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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

Perché le madri uccidono i propri figli?


Intervista al prof. Guido Brunetti
di Anna Gabriele
 
- Dicembre 2014

 

Sul caso del bambino ucciso in un piccolo borgo di Ragusa, una vicenda che sta avendo un impatto mediatico notevole e incredibile, abbiamo chiesto  al professor Guido Brunetti, autore di molteplici libri nel campo della nuova scienza del cervello e della mente, di fornirci la sua competente valutazione. In questa intervista,  l’analisi del nostro illustre e autorevole interlocutore spazia dalla comprensione del fenomeno del figlicidio alle cure materne e alle cause che generano comportamenti aggressivi, violenti e delittuosi.

 

Professor Brunetti, una sua prima e immediata sensazione su una tragica  vicenda che da giorni occupa le prime pagine di giornali e tv.

“No. Non c’ è un limite alla morbosa e invadente curiosità per la tragica morte del bimbo strangolato e gettato in un canalone avvenuta il 29 novembre scorso nel Ragusano. Un’oscenità, il rito di una drammatica esposizione mediatica. Una patologica curiosità. Che diventa voyerismo necrofilo e che offende la dignità della persona umana e la sacralità di un bambino atrocemente martoriato.
Giornali e tv in maniera ossessiva e compulsiva hanno mostrato e continuano a mostrare giorno e notte l’immagine di un povero bambino all’attenzione morbosa di tanti, solleticando gli istinti più profondi e ancestrali dell’essere umano. Nessuno, che noi sappiamo, ha gridato all’indecenza di una tale situazione. La celebrazione reiterata, quasi una coazione a ripetere, della morte violenta di un bimbo. Addirittura, i giornali hanno pubblicato persino la sua  immagine di neonato. Si sta ripetendo un caso Cogne. La filosofia degli antichi romani era ‘panem et circenses’. La filosofia di oggi è un imperativo categorico, quello di fornire sempre un nuovo caso Cogne, attraverso la spettacolarizzazione del male, del dolore, della morte. Forse per esorcizzare e rimuovere la miseria umana e la profonda crisi sociale, morale e spirituale che da anni sta attanagliando l’essere umano e la stessa civiltà occidentale. Prima, c’erano gli intellettuali a indicare percorsi e prospettive. Oggi, assistiamo al loro penoso tramonto. Molti pseudo intellettuali preferiscono vivere nell’ ombra prosperosa del potere. Pecunia non olet”.

 

Chi è la presunta madre-assassina?

“E’ una giovane donna di 26 anni, descritta come persona ‘fragile psichicamente, aggressiva e violenta’. Sin da bambina è stata in cura, in quanto soffriva di ‘manie persecutorie’. Nel decreto del procuratore, si ipotizza che questa ‘si sia resa responsabile dell’omicidio con modalità di elevata efferatezza e sorprendente cinismo’. Allo stato delle conoscenze, dobbiamo dire che nei suoi confronti vige la norma di rango costituzionale della presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva (art.27). Saranno i dati diagnostici degli psichiatri a fornire ai giudici gli elementi per giungere alla definizione di una sentenza in materia”.

 

Suscita sgomento e angoscia, professor Brunetti, pensare che una madre possa uccidere il proprio figlio. Come è possibile?

“Le cause sono ricollegabili a svariate e complesse motivazioni. C’è intanto la scoperta definitiva delle neuroscienze che il cervello è una combinazione di bene e male, di odio, invidia e amore, di miseria e nobiltà. Una madre può dare la sua vita per il figlio, ma può anche uccidere il proprio bambino.
Sono state elaborate molte classificazioni di figlicidio materno. Abbiamo il neonaticidio, che ricorre nell’immediatezza della nascita e l’infanticidio, che consiste nell’uccisione del bambino entro un anno d’età. Così, c’è il figlicidio causato da madri ‘passive’ o da madri che vivono il figlio come ‘capro espiatorio’ delle loro frustrazioni o come causa di un’esistenza rovinosa o come ‘oggetto’ privo di umanità e dunque come ‘prodotto fecale’. Altre tipologie fanno riferimento alle gravidanze indesiderate, all’uccisione per brutalità, alla sindrome di Medea, in cui l’odio per il marito viene rivolto verso il figlio, alla donna che sposta sul figlio il desiderio di uccidere la madre vissuta come modello castrante e cattivo. C’è inoltre il caso del figlicidio ‘altruistico’: la madre si suicida dopo aver ucciso il figlio per salvarlo dalla sofferenza, dai pericoli o dalle malattie.

 

In tempi di risorse esigue, non è infrequente nel mondo animale praticare l’infanticidio o che le madri ratto mangino i loro piccoli. Ricerche in campo neuro scientifico mostrano che alcuni animali non sono diversi da alcuni esseri umani: fanno del male ai loro figli. L’infanticidio, il fratricidio e anche il suicidio sono tutte situazioni incoraggiate da madre natura.
I dati sperimentali dicono che l’infanticidio è un comportamento tipico di molte specie di animali (uccelli, pesci, insetti, roditori e primati) praticato dai maschi, dalle femmine o dagli altri cuccioli.
Esistono moltissimi casi di figlicidio ad elevata componente patologica. Frequente la diagnosi di disturbi di personalità, impulsività ed aggressività. Le patologie maggiormente riscontrate sono la depressione, i disturbi schizoaffettivi e la schizofrenia.

 

Invero, un’analisi approfondita mostra che molte concezioni sul fenomeno del figlicidio appaiono deboli e prive di evidenza scientifica e clinica. A rendere la questione ancora più confusa provvedono i cosiddetti ‘esperti’, i quali privi di riscontri obiettivi e di conoscenza diretta esprimono di continuo in tv e sui giornali sentenze e diagnosi che non hanno alcun valore scientifico. Sono parole in libertà, semplici opinioni personali, soggettive. Solo in base ai dati clinici possiamo formulare un giudizio sul soggetto, pur mancando di certezza a livello individuale. Questo significa che non è possibile fornire al giudice la ‘certezza’ che un determinato fattore abbia contribuito alla realizzazione di un comportamento delittuoso da parte di un determinato individuo (Gazzaniga).

 

Uomini ed animali spinti all’aggressività e dunque all’uccisione?

“La capacità di uccidere o di fare del male - risponde Brunetti - è universale. Tra gli animali, l’uccisione è relativamente rara. Il premio Nobel Konrad Lorenz ha sostenuto che l’istinto aggressivo negli animali è spesso controllato o soppresso da gesti di sottomissione.
In tutti noi - scrive Platone - ‘alberga una bestia selvaggia e senza legge’. Le neuroscienze confermano l’intuizione del grande filosofo greco, attribuendo al comportamento basi biologiche, risalendo al nostro antenato comune con gli scimpanzé. L’aggressività comincia ‘nell’utero’, quando il picco dell’ormone maschile, il testosterone, compare ‘a metà del periodo di gravidanza’ (Swaab). Evidenze scientifiche indicano che l’aggressività è associata a fattori genetici, a disturbi psichiatrici, all’abuso di sostanze e all’ ambiente”.

 

Dalla sua analisi emerge che amore e odio, vita e morte albergano nell’essere umano.

“Il nostro cervello è dotato di un istinto morale che guida i nostri comportamenti su ciò che è giusto (bene) o sbagliato (male). Condividiamo con gli altri animali alcuni principi legati alla cura parentale.
Le cure materne - dichiara Brunetti - si basano su un insieme di meccanismi cerebrali innati e sono sostenute da questioni cognitive e culturali. L’istinto materno all’accudimento dei neonati è stato avvalorato da molti  autori, i quali ritengono che le cure materne siano la ‘forma ancestrale dell’altruismo’ (de Waal). E’ una tendenza istintiva comune a tutti i mammiferi e agli uccelli. I rettili non hanno impulsi materni. La cura dell’accudimento - come rivelano prove consistenti accumulate da molte ricerche condotte anche sugli animali - è finalizzata al processo di sopravvivenza dell’individuo e della specie, e alla salute emotiva di tutti i mammiferi. Dopo la nascita, un insieme di sostanze chimiche garantisce che l’amore materno fornisca più gioie che dolori. Purtroppo, come abbiamo documentato scientificamente, non sempre le cose vanno nel verso giusto. Gli impulsi degli affetti e dell’amore possono infatti essere ostacolati dall’azione dell’aggressività e della violenza, una pulsione diabolica, per Freud, distruttiva e autodistruttiva”.

 

Professor Brunetti, in questo nostro colloquio ho notato che non ha mai pronunciato il nome del bambino né quello della madre.

“E’ una forma di rispetto della dignità dell’essere umano, un sentimento che si deve a tutti, soprattutto a coloro che per misteriose vicende si trovano in situazioni tragiche. Kant ha sostenuto con forza il concetto di dignità umana, affermando che la dignità della persona è ‘un valore intrinseco assoluto’ che impone a tutti il rispetto sia della propria persona che della persona altrui. L’essere è sostanzialmente un valore etico a partire dal quale si diramano gli altri valori. Non rispettare l’altrui dignità costituisce - ha scritto il filosofo Mounier - ‘un peccato contro la persona’. Ad ogni essere umano appartiene la dignità”.

 

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