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Testi per riflettere

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Ricordi Sogni Riflessioni

Di Carl Gustav Jung
Da Ricordi Sogni Riflessioni - Rizzoli
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Tenendo conto della fallibilità di ogni giudizio umano, non possiamo credere di giudicare sempre rettamente: possiamo facilmente essere vittime di un errore di giudizio. Questo concerne il problema etico solo in quanto ci sentiamo incerti nella valutazione morale. Ciononostante siamo obbligati a prendere delle decisioni morali. La relatività di bene e di male, o «cattivo» non significa in nessun modo che queste categorie siano prive di valore, o non esistano. Esiste sempre un giudizio morale con le sue caratteristiche conseguenze psicologiche. Ho sottolineato varie volte che il male che abbiamo fatto, pensato, o voluto, si vendicherà sulle nostre anime anche nel futuro, così come ha fatto sinora, indipendentemente dal fatto che il mondo sia cambiato o no per noi. Soltanto i contenuti del giudizio sono sottoposti alle differenti condizioni di spazio e di tempo, e, pertanto, variano in rapporto ad esse. La valutazione morale si fonda sempre sulla apparente certezza di un codice morale, che pretende di stabilire con precisione che cosa è il bene e che cosa è il male; ma una volta che sappiamo quanto ne è incerto il fondamento, la decisione morale diventa un atto soggettivo, relativo. Possiamo convincerci della sua validità solo Deo concedente, leve cioè esserci un impulso spontaneo e decisivo da parte dell'inconscio. La morale in sé, cioè la decisione tra il bene e il male, non è influenzata da questo fatto, solo che per noi diventa più difficile. Nulla può risparmiarci il tormento di una decisione morale. In certe circostanze dobbiamo avere la libertà, per quanto possa esserci duro, di astenerci dal bene morale conosciuto come tale e di fare ciò che è considerato male, se la nostra decisione morale lo richiede. In altre parole, non dobbiamo soccombere a nessuno dei due opposti. Al riguardo un esempio ci è dato dal neti-neti della filosofia indiana in forma morale: in certi casi il codice morale è senz'altro abrogato e la scelta morale è lasciata all'individuo. Questo fatto in sé non è nuovo: prima che esistesse la psicologia tali difficili scelte erano indicate col nome di «conflitto di doveri».
Di regola, comunque, l'individuo è talmente inconscio che non conosce la sua capacità di decidere, e perciò va ansiosamente alla ricerca di regole e leggi esterne che possano sostenerlo nella sua perplessità. A parte la generale insufficienza umana, la responsabilità di ciò va anche all'educazione, che si fa banditrice di vecchi luoghi comuni, ma non parla dell'esperienza personale del singolo. Ci si adopera ad insegnare idealità che si sa che non potranno mai essere vissute pienamente, idealità che sono predicate - per dovere di ufficio - proprio da coloro che nella loro vita non le hanno mai messe, e mai le metteranno, in pratica! Tale situazione viene accettata senza discussione.
Perciò, chi desideri avere una risposta al problema del male, così come si pone oggi, ha bisogno, per prima cosa, di conoscere se stesso, e cioè della maggiore conoscenza possibile della sua totalità. Deve conoscere senza reticenze quanto bene può fare, e di quale infamia è capace, guardandosi dal considerare reale il primo e illusoria la seconda. Entrambi sono veri in potenza ed egli non sfuggirà interamente ne all'uno ne all'altra, se vuole vivere - come naturalmente dovrebbe - senza mentire a se stesso e senza illudersi.
In genere, comunque, gli uomini sono irrimediabilmente lontani da un tale grado di conoscenza, sebbene oggi esista, per molti uomini, la possibilità di una più profonda conoscenza di sé. Tale auto-conoscenza è di primaria importanza, perché grazie ad essa ci avviciniamo a quel fondamento o nucleo della natura umana che è la sede degli istinti, quei fattori dinamici esistenti a priori da cui alla fine dipendono le decisioni etiche della nostra coscienza. Questo nucleo è costituito dall'inconscio con i suoi contenuti, sul quale non possiamo pronunciare alcun giudizio definitivo. Ne abbiamo necessariamente idee inadeguate, poiché siamo nell'impossibilità di comprenderne l'essenza con un atto conoscitivo, e di stabilirne i limiti razionali. Si consegue la conoscenza della natura solo attraverso una scienza, che accresca l'ambito della nostra coscienza; e perciò una più profonda conoscenza di sé esige anche la scienza, cioè la psicologia. Nessuno costruisce un telescopio o un microscopio con un solo movimento della mano, e soltanto con la buona volontà, senza una conoscenza dell'ottica.
Oggi abbiamo bisogno della psicologia per ragioni vitali. Restiamo perplessi e stupefatti di fronte al fenomeno del nazismo e del bolscevismo perché non sappiamo nulla dell'uomo, o al più ne abbiamo un'immagine svisata e parziale. Non sarebbe così se avessimo conoscenza di noi stessi. Ci troviamo di fronte al terribile problema del male e non sappiamo che cosa ci sta innanzi, e tanto meno quindi quale risposta dargli; e anche sapendolo, non sapremmo capire «come tutto ciò possa accadere». Con straordinaria ingenuità un uomo di stato dichiara di non avere «immaginazione nel dominio del male». Esatto: noi non abbiamo immaginazione del male, ma il male ci ha in suo potere. Alcuni si rifiutano di saperlo, e altri invece si identificano con lui. Questa è la situazione psicologica del mondo odierno: gli uni si chiamano cristiani; immaginano di poter calpestare il cosiddetto male soltanto volendolo; gli altri ne sono divenuti preda e non vedono più il bene.

 

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