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Shantala

Tratto da "Shantala" L'arte del massaggio indiano per far crescere i bambini felici. Di Frederick Leboyer, ed. Sonzogno
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Dentro, la fame.

Di fuori, il latte.

E, fra i due, l'assenza, l'attesa che è sofferenza indicibile.

E che si chiama il tempo.

 

Ed è così che, semplicemente con l'appetito, sono nati lo spazio e la durata.

 

Se i piccoli urlano, ogni volta che si svegliano, non è per i morsi della fame.

Non muoiono d'inedia.

Sono terrorizzati dalla novità della sensazione. Da quel "qualcosa dentro" che prende proporzioni immense proprio perché, di fuori, il mondo è morto.
Bisogna nutrire i piccoli.
Non vi son dubbi.
Non solo il loro ventre, ma anche la loro pelle.
E inoltre, in questo oceano di novità, d'ignoto, bisogna fargli riprovare sensazioni passate. Che sole, per ora, possono indurre uno stato di pace, di sicurezza.
Questa pelle, questo dorso non hanno dimenticato.
Ho raccontato come le prime contrazioni nel seno materno avessero terrorizzato il bambino.
Ho detto come, finita la sorpresa, il piccolo avesse cominciato a amare, a invocare quella forza che si impadroniva di lui, che lo premeva. Poi lo lasciava stupefatto e sazio.
E come, di settimana in settimana la presa si fosse fatta più appassionata, più potente.
Per culminare, finalmente, nel delirio, l'ebbrezza del parto, del travaglio.
Sarebbe un grave errore immaginare la nascita come necessariamente dolorosa per il bambino.
Non c'è nessuna fatalità del dolore.
Né qui né nel parto.
Così come "dar la luce" può essere per la donna, liberata dalla paura, un'esperienza esaltante, non paragonabile a nulla, la nascita può essere, per il bambino, la più straordinaria, la più forte, la più profonda delle avventure.
Il suo grido, allora, non è che l'appassionata protesta che un piacere così intenso finisca, bruscamente.
Ho detto come, appunto, bisognasse, alla nascita, tenere il bambino, massaggiarlo.
Prolungando, così, la sensazione possente, lenta, ritmata.
Facendola morire lentamente, si evita la frattura brutale, origine di sofferenza e di rifiuto.
Così sembra al bambino che la contrazione lo accompagni alla culla per non lasciarlo che quando si è ben sistemato in questa nuova ed inebriante libertà.

 

Ciò che si è fatto, al momento della nascita, bisogna ripeterlo ogni giorno, per settimane, per mesi.
Poiché, per lungo tempo ancora, il piccolo, ogni volta che si sveglia, prova lo shock di ritrovare il mondo al contrario:

 

le sensazioni forti "nel" suo ventre, nello stomaco, e "di fuori" più niente!
È essenziale ristabilire l'equilibrio.
E nutrire il "fuori" con altrettanta cura del "dentro".
Per aiutare i piccoli a traversare il deserto dei primi mesi della vita, perché essi non provino più l'angoscia di sentirsi isolati, perduti, bisogna parlare al loro dorso, bisogna parlare alla loro pelle che hanno sete e fame quanto il loro ventre.

 

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