Home Page Riflessioni.it
Testi per riflettere

Testi per Riflettere

Indice

 

L’Illuminazione ed errori simili - Il libro di Karl

Di Karl Renz

-  Unica versione in italiano


2. A che cosa serve un maestro?

 

Non fidarti di nessun maestro morto

 

D.: Tu hai però qualcosa che noi non abbiamo. Così mi sembra per lo meno.  E poi tu siedi là davanti e noi qui. Come trovi tu questo? Siamo noi gli stupidi?
K.: Se io mi considerassi un saggio illuminato, qui davanti ci sarebbero solo stupidi non illuminati. Ci sarebbe separazione. Ci sarebbe la vecchia illusione: che qui sta uno che sa qualcosa e che là siede un altro che non sa. Ma io parlo del sapere che è assoluto. Qui è assoluto e là è altrettanto assoluto. Non c’è nulla di nuovo per te. Per questo non è nemmeno qualcosa che tu possa ottenere. Non è niente da scoprire. Non è affatto un luogo dove tu possa arrivare. E’ già completamente qui. Parlo di quello che non è mai stato nascosto. Che non richiede nessun raggiungimento. Ogni sforzo porta solo ad un sapere relativo.
D.: Si dice però: ogni maestro ha qualcosa da imparare.
K.: Si, finché c’è un maestro, egli ha ancora qualcosa da imparare.
D.: E allora? Sei pur un maestro tu, no?
K.: Questo è impossibile. Non posso insegnarti nulla.
D.: Ma è per questo che sono qui.
K.: Non posso insegnarti quello che sei. Non posso darti nulla.
D.: Allora se è così…
K.: A dire il vero non posso toglierti nulla. E chiunque affermi che ti può dare o togliere qualcosa o procurarti un’esperienza d’illuminazione, è un bugiardo.
D.: Allora Budda è un bugiardo.
K.: Si. Non fidarti di un maestro morto.
D.: No, non è poi così facile. Budda ha senza dubbio un insegnamento. Che suona per dirla in breve così:-Tutta la vita è sofferenza. Ogni sofferenza viene dal desiderio. Esiste un sentiero per sfuggire al desiderio. Questo è l’ottuplice sentiero.-
K.: Nel Sutra del Diamante egli dice:- Non è mai esistito un Budda che abbia camminato sulla terra e mai ce ne sarà uno che vi camminerà. Egli dice: - Per quarant’anni ho predicato e non ho mai detto qualcosa. Nessuno ha detto qualcosa, nessuno ha parlato e nessuno ha mai ascoltato. -
D.: Ma esiste l’ottuplice sentiero. Esiste l’insegnamento. Esiste il Dharma.
K.: Ci sono delle persone che insegnano e se possibile ripetono sempre le medesime parole. Sono i guardiani del Dharma. I conservatori della miseria. Tutti gli insegnamenti che affermano che vi sia una via d’uscita alla miseria, mantengono la miseria. I guardiani del Dharma, (Darm = in tedesco Intestino) sono quelli che mantengono la …stitichezza ben salda.
D.: Prendiamo un altro esempio. Krishna insegna ad Arjuna. Tutta la Bhagavad-gita consiste solo in questo insegnamento.
K.: Krishna, Budda, Gesù o Socrate – sono tutte apparizioni. Ti appaiono come un espediente. Ognuno ti appare come un quadro che ti mostra un bel traguardo o per lo meno un buco nel muro: di lì puoi passare. Hai solo bisogno di sforzarti di saltare abbastanza in alto. Allora puoi attraversare. Devi costringerti. Allora ci passi. Alla fine devi trovare solo il coraggio di fare l’ultimo salto nell’abisso.
D.: C’è qualcosa che non va in questo?
K.: Non ce la fai a saltare tanto in alto. E l’ultimo passo non può farlo nessuno. Questo passo nell’abisso dell’essere, in te stesso, può farlo solo il Sé. E il Sé non ha bisogno di fare questo passo, perché…è l’abisso!  Il Sé è l’Abisso Assoluto. L’assoluto nulla.
D.: Allora questo vuol dire che non mi puoi aiutare?
K.: Infatti.
D.: Ma non esiste questo!
K.: Nel relativo tutto esiste. Nella Realtà nulla.
D.:Non importa. Io mi trovo bene seduto qui.
K.: Ho detto: qui non siede nessuno che dica qualcosa e là non siede nessuno che ascolti qualcosa. Quello che parla e quello che ascolta sono una cosa sola. Non c’è separazione. Se la parola proviene da questo corpo e l’ascolto avviene in quell’altro corpo, non ha importanza. Colui che parla qui e colui che ascolta è solo uno.
D.: Di tutto questo non mi rendo conto. Eppure sento un sostegno qui. Mi ricorda qualcosa.
K.: Probabilmente te stesso.
D.: Si, si tratta forse di questo.
K.: Sei rigettato verso te stesso. Non ti dò niente. Ti rimando indietro tutto quanto. Dammelo, dallo a te, dammi a me stesso.
D.: Te a te?
K.: Giochiamo ad acchiapparella con noi stessi.
D.: E per questo ho meditato tutti questi anni!
K.: Proprio per questo. Tutto quello che è successo prima o non è successo. Ti ha preparato a questo. Perché questo possa succedere in questo modo. Non c’è nulla di sbagliato. E’ sempre giusto. Succede sempre al momento giusto. Adesso.
D.: Per cui: non fidarti di nessun maestro morto.
K.: Non fidarti di nessun maestro morto. Non ce ne sono nemmeno vivi.

 

Cosa può fare un maestro?

 

D.: Che cosa fa diventare qualcuno un maestro e qualcuno invece un discepolo?
K.: Il fatto che ci sia uno che pensi di dover imparare qualcosa - e un altro che pensi che deve insegnare qualcosa. Un discepolo pensa di dover sapere qualcosa per avvicinarsi ad un traguardo. Un maestro pensa che può procuraglielo. Nella vita relativa succede. Chi vuol imparare a guidare ha bisogno di un insegnante. Uno sa come si fa, l’altro impara come si fa.
D.: Non è così nella vita spirituale? Il maestro vede che tutto è uno, il discepolo no. In tal modo il maestro porge un aiuto. In molte tradizioni esiste questa relazione da millenni.
K.: Si, la relazione maestro-discepolo ha una lunga tradizione. E se così deve accadere, è anche quella giusta. Tuttavia: non a causa, ma malgrado un discepolo ed un maestro succederà quello di cui parliamo qui: che il Sé diventi consapevole di se stesso. Non importa l’apparenza esteriore del concetto di maestro e di discepolo.
D.: Nella tradizione si dice chiaramente che senza Maestro è impossibile. Si riesce solo grazie ad un Maestro!
K.: Si riesce solo grazie al Sé. Il Sé può presentarsi anche sotto la forma di un Maestro. Però può essere anche un libro o qualcos’altro.
D.: La tradizione dice che il Maestro deve essere vivente, cioè in un corpo. Solo così può aiutare il discepolo a riconoscere il garbuglio della propria mente.
K.: Un Maestro può aiutare il discepolo a raggiungere la coscienza cosmica. Un insegnante che è arrivato alla coscienza cosmica, aiuta la coscienza personale ad entrare nel senza forma. Per andare dall’uno all’altro vi sono vari modi di guida. Per esempio il “neti neti” o “tu non sei il corpo” – tutte indicazioni di quello che non sei. Tutte le domande di “Chi sono io?” sono spiegate in modo che la coscienza individuale si ricongiunga con quella cosmica.
D.: Non vuoi ammettere che succede attraverso questo?
K.: Non succede mai attraverso qualcos’altro, succede solo attraverso la Sorgente. E per questo tutto quello che succede è spontaneo, sempre naturale. Non è mai condizionato. Il patto che esiste in una relazione maestro-discepolo è un finzione. In verità c’è solo la Sorgente. Da lei sorge tutto e a lei tutto ritorna. In questo sogno ci sono incontri mastro-discepolo. Ma esse non hanno effetto: quello che agisce efficacemente è la Sorgente.
D.: Ma la Sorgente agisce attraverso il Maestro. Attraverso lui agisce meglio che attraverso altre persone.
K.: No. La Sorgente agisce nelle cose in modo uguale ed unico. Non ha bisogno di specialità. Tutto quello che succede, anche il risveglio dalla coscienza individuale a quella cosmica, succede non per una qualunque causa, ma perché accade, semplicemente.
D.: In che rapporto si trova con la dedizione? Essa ha un ruolo importante nella tradizione!
K.: Che cosa ti appartiene che tu possa abbandonare? E a chi potresti darlo? Tu hai l’illusione di essere un possidente al quale appartiene qualcosa. E l’illusione che tu possa poi rendere la tua proprietà. Chi ha bisogno che avvenga una cosa simile? E a chi succede?
Se tu passi dalla coscienza individuale a quella cosmica questo è solo un passaggio di condizione. Vai da A a B. Ma chi è che fa questo passo? E chi ne ha un vantaggio? Esiste qualcuno che ne abbia uno svantaggio? Questo significherebbe che il Sé ha solo il suo stato naturale nella coscienza cosmica. La coscienza individuale sarebbe allora qualcosa di falso e transitorio. Ma entrambi sono coscienza.
Anche alla morte la coscienza individuale ha una fine. Si immette nel senza forma per poi ritornare alla prossima occasione nella forma. Entrambe sono coscienza. Una volta nel tempo, una volta nel senza-tempo. Nient’altro.  L’Assoluto non è condizionato da nessuno stato.
D.: E tu come lo sai?
K.: Nessuno lo sa. Tutto quello che dico è un concetto. L’unica cosa senza alcun dubbio è che io sono prima di qualunque concetto. So solo che non sono un concetto. E che sono. Qualunque cosa io possa essere.  Questo è solo quanto io so veramente. Devo esserci soprattutto per poter parlare di un concetto. Per questo devo essere prima del concetto. Questo è la sola cosa indubitabile. Ma ogni concetto di cui parlo rimane dubbio.
D.: Allora perché siamo seduti qui?
K.: Si tratta di riconoscere tutto come un concetto che provenga dalla tua idea dell’Io. Non può toccare quello che sei. Puoi far apparire tutto e poi farlo sparire. Rimane sempre qualcosa. Qualcosa di cui non puoi parlare. Qualcosa che è prima durante e dopo tutti i concetti. Questo fondo originario dell’essere, che non puoi né imparare né riconoscere. Quello che sei. Per quello non hai bisogno di fare nulla. Non hai bisogno di affaticarti, non devi lasciarti cadere, non hai bisogno di lasciar andare. Ogni idea, ogni sforzo di dover fare qualcosa o di lasciare qualcosa, non può trasformarti in quello che già sei.
D.: Ho frequentato molti maestri. La relazione maestro-discepolo è stata per me sempre molto importante. Sono cascato in un concetto?
K.: Il concetto sparisce. Affinché rimanga l’unica cosa che è, tutto scompare. Anche l’idea di valore, di qualità e di distinzione. Questa è la sola possibilità, perché possa apparire questa pace che consiste nell’assenza di qualunque concetto. Questo vale anche per una qualsiasi idea di una relazione maestro-discepolo. E’ altrettanto fittizia come l’idea che sei vivo. Solo con l’idea di un Io appare anche l’idea di un maestro.
Se tu avessi veramente rispetto per il tuo maestro, lo lasceresti semplicemente sparire. Riconosceresti i maestri come quello che sei tu. Sarebbe rispetto per quello che è. Con questo renderesti felice tutti i maestri del mondo.
Non è mai esistito un maestro che abbia detto “Sollevatemi fino al cielo e costruitemi una chiesa.” Tutti hanno detto:”Dimenticatemi, appena sono partito. Se volete onorarmi, dimenticatemi.”
Nessuno l’ha preso per vero. Anzi al contrario, sono state costruite religioni. Gesù non ha mai detto: “Fondate una religione.” Ha detto:”Lasciate che i morti seppelliscano i morti.”
D.: Riesci a presentarmi i maestri come se fossero bacati!
K.: Tutto quello che fai è evitare il vuoto. Per questo esistono diverse tecniche. Prendi la relazione maestro-discepolo. E’un tentativo di riempire il vuoto. E’ il tuo tentativo di dare a quello che è l’Io un confronto, un traguardo.
D.: Soltanto per trovare qualcosa di importante.
K.: E’ assolutamente non pertinente. L’io è solo un’idea, un’idea di separazione. Quest’idea ha bisogno di un confronto e quindi di un traguardo. Qualunque traguardo è utile, anche quello di non avere un traguardo. Anche con questo si può riempire il vuoto. L’Io è pieno di trucchi. Non puoi sfuggirgli. Si nasconde anche dietro il non-nascondersi. Chi agisce si nasconde dietro a colui che non agisce.
D.: Allora cosa posso fare?
K.: Quello che non puoi fare. Che cosa è completamente in tutte le circostanze quello che è? Che cosa non conosce alcun cambiamento?  Che cos’è la cosa più solida che esista? Che cos’è questo fondamento originale che deve sempre esserci, perché ci possa essere dopo tutto un conoscitore ed un conosciuto? Che cos’è quest’essenza che è sempre silenziosa e non si muove mai? Nella quale appaiono solo informazioni che poi svaniscono? Dimmi: per diventare ciò che sei, il permanente, che mai non viene né va - deve per questo succedere qualcosa? Devi forse fare qualcosa? Riconoscere qualcosa? Oppure c’è con o senza questa conoscenza?
D.: Probabilmente. Se incontri un altro maestro che ha intuito questo, non avete niente da raccontarvi.
K.: Allora succede la stessa cosa, come ora. Perché sto parlando proprio con lui. Dal tuo punto di vista sembra che qui ci sia uno che parla e là qualcuno che ascolta. Ma c’è solo un unico Essere. In questo momento si esperimenta come sperimentatore, esperienza e sperimentato. Che vi sia separazione è solo una finzione. Tutte le altre finzioni provengono dal fatto che questa finzione sia considerata reale. Anche la domanda di un senso o di non-senso le appartiene. La sorgente, l’Essere, non ha bisogno di questo senso.
D.: Questa è la sepoltura del maestro.
K.: Quanto più la riconosci come sola Realtà, tanto più puoi seppellire. Tutto   quello che non sei, viene sepolto. Sempre più cade nell’eterno avello del non pertinente. Cadono le credenze una dopo l’altra. Capisci dunque che tutto quello che devi o puoi credere non può essere il Sé.
D.: Ma il maestro mi aiuta a riconoscere questo!
K.: Tu credi che lui possieda la carota che hai inseguito tutta la vita. E quando sarai maturo egli te la servirà. E quando poi l’avrai mangiata, potrai rilassarti perché allora sarai illuminato. Tutto questo fa parte della finzione. Il risveglio dalla coscienza individuale a quella cosmica fa parte della finzione. Quando pensi: “Ecco, questa è la realtà ed io sono quella” - questa è pura finzione.
D.: Ma se a questo risveglio è collegato un terrore esistenziale?
K.: Tutto questo fa parte del sogno. Anche chi è spaventato. Quello che sei non sarà né toccato né cambiato da tutto questo. Era ed è sempre quello che è.
D.: La paura se ne va solo quando ho scoperto questo?
K.: Allora non esiste più colui che può spaventarsi.
D.: E questo allora va bene?
K.: Questo non va né benemale, ma semplicemente tutto rimane come è sempre stato. Non c’è nulla di nuovo. E se qualcuno ti chiede: “Come stai?” dirai: ”Come sempre.”  E allora il maestro ti darà un colpetto sulla spalla e un dieci e lode.

 

Il vuoto come maestro

 

D.: A volte si dice che il vuoto è il vero maestro. Cosa c’è di vero in questo?
K.: Il vero maestro siede sempre tra una sedia e l’altra. E’ là che si trova più comodo. Non qui su questa sedia e neppure su quella vicina, ma nello spazio intermedio. Il vero maestro siede tra un momento e l’altro. Tra due pensieri. La breccia è la percezione.
D.: Allora devo ascoltare piuttosto quello che si trova negli spazi tra le tue parole?
K.: Se puoi. La mente ha dei problemi con questo. La mente non vuole spazi intermedi. Nella metropolitana a Londra sta scritto: “Mind the gap”. “Attenzione all’interstizio”. La mente non può esistere nell’intervallo. Nello spazio vuoto non c’è mente. Per questo si dice “Mind the gap!” “Mente, attenzione allo spazio vuoto!” Altrimenti non ci sei più. Là non puoi esistere. Il vuoto è il maestro che soffia via la mente. Nel vuoto la ragione - pfffff - vola via. Ma nello spazio vuoto c’è quello che sei. Là stai bene. Là non esiste una dimensione prescritta. Sei il più grande ed il più piccolo, tutto quello che è possibile ed impossibile, l’esistenza stessa. Là c’è spazio infinito e nessuno spazio.
D.: Ho frequentato una volta un corso di tamburo. Dovevo sempre mantener l’intervallo, lo spazio vuoto. Non riuscivo bene. I piedi volevano continuare.
K.: Nessuno può sopportare lo spazio intermedio. Il vuoto è il maestro dell’Io. Non fa niente. E’ soltanto vuoto. Ecco tutto. Non c’è nessun Io, eppure c’è quello che sei, interamente. Proprio come c’è adesso. Non se ne va mai. Non va né viene. E’ qui ora e sempre, nell’eterno ora. Nel tempo c’è solo un accenno a quello che non ha tempo. Solo un accenno a quello che non ha né andare né venire, nessuna nascita e morte. Il Sé non appare mai e non tramonta mai. E tutto quello che appare, tramonta perché non è mai stato vero.
D.: Eppure riempie lo spazio intermedio! Forse questo rende lo spazio vuoto così pesante che non lo si sopporta.
K.: Il vuoto è così leggero da essere insopportabile. Ecco perché ti arrabatti e combatti: per riempirlo.
D.: Cosa succederebbe se smettessi di dimenarmi?
K.: Lascia stare! Ti mostro come è meraviglioso stare nel vuoto. Com’è leggero. Diventa pesante solo se vi resisti. Diventa pesante se cerchi di riempire questo vuoto. Esso stesso è perfettamente leggero. Esso è il tuo posto.
D.: Dove mi sento a casa.
K.: Dove non c’è “a casa”.
D.: E questo sarebbe il raggiungimento supremo?
K.: No, queste sono solo promesse vuote.
D.: Insomma non ti posso mai afferrare! Ti sottrai a qualunque affermazione. Come un serpente!
K.: Ma il serpente dice: “Assaggia una volta! Vieni! Vai dentro in quello che non puoi essere. Vieni qui nello spazio intermedio. Mordi la mela!”
D.: E lì trovi il verme.
K.: Si, proprio lì dentro, nel foro fatto dal verme! Come nel film Star Trek. Lo conosci no? Entri nel foro del verme e già sei altrove. Lo spazio vuoto è l’incentivo. E questo è vero. Lo spazio ti attira totalmente dentro di sé.
D.: Per favore non…
(suona un campanello)
K.: Ancora un colpo di fortuna.
D.: Arriva ancora qualcuno.
K.: Un tappabuchi.

 

Il maestro è irrilevante

 

D.: E’ vero che un maestro può portare un discepolo all’unità della coscienza?
K.: Questo non è rilevante. Dove tu puoi entrare puoi anche uscirne. Può essere che per un certo tempo l’idea di dualità sia assente. Allora c’è unità. Ma da quest’unità si ritorna di nuovo alla dualità.
D.: Trovo solo interessante che attraverso l’esercizio o un maestro si possa fare questa esperienza.
K.: Malgrado quello che ti possano arrecare tutti gli sforzi, le tecniche o i maestri, tu ricaschi fuori di nuovo.
D.: Il mio maestro spirituale ha detto: “Puoi sperimentare adesso la stessa unità della coscienza che si prova dopo la morte.”
K.: Quello che forse vuol dire è: quello che avviene dopo la morte è già quello che provi durante la vita, cioè l’unità che sempre riappare. Alla morte il corpo si disgrega e la coscienza del corpo torna all’unità della coscienza. E tutto quello che succede nella coscienza non può farti diventare quello che già sei.  Le esperienze d’unità o di consapevolezza sono sempre esperienze. Possono in ogni modo mostrarti che sei quello che sperimenta. E che quello che sperimenta non lo si potrà mai sperimentare. Tutte le esperienze, anche la morte e la vita sono effimere. Vanno e vengono. Quello che sei non va e non viene. Sei la Sorgente. Tutta la vita fenomenale è uno specchio.
D.: Questo, mi pare, l’ho già vissuto una volta.
K.: Questo non lo si può sperimentare. L’occhio non può vedere se stesso. La percezione non può percepire se stessa. Tutto quello che è percepibile non è quello che è la percezione.
D.: Ma una volta questo succedeva anche a te. C’è stata un’improvvisa presa di coscienza.
K.: E’ stato solo un Aha!
D.: Già appunto.
K.: Un Aha! - che quello che viene percepito non può essere quello che percepisce. E che anche colui che percepisce, il Carletto, era solo una parte di ciò che è percepito. Ma prima di Carletto vi è quello che è veramente - e questo non è sperimentabile. L’impenetrabile, l’incomprensibile, la totale assenza dell’ego e l’assenza di desideri è sempre presente, qualunque cosa succeda ed è quello che sei. Tutto quello che sorge davanti a te è il riflesso della tua esistenza. Quello che sei è l’essenza in tutto. Ma non è sperimentabile.
D.: Allora questo non offre niente. Voglio dire che qualcosa che non si sperimenta non può arrecare soddisfazione.
K.: Viene a mancare qualunque attrazione per il fenomenale.
D.: Si, lo vedo. Come un appendice, un’aggiunta. L’interesse per fenomeni superficiali diminuisce, probabilmente una sorta di condizione preliminare all’Aha.
K.: No, questo non ha condizioni preliminari. E’ la stessa assenza di condizioni.
D.: Nessuna premessa?
K.: E’ senza alcuna premessa.
D.: Allora non ho nemmeno bisogno di un maestro.
K.: Allora chi non ha bisogno di un maestro?
D.: Come, scusa?
K.: Chi resta allora che non ha bisogno di un maestro?
D.: Chi? Cosa?
K.: Tu non puoi fare niente. Nel sogno possono emergere un maestro ed uno scolaro. Forse lo scolaro crede di aver imparato qualcosa. Ma tutto quello che può accadere in questa relazione svanisce, perché entrambi sono aboliti. Maestro e scolaro spariscono. Quel che rimane è la vita e la verità in sé. Essere assoluto.
D.: Certo, ma che tipo di maestro è quello che sparisce?
K.: Può essere un maestro personale.
D.: Ma quello è solo qui per sparire.
K.: E tutta la vita è il maestro.
D.: Ma nel realizzare quell’Aha! sparisce anche quello?
K.: Sparisce tutto quello che non esiste.
D.: Ultimamente ho detto ad un maestro che il mio maestro era la vita. Lui ha risposto: - No, questo significa sfuggire, tu hai bisogno di un maestro personale. Tu hai bisogno di me.-
K.: Nei Veda sta scritto: - Finché c’è un maestro che pensa di dover insegnare qualcosa, significa che egli deve ancora imparare qualcosa.-
D.: Si, gli ho detto qualcosa di simile anch’io! E allora il maestro si è arrabbiato molto!
K.: Posso solo dirti:- Spero di essere così irrilevante come lo sono sempre. -
D.: Allora inutile?
K.: Inutile e irrilevante.
D.: Questo sarebbe per così dire la tua essenza?
K.: Si, assolutamente irrilevante.
D.: Pazzo!


Presentazione - Primo capitolo

Secondo capitolo - Terzo capitolo


I contenuti pubblicati su www.riflessioni.it sono soggetti a "Riproduzione Riservata", per maggiori informazioni NOTE LEGALI

Riflessioni.it - ideato, realizzato e gestito da Ivo Nardi - copyright©2000-2024

Privacy e Cookies - Informazioni sito e Contatti - Feed - Rss
RIFLESSIONI.IT - Dove il Web Riflette! - Per Comprendere quell'Universo che avvolge ogni Essere che contiene un Universo