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Riflessioni Teosofiche

Riflessioni Teosofiche

di Patrizia Moschin Calvi  - indice articoli

 

Del bene e del male e della libertà

Antonio Girardi

Dicembre 2019

 

Il cammino dell’essere umano è accompagnato da alcune domande fondamentali che si ricollegano ai temi della libertà e del significato del bene e del male e del loro reciproco rapporto.
In questa breve riflessione c’è un tentativo non tanto di dare delle risposte, quanto piuttosto di riflettere su un metodo di ricerca basato sull’osservazione e sulla connessione fra macrocosmo e microcosmo.

 

Questa indagine - importante, credo, per ciascuno di noi - deve tenere sullo sfondo alcune domande: il bene è il piacere? Il male è il dolore? Il bene è seguire rigidi protocolli autogratificanti o autoflagellanti? Il male è infrangerli? Ci può essere un’etica a prescindere dalla conoscenza delle leggi della vita? Sono riconoscibili su un piano concreto i valori universali (e viceversa) continuamente “ricordati” all’umanità dagli Avatara e dai Mahatma? Qual è il rapporto fra legge morale e superamento dell’identificazione dell’io personale? E la morte è bene o male? Ma la morte esiste?
Per arrivare a dare una risposta a queste domande o anche solo per tenerle sullo sfondo di una appassionata ricerca individuale è preliminarmente opportuno considerare alcuni necessari elementi di ordine cosmologico, i cui contenuti sono tratti dalle Stanze di Dzyan e dal loro commento, La Dottrina Segreta di Helena Petrovna Blavatsky(1):

  1. Il concetto di Vita Una, che considera innanzi tutto, nella prima proposizione fondamentale de La Dottrina Segreta, un PRINCIPIO onnipresente, eterno, illimitato e immutabile e sul quale qualsiasi speculazione è impossibile. È la dimensione dell’esseità, che ricomprende essere e non essere. Non è possibile definirla.

  2. Il primo Logos è immanifesto, impersonale. È la causa prima.

  3. Il secondo Logos esprime una dualità fra lo spirito (consapevolezza) e la materia, soggetto e oggetto. Non sono due realtà separate in sé e per sé ma interagenti, come ci mostra il simbolo del Tao.

  4. Fohat (fuoco della vita, energia imperitura) caratterizza la manifestazione ed è ponte fra spirito e materia.

  5. L’Universo eterno e illimitato è caratterizzato da una totale interazione fra le sue parti che lo porta a esprimere sé stesso attraverso una sorta di respiro cosmico il quale alterna cicli creativi a cicli distruttivi.

  6. Il karma è la legge di equilibrio cosmico.

  7. Da tutto ciò consegue che l’anima individuale è composta della stessa essenza di quella universale.

Questi elementi sono la necessaria premessa alla nostra indagine affinché essa abbia il respiro di una espansione della coscienza e non limiti il suo campo al finito ma conservi la prospettiva (e la realtà) dell’infinito, testimoniando così l’umiltà della visione dell’uomo di “buona volontà”.
In un mondo che, alla percezione dei nostri sensi, si presenta in forma duale e dunque attraverso un rapporto di opposti (giorno e notte, luce e tenebre, yin e yang, forza centrifuga e forza centripeta etc) grande importanza assume la comprensione di questa realtà e del rapporto fra bene e male.
Nel prezioso testo Ai Piedi del Maestro, scritto da un giovanissimo Jiddu Krishnamurti, c’è un passaggio che stimola la necessità di un’interpretazione da parte del lettore e che può permettere al nostro cuore di capire perché le Strade Alte della vita considerino il servizio e la compassione come essenziali per comprendere il significato del rapporto fra le polarità, bene e male compresi, e per raggiungere la consapevolezza. Queste le parole: “Ma anche dopo che la scelta è stata fatta [quella di schierarsi dalla parte di “Dio” e del suo piano: l’evoluzione], rammentati che del reale e dell’irreale vi sono molte varietà e che conviene ancora distinguere fra il bene e il male, fra ciò che ha importanza e ciò che non l’ha, fra l’utile e l’inutile, fra il vero e il falso, fra l’egoistico e il disinteressato. La scelta fra il bene e il male non dovrebbe essere difficile, perché quelli che vogliono seguire il Maestro hanno deciso di fare il bene a ogni costo(2)”.
Della lotta fra il bene e il male parla anche il Ramayana, poema di circa ventiquattromila versi consolidatosi nella forma attuale in un millennio, a partire dal VI-V secolo a.C., che rappresenta uno dei cardini della cultura e della letteratura indù(3).
Il Ramayana racconta le vicende legate a Rama, l’eroe impeccabile – una delle incarnazioni umane di Vishnu - che combatte contro Ravana, potentissimo demone che gli ha rapito l’amatissima sposa Sita. La vicenda prende avvio dalla promessa strappata da Ravana a Brahma, padre di tutte le cose, che non avrebbe potuto essere ucciso né da un dio né da un demone e neppure da un essere dotato di poteri eccezionali. L’arroganza di Ravana, che fa comunque parte a pieno titolo del gioco cosmico, gli fa dimenticare di menzionare gli uomini ed ecco allora che gli dei chiedono l’intervento di Vishnu “splendente di luce infinita” che prende la natura umana suddividendosi in quattro prìncipi di stirpe regale, Rama e i suoi fratelli.
Le vicende, metafora della lotta fra il bene e il male, si concludono con la vittoria di Rama e la liberazione di Sita. Rama potrà poi, al termine di una vita epica durata più di diecimila anni, tornare a splendere nella sua luce e nella dimensione divina.
Tenendo conto della riflessione di J. Krishnamurti e del simbolismo intuitivo suggerito dal Ramayana, torniamo a interrogarci sulla fondamentale questione del bene e del male.
Il bene ha molto a che fare con il bello e il buono di cui ci ha parlato Platone e, attraverso questi, è strettamente connesso con il vero. È l’espressione della forza evolutiva, la cui chiave di volta è il superamento dell’io personale ed è dunque legato a un processo che, attraverso l’intuizione, porta a oltrepassare il dualismo fra osservatore e osservato, fra oggetto e soggetto.
Il male è anche “resistenza” a questo processo, è forza avversa che porta alle prove della vita, quelle che possono consentire però di prendere coscienza delle nostre possibilità e di trasformare, in ultima analisi, le vicende esistenziali in una sorta di corrente ascensionale verso un’espansione della nostra coscienza.
Così come all’interno del ciclo del Kali Yuga, anche individualmente un quadro generale avverso può essere di rafforzamento all’elemento evolutivo(4).
Ma il significato del reciproco rapporto fra bene e male prende forma solo se si considera che l’universo e la manifestazione sono governati da una legge di pieno equilibrio – il karma - la diretta conseguenza del fatto che ciascun elemento è in rapporto con tutto il resto e che questa risonanza cosmica ci coinvolge pienamente in una deriva che riguarda a un tempo il nostro essere e la nostra individualità.
La nostra libertà ha quindi a che fare con la piena comprensione di questa legge, con la sua accettazione e con la presa di coscienza dell’importanza di vivere impeccabilmente – anche dal punto di vista etico - la nostra esistenza, sintonizzandoci con quella realtà di bellezza e amore che ci conduce alle Strade Alte della vita.
L’accettazione deriva dall’osservazione, neutrale e integrale, di ciò che “è” e di ciò che noi siamo e dalla comprensione del fatto che, come su un palcoscenico, “recitiamo” un copione che, se è vero che non è stato scritto da noi ma dalla Vita Una, è altrettanto vero che può essere da noi arricchito attraverso la consapevole “recita” della nostra parte. E senza escludere la possibilità di “ribellione” al copione, frutto comunque di una qualche necessità karmica e correlata alla catena di cause ed effetti di cui sempre abbisogna l’equilibrio di un cosmo in manifestazione.
L’essere umano ha la possibilità di cogliere appieno la trama del copione senza giudicarla e di arricchirla e modificarla attraverso la comprensione del suo essere a un tempo attore e personaggio, soggetto e oggetto.
L’impeccabilità della recitazione passa attraverso tre elementi.
Il primo è un atto di volontà che porti all’attenzione e all’osservazione consapevoli. Recita il primo principio di una delle più antiche Fratellanze fra gli esseri umani: “Sii presente ad ogni respiro. Non fare che la tua attenzione vaghi per la durata di un solo respiro. Ricordati di te stesso sempre e in ogni situazione”(5).
Il secondo elemento è quello di non identificazione col personaggio, con la possibilità quindi di andare oltre il nostro piccolo “io”.
Il terzo è rappresentato dall’anelito alla comprensione delle leggi universali, anticamera dello sviluppo di un’etica integrale, basata sull’amore e sulla bellezza, un’etica universale che può estendersi in ogni circostanza e in ogni momento.
In chiave simbolica questa presa di coscienza ci porta nella dimensione dell’equilibrio fra le polarità, quasi a poter comprendere il ruolo della massa che solo all’estremità della calamita è caratterizzata da un polo magnetico positivo e da uno negativo. Oltre all’importanza del Padre e del Figlio appare in tutta la sua forza reale quella dello Spirito Santo.
E ci porta poi nella dimensione spazio-temporale, quella del qui e ora, quasi che le porte dell’eterno possano aprirsi solo nel presente, ponte e realtà fra un passato che non è più e un futuro che non è ancora. Questo, naturalmente, solo nella nostra percezione (le polarità della calamita), dato che nel continuo-infinito-presente la vita “è”.
Bernardino del Boca può quindi scrivere: “Davanti alle cascate di Nardis ripeto, dentro di me, la lezione topologica. La bella, fresca, aerea cascata è topis. Il fiume invisibile nell’altopiano è noris. Il fiume agitato che scende a valle è soris. Ma è tutto illusione. Nulla fluisce. Tutto è”(6).
Il canto religioso di popoli antichi, scandito da un metro epico, accompagnava tre sequenze di danza attorno all’ara: prima da destra a sinistra, poi da sinistra a destra (l’andata e il ritorno del respiro cosmico e il ritmo della manifestazione). Infine, quando la danza si arrestava, il coro batteva il suolo con i piedi per significare la pausa e la sospensione dei movimenti della mente (e della manifestazione) prima dell’inizio di un altro “giro”(7).
Come nell’opera alchemica trasformare il piombo in oro non è soltanto una questione legata alla “conoscenza” di un processo ma anche a un quid che deriva dalla consapevolezza che solo la dimensione dell’essere può dare, così il piombo della nostra personalità (il nostro piccolo io) si può trasformare nell’oro di ciò che “è” e che non può essere descritto in termini di linguaggio: la Voce del Silenzio.
“Quando vi è silenzio, quando vi è quella tranquillità mentale che non è un risultato, allora constateremo in questa quiete un’attività straordinaria, una straordinaria azione, che una mente agitata dal pensiero non potrà mai conoscere. In tale condizione non si formula nulla, non si hanno idee, non c’è memoria perché essa è una condizione creativa che può sperimentarsi soltanto quando vi sia intendimento completo dell’intero processo dell’“io”. Altrimenti, la quiete non ha significato. Soltanto in questo stato, che non è un risultato, si scopre l’eterno, ciò che è al di là del tempo”(8) (Jiddu Krishnamurti).
Possiamo ora tornare alle nove domande iniziali. Ciascuno può dare una risposta, frutto della passione per la ricerca, dell’attenta e neutrale osservazione, della condivisione fraterna, del servizio che – solo - può permetterci di andare oltre la limitata visione identificativa dell’io personale.
Non grideremo le nostre risposte, non cercheremo di convincere qualcuno della bontà della nostra visione, non fuggiremo da qualche parte per cercare chi ci fornisce le risposte, magari a pagamento. E non ne faremo statistiche da “postare” sui social per essere vendute a qualcun altro.
Risponderemo alle domande nella camera segreta del nostro cuore e condivideremo con gli altri la nostra visione del mondo. Lo potremo forse fare ripetendo l’affermazione di don Juan Matus che ci riporta Carlos Castaneda: “Per me c’è solo il viaggio su strade che hanno un cuore; qualsiasi strada che abbia un cuore. Là io viaggio e l’unica sfida che vale è percorrerla in tutta la sua lunghezza. Là io viaggio guardando, guardando senza fiato”(9).
E lo potremo forse fare prendendo coscienza, intuitivamente, del significato del quadrato magico Lo-Shu della tradizione cinese, legato a una leggenda risalente almeno al V secolo a.C. Essa narra che l’imperatore Yu, camminando lungo il fiume Lo, scorse sul dorso di una tartaruga strani segni che, riportati in chiave numerica, possono essere così rappresentati:

 

4

9

2

3

5

7

8

1

6

 

La somma della serie letta orizzontalmente, verticalmente e trasversalmente dà come risultato il numero 15, numero fortunato per eccellenza nella tradizione cinese.
H.P. Blavatsky ci ricorda che “Basta solo concepire le vaste possibilità della vita umana per uccidere l’ennui [la noia, N.d.T] e convertire l’apatia in gioia di vivere. La vita è degna di essere vissuta di per sé quando la sua missione si fa chiara e, nel contempo, si cominciano ad apprezzare le sue meravigliose opportunità. La via più diretta e sicura per raggiungere quei piani superiori è coltivare il principio dell’altruismo, nei pensieri e nella vita… Le condizioni di questo sviluppo risiedono dentro più che fuori di noi e fortunatamente si realizzano a prescindere dalle circostanze e dalle condizioni di vita. Perciò a ciascuno è offerta l’opportunità di progredire di vetta in vetta nello sviluppo dell’essere e di lavorare quindi con la natura nel conseguire il chiaro scopo della vita”(10).
Lascio la conclusione alle parole della filosofa e mistica francese Simone Weil (1909-1943): “Si può intendere per libertà qualcosa di diverso dalla possibilità di ottenere senza sforzo ciò che piace. Esiste una concezione ben diversa della libertà, una concezione eroica, che è quella della saggezza comune. La libertà autentica non è definita da un rapporto fra il desiderio e la soddisfazione, ma da un rapporto fra pensiero e azione”(11).

 

Antonio Girardi
Segretario Generale della Società Teosofica Italiana dal 1995.

Tratto dalla Rivista Italiana di Teosofia - Anno LXXV N. 12 - Dicembre 2019

 

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NOTE

  1. Blavatsky, H.P., Due libri delle Stanze di Dzyan, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 2007. Si veda in particolare il Proemio (pp. 31-56). La Dottrina Segreta è pubblicata in italiano, dallo stesso marchio editoriale, in otto volumi, di cui l’ultimo raccoglie gli insegnamenti orali di H.P. Blavatsky.
  2. Krishnamurti, J., (con lo pseudonimo di Alcyone), Ai Piedi del Maestro, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 2012, pp.22-23.
  3. Vedi Trevi, E., “L’eroe sfida il demone. Non un classico: di più” in La Lettura/Corriere della Sera, 27 gennaio 2019, p. 26. Una nuova edizione del Ramayana in italiano è stata recentemente pubblicata dalla casa editrice Mimesis.
  4. Girardi, A., “La Teosofia, faro luminoso per la vita quotidiana anche in epoca di Kali Yuga”, in Rivista Italiana di Teosofia, Novembre 2017 pagg. 9-13.
  5. Si tratta della Fratellanza Sarmoung fondata a Babilonia duemila anni prima della nostra era, di cui dichiaravano di far parte G.I. Gurdjieff e Bernardino del Boca.
  6. del Boca, B., Singapore–Milano-Kano, Bresci Editore, Torino, 1976, p. 151.
  7. Vedi Bratina, E., “Prefazione” a Due Libri delle Stanze di Dzyan, testo di H.P. Blavatsky, citato in nota 1.
  8. Krishnamurti, J., frammento trascritto dall’estensore e tratto da una conferenza tenuta da J.K. a Saanen nei primi Anni Ottanta.
  9. Citazione di un’affermazione di don Juan Matus, riportata da Carlos Castaneda nel suo libro Gli insegnamenti di don Juan, Rizzoli Editore (BUR), 1998.
  10. Blavatsky, H.P., Suggerimenti pratici per la vita quotidiana, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza, 2018, pp. 35-36.
  11. Citazione tratta da “La lezione di Simone Weil che merita di essere riletta: senza pensiero libero vince la forza”, La Repubblica.it, 3 febbraio 2019.

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