusione della continuità e la ripetitività crea l’idea della causalità. Quando dei fatti accadono ripetutamente e in sequenza, tendiamo a pensare che tra loro ci sia un nesso causale. Ciò crea l’abitudine mentale, ma le abitudini non sono necessità».

La scienza moderna è divenuta un’abitudine mentale che ha condizionato il pensiero. Infatti, molti pensatori possono definirsi atei perché comprendono la realtà attraverso il pensiero fondante della conoscenza scientifica, la quale ha permesso un’indagine solo parziale della realtà. Non ipotizzando più una trascendenza, l’orizzonte umano si è chiuso tra la coscienza e la materia; il pensiero scientifico ha sedimentato questo orizzonte di vedute e l’uomo si è ritrovato incastrato in questa modalità di pensiero. L’importanza, invece, dei libri sacri è nella forza che hanno di normalizzare, in modo graduale, il rapporto tra gli uomini e il mondo, equilibrandone le diverse dimensioni. La fede con cui un credente legge il suo libro è necessaria a crearne la realtà, altrimenti vuota e solo razionale. Dunque, il problema del confronto tra scienze naturali e scienze dello spirito riguarda l’impostazione di base del “metodo” di conoscenza. La psicologia scientifica moderna studia fenomeni parziali, l’incontro tra luce e materia, misurandone gli effetti. I sufi, come spiega lo sheikh Gabriele Mandel, considerano la psiche una parte materiale dell’essere. La psiche non è l’anima, oggetto di comprensione del mistico, ma è l’energia attraverso cui l’anima si manifesta nel corpo e luogo d’origine della coscienza.

La guarigione, per il sufi, consiste nel capire i processi, i fenomeni psichici, non come realtà in sé, ma come realtà riflesse e illusorie rispetto a quella unica e perfetta, di luce, che è Dio. Il bene e il male sono convenzioni che spesso dipendono dalle parole. Poiché l’uomo individualizzato, che non è pura luce - altrimenti sarebbe la divinità stessa - è soggetto alla fenomenologia della materia (anch’essa energia, come indica invece la fisica quantistica), studiarne solo la psiche, senza l’anima, significa tralasciare il vero aspetto della ricerca sull’uomo, l’aspetto sacro. Ancora con le parole di Nisargadatta: «è come entrare in una stanza buia. Non vedi niente, né i colori né i contorni. Puoi solo andare a tastoni. Poi si apre una finestra e la stanza è inondata di luce. Appaiono i colori e le forme. E’ la finestra a dare la luce, ma non ne è la sorgente. La fonte della luce è il sole. Analogamente, la materia è come la stanza buia; la coscienza, ossia la finestra, inonda la materia di sensazioni e percezioni; il Supremo è il sole, la fonte della materia e della luce. La finestra può essere chiusa o aperta, ma il sole splende sempre e comunque».

Leggendo da Esperienza e significato, di Maria Armezzani, docente di Tecniche di indagine della personalità, nella facoltà di Psicologia dell’Università di Padova: «lo stile di conoscenza scientifico (moderno) si è così allontanato dal mondo della vita, da quel mondo comune e significativo in cui è possibile incontrarsi, che lo ‘scarto’ è ormai incolmabile, soprattutto nel lavoro clinico, dove si tratta di comprendere l’altro e aiutarlo». Mi chiedo, perché nelle nostre università si continua a studiare un modello di conoscenza limitato e insufficiente e, soprattutto, non si integrano quelle teorie, sorte accanto alla “psicologia ufficiale”, la cui validità è dimostrata dai risultati terapeutici?

 

Aldo Strisciullo

- Articolo apparso sulla rivista Sufismo, n°2/2008

 

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