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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

 

I Polari

- Prima parte
di Daniele Mansuino

Aprile 2023


Quando scrissi, nell’articolo René Guénon e l’organizzazione, dell’adesione del grande esoterista francese al gruppo spiritista passato alla storia con il nome di Polari, ero lontano dall’immaginare cosa mi aspettasse.
Avevo preso la definizione gruppo spiritista in un libro che stimavo attendibile; ma i Polari non la gradirono molto, ed entrarono in contatto con me per spiegarmi chi sono realmente.
Un frutto senz’altro importante del mio incontro ravvicinato con loro è stato la presa di coscienza dell’antichità della loro tradizione, che (sebbene i Polari odierni privilegino i rapporti con la Società Teosofica) può essere considerata a tutti gli effetti una terza via rispetto ai due poli del dibattito esoterico contemporaneo, quello anglosassone e quello dell’esoterismo tradizionale.
Come per molti derivati dell’Ermetismo, che dall’Egitto mosse verso Oriente, l’origine della tradizione polare può essere localizzata nell’Asia sud-occidentale. Da essa è derivata l’usanza di definire la razza bianca chiamandola caucasica, ed ancora, la ritroviamo nel concetto - proprio del Sufismo asiatico - di Polo spirituale (che si identifica, presso gli Sciiti, con il Dodicesimo Imam, o l’Imam Nascosto); però in questo articolo non prenderemo in considerazione tali argomenti, perché vogliamo concentrarci sugli effetti del mito polare nell’esoterismo occidentale.
O, ancora meglio: nell’esoterismo occidentale più recente - saltando quindi anche passaggi, interessanti ma non essenziali, come la corrispondenza tra la montagna polare (il Monte Meru) e la Montagna del Purgatorio di Dante, e l’annessa questione sul se e in che modo il sommo poeta fosse stato influenzato dal Sufismo, eccetera.
Tra parentesi, le leggende dei Sufi intorno alla montagna polare (che per loro è il Monte Qaf, la cui scalata equivale all’attraversamento degli stati dell’essere più elevati) rivelano come essa possa essere presa a simbolo del complesso della tradizione ermetica: infatti il suo vertice è dominato da una Roccia Smeraldina, dalla quale irradia una luce che ne rischiara le pendici fino alla base.
Nel senso verticale, la montagna è attraversata dal cunicolo dell’Asse del Mondo, ed è questa la sola via per cui sia possibile raggiungere la vetta: via buia un tempo, perché era la dimora dei demoni, ma oggi illuminata dalla luce verde, perché è divenuto il luogo nel quale discendono gli angeli e la divina compassione.
È quest’ultimo un riferimento non tanto all’Ermetismo in genere, quanto piuttosto a quelle sue particolari linee di trasmissione - più ristrette, più ad personam e caratterizzate dal simbolismo del colore verde - delle quali ho trattato, con L. d. C., ne L’iniziazione di Elia.
La tradizione polare è oggetto, nel mondo dell’esoterismo, di una certa diffidenza, per via dei suoi legami con la genesi del razzismo e del nazismo; ma andrebbe anche precisato che il pensiero polare in sé non ha niente a che vedere con le ideologie, essendo fondato sullo sviluppo di dati astronomici.
In particolare: la Terra, oggi, non starebbe ruotando intorno al suo asse originario, e tale sfalsamento (conseguenza di una catastrofe riguardo alla quale esistono varie ipotesi) sarebbe legato da un rapporto causa-effetto alle difficoltà e ai disagi dell’esistenza terrena, nonché alla limitatezza delle facoltà realizzative e spirituali dell’uomo.
È questa una concezione che ha, in Europa, il suo principale pioniere in uno dei padri dimenticati dell’esoterismo moderno, Antoine Fabre d’Olivet (1767-1825); e tra i nomi dei numerosi esoteristi che vi aderirono successivamente, spiccano quelli della signora Blavatsky e di René Guénon.
Sebbene le considerazioni della signora Blavatsky siano state le più influenti sugli sviluppi successivi dell’esoterismo, quelle di Guénon non sono certo meno interessanti. In saggi come La Terra del Sole e Il Cinghiale e l’Orsa (entrambi contenuti nei Simboli della scienza sacra) il grande esoterista francese illustrò il passaggio dell’umanità dall’influenza delle stelle fisse a quella dei pianeti: un passaggio che è lecito considerare un coefficiente importante della progressiva incarnazione dell’Uomo sul piano della realtà oggettiva, e che rimane ancora oggi di stretta attualità per quanti affrontino il processo di trasmutazione interiore. A costoro, infatti, si pone il dilemma di come retrocedere dall’influenza dei pianeti a quella delle stelle - un problema tecnico di assai difficile soluzione, riguardo al quale tutte le informazioni disponibili sono benvenute.
Risuona quindi del massimo interesse l’idea espressa da Guénon che l’attuale Zodiaco in dodici segni sarebbe derivato da una precedente suddivisione in dieci segni; di quest’ultima sarebbe rimasta traccia nel dodecaedro pitagorico, la cui sovrapposizione alla sfera celeste delineerebbe al livello equatoriale (e quindi zodiacale) dieci settori.
Senza volerci dilungare, il mutamento su cui l’approccio guenoniano attira l’attenzione è quello che si verificò quando venne elaborata dall’uomo - e proiettata nei cieli - la matematica, in un’epoca in cui l’astronomia non esisteva come scienza a se stante, ed era dunque lecito il desumere direttamente leggi dai rapporti tra gli astri e il mondo dell’astrazione; e proprio da quella fonte (o per meglio dire, da quel … Vaso di Pandora) sarebbero sgorgate le innumerevoli scuole di pensiero che l’etichetta tradizione polare raggruppa oggi soltanto inadeguatamente.
Come vedremo, oggi i Polari di indirizzo più specificamente esoterico rivendicano come una parte della propria tradizione anche il rosacrucianesimo, che di solito viene catalogato come un derivato dell’Ermetismo senza ulteriori parentele; però è vero che il suo costituire un’apertura del lavoro ermetico alla pratica collettiva (un tratto che ho messo in luce anche nei recenti articoli che ho scritto, con Paolo Del Casale, su questo tema) individua, tra Rosacrociani e Polari, una comunanza d’intenti assai spiccata.
Quando si parla dei Polari di indirizzo esoterico (che vengono idealmente contrapposti, in questa mia breve trattazione, a quelli di indirizzo razzista), è d’obbligo fare centro sulla figura di Alexandre Saint-Yves d’Alveydre (1842-1909). Sarebbe stato lui a pubblicare nel 1886 Mission de l’Inde, il libro che diffuse in Europa il mito dell’Agarthi (da lui chiamata Agartha) e dichiarò al mondo che un misterioso potere centralizzato era, da sempre, il motore immobile dei progressi dell’umanità - un’idea molto adatta ad imprimersi nell’inconscio delle persone in quegli anni, mentre il medium della carta stampata stava portando a termine il suo processo di avvolgimento del globo terrestre.
Se ci vogliamo limitare ai suoi effetti nel mondo esoterico, la Mission de l’Inde fu la campana dell’ultimo giro che avrebbe tirato la volata alla teosofia blavatskiana, il che è già molto; ma ben più grandi sarebbero stati gli effetti sul mondo profano, in un’Europa nella quale il dibattito dell’89 non si era ancora spento, mentre le nuove borghesie alzavano lo sguardo al di là dei confini della propria nazione, per distoglierlo dalle disparità sociali che erano il frutto del loro trionfo.
Sarebbe stata una conseguenza del loro senso di colpa che, a partire dall’aristocratica sinarchia proposta da Saint-Yves, venissero alla luce (in certi casi più direttamente, in altri meno) concezioni mondialiste più democratiche - dall’internazionalismo marxista al wilsonismo del primo dopoguerra; e quanto all’ambito esoterico, diverse interessanti associazioni segrete, la più importante delle quali fu la Confraternita dei Polari di cui conto di trattare al dettaglio il prossimo mese.
Prima, però, vorrei esaurire il discorso dei Polari di indirizzo razzista. Se mi si vuole perdonare un paragone avventuroso, direi che il loro rapporto con il tronco principale della tradizione polare mi sembra analogo a quello che intercorse tra il marxismo e lo stalinismo: nel senso che la dottrina stalinista era, in origine, una variante del marxismo-leninismo assai poco seguita, ma sarebbe poi diventata gigantesca (addirittura fino al punto di sostituire, nella coscienza collettiva, il comunismo originario) in seguito ad eventi che non ebbero alcun rapporto con il confronto delle opinioni.
Il primo germe del polarismo razzista può forse essere rintracciato nelle innocenti parole con cui l’astronomo ed esoterista Jean-Sylvain Bailly (1736-1793) parafrasava la leggenda della Fenice:

La testa ed il petto hanno il colore del fuoco; la sua coda e le ali sono di un azzurro cielo. Essa vive trecento giorni, dopo di che, seguita da tutti gli uccelli di passaggio, vola nella lontana Etiopia, dove nidifica; brucia insieme al suo uovo, dalle cui ceneri emerge un verme rosso che, dopo aver assunto la forma di un uccello e rimesso le ali, riprende il volo con gli stessi uccelli verso il nord.
Poiché la Fenice è un simbolo solare, secondo Bailly il suo ciclo di morte e rinascita raffigura quello del sole, della durata di 365 giorni, ed i 65 nel corso dei quali la Fenice è morta corrisponderebbero alla durata della notte polare. Le stesse due cifre, 300 e 65, erano scritte - secondo i Romani - rispettivamente sulla mano destra e la mano sinistra di Giano Bifronte; e da questo non si può non pensare che Giano sia una divinità nordica, importata nel sud attraverso le migrazioni dei popoli.
Fu proprio a partire da Bailly che la dottrina della patria artica fece il suo ingresso nel mondo della cultura; anticipando, e di parecchio, il notevole interesse che si sarebbe registrato nei suoi confronti all’inizio del novecento, quando molti in Europa intravvidero la possibilità di neutralizzare la portata rivoluzionaria del movimento socialista per mezzo del razzismo.
Ci sono peraltro notevoli studiosi, come Henri Corbin (1903-1978), restii ad accettare l’idea che la patria artica dovesse trovarsi sulla Terra, ed inclini ad immaginarla - chi più, chi meno - come una dimensione spirituale. In Evola, come vedremo il prossimo mese, la dimensione spirituale e quella materiale sembrano coesistere; mentre invece Guénon esclude senz’altro che la presenza del Monte Meru al Polo Nord sia un dato geografico, attribuendogli il senso di simbolo della prosecuzione dell’asse terrestre nell’asse celeste, e sottolineando di quest’ultimo soprattutto la sua funzione di perno per gli Arktoi (ovvero per le costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore).
Per ciò che ho esposto riguardo ai temi del mio breve studio, non è il caso di soffermarci a lungo sulle due Orse. Però va detto che il loro ruolo privilegiato rispetto ad altre costellazioni non risiedeva soltanto nella maggiore visibilità, ma anche nella particolare evidenza del loro moto rotatorio; e questo dato, in seno alla tradizione mitraica, avrebbe fatto di loro i bracci della svastica, sulla quale torneremo più avanti.
Non solamente nelle tradizioni mediorientali ma anche in quella indù, tanto l’idea dello spostamento dell’asse terrestre quanto quella della patria artica avevano solide radici; purtroppo, e senz’altro al di là dei desideri di quanti le avevano piantate, in gran parte destinate a nutrire la mala pianta del polarismo razzista in epoca moderna.
Così un pioniere dell’indipendenza dell’India, Bal Gangadhar Tilak (1856-1920), pubblicò nel 1903 The Arctic Home in the Vedas: una dotta analisi del contenuto dei Veda su basi astronomiche, secondo la quale l’umanità (sotto la spinta dell’ultima era glaciale, che sarebbe stata innescata dallo spostamento dell’asse terrestre) avrebbe lasciato le zone polari tra il 10.000 e l’8.000 a. C., per scendere ad occupare l’Europa e l’Asia tra l’8.000 e il 5.000.
Tra il 5.000 e il 3.000, nel corso di quello che Tilak definiva il Periodo di Orione, sarebbero stati composti i Veda, direttamente derivati dalla tradizione artica, e sviluppato il sistema religioso induista; poi, tra il 3000 e il 1.400, i tratti originari della tradizione avrebbero cominciato a disperdersi, e gli Indiani avrebbero proceduto alle trascrizioni di ciò che era rimasto, per salvare il salvabile.
In India l’opera di Tilak ebbe un grande successo, entrando a far parte di quel corpo di scritti - composti, in buona parte, da intellettuali di formazione occidentale o teosofica - sulla cui base la conoscenza e l’orgoglio della cultura nazionale sarebbero stati riedificati. Ma anche in Europa l’impressione da lui destata fu vasta; al punto che, rileggendo oggi le opere dei teorici del nazionalsocialismo, si ha l’impressione che la conoscenza e l’accettazione del suo punto di vista vengano date per scontate.
Svariati furono gli sforzi per amalgamare la visione di Tilak con quella prospettiva tradizionale, più o meno artificiale (imparentata con l’esoterismo tradizionale di Guénon, ma con esso non coincidente), che tra le due guerre si palesò come un utile supporto teorico per i nazional-socialismi europei. Ma forse il più valido tentativo in questo senso fu quello, posteriore, di H. S. Spencer, che in The Aryan Ecliptic Cycle (1965) seppe sovrapporla con successo alla tradizione zoroastriana, riscontrando concordanze che arricchirono di molto le conoscenze (non saprei dire se storiche o immaginarie) sulla Migrazione degli Ariani.
Notevole fu anche il contributo di Spencer all’idea che il ramo iraniano della tradizione ariana si sarebbe conservato più intatto di quello indù (portata avanti, in tempi recenti, anche da gruppi nazionalsocialisti italiani, come Avanguardia).
In effetti, uno dei tratti che accomuna questo autore agli studiosi nazisti e neonazisti, è la convinzione - espressa anche da Guénon, ma in modo assai più sfumato - della supremazia di Purusha, o della concezione maschile di dio, su quella femminile; idea dalla quale, è bene precisarlo per onestà, non viene desunto un atteggiamento oppressivo nei confronti della donna, ma piuttosto una legittimazione della concezione eroica della vita.
Il termine ariano nel senso usato dai Nazisti era stato coniato nel 1819 da Friedrich von Schlegel (1772-1829), che certo non immaginava quelli che ne sarebbero stati gli sviluppi futuri. Nella cultura nordica della sua epoca era vivo un certo rancore verso l’inattendibilità dell’Antico Testamento, che a quei tempi rappresentava un problema molto più serio di oggi, perché i cristiani (sia cattolici che protestanti) ostacolavano qualunque teoria se ne discostasse; ed era stato in gran parte per cercare di aggirare questo problema che molti studiosi si erano dedicati allo studio del sanscrito, affrettandosi a sentenziare, e a diffondere il più possibile (per quanto allora se ne sapesse pochissimo) la nozione che la cultura indiana fosse anteriore a quella ebraica, anzi forse quest’ultima non ne era altro che uno scadente derivato.
Fu dunque - paradossalmente - ad opera di questi arrabbiati modernisti che venne lanciato in Europa il mito della tradizione indù, attribuendovi molto più di quanto le conoscenze di allora giustificassero e di quanto le acquisizioni successive abbiano consentito di scoprire; e poiché uno degli effetti creati dalle mode culturali di questo genere è di fare abbassare la guardia rispetto all’attendibilità delle informazioni, venne senz’altro accettato l’avventuroso etimo proposto da von Schlegel per collegare il termine sanscrito arya (nobili) al tedesco ehre (onore), nonché vennero enfatizzati molti altri dati ponenti in evidenza i legami tra la civiltà indiana e le culture nordeuropee.
Da queste basi avrebbe avuto origine l’idea che gli ariani erano arrivati in Germania dal Polo Nord passando per l’India, ed il teorico del nazismo Alfred Rosenberg (1893-1946) l’avrebbe elevata al rango di pietra angolare del suo sistema.
Intorno alla metà dell’ottocento, vari autori perfezionarono l’idea della contrapposizione tra ariani e semiti; e fu Joseph Arhur de Gobineau (1816-1882), con il suo Essai sur l’Inégalité des Races Humaines, a spiegare che i guai dell’umanità nascevano dall’incrocio di razze diverse, creando lo spauracchio del meticciato e spargendo indebitamente l’idea che il valore culturale dell’identità razziale avesse origini antiche.
Un altro passo in questa direzione lo avrebbe compiuto Ernest Renan (1823-1892), vagheggiando un programma per il perfezionamento razziale dell’uomo che comprendeva l’edificazione di una nuova Asgard nel centro dell’Asia, funzionante sulla base di come le api e le formiche allevino individui per determinate funzionisi presume che, se una simile soluzione dovesse essere realizzata sul pianeta Terra, lo sarebbe grazie alla Germania
Negli anni ottanta dell’ottocento, la dottrina razzista era talmente consolidata da poter cercare di liberarsi da uno dei suoi presupposti più scomodi, ovvero la parentela con i piccoli e bruni Indiani: così comparve l’Origines Ariacae di Karl Penka (1847-1912), che collocava la patria primordiale degli ariani in Scandinavia, subito seguita da analoghe opere di altri autori.
Quanto al viennese Jorg Lanz (1874-1954), il cui Ordine dei Nuovi Templari anticipò le SS (in quel periodo di caos primordiale dell’ideologia razzista, la tendenza era di prendere a bordo più simbolismi possibile, perfino quello relativo al Tempio di Gerusalemme, passando sopra alle contraddizioni che le scelte più spericolate in questo campo avrebbero generato), egli affermava che le razze non ariane fossero il risultato di atti sessuali bestiali, perpetrati dai guerrieri ariani per ovviare alla scarsità di presenze femminili a cui dovettero far fronte dopo la partenza dalla patria artica.
Nel corso del ventesimo secolo, invalse l’uso di definire la patria artica con il nome di Thule: una svolta considerata importante soprattutto perché da un’associazione denominata Società Thule sarebbe sorto il Nazismo.
Non è chiaro chi per primo avesse avuto l’idea di ripescare il nome Thule dalle opere dell’antico esploratore Pitea (380 a. C. ca. - 310 a. C. ca.; è controverso se egli intendesse definire, con questo nome, la Norvegia o l’Islanda); è invece palese che la funzione di un tale recupero fosse di distinguere il centro spirituale dei Polari politicizzati da quello in uso precedentemente, che era Iperborea (dalla comparsa di Thule in poi, il termine iperboreo sarebbe rimasto in uso soprattutto come aggettivo).

Nota: il collegamento Thule-razzismo non fu mai, comunque, così stretto da impedire che il termine facesse il suo ingresso nell’arengo culturale anche al di fuori da quel contesto - così, ad esempio, gli appassionati di fumetti d’epoca ricorderanno (come me) una magnifica storia del Prince Valiant di Hal Foster, Guerra a Thule.

È stato scritto che avrebbe avuto un ruolo nella genesi di Thule anche la posa dei cavi telegrafici transoceanici, dal 1858 in poi, dalla quale era emerso che non c’era traccia delle rovine di un’Atlantide nell’Atlantico settentrionale; precipitando in questo modo numerosi esoteristi, sia americani che europei, in una grave … crisi di astinenza da centro spirituale.
Senza dubbio il lettore penserà che sto scherzando, ma non è così - anzi era piuttosto comune, al tempo delle origini dei mass media, l’ingenerarsi di crisi più o meno estese ogni qualvolta le convinzioni degli antichi non trovavano riscontro nella realtà; e questo valeva soprattutto per i testi biblici, ma anche - sia pure in un ambito più ristretto - per i dati che smentivano le opere classiche.
Il prossimo mese concluderemo la carrellata sui rapporti fra la tradizione polare e il pensiero di destra, per prendere poi in esame il più interessante sviluppo del suo tronco originario: ovvero l’associazione nota come la Confraternita dei Polari.


Seconda parte


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