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Vecchio 01-12-2005, 19.07.06   #21
klara
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I giorni della settimana

I giorni della settima na ,volevano per una volta,esser liberi anche loro,riunirsi e tenere un banchetto.Del resto,eran sempre cosi' occupati che in tutto l'anno non avevano tempo a disposizione:avrebbero dovuto avere un giorno particolare,tutto per loro,e lo avevano anche ,ogni quattro anni;il ventinove febbraio,che e' aggiunto negli anni bisestili per mettere ordine nel calcolo del tempo.
Decisero dunque di riunirsi a banchetto quel giorno,e,dato che febbraio e' il mese del carnevale,sarebbero intervenuti in maschera,ognuno secondo il proprio gusto e le proprie prerogative;volevano mangiar bene,bere bene,tenere dei discorsi e dirsi a vicenda cose piacevoli e spiacevoli,in una libera atmosfera di cameratismo.
Gli antichi vichinghi si gettavano in capo l'un l'altro,durante i pranzi ,le ossa rosicchiate;i giorni della settimana,invece,avevano l'intenzione di coprirsi vicendevolmente di freddure e di bassi motti di spirito,com'e' uso negli innocenti svaghi di carnevale.
Venne il ventinove febbraio,e cosi' loro si riunirono.
Domenica,presidente dell'associazione dei giorni della settimana,si presento' avvolto in una cappa di seta nera; le persone pie penserebbero che era vestito da prete per andare in chiesa,e i mondani direbbero invece che si era messo il domino per andare a divertirsi,e che il garofanoo fiammeggiante che portava all'occhiello era la piccola luce rossa del teatro,che vuol dire: "Tutto e' esaurito,ora pensate a divertirvi!"
Seguiva lunedi',un giovanotto imparentato con domenica,e particolrmente incline al divertimento.Lasciava il lavoro,si diceva,quando passava la guardia d'onore.
-Devo andar fuori a sentire la musica do Offenbach;non mi entra ne' nel cervello ne' nel cuore,mi da' il formicolio ai muscoli delle gambe,e io devo danzare e fare una bella bevuta,buscarmi un occhio pesto per poi dormirci su,e rimettermi energicamente al lavoro il giorno dopo. Io sono come la luna nuova della settimana.
Martedi',cioe' il giorno di marte,il giorno della forza.
-Si,eccomi qua,-esclamo' martedi',- io lavoro sodo,metto le ali di Mercurio ai piedi del commerciante,vado a vedere,nellefabbriche, se le ruote sono unte egirano bene,sto attento che il sarto sieda sul suo tavolo e lo scalpellino sulle sue pietre; ognuno badi al suo lavoro! Io tengo d'occhio tutto,percio' vengo in uniforme di poliziotto, e mi chiamano Marziale. Se la spiritosaggine vi sembra insulsa,cercate di dirne voi una migliore!
-Poi vengo io!- disse il mercoledi'.-Io sto esattamente nel mezzo della settimana.I tedeschi mi chiamano Herr Mittwoch. Sto in mezzo,come il garzone nella bottega,come un fiore,tra gli altri onorati giorni della settimana! Se marciamo tutti in fila, ho tre giorni davanti a me e tre dietro,e' come una guardia d'onore: debbo proprio credere di essere il giorno piu' importante della settimana!
Giovedi' arrivo' vestito da calderaio,con un martello e una caldaia di rame, attributi della sua nobilta'.
-Sono di nobili natali!-dichiaro'.-Sono pagano, divino! Nei paesi del Nord fanno derivare il mio nome da Thor,nei paesi del Sud da Giove; tutti e due erano bravissimi nel tuonare e nel fulminare; siamo rimasti in famiglia!
E cosi' dicendo batte' sulla caldaia di rame e dimostro' la nobilta' dei suoi natali.
Venerdi' era vestito da fanciulla e si faceva chiamare Ereia,o,
per cambiare, Venere: dipendeva dagli usi del paese dove si faceva vedere. Per il resto,aveva un carattere mite e tranquillo,disse, ma quel giorno si sentiva leggera e libera: era il ventinove febbraio, il giorno di liberta' per le donne,nel quale,secondo un'antica usanza,esse osano fare loro stesse la loro brava richiesta di matrimonio,senza dover aspettare che le chiedono in sposa.
Sabato arrivo' vestito come una vecchia massaia,con tanto di scopa e gli altri arnesi per le pulizie di casa. Il suo nutrimento quotidiano era la minestra di birra, ma non pretendeva che in un'occasione cosi' festiva la si portasse in tavola; le bastava averla lei, e gliela diedero.
Poi i giorni della settimana si sedettero a tavola.
Eccoli qui disegnati tutti e sette; possono servire per quadri viventi in ambienti famigliari; si possono fare buffi come si vuole, noi li presentiamo solo come uno scherzo di febbraio,l'unico mese che puo' avere un giorno in soprappiu'.

H.C. Andersen
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Vecchio 05-01-2006, 12.03.18   #22
tammy
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marche: monti sibillini

La leggenda della Sibilla
I monti Sibillini, gruppo montuoso nel cuore della provincia ascolana, sono da sempre motivo della fantasia della gente e degli scrittori. Intorno alla fine del XIV secolo cominciarono a diffondersi racconti sull'antro incantato e misterioso di una regina alla quale la tradizione diede il nome di Sibilla.
La caverna si sarebbe trovata tra gli Appennini, una porzione dei quali avrebbe da qui assunto il nome. In epoca pre- cristiana questi furono luoghi sacri al culto della dea Cibele, simbolo della madre Terra.
Della maga Sibilla canta Virgilio, autore forse involontario dell'allaccio tra la tradizione della Sibilla Cumana e la Sibilla Appenninica.
La leggenda tanto conosciuta narra le gesta del Guerrino detto il Meschino.Questi, secondo la tradizione raccolta da Andrea da Barberino, per avere notizie dei genitori si mette alla ricerca della maga Alcina che abitava nella grotta sul monte della Sibilla. Raggiunta la quale passò un anno tra le lusinghe della maga per poi sfuggirle e raggiungere Roma dove chiede perdono al Papa per il suo gesto temerario.
In versione tedesca è la leggenda del Tannhauser, ripresa da Wagner.
Della famosa grotta, nonostante le ricerche effettuate anche da speleologi, nulla o poco sembra rimanere. Forse sarebbe stata colmata da qualche frana.
(da Marche magia e misteri di G.Petromilli - Ed. del Veliero)
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Vecchio 08-01-2006, 22.49.39   #23
oizirbaf
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Breve leggenda di Poggibonzi:


Eravi un eremita a Poggibonzi che non ca**va ma mangiava str**zi.

p.s.

(... perdonate la volgarità ... ma stasera non riesco a rimaner serio!)

(... ogni riferimento a persone di quell'amena località è puramente casuale!)

(... se non ridete, va bè lo str**zo son io!)
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Vecchio 19-01-2006, 18.05.52   #24
klara
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- LODE DELL'ALTO INTELLETTO



In una valle profonda, una volta,
il cuculo e l'usignolo, accolta
l'idea, vollero fare una scommessa:
di cantare, per saggio, un pezzo ciascuno,
e vinca l'arte, vinca la fortuna!
ed anche un grazie a loro sia concesso.
Disse il cuculo: "Se non ti dispiace,
avrei già scelto un giudice capace".
Ed indicò, come il più adatto, l'asino!
"Propio perchè lui ha due grandi orecchie,
grandi orecchie, grandi orecchie,
potrà ben riconoscere le stecche,
o ciò che può andar bene, secondo i casi!"
E subito dal giudice volarono.
Dopo che la questione gli spiegarono,
ordinò che cantassero, i due uccelli.
L'usignolo cantò divinamente!
L'asino disse: "Sai, non mi entra in mente!
Vedi, non mi entra in mente! I-ja! I-ja!
Non so farmelo entrare nel cervello!".
Il cuculo cantò poi velocemente
una serie di terze, quarte e quinte.
L'asino fu entusiasta, e disse, secco:
"Alt, alt! alt! la sentenza emetto, ecco,
la sentenza.
Usignolo, hai cantato niente male,
ma tu, cuculo, canti un buon corale! un buon corale!
E poi, del ritmo e del tempo hai un senso innato.
E proclamo, secondo il mio intelletto profondo,
intelletto profondo,
e non muto giudizio per tutto l'oro del mondo,
che tu hai vinto, che sei il più dotato!".
Cucù! cucù! I-ja!

tratto da MAHLER di Quirino Principe- ed.: Rusconi 1983
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Vecchio 25-02-2006, 10.46.33   #25
klara
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L'usignolo e la rosa -Wilde

L’Usignolo e la Rosa


- Ha detto che ballerà con me se le porterò delle rose rosse – si lamentava il giovane Studente – ma in tutto il mio giardino non c’è una sola rosa rossa.
Dal suo nido nella quercia lo ascoltò l’Usignolo, e guardò attraverso le foglie, e si meravigliò:
- Non ho una rosa rossa in tutto il mio giardino! – si lamentava lo Studente, e i suoi begli occhi erano pieni di lacrime.
- Ah, da qual sciocchezze dipende la felicità! Ho letto gli scritti di tutti i sapienti, conosco tutti i segreti della filosofia, ciononostante la mancanza di una rosa rossa sconvolge la mia vita!
- Ecco finalmente un vero innamorato – disse l’Usignolo. – Notte dopo notte ho cantato di lui, nonostante non lo conoscessi: notte dopo notte ho favoleggiato la sua storia alle stelle, e ora lo vedo. I suoi capelli sono scuri come i boccoli del giacinto, e le sue labbra sono rosse come la rosa del suo desiderio; la sofferenza ha reso il suo volto simile a pallido avorio e il dolore gli ha impresso il suo sigillo sulla fronte.
- Il Principe da un ballo domani sera – sibilava il giovane Studente – e la mia amata vi andrà. Se le porterò una rosa rossa ballerà con me fino all’alba. Se le porterò una rosa rossa la terrò fra le mie braccia ed ella piegherà il capo sulla mia spalla, e la mia mano stringerà la sua. Ma non c’è una rosa rossa in tutto il mio giardino, e così io siederò solo, ed ella passerà dinnanzi a me senza fermarsi. Non avrà nessuna cura di me. E il mio cuore si farà a pezzi.
- Ecco certamente un vero innamorato – disse l‘Usignolo. – Ciò che io canto, egli lo patisce, ciò che per me è gioia, per lui è pena. Davvero l’Amore è una cosa straordinaria. È più prezioso degli smeraldi e degli splendidi opali. Perle e granati non possono comperarlo, e non è in vendita sulla piazza del mercato. Non possono comprarlo i mercanti, né pesarlo le bilance dell’oro.
- I musicanti siederanno nella galleria – proferiva il giovane Studente – e suoneranno i loro strumenti, e la mia amata ballerà al suono dell’arpa e del violino. Ballerà così leggera che i suoi piedi non toccheranno intorno. Ma con me non danzerà, perché io non ho una rosa rossa da offrirle e si gettò sull’erba, si chiuse il volto tra le mani, e versò lacrime.
- Perché piange? – chiese la Farfalla, che piroettava qua e là inseguendo un raggio di sole.
- Già, perché? – sussurrò una Pratolina al suo vicino, con voce sommessa e tenera.
- Piange per una rosa rossa – disse l’Usignolo.
- Per una rosa rossa! – esclamarono quelli. – Che ridicolaggine! – e il Ramarro, che era un po’ sprezzante, rise di gusto.
Ma l’Usignolo comprendeva il segreto dolore dello Studente, e restava taciturno sulla quercia, a pensare sul mistero dell’Amore. D’improvviso distese le sue brune ali e volò, si librò nell’aria. Passò attraverso il boschetto come un’ombra, e come un’ombra svolazzò sul giardino. Al centro dell’aiuola erbosa s’ergeva un bellissimo Rosaio, e non appena l’Usignolo lo vide volò sopra di lui e si posò su un ramo.
- Dammi una rosa rossa – supplicò – e ti canterò la mia canzone più dolce.
Ma il Rosaio scosse il capo.
- Le mie rose sono bianche – ribatté – bianche come vuole la schiuma del mare, e più bianche della neve sulla montagna. Ma va da mio fratello che cresce accanto all’antica meridiana, e forse ti darà quel che desideri.
Allora l’Usignolo volò sul Rosario che germogliava accanto all’antica meridiana.
- Dammi una rosa rossa – supplicò – e ti canterò la mia canzone più dolce.
Ma il Rosario scosse il capo.
- Le mie rose sono gialle – affermò - gialle come i capelli della sirena che siede sopra un trono d’ambra, e più gialle del narciso che sboccia nel prato prima che il mietitore giunga con la sua falce. Ma va da mio fratello che germoglia sotto la finestra delle Studente, e forse ti darà quel che desideri.
Allora l’Usignolo volò sul Rosaio che cresceva sotto la finestra dello Studente.
- Dammi una rosa rossa – supplicò – e ti canterò la mia canzone più dolce.
Ma il Rosario scosse il capo.
- Le mie rose sono rosse – rispose – rosse come i piedi della colomba, e più rosse dei grandi ventagli di corallo che oscillano nelle grotte degli oceani. Ma l’inverno ha ghiacciato le mie vene e il gelo ha dilaniato i miei boccioli, e l’uragano ha spezzato i miei rami, e non avrò più rose quest’anno.
- Una sola rosa rossa è tutto ciò che ti chiedo! – urlò l’Usignolo. – Non c’è proprio nessun sistema per averla?
- Un modo c’è – rispose il Rosario – ma è terribile che non ho il coraggio dirtelo.
- Dimmelo – implorò l’Usignolo – io non ho paura.
- Se vuoi una rosa rossa – disse il Rosaio – sei costretto formarla con la musica al lume della luna, e colorarla col sangue del tuo cuore. Devi cantare per me col petto contro una spina. Tutta la notte devi cantare per me, e la spina deve trafiggere il tuo cuore, e il tuo sangue vivo deve scendere nelle mie vene e diventare mio.
- La morte è un prezzo alto da pagare per una rosa rossa – si dolse l’Usignolo – e la vita è così cara a tutti. È dolce tardare nel bosco verde, e ammirare il Sole nel cocchio d’oro, e la luna nel suo cocchio d’argento. Dolce è il profumo della vitalba, e dolci le campanule azzurre che si celano nella valle, e l’erica che fiorisce sul colle. Ma l’Amore è più prezioso della Vita, e cos’è mai il cuore di un uccellino equiparato al cuore di un uomo?
Così piegò le ali brune nel volo, e si librò nell’aria. Passò attraverso il giardino come un’ombra, e come un’ombra volò sopra il boschetto. Lo Studente era ancora steso nell’erba, là dove lo aveva lasciato, e il pianto non s’era ancora rasciugato dai suoi occhi.
- Sii felice – gli urlò l’Usignolo. – Sii felice! Avrai la tua rosa rossa! Io la formerò con la musica al lume della luna, e la colorerò col sangue del mio cuore. Tutto ciò che ti chiedo in cambio è d’essere un vero innamorato, perché l’Amore è il più giudizioso della Filosofia, per quando saggia essa sia, e il più autorevole del Potere, per quando potente esso sia. Sono color di fiamma le sue ali, color di fiamma è il suo corpo. Le sue labbra sono dolci come il miele, e simile all’incenso è il suo alito.
Lo Studente alzò lo sguardo dall’erba e si pose ad ascoltare, ma non gli era possibile capire ciò che l’Usignolo gli diceva, dopo che capiva solo parole che sono scritte sui libri. Ma la quercia capi, e si addolorò, poiché voleva bene al piccolo Usignolo che si era costruito il nido fra i suoi rami.
- Cantami un’ultima canzone – gli bisbigliò. – Mi sentirò molto sola quando te ne sarai andata.
Così l’Usignolo cantò per la Quercia, e la voce era come l’acqua che si sparge gorgogliante da un’anfora d’argento. Finita che fu la canzone, lo Studente s’alzò, e trasse di tasca un taccuino e una matita.
- Questa creatura ha stile. Disse a se stesso – è un fatto che non si può contestare, ma avrà inoltre sentimenti? Ho timore di no. In verità, è come la maggior parte degli artisti, tutta forma, nessuna lealtà. Non si offrirebbe in sacrificio per gli altri. Pensa solamente alla musica, e tutti sanno che l’arte è egoista. Bisogna in ogni modo ammettere che ha note incantevoli nella sua voce. Peccato che non significano nulla, e non abbiamo alcun’utilità pratica. E andò in camera, e si stese sul suo piccolo letto, e cominciò nuovamente a pensare alla sua amata, e dopo un po’ di tempo, s’addormentò. E quando la Luna spiccò nei cieli l’Usignolo volò dal Rosaio, e pose il suo petto contro la spina. Tutta la notte cantò col petto contro la spina, e la fredda Luna di cristallo si chinò ad udirlo. Tutta la notte cantò, e la spina si spingeva sempre più profonda nel suo petto, e il suo sangue vitale fluiva da lui. Prima cantò dell’amore che germoglia nel cuore di un fanciullo e di una fanciulla. E sul ramo più alto del Rosaio fiorì una rosa magnifica, petalo dopo petalo come nota dopo nota. Pallida era in un primo momento, come la nebbia sospesa sul fiume, pallida come le orme del mattino, e argentea come le ali dell’alba. Come l’ombra di una rosa in uno specchio rosa che fioriva sul ramo più alto del Rosaio. Ma il Rosaio urlava all’Usignolo di premere più forte sulla spina.
- Premi più forte, piccolo Usignolo – urlava il Rosario – o il Giorno spunterà prima che la rosa sia completata.
Così l’Usignolo premette più forte sulla spina, e più forte si fece il suo canto, esseri che cantava il venire al mondo della passione nell’anima di un uomo e di una donna. Una tenue striatura rosea si sparse nei petali del fiore, simile al rossore che si spande sul volto dello sposo quando bacia le labbra della sposa. Ma la spina non era giunta al cuore dell’uccellino, e il cuore della rosa restava bianco, perché solo il sangue del cuore di un Usignolo può invermigliare il cuore di una rosa. E il Rosario urlava all’Usignolo di premere più forte sulla spina.
- Premi più forte, piccolo Usignolo, o il giorno spunterà prima che la rosa sia completata.
Così l’Usignolo premette più forte sulla spina, e la spina gli toccò il cuore, e un violento spasimo di dolore lo trafisse. Più e più penoso era il dolore, e più e più selvaggio si faceva il canto, poiché ora cantava dell’Amore che è reso perfetto dalla Morte, e dell’Amore che non muore nella tomba. E la stupenda rosa diventò vermiglia, come la rosa del cielo d’Oriente. Vermiglia la fascia dei petali intorno alla corolla, e vermiglio come il rubino era il suo cuore. Ma la voce dell’Usignolo si fece più debole, e le sue piccole ali iniziarono a sbattere, e un velo discese suoi occhi. Più e più debole si fece il suo canto, e qualche cosa lo soffocava in gola come un pianto convulso. Allora proruppe in un ultimo slancio di musica. La bianca Luna lo ascoltò, e dimenticò l’alba, ed esitò nel cielo.

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Ultima modifica di klara : 25-02-2006 alle ore 10.54.21.
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Vecchio 25-02-2006, 10.48.41   #26
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La rosa rossa lo udì, e fremé tutta d’estasi, e aprì i suoi petali alla fredda aria del mattino. L’eco e il ripetè nel suo antro color porpora sui colli, e risvegliò dai loro sogni i pastori dormienti. Ondeggiò fra i giunchi del fiume, ed essi portarono il suo messaggio al mare.
- Guarda! Guarda! – gridò il Rosario – la rosa è perfetta, ora!
Ma l’Usignolo non rispose, perché stava steso morto nell’erba alta, con la spina nel cuore. A mezzogiorno lo Studente aprì la finestra e guardo fuori.
- Che sbalorditivo colpo di fortuna! – disse con enfasi. – Una rosa rossa! Non ho mai visto una rosa come questa in tutta la mia vita. È così bella che senza dubbio avrà un lungo nome latino – si sporse, e la colse.
Poi si mise il cappello, e corse a casa del Professore con la rosa in mano. La figlia del Professore sedeva in veranda, aggomitolando della seta azzurra su un arcolaio, e il suo cagnolino le stava disteso ai piedi.
- Avevate promesso di ballare con me se vi avessi portato una rosa rossa – urlò lo Studente – ecco la rosa più rossa di tutto il mondo. La porterete stasera sul cuore e mentre danzeremo insieme vi dichiarerà quando vi amo.
Ma la ragazza corrugò la fronte.
- Temo che non sia adattata al mio vestito – rispose – e poi, il nipote del Ciambellano mi ha mandato in dono dei gioielli veri, e tutti sanno che i gioielli valgono più dei fiori.
- In fede mia, siete davvero un’ingrata! – disse lo Studente in un impeto d’ira; e gettò la rosa giù nella strada, ed essa cadde in un rivoletto, e la ruota di un carro vi passò sopra.
- Ingrata io? – ripetè la ragazza. – Ebbene, voi sapete che cosa siete? Un grande screanzato, in fondo, né più né meno che un semplice Studente. E non credo neppure che abbiate delle fibbie d’argento sulle scarpe come il nipote del Ciambellano.
E s’alzò dalla sedia ed entrò in casa.
- Che balordaggine è l’Amore! – disse lo Studente andandosene. – Non è utile neppure la metà della Logica, perché non esprime nulla, promette sempre cose che non si concretizzano e fa credere in cose che non sono vere. In effetti, non è per niente pratico, e siccome nel tempo in cui viviamo la praticità è tutto, tornerò alla Filosofia e studierò la Metafisica.
Così si chiuse dentro nella sua stanza, prese lo dallo scaffale un vecchio libro polveroso, e si mise a leggere.




Oscar Wilde ("Principe Felice")

Ultima modifica di klara : 25-02-2006 alle ore 11.05.36.
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Vecchio 12-03-2006, 13.37.36   #27
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leggenda irochese

Un'antica leggenda irochese (gli irochesi sono un popolo autoctono dell'America nord-orientale) narra di un vecchio divenuto ormai troppo debole per cacciare o lavorare, che ritenendo di essere divenuto un peso inutile per la propria tribù, decise di allontanarsi per andare a morire da solo in un luogo lontano; scelse a questo scopo la cima di una montagna e vi si arrampicò faticosamente con un bastone in mano e una gerla sulle spalle contenente gli oggetti a lui più cari.

Giunto sulla cima della montagna, il vecchio cominciò a intonare il suo canto di morte, pregando che il suo viaggio potesse continuare anche dopo la vita terrena. Il suo canto risuonò nell'aria riempiendo presto la piana sottostante, e giunse fino al suo villaggio, nel quale la gente riconosciuta la voce del vecchio interruppe il lavoro e volse lo sguardo verso il punto dal quale proveniva quel canto triste. Tutti allora videro il vecchio salire lentamente verso il cielo tra le stelle, dove si dice che si trovi ancora oggi nella costellazione di Orione.

Si narra anche che il vecchio non morì, ma giunto nel cielo recuperò la sua forza e la possibilità di essere di nuovo utile non solo per il suo popolo, ma anche per tutte le altre genti: da allora infatti egli trasporta il Sole nella sua gerla lungo il suo percorso diurno, fornendo luce e calore a tutti gli uomini sulla Terra.

Quando poi d'inverno la stanchezza appesantisce i muscoli del vecchio, egli passa la sua gerla al figlio che la porterà durante i mesi invernali nei quali il vecchio si riposa. Tuttavia, come ben si sa, i giovani cercano di lavorare e faticare il meno possibile, per questo motivo il figlio trasporta il Sole sull'orizzonte per un numero di ore minore mantenendolo più basso di quanto non lo tenga il vecchio, ed i giorni invernali risultano più freddi di quelli estivi. Alla fine dell'inverno il vecchio, dopo il suo lungo riposo invernale, riprenderà la gerla con il Sole sulle spalle riconducendoli nel cielo e dispensando di nuovo luce e calore agli uomini.
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Vecchio 14-03-2006, 15.51.01   #28
oizirbaf
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Alf laila wa laila (Le mille e una notte)

Il re Shahriyàr (...che si reincarnerà in Weyl) deluso ed infuriato per il tradimento della moglie concepisce un odio mortale per l'intero genere femminile.

A causa di ciò egli ordina al vizir, che è anche il padre di Shahrazàd, di condurgli una vergine ogni notte: avrebbe passato la notte con lei e la mattina seguente ne avrebbe ordinato l'esecuzione. La strage continua per tre anni finché Shahrazàd bella, saggia e coraggiosa non si offre di passare la notte col re dicendo al padre: "O rimarrò in vita, o sarò il riscatto delle vergini musulmane e la causa della loro liberazione dalle mani del re e dalle tue".

Shahrazàd, per non essere messa a morte dal vendicativo re, per mille e una notte, tiene desta la curiosità del sovrano con i suoi racconti straordinari, ora incatenati l'uno all'altro come anelli di una collana, ora rinchiusi l'uno nell'altro come in un sistema di scatole cinesi. Quando Shahrazàd smette di raccontare, il re Shahriyàr ormai ha dimenticato per amor suo l'antico odio per le donne; il tempo e la fantasia l'hanno riconciliato con la vita. Shahrazàd ha salvato se stessa e ben più di mille e una fanciulla.

Questa la storia-cornice: una storia di per sé straordinaria, che offre Shahrazàd all'ammirazione di lettori, imitatori, poeti ed artisti. Shahrazàd è diventata per l'occidente la regina-madre di tutte le odalische che hanno popolato da secoli le letterature europee, le gallerie d'arte e i palcoscenici dei balletti.

Per il mondo arabo Shahrazàd è il simbolo della forza dell'intelligenza, del fascino della parola, del potere di seduzione e in questo senso Shahrazàd rappresenta tutt'altro che il modello dell'odalisca sensuale e passiva, caro all'immaginario occidentale. In realtà essa è una donna attiva, abile, astuta, artefice della propria salvezza e di quella delle altre donne, capace di suscitare amore nel sovrano e di conservare vivo in lui questo amore.
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Vecchio 25-03-2006, 15.47.11   #29
Arco
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Figlie del fiume Acheloo e di Calliope, oppure ninfe marine figlie di Oceano e Anfitrite, le Sirene erano famose per la dolcezza del canto. Vivevano su un'isoletta a metà mare tra la rupe di Scilla e l'isola di Circe. Accompagnate da cetra e flauto, attiravano con i loro canti i marinai che si fermavano ad ascoltarle fino alla morte. destinate a sopravvivere fino a che il loro canto fosse riuscito a trattenere i naviganti, superate dalla voce di Orfeo, fallite nel tentativo di sedurre Ulisse, Ligea, Leucosia e Partenope si precipitarono in mare ove furono tramutate in rupi. Una di esse, la più scontrosa, pietrificandosi è diventata Procida.

"...un paese d'avventure, un giardino beato!
Ora invece è una magione stregata e voluttuosa
nella quale non trovo da saziarmi...."
( Elsa Morante)
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Vecchio 25-03-2006, 21.57.04   #30
klara
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La cicogna (racconto africano) K.Blixen

Un uomo che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell'oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte.
Finché trovò una falla sull'argine da cui uscivano acqua e pesci, di mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito se ne tornò a letto.
La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna...
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