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Indice

 

L’Illuminazione ed errori simili - Il libro di Karl

Di Karl Renz

-  Unica versione in italiano


3. Che cosa posso fare da solo?


Preparazione all’Illuminazione

 

D.: Un maestro zen di nome Bankei nel 17mo secolo loda lo spirito di Budda. Che si trova al di là dell’unità. Cosa significa?
K.: Quello che è prima di Budda. Para-Budda. Quello che sta prima di tutto. Che non conosce dualità. E che non conosce unità. Non è né uno né due.  Non è né questo né quello. Non è definibile. Ha tutti i nomi o nessun nome. Non potrai mai comprendere se stesso.
D.: Ecco perché Bankei dice che non ha senso sforzarsi per raggiungerlo. Per questo dice all’incirca così ai suoi discepoli: - Smettetela una buona volta!-
K.: L’assoluta rassegnazione a capire se stessi, non potersi mai conoscere, questa è l’assoluta quiete. Dove non esiste più nessun desiderio di conoscere se stessi. Questa à la vera conoscenza di se stessi. Che non potrò mai sfuggirmi e che non potrò mai afferrarmi.
Perché sono quello che è e questo è infinito.  Non-nato, immortale. Per questo non serve nulla che avvenga nel tempo. Per esserlo non servono sforzi. Qualunque sforzo per esserlo non è produttivo.
D.: Bankei dice:- Una via di gran lunga più breve dello sforzo di diventare un Budda, sta nel fatto di essere semplicemente un Budda.-
K.: Certo, allora smettila con Bankei.
D.: Ma il Budda si è sforzato per anni. Soltanto in seguito è giunto alla comprensione. Avrebbe forse raggiunto l’illuminazione anche senza sforzi?  Oppure gli è sembrato così in seguito?
K.: Secondo te da dove proveniva lo sforzo?
D.: Dalla sua decisione di non continuare a vivere così.
K.: E da dove proveniva la sua decisione?
D.: Vuoi continuare ancora all’infinito a farmi simili domande?
K.: Se c’è libero arbitrio, dice Wittgenstein, chi potrebbe averlo?
D.: Per esempio un Budda.
K.: Quale Budda si è mai sforzato a diventare un Budda?
D.: Chi soffre si adopera per diventare un Budda. Colui che si diverte, non ha probabilmente niente in contrario a reincarnarsi ancora molte volte.
K.: Vuoi dire: - Fintantoché la relatività si diverte, rimane volentieri relativa.- Solo quando si sente disturbata, esce dalla relatività. Come se il Sé potesse sentirsi disturbato da se stesso.
D.: Non parlo di un sé astratto, ma di un uomo ordinario.
K.: Parli della coscienza, che sembra trovarsi in un certo stato che a volte trova piacevole a volte no.
D.: No, parlo di un uomo che cerca a fatica. Non è affatto evidente per me che qualsiasi sforzo sia del tutto inutile. I mistici hanno percorso tutti una lunga via. Anche Ramana Maharshi, la grande star, ha combattuto per anni per trovare chi era o che cos’era l’Io-sono.
K.: Per quanto ne so, gli è bastato un solo pomeriggio per riconoscerlo. Così è scritto su una lavagna a Tiruvannamalai. Una sensazione di morte lo ha sopraffatto. Si è sdraiato per terra e si è concesso totalmente a quest’esperienza.
D.: Può essere. Ma questo fu solo l’inizio di un lungo cammino.
K.: Era l’inizio e la fine. Da allora, disse, non successe più nulla.
D.: A parte il fatto che si è ritirato in una caverna per meditare indisturbato.
K.: Da quel momento, così raccontava, capì che quello che lui era veramente, il Sé, non poteva mai essere disturbato da qualcosa, né mai avrebbe potuto esserlo. Questa fu l’esperienza fondamentale.
D.: Sarà stata l’esperienza fondamentale, ma ci fu poi ancora una sorta di rifinitura.
K.:Vuoi dire, come ad un seminario all’università? Prima ti prepari, poi vivi l’esperienza, poi ci lavori su in seguito. In modo che rimanga impresso in modo durevole.
D.: Si, questo non è poi tanto fuori luogo esprimerlo così. Ramana in quel momento ebbe l’esperienza di non essere il corpo. Ma non capì ancora in quel momento, quello che era in verità.
K.: Hai ragione.
D.: Infatti. Per quello ha poi…
K.: Non l’ha sperimentato perché non è sperimentabile!
D.: Come no?
K.: Per sperimentare sono necessarie due cose: uno che sperimenta e qualcosa che è sperimentato.
D.: E allora?
K.: Il resto non è più esperienza. E’ solo Essere in essenza. E questo è già completamente qui adesso. Per cui non ci vuole niente di speciale, né preparazione, né perfezionamenti. E’ solo riconoscere di essere. Come dice Meister Eckhart, è il Fondamento Originario stesso. La pura Consapevolezza.
D.: Eppure c’è qualcosa di speciale. Poiché quello che è evidente in questi maestri, è l’intensità della loro emanazione. Questa infinita bontà, questa quiete imperturbabile. Chi ha meditato con Ramana è sprofondato in samadhi, nell’esperienza della coscienza cosmica.
K.: La coscienza cosmica non è nulla di speciale. E’ un’esperienza. Qui si tratta del sé. La quiete di cui tu parli non ha niente a che fare con il fatto che uno sia seduto tranquillo o che sia esternamente o internamente tranquillo. Questa quiete non conosce pensieri. Questa quiete non ha esperienze: è quiete in sé.
D.: La gente che ha incontrato Ramana o qualche altro mistico, hanno provato questo silenzio. L’ hanno assaporata. E hanno voluto mantenere per sempre questo sapore. Poi si sono seduti e hanno meditato. Non penso sia indifferente se uno si sforzi o meno. Tu presenti la cosa come se non si possa né fare qualcosa per ottenerla né il contrario. In un qualunque momento ti coglie di sorpresa.
K.: No, non sorprende nessuno. Questo silenzio, questa percezione fondamentale, non è condizionata da nulla. Tutto quello che succede nel tempo non può influenzarlo. E se succede, o quando e come succede è assolutamente indipendente da quanto si verifica sul piano temporale.  Ecco perché ogni azione, ogni attività, ogni comprensione o non-comprensione è senza scopo.
Non ha alcun significato per questo piccolo “Aha!”, per la percezione dell’Assoluto.
D.: Ha sicuramente un grosso significato per la vita personale.
K.: Tu speri in un vantaggio. Qui non c’è vantaggio. Speri di sfuggire a te stesso. Non è possibile. Vorresti trovare una via d’uscita. Non ce n’è. Quello che è qui non ha bisogno di vie d’uscita e non ne avrà mai. Perché quello che sta qui è adesso ed è eterno. Infinito. Non puoi affrettarti a raggiungerlo né puoi allontanarti da quello.
D.: Ma un po’ di lavoro o di preparazione ti rende tuttavia pronto a quest’esperienza o per conto mio non-esperienza. Per esempio il solo fatto di poter ammettere quello che dici. Questo poter accettare non esiste sin dall’inizio.
K.: Quest’accettazione non proviene da quello che credi di essere, ma dalla Sorgente stessa come la non-accettazione.  Che tu possa accettare o non accettare non è nelle tue mani. Puoi avere il sentimento che l’hai guadagnato  lavorandoci sopra.
D.: Già.
K.: Eppure so con assoluta certezza che non sei stato tu a guadagnartelo col tuo lavoro. L’accettazione è un’apparizione spontanea.
D.: Può essere. Ma  forse si può favorire quest’apparizione spontanea.
K.: Nessuno sforzo aiuta. Non c’è nessuna preparazione e nessun lavoro a posteriori.
D.: Il deep sharing (= lett. profonda compartecipazione) di Paul Lowe mi è stato tuttavia di grande utilità.
K.: Bene. Suona bene.
D.: E’ uno scambio di sentimenti in profondità.
K.: Questo sheep sharing? (= lett. ‘pecore che si tosano’)
D.: No, deep sharing!
K.: Sheep sharing significa tosare le pecore vero?
D.: No, no, deep sharing. Deep sharing significa con-dividere la profondità.
K.: Con-dividere la profondità? Con un coltello, in modo da farne due profondità?
D.: Non significa dividere, ma anzi con-dividere i sentimenti degli altri, tutti i sentimenti, anche quelli che fanno male.
K.: Si tosano corto.
D.: Si è aperti e sinceri, senza fretta e non si trascura nulla.
K.: Allora le si affrontano lentamente, per poi allontanarsene, come se avessi un coltello non affilato. Perché faccia male, strappando i peli lentamente. E’ questo il deep sharing? E’ giusto quello che descrivo?
D.: Assolutamente no.
K.: Un sheep sharing (tosatura) normale la si fa con un coltello ben affilato per fare in fretta.
D.: Allora c’è bisogno di una preparazione significativa! L’affilatura del coltello!
K.: Alla fine non ci sono più peli. Sei nudo. Non c’è più niente.
D.: Grazie alla buona preparazione.
K.: Mi hai sconfitto. Ci sono ancora domande a cui non so rispondere?


Che cosa posso fare da solo?


D.: Ramana dice che non esiste il karma. E nemmeno la rinascita. Eppure nella coscienza dell’ego questo c’è.
K.: Finché esiste il concetto dell’ Io, c’è tutto. Ci sono i desideri e la necessità della purificazione e l’idea della sporcizia e della qualità, c’è tutto quello di cui puoi parlare nel quadro dei concetti. Ma tutti questi concetti emergono solo quando l’Io emerge. Quando l’Io è preso per reale.
D.: Allora non esiste una preparazione?
K.: Per cosa? Per uno stato celestiale? Un paradiso? Un traguardo meraviglioso? Solamente l’idea che abbiamo perso qualcosa o che dobbiamo raggiungere uno scopo, dà origine all’inferno. Crea la convinzione che abbiamo un libero arbitrio, per mezzo del quale possiamo tendere verso una meta, ma sempre con grande fatica. Viene dall’idea di un Io. Il pensiero dell’Io è l’origine dell’immaginaria separazione. E la credenza di essere separati, è l’inferno. Con il pensiero dell’Io, ecco subito l’inferno. Questo è il sistema diabolico. Dia significa due. Dia-volo è colui che crea la dualità.
D.: Esiste il diavolo?
K.: Certo. L’io è il diavolo. Solo che l’Io…non esiste. E’ solo un’idea. Allora come posso far sparire questo Io che non esiste nemmeno? Cosa posso fare Io? Cosa può fare un’idea contro un’idea, un concetto contro un concetto, un’illusione contro un’illusione?
D.: Apparentemente non molto.
K.: Devo in fondo oppormi in qualche maniera?
D:: Si, almeno una presina di attività propria, per favore!
K.: Devo solo essere quello che sono.
D.: Era quello che temevo.
K.: Voglio dire essere prima del tempo, prima del diavolo, prima di Dio, prima di qualunque idea di esistenza. E questo lo sono in tutti i modi. Non posso ‘’farlo’’. Questo è prima di qualunque agire. Prima di qualunque esperienza. Questo è silenzio. E questo silenzio è prima del tempo, prima del movimento e del non-movimento. Qui non c’è più nessuno. C’è solo l’essere.
D.: O.K. Se qui non c’è più nessuno, allora nessuno deve fare più nulla. Ma qui c’è qualcuno!
K.: Tu siedi qui per incontrare te stesso. Per fare quest’esperienza.
D.: E’ proprio  quello che voglio dire. E per fare un’altra esperienza ho meditato.
K.: Le meditazioni, gli sforzi i metodi sono tutte cose meravigliose. Ramana dice: - Ogni passo che è stato fatto vi ha condotto a me.- Ed aveva ragione.
D.: Bene! Allora qui non mi sbaglio poi così tanto?
K.: Ci sono solo passi giusti. Solo sforzi giusti. Il Sé sa al cento per cento quello di cui ha bisogno, per trovare se stesso. In qualunque momento lo sa, al cento per cento e fa sempre il passo giusto verso se stesso.
D.: Lo credo volentieri. Ma perché sono seduto qui adesso?
K.: Perché il Sé ti ha fatto sedere qui.


Non puoi mai sbagliarti


D.: A volte ho la sensazione: adesso c’è la breccia, eccola finalmente!
K.: “Non ci sono mai stato così vicino come ieri sera!”
D.: Qualcosa del genere.
K.: E allora vuoi trattenere se possibile questa immersione o vicinanza. Questo voler trattenere la distrugge di nuovo. E quel che rimane è il desiderio.
D.: Si, e poi sono deluso.
K.: De-lusione sarebbe la fine dell’illusione. E’ quello che cerchi in fondo: l’assoluta delusione che ti fa rassegnare completamente alla ricerca. Ma finché siedi qui, sei ancora deluso.
D.: Sono seduto qui per accelerare un po’ la cosa.
K.: Chiunque pensi che qui egli trovi se stesso prima di qualche altro posto, si sbaglia.
D.: Allora non ho bisogno di venire qui! Allora posso fare tutto quello che voglio.
K.: Tu non puoi mai fare quello che vuoi.
D.: In questa faccenda ho esperienze diverse.
K.: Perché sei un personaggio recitato. Sei la mancanza d’aiuto e l’impotenza. Non c’è un secondo di cui disporre. Non esiste un essere che possa esercitare potere su un altro essere. L’onnipotenza di Dio è totale impotenza. Onnipotenza significa essere quello che è.
D.: Allora posso sedermi a casa e non far più niente.
K.: Ottimo. Però poi torna una volta o l’altra a raccontarmi com’è andata. E soprattutto se ce l’hai fatta.
D.: A dire il vero l’ho già tentato. Ma è difficile.
K.: Tutti lo provano ma nessuno ci riesce.
D.: Non si può non fare niente?
K.: Si può solo non fare niente. Tu non fai mai niente. Tutto si fa da sé!
D.: Allora posso anche non fare qualcosa di sbagliato.
K.: Tutto quello che fai è proprio giusto. Non puoi far qualcosa di erroneo, perché non hai mai fatto qualcosa, né avresti potuto farlo. Ecco la libertà! La libertà da un agente, da una persona che abbia mai fatto qualcosa o che avrebbe potuto fare qualcosa.
D.: Allora chi fa la guerra?
K.: Tu! E chi altro?
D.: Come?
K.: Tu sei responsabile.
D.: Ma hai appena detto…
K.: C’è la guerra e la pace perché ci sei tu. Sei la Sorgente di entrambe. Sei responsabile di tutto quello che esiste.
D.: Responsabile di tutto?
K.: Perché tu sei quello che è.
D.: Scusa, ma a chi parli adesso?
K.: Parlo a me stesso.
D.: Meno male!
K.: Come sempre. Parlo sempre a quello che intende, mai a quello che non intende. Non è forse qualcosa che s’intende da sé?
D.: No.
K.: Tutto quello che c’è sempre è il Sé. Quello che parla, ascolta, sta zitto…
D.: Allora mi sto ascoltando da solo anche adesso?
K.: Puoi solo ascoltare te stesso. Solo il Sé parla e solo il Sé può ascoltarsi.
D.: E che cosa dovrebbe portarci tutto questo?
K.: La conoscenza di sé.

 

Che decisioni posso prendere?


D.:Posso decidermi per la consapevolezza?
K.: Questa non è una decisione. E’ semplicemente un risveglio. Come ti svegli la mattina nel tuo letto. Non puoi decidere se ti svegli o meno. Nel momento del risveglio si decide.
...

Presentazione - Primo capitolo - Secondo capitolo

 

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