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Riflessioni sulla Tecnosophia di Walter J. Mendizza

Riflessioni sulla Tecnosophia

di Walter J. Mendizza - indice articoli

 

Tecnosofia e consapevolezza

Ottobre 2012

 

 

Dalle considerazioni fatte finora in questa rubrica, dovrebbe ormai risultare abbastanza chiaro che la tecnosofia rappresenta un approccio al futuro dell’umanità completamente differente del semplice progresso tout court. Da questo punto di vista Tecnosophia è molto vicina alla filosofia transumanista giacché entrambe queste correnti di pensiero ritengono che l’essere umano non sia il prodotto finale della nostra evoluzione (come invece credono i seguaci delle religioni rivelate o i nostalgici fautori del passatismo tecnofobico) ma solo l’inizio di un futuro luminoso basato sul processo di evoluzione autodiretta della specie umana.

L’associazione Tecnosophia si augura che in un prossimo futuro l’umanità ritenga desiderabile alterare la propria condizione usando ragione e tecnologia. Da questo punto di vista i tecnosofi sposano in pieno il potenziamento delle capacità intellettuali e fisiche della razza umana e, se fosse possibile, anche l’abolizione dell’invecchiamento e addirittura l’eliminazione della morte.

Purtroppo quando questa dottrina viene enunciata nascono molti problemi. Per qualche astruso motivo ci si scontra con una levata di scudi da parte dei bioluddisti i quali trovano obbrobriose tali proposte. Perché? Non si capisce per quale motivo si difende così caparbiamente la nostra fragilità umana. In fondo tutto quello che l’uomo ha creato finora è stato fatto proprio allo scopo di migliorare la nostra specie, alleviare il dolore, le malattie. Perché certe cose passano inosservate ed altre fanno scattare intere legioni di bioluddisti come se fossero tarantolati?

Le nuove tecnologie che stanno emergendo dai laboratori di mezzo mondo assieme alla biomedicina sono implicitamente tecnosofia allo stato puro. Così come già oggi lo sono la medicina e la chirurgia o anche la farmacologia giacché essa studia come le sostanze chimiche interagiscono con gli organismi viventi e modulano le funzioni fisiologiche dell’essere umano.

Tutti i farmaci sono tecnosofia ma anche le sostanze usate per modificare l’umore o per incrementare la massa muscolare o anche gli psicofarmaci che riescono a cancellare selettivamente la memoria in modo da rimuovere un trauma. Tuttavia ciò che distingue un tecnosofo da uno che non lo è risiede nella consapevolezza del miglioramento. È solo attraverso la coscienza di adottare un mezzo volto a perfezionare gli esseri umani che diventiamo tecnosofi e ci proiettiamo alla ricerca della realizzazione ultima di noi stessi. La tecnosofia è la consapevolezza di un processo di evoluzione autodiretta.

Dunque il crinale dell’appartenenza al nuovo mondo postumano non è l’atto in sé ma la coscienza dell’atto. L’atto che ci potenzia è condizione necessaria ma non sufficiente. Ad esempio potenziare le proprie difese contro gli attacchi virali inoculandosi un vaccino è indubbiamente un atto di tecnosofia, però se lo si fa perché si è obbligati per legge senza porsi alcuna domanda o perché così fan tutti (come accade oggigiorno per la stragrande maggioranza delle persone), non si può dire di essere in presenza di un atto di tecnosofia.

Ai bioluddisti risulta insopportabile la modificazione artificiale degli stati di coscienza, tuttavia bisogna far rilevare a questi signori che tale modificazione avviene in continuazione nel corso della giornata: non appena mangiamo o beviamo qualcosa stiamo alterando la nostra percezione. Se poi uno si scola una bottiglia di vino, coscientemente, sta alterando con consapevolezza il suo stato di coscienza. Eppure è ben lungi di fare un atto tecnosofico perché l’alcol non lo potenzia ma lo stordisce e basta.

L’effetto dell’euforia (peraltro passeggera) non dà alcuna modificazione dell’essere e quindi non c’è nulla di quella tecnosofia che dovrebbe incarnare l’aspetto prometeico e faustiano della nostra razza. Diverso sarebbe se assumessimo una bevanda che potenzi qualcosa di noi (l’intelligenza, la memoria, la forza fisica). E che dire degli effetti collaterali? Qui si apre un discorso delicato che ha a che fare con l’analisi dei costi/benefici. La società è disposta a tollerare certi “costi” in cambio di ottenere certi benefici. Ad esempio in Europa ogni anno muoiono più di trenta mila persone per incidenti stradali. Tuttavia a nessuno passa per la mente di vietare la circolazione. Perché? Perché i benefici della libera circolazione sono superiori al costo dei morti. Questo sfondo, per quanto possa apparire cinico, è l’unico metro che abbiamo per misurare se una determinata tecnologia vale la pena.

Lo stesso discorso vale per le gare olimpiche. I nuovi record del mondo diventano sempre più infrequenti. L’atletica non riuscirà ad aspettare decenni che un nuovo atleta batta gli ormai risicati record basati sul centesimo o sul millesimo di secondo. Presto dovrà arrivare il momento nel quale si contesterà la logica che proibisce il potenziamento in termini di c.d. “doping”. Tale contestazione dovrà per forza sopraggiungere, semplicemente perché i benefici saranno superiori ai costi e perché il divieto di doping rappresenta una visione reazionaria del mondo. Che senso ha vietare gli anabolizzanti? Quello di proteggere gli atleti si dice. Ma proteggerli da cosa? La risposta ufficiale è la tutela della salute dello sportivo. Si dice che egli potrebbe rischiare di mettere a repentaglio la propria vita a causa delle pressioni della squadra, degli sponsor, della nazione. Una sciocchezza sesquipedale.

La mentalità anti-doping incarna quel dispotismo sotterraneo che alberga in molti cuori che vogliono seppellire il senso di progressismo prometeico e faustiano tipico della nostra specie. L'uomo non è altro che natura nella natura, evoluzione, adattamento all'interno della natura... La logica che proibisce il potenziamento è una discriminazione reazionaria ammantata di ragioni pseudo sportive. Nel caso di un atleta con indumenti sportivi super-tecnologici, la salute non è in causa e la prestazione è solo arricchita, migliorata, potenziata dagli indumenti tecnologici che indossa. Perché non ammetterli?

Come si diceva all’inizio, è la consapevolezza quella che conta. Quando le future generazioni capiranno questo, manderanno in soffitta quel paciugo buonista e ipocrita che caratterizza il nostro mondo inconsistente, artefatto e fasullo. La specie umana sarà sulla soglia di un nuovo genere di esistenza dove i problemi si dovranno risolvere con più tecnologia, con più ricerca scientifica; in una parola: con più tecnosofia. E così vedremo la cosciente realizzazione del nostro reale destino: l’uomo che rimane uomo e pur tuttavia trascende sé stesso.

 

   Walter J. Mendizza

 

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