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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 13-08-2006, 03.05.34   #1
Fallen06
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Pensiero prelogico, pensiero logico; differenze, somiglianze

Salve!

Da nuovo iscritto,vi rendo omaggio e mi presento,come le buone maniere impongono.

In questa sezione filosofica del forum,io studente di storia e antropologia,più che altro "ammiratore" ,ma comunque amante,della filosofia,vi propongo un tema a cavallo fra quest'ultima e l'antropologia.

L'idea si è concretizzata mentre leggevo la sezione di questo sito dedicata al "dizionario filosofico",precisamente alla voce buon senso.
Giustamente,si metteva in risalto come il buon senso e le "regole" che lo costituiscono siano in realtà molteplici e dipendenti dal sistema culturale che intende il buon senso stesso.

Nella cultura occidentale,alla base del buon senso potremmo dire ci sia la logica aristotelica con i principi di identità,non contraddizione e causalità.In genere,dal senatore al macellaio,adottiamo quei principi e consideriamo che non farlo sia indegno di un uomo ragionevole.Il macellaio che si senta dire da un cliente che sì,aveva chiesto una fettina,ma con fettina intendeva una coscia di pollo,avrebbe tutte le ragioni per sentirsi almeno preso in giro.

Nelle società studiate dagli antropologi(o,che dir si voglia,dagli etnologi,in quanto sono società "primitive",o meglio tradizionali),queste nostre regole del buon senso cambiano,non sembrano sempre operanti.A molti grandi studiosi della disciplina,da Frazer a Tylor,per molto tempo è parso che,in alcuni casi da loro documentati,nelle popolazioni studiate mancassero completamente alcuni principi fondamentali del buon senso,o ve ne fossero solo approssimazioni.
Sulla base dell'evoluzionismo antropologico,si riteneva che presso tali popolazioni le funzioni da noi svolte,e le caratteristiche ricoperte,dal metodo scientifico,fossero svolte alla buona dalle pratiche magiche,nelle quali il ragionamento causale era applicato in maniera rozza e confusa.

I seguenti brani in corsivo sono ripresi da "Introduzione all'antropologia storica",Pier Paolo Viazzo,Editori Laterza.

Filosofo di formazione e di interessi,ma influenzato dalla scuola sociologica francese e come Durkheim e i suoi allievi propenso a utilizzare ampiamente materiali etnografici,Lévy-Bruhl suggeriva l'esistenza di una differenza radicale tra la mentalità del civilizzato e quella del primitivo:quest'ultima sarebbe stata infatti caratterizzata da un pensiero "prelogico" che non conosceva i principi di identità,contraddizione e causalità su cui poggiano i procedimenti logici occidentali e consentiva pertanto di accettare ciò che ai nostri occhi appare impossibile,incredibile,assurd o.

La filosofia quindi si inizia ad affacciare sulla mentalità dei popoli allora considerati "primitivi" e amplia il suo campo d'indagine iniziando una riflessione che ingloberà lo stesso sapere occidentale e il suo statuto scientifico e razionale.Lévy-Bruhl è uno dei primi filosofi a fare tutto questo;con lui si stabilisce una distinzione fra mentalità logica,propria dei moderni popoli civili,e mentalità prelogica,propria delle popolazioni primitive,di quelle "Primitive Cultures" di cui scrisse Tylor.
Ancora oggi questo paradigma,almeno a livello "popolare",sembra mantenere una certa fortuna.In fondo è più intuitivo,per un occidentale mediamente colto,pensare che sia più "avanzato",o "razionale",o "progredito"(in una confusione terminologico-concettuale non da poco),un uomo occidentale,con la sua scienza e la sua tecnica,piuttosto che un componente di una tribùà africana,semi-nudo e con una lancia nelle mani.
Ma gli antropologi hanno ben presto criticato questo modello esplicativo.
Vediamo qualcosa.

Ma davvero il selvaggio era completamente immerso in un universo "mistico",privo di conoscenze basate sull'esperienza,incapace di esercitare un qualche dominio razionale sul suo ambiente?La risposta di Malinowski,che utilizzava con grande forza persuasiva il materiale etnografico da lui raccolto nelle Trobriand,era che in realtà il primitivo distingue con chiarezza la sfera della magia dalla sfera delle attività empiriche,e sa benissimo che in condizioni normali il buon esito di un raccolto o di una pesca dipende unicamente dalla sua abilità e dalla sua esperienza:alla magia-non diversamente dal civilizzato,in fondo-ricorrerà soltanto per assicurare il successo di un'impresa incerta e pericolosa o per fronteggiare un evento eccezionale contro cui nulla possono le sue conoscenze tecnico-scientifiche.

Quando cominciò ad occuparsi a fondo delle tesi di Lévy-Bruhl,anche Evans-Pritchard era reduce da una lunga ricerca intensiva sul campo,e non poteva non concordare con Malinowski nell'addebitare all'inesperienza etnografica del filosofo francese una fuorviante accentuazione dei caratteri "mistici" dei comportamenti e delle credenze dei primitivi.

L'antropologo sociale Evans-Pritchard condusse in quegli anni una ricerca presso gli Azande,in Africa,e da questa esperienza nacque il suo libro "Witchcraft,Oracles and Magic among the Azande".
Nel suo libro,scrive Viazzo,Evans-Pritchard afferma che

gran parte dell'esistenza di questa popolazione centroafricana era percorsa dal concetto di mangu,una nozione che si può rendere in inglese con witchcraft e in italiano con "stregoneria".Ogni evento funesto o spiacevole...era attribuito al mangu....
Il fitto tessuto etnografico che emerge dalle osservazioni condotte sul campo da Evans-Pritchard,e soprattutto dai testi delle molte conversazioni da lui avute nei venti mesi trascorsi sul campo,rivela però che gli Azande non percepivano gli avvenimenti in maniera radicalmente diversa da noi occidentali,come Lévy-Bruhl aveva supposto:ad esempio,i parenti della vittima vedevano benissimo che erano state le termiti a erodere il sostegno del granaio e a provocarne il crollo,e sapevano dunque perfettamente come era avvenuta la disgrazia.Ma perchè la disgrazia si era abbattuta proprio su quel loro parente?Era a questa seconda domanda,ben più profonda e radicale da un punto di vista esistenziale,che la credenza nella stregoneria dava risposta.


Concludo un post che si è fatto già troppo lungo(me ne scuso),proponendovi esplicitamente un quesito(se non aveste trovato già qualche spunto di riflessione):secondo voi per quanto riguarda l'Uomo(l'umanità)è bene parlare di uno solo o di tanti modi di pensare,di una logica comune un pò a tutte le culture mondiali,di somiglianze che percorrono gli uomini "in quanto uomini" oppure no?Oppure sono più notevoli le differenze,gli scarti?E perchè?

Saluti
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Vecchio 13-08-2006, 13.18.20   #2
epicurus
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ciao e benvenuto nel forum

parto accennando al fatto che condivido quel(la corrente di) pensiero che non è facile alla classificazione dicotomica "cultura razionale di prim'ordine/cultura razionale di quart'ordine". da quel pochissimo che ho letto di antropologia (Clifford Geertz), ho capito che i riti delle cultura non vanno studiati solamente come processi razionali/irrazionali. un rito, prima di tutto, è un simbolo che ha un determinato significato culturale. l'esempio che mi viene in mente, preso da Geertz, è quello dei galli (vado a memoria): a Bali nelle lotte tra galli si facevano scommesse estremamente irrazionali (dal punto di vista probabilistico), ma sarebbe un grave errore quello di vedere la scommessa come un semplice processo che vorrebbe tendere alla razionalità, infatti le lotte dei galli (e le relative scommesse) dovevano essere interpretati come riti per enfatizzare l'appartenzanza ad una comunità, etc.....

quindi non ci si deve soffermare alla domanda "è razionale fare x?", ma si deve andare oltre, alla ben più interessante (se ci interessano le culture) domanda "che significato ha x per tale comunità?".

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secondo voi per quanto riguarda l'Uomo(l'umanità)è bene parlare di uno solo o di tanti modi di pensare,di una logica comune un pò a tutte le culture mondiali,di somiglianze che percorrono gli uomini "in quanto uomini" oppure no?Oppure sono più notevoli le differenze,gli scarti?E perchè?

non so dire se esista un unico modo di ragionare dell'intera umanità, anche se l'idea mi appare estremamente implausibile.
tutta 'sta storia del buon senso mi ha fatto pensare ad un'altra storia, quella riguardo ai prototipi in linguisitica: un concetto/parola ha un prototipo, del tipo che il protitipo di 'tigre' è 'animale felino, con manto arancione a strisce nere, che ha 4 arti, 2 occhi, una coda, che misura tot, che è lunga tot, che vive in asia, etc.'. ma naturalmente esistono tigri albine, tigri con un solo occhio (accecate in un combattimento), tigri nane, etc......
altro esempio: il nostro prototipo di 'oro' è 'metallo prezioso di color giallo lucente', ma in natura l'oro (grezzo) non è giallo.

cos'è il prototipo? il prototipo ha la funzione di rendere facile l'identificazione di tale concetto. l'oro che noi usualmente vediamo è giallo luccicante, quindi come prototipo è adeguato, infatti ci permette di distinguerlo in un gran numero di casi. detto questo, è facile vedere come il prototipo di 'oro' sia (ed in generale, ogni prototipo possa essere) relativo a cultura a cultura. se abitassimo in un paesino sperduto dell'africa, dove ci sono le miniere d'oro (e di negozzi di gioielleria non se ne vedono), allora il nostro prototipo di 'oro' sarebbe ben diverso.

ritorniamo al buon senso. c'è una similarità tra prototipo e buon senso (anzi, azzarderei l'ipotesi che in un qualche modo i prototipi siano una parte del nostro buon senso), entrambi hanno la funzione di semplificare la vita alle persone; il primo semplifica l'identificazione di un qualcosa, mentre il secondo semplifica la scelta della strategia d'azione (e di altre cose). quindi mi sembra normale che il buon senso sia relativo ad una comunità. d'altro canto, solitamente, il buon senso sono più che delle regole di ragionamento, delle assunzioni tacite che gli individui fanno verso altri individui. (naturalmente c'è anche il buon senso tra individui e mondo).


epicurus

Ultima modifica di epicurus : 13-08-2006 alle ore 13.20.59.
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Vecchio 14-08-2006, 17.11.20   #3
schebi
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Che meraviglia, non speravo di poter trovare in un forum, fra al'altro veramente variegato e ben frequentato, anche un antropologo o aspirante tale , l'antropologia è stata per tanti anni la mia missione, la mia meta, il mio principale interesse, prima che il buon senso mi riportasse sulla terra schiava di quel senso comune a tutte le popolazoni che comporta il dover lavorare per vivere...... Ho letto tanti interessanti nomi che fanno parte della conoscenza antropologica, calzante anche il riferimento al combatttimento dei galli di Geertz che è proprio stato il primo ad introdurre il concetto di senso comune, non tanto giudicandolo buono o cattivo, ma semplicemente evidenziando quella forma mentis che accomuna un'intera popolazione, che è riconducibile semplicemente al contesto socio/culturale globale e si differenzia da popolazione a popolazione non tanto per il grado di civilizzazione quanto per il codice etico comportamentale al quale si riferiscono i vari popoli. Trovo interessante anche il risalto dato all'eterno dualismo tra il concetto di "prelogico" e "logico" sempre usando naturalmente, come scala di riferimento, la nostra "logica evoluta"che accompagna direttamente la contrapposizione fra primitivo e civilizzato. Ok rimanendo in campo antropologico ma spostandoci in un contesto socio culturale evoluto un esempio vale per tutti: "il carnevale di Rio" . Nessun uomo seminudo che abbraccia una lancia eppure rivivono in quell'occasione, in un teatro occidentale, fra turisti di ogni nazionalità, in un Brasile evoluto e moderno, tutti i riti più veri della tradizione africana importati dal candombleè, umbanda, dal vodù dalla possessione documentata da Leris in centrafrica, dal viaggio sciamanico degli indiani Cuna del Panama magistralmente descritto da Carlo Severi. Con una teatralità estrema, con la performance che diventà realtà si assiste al ribaltamento dei ruoli, al trionfo dell'irrazionale, all'espressione del represso, all'esaltazione del proibito, in un tribudio di colori, suoni, danze, si sfascia l'intero sistema sociale, è la rivincita dei neri, la reazione a tanti anni di schiavitù e repressione. Anche questo però perfettamente incastonato nell'ingranaggio, ritualizzato all'interno di un sistema ben più grande ed evoluto, incastrato nel suo tempo e nel suo spazio ma, se ben studiato e approfondito niente di meno rispetto ai più comuni riti magici delle popolazioni primitive. Mi permetto nel contesto di consigliarvi la splendida lettura di Turner "i frutti puri impazziscono".
Tutto questo per dire che siamo e saremo per sempre ovunque ci porterà la nostra civiltà frutto del passato, delle tradizioni, dell'educazione, del contesto socio culturale nel quale viviamo e secondo il quale esprimiamo il nostro buon senso. Ma il modo di pensare a mio avviso è cmune a tutte le popolazioni,così come ci accomunano i sentimenti, la paura e l'amore, quello che cambia è il modo con cui vengono espressi o affrontati ma l'origine e l'obiettivo per tutti al mondo è lo stesso. Non pensate?
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Vecchio 15-08-2006, 13.01.00   #4
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ciao e benvenuto nel forum

molte grazie!

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non so dire se esista un unico modo di ragionare dell'intera umanità, anche se l'idea mi appare estremamente implausibile.........
ritorniamo al buon senso. c'è una similarità tra prototipo e buon senso (anzi, azzarderei l'ipotesi che in un qualche modo i prototipi siano una parte del nostro buon senso), entrambi hanno la funzione di semplificare la vita alle persone; il primo semplifica l'identificazione di un qualcosa, mentre il secondo semplifica la scelta della strategia d'azione (e di altre cose). quindi mi sembra normale che il buon senso sia relativo ad una comunità. d'altro canto, solitamente, il buon senso sono più che delle regole di ragionamento, delle assunzioni tacite che gli individui fanno verso altri individui. (naturalmente c'è anche il buon senso tra individui e mondo).

Considerando che il buon senso ha molto a che fare con la razionalità(intesa come l'impiego,nel pratico agire,di mezzi adeguati al fine che si vuole ottenere-nel dizionario filosofico di questo sito si dice della corretta relazione fra fatti e considerazioni)i "contenuti" del buon senso variano anch'essi?
Ci possono essere,insomma,razionalità che si fondano su presupposti diversi dai nostri?
Prendiamo in considerazione il racconto di Evans-Pritchard.L'antropologo riferisce che gli indigeni sanno che a consumare i supporti del granaio sono state le termiti,ed adottano spiegazioni legate alla stregoneria per rendere conto della tragedia da un punto di vista esistenziale.
Lévy-Bruhl parlava di una non conoscenza,o di una scarsa conoscenza,da parte degli indigeni,della logica aristotelica.
Questo sì,che ci avrebbe consentito di parlare di molteplici razionalità.
Ma se è vero,come conclude Evans-Pritchard,che gli indigeni possiedono i principi postulati da Aristotele,allora si dovrà ammettere che esiste almeno un modo comune,o assai simile,di ragionare.
Quello che varia,a questo punto,potrebbe essere il modo in cui la razionalità viene impiegata.In alcuni campi,come per quanto riguarda la stregoneria e la magia,che presso alcune popolazioni permeano l'intera vita sociale,la razionalità non è impiegata,se posso dire così,come diceva Frazer,"correttamente",essendo ci spazi per "ridondanze di senso" come quando,nel vodù,la bambola raffigurante qualche persona è sia una bambola che la persona che raffigura.
Forse,questa è la mia opinione,specialmente gli antropologi,che più costantemente sono in contatto con queste popolazioni,sono stati indotti a credere che esistesse una mentalità selvaggia proprio da questo spesso strato superficiale,da quello che appariva ai loro occhi,dai fenomeni che documentavano.

Un ardito parallelo,a questo punto,lo potremmo fare per quanto riguarda l'agire,spesso apparentemente folle(e mosso da ignoranza,come ha insegnato la critica illuminista)ma in realtà razionale,delle masse popolari occidentali.

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Originalmente inviato da schebi
Che meraviglia, non speravo di poter trovare in un forum, fra al'altro veramente variegato e ben frequentato, anche un antropologo o aspirante tale , l'antropologia è stata per tanti anni la mia missione, la mia meta, il mio principale interesse, prima che il buon senso mi riportasse sulla terra schiava di quel senso comune a tutte le popolazoni che comporta il dover lavorare per vivere......

Piacere di conoscerti!
Mi sia concesso,ho letto la tua descrizione del carnevale di Rio con un sorriso di felicità stampato sul volto.

Dopotutto la tua vicenda dice qualcosa sull'argomento trattato
Il lavoro:cos'è,se non brusco risveglio dal mondo dei sogni,necessità di prendere atto di processi e meccanismi,in un certo senso di cause ed effetti(lavoro per guadagnare soldi per vivere)?
Anche senza la mediazione fra il lavoro ed il mantenimento personale operata dalla moneta,sembra che quella di lavorare sia una necessità globalmente conosciuta.Questo potrebbe essere un fattore importante per quanto riguarda la formazione di una mentalità che si suppone comune a tutte le culture.

Da parte mia,e concludo,penso che in fondo la domanda che ho posto rimanga priva di risposte definitive.Infatti,noto come una possibile risposta dipenda fortemente dai dati etnografici analizzati.Quello degli antropologi è un mondo assai più variegato e meno uniforme di quanto,forse,è apparso dal mio post.Ci sono antropologi che la pensano diversamente da Evans-Pritchard,ma nè la mia conoscenza in materia è infinita,nè si è giunti ad analizzare davvero tutti i sistemi culturali espressi nella storia dall'umanità.
Al punto in cui siamo,e al punto in cui è la mia conoscenza del problema,mi azzardo a dire,pare che ci sia non tanto un modo di ragionare comune,quanto un modo di agire comune.
Se poi,come chiede Schebi,l'umanità abbia obiettivi comuni,rispondo questo:l'uomo è l'unico animale che potenzialmente riesce a superare a vari livelli le necessità più legate al mondo istintuale,come l'istinto di conservazione della specie.Questa croce e delizia apre le nostre prospettive su mondi culturali e psicologici forse molto più vasti di quanto si suppone.

ciao
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Vecchio 16-08-2006, 16.57.35   #5
epicurus
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provo ad aggiungere qualcosa a quanto già detto da voi

1) l'irrazionalità del 'selvaggio' può essere solamente apparente, conseguenza delle minori conoscenze del mondo. se la razionalità si può -- più o meno -- slegare dalla conoscenza, allora un 'selvaggio' che crede che un registratore di suoni sia magico non è irrazionale, ma semplicemente ignorante in materia. (ma poi l'etichetta 'magico' non è solamente l'espressione di stupore di fonte al non-conosciuto?)

2) 'razionalità' deve essere intesa in modo più ampio dell'uso 'intellettuale' (tipo "uso della conoscenza", "scorgere regolarità nel mondo", "cogliere nessi e similarità", etc.).
pensiamo a quel vasto campo della filosofia denominato 'teoria dell'azione'. cosa si intende quando -- qui, come altrove -- si parla di 'razionalizzare quell'azione'? si intende inserire quell'azione in un contesto cultural-sociale di ragioni, in sostanza cercando il significato di tale azione (ritorna l'esempio dei galli). come ha suggerito schebi, qui si cerca di capire una forma mentis. in termini wittgensteiniani, si dovrebbe cercar di collocare tali azioni nella loro forma di vita, cogliendo come esse vivono.


epicurus
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Vecchio 16-08-2006, 20.54.34   #6
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Originalmente inviato da epicurus
ma poi l'etichetta 'magico' non è solamente l'espressione di stupore di fonte al non-conosciuto?

Perdonami amico Epic, dovrebbe essere qualcosa di più, non solo passiva di ricezione, ma oggi generalmente o si conosce la tua versione o si casca in brutte mani, comunque l'assioma magia-irrazionale non è corretto, la magia deve comprendere sia razionalità che irrazionalità per essere vera.
Sono d'accordo con te, il selvaggio ha una sua razionalità.. a volte più sana della nostra che spesso è limitata dalla nozione (diversa da conoscenza)

già che sono qui mi piacerebbe esaminare la "domanda" di Fallen al primo post:
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secondo voi per quanto riguarda l'Uomo(l'umanità)è bene parlare di uno solo o di tanti modi di pensare,di una logica comune un pò a tutte le culture mondiali,di somiglianze che percorrono gli uomini "in quanto uomini" oppure no?Oppure sono più notevoli le differenze,gli scarti?E perchè?

Mi verrebbe da chiedere: chi pensa? Nel senso se produciamo realmente il pensiero etc etc ma è fuori discorso, quindi dico si e no, c'è una logica comune regolata dal tipo di pensiero... chi ha occasione di parlare (o leggere o scrivere) più lingue sa che ne ha una madre ed anche quando ne usa un'altra di solito traduce nella sua, si dice che hai imparato bene una lingua, che l'hai fatta tua quando pensi in quella lingua, ma possiamo scendere a livelli prima delle parole, un tipo di pensiero che noi civilizzati non conosciamo quasi da quando iniziamo ad imparare a parlare, la concettualizzazione senza forma definita che è appannaggio solo degli intuitivi (anche non focalizzati sempre in quella modalità) quali sono in numero maggiore nelle popolazioni più vicine alla natura.
Noi poi usiamo le parole e la ragione per filtrare e trasportare nel razionale, in questo passaggio ci perdiamo dei pezzi, loro non possono utilizzare alcune forme di comunicazione perchè si fermano al livello intuizionale (se volete anche irrazionale da certi punti di vista) ma la fonte dei nostri concetti (umani di tutta l'umanità) è la stessa, il pensiero quindi potrebbe essere teoricamente uguale per tutti, nella realtà assume forme diverse.

Ok sparisco... nella sezione filosofia mi sento come un salciccia nella vista dei cani
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Vecchio 18-08-2006, 02.20.53   #7
epicurus
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Originalmente inviato da Uno
Perdonami amico Epic, dovrebbe essere qualcosa di più, non solo passiva di ricezione, ma oggi generalmente o si conosce la tua versione o si casca in brutte mani, comunque l'assioma magia-irrazionale non è corretto, la magia deve comprendere sia razionalità che irrazionalità per essere vera.

dato che nessuno, finora, si è deciso ad azzannarti, allora ci penso io

quello che volevo dire è che il ricorso alla discorso inerente alla magia dei 'selvaggi' (del tipo, uno vede uno specchio e dice "magia, magia!!") può esser visto come un voler esprimere stupore. pensiamo alla traduzione della lingua-selvaggia: che ha redatto un manuale di traduzione? non è che 'ajsfaò!' è solamente un'esclamazione di sorpresa e stupore (che si vuole comunicare alla propria comunità, per far entrare tale evento nel tessuto sociale), e che sarebbe sbagliato tradurla letteralmente come '(questa è) magia!'.

questo discorso, che ho qui abozzato, non vuole essere estendibile alla nostra cultura, infatti noi capiamo bene l'uso della parola 'magia' nei diversi contesti, e sappiamo che non è traducibile (sempre) con una esclamazione di stupore.

(detto tra parentesi: la magia, se venisse compresa, non sarebbe più tale, ma sarebbe un ramo della conoscenza come gli altri. se qualcosa và contro la scienza, allora è ciò significa che è venuta l'ora di correggere la scienza.)

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Vecchio 18-08-2006, 20.41.54   #8
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dato che nessuno, finora, si è deciso ad azzannarti, allora ci penso io

quello che volevo dire è che il ricorso alla discorso inerente alla magia dei 'selvaggi' (del tipo, uno vede uno specchio e dice "magia, magia!!") può esser visto come un voler esprimere stupore. pensiamo alla traduzione della lingua-selvaggia: che ha redatto un manuale di traduzione? non è che 'ajsfaò!' è solamente un'esclamazione di sorpresa e stupore (che si vuole comunicare alla propria comunità, per far entrare tale evento nel tessuto sociale), e che sarebbe sbagliato tradurla letteralmente come '(questa è) magia!'.

Senti... molla il polpaccio ma riscrivi questo pezzo perchè non sono sicuro di aver capito cosa intendi... e se l'ho capito non sono d'accordo... quindi prima chiarisci.



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(detto tra parentesi: la magia, se venisse compresa, non sarebbe più tale, ma sarebbe un ramo della conoscenza come gli altri. se qualcosa và contro la scienza, allora è ciò significa che è venuta l'ora di correggere la scienza.)

Era una scienza anticamente... ma nella scienza di oggi non potrebbe proprio trovare posto perchè nella scienza moderna tanto per fare degli esempi il trasporto non è ben considerato... se non osteggiato, comunque non è un ingrediente fondamentale.... solo alcune branche della fisica quantistica iniziano ad ipotizzare che nell'esperimento conta lo sperimentatore... qualità indispensabile della magia... anche in senso passivo.
Siamo O.T. mi sa... però per rilanciare la discussione... e se fosse questa l'unica differenza apprezzabile anche tra i linguaggi? (prelogico e logico)
Vi risulta che in popolazioni più semplici vi sia nel linguaggio (e quindi nel pensiero) la costruzione di frasi su idee ipotetiche? Cioè intendo, se noi "civilizzati" (ho sempre un dubbio a definire così la nostra cultura ) più razionali discutiamo di Dio, di Spirito etc... tranne alcuni determinati e specifici casi e tanto più siamo razionali, usiamo sempre il "se", "forse", credere etc... per loro è così.. punto, non c'è però, ma, forse... si può scambiare per superstizione, ignoranza etc... ma c'è una certezza che esula dal discorso ma che rende evidente la differenza del linguaggio... anzi... noi per esempio possiamo parlare di un Americano senza averlo mai visto.. un indigeno "primitivo" parlerà solo degli altri li vicini e di stesso... non ha come concetto la possibilità di quello che non conosce.
Non sono sicuro di aver espresso bene quello che intendo... in caso provo a chiarire.
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Vecchio 19-08-2006, 01.40.26   #9
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Ciao Uno!

Premesso che mi è difficile,ed addirittura imbarazzante,parlare come se stessi dicendo qualcosa su tutte le culture del mondo(beato l'antropologo che sa evitare le generalizzazioni..!),direi che nelle culture tradizionali non è che ci si fermi all'intuizione,nel senso di non andare oltre,di non conoscere altre forme,più razionali,di pensiero.
Come dimostrato da moltissimi antropologhi(ma direi addirittura da tutti)ogni popolo ha delle conoscenze che sull'uomo e sul mondo che vanno oltre il livello dell'intuizione.Perchè,appunto ,l'intuizione è quel "lampo" attraverso il quale la nostra mente coglie qualcosa(cui tende ad attribuire valore di verità) ma non lo esplicita,non lo definisce,non chiarisce cosa sia,non lo analizza e insomma non lo sottopone alla critica.
Se pure sbaglia un Dobu a dire che il mondo è stato creato e organizzato in questo e quel modo da "dio"(un pò come fa la teologia,da noi..),il tipo di conoscenza che ottiene tramite quel ragionamento non può essere definita intuitiva.
Per fartela ancora più semplice:una cultura in cui "non si va oltre" all'intuizione sarebbe pervasa a tutti i livelli,in massimo grado,dal misticismo.Finora non si conosce una cultura del genere.

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Originalmente inviato da Uno
Vi risulta che in popolazioni più semplici vi sia nel linguaggio (e quindi nel pensiero) la costruzione di frasi su idee ipotetiche? Cioè intendo, se noi "civilizzati" (ho sempre un dubbio a definire così la nostra cultura )
più razionali discutiamo di Dio, di Spirito etc... tranne alcuni determinati e specifici casi e tanto più siamo razionali, usiamo sempre il "se", "forse", credere etc... per loro è così.. punto, non c'è però, ma, forse... si può scambiare per superstizione, ignoranza etc... ma c'è una certezza che esula dal discorso ma che rende evidente la differenza del linguaggio... anzi... noi per esempio possiamo parlare di un Americano senza averlo mai visto.. un indigeno "primitivo" parlerà solo degli altri li vicini e di stesso... non ha come concetto la possibilità di quello che non conosce.

Il concetto di quello che non si conosce c'è,ovvero,c'è il modo per spiegarsi anche avvenimenti poco conosciuti(la resistenza e l'elasticità di questi sistemi culturali è molto maggiore di quanto si pensi);è che lo si fa a partire dalle proprie categorie culturali,ovvero riconducendo il nuovo a schemi familiari,come quando Cortés coi suoi spagnoli fu scambiato per un dio antico che faceva ritorno dopo molto tempo di assenza(qui ci sarebbe un discorso sulla concezione ciclica e lineare del tempo,ma ci porterebbe fuori strada).
Comunque è vero che nelle società tradizionali si tende a plasmare il mondo a partire dal proprio mondo,questa è una tendenza assai forte;la notiamo ad esempio nelle definizioni dei colori.La tonalità di verde,ad esempio,che si usa per chiamare quello che verrà genericamente inteso come "color verde",è quella che si è vista negli alberi della foresta vicina al villaggio o nell'erba.E' interessantissimo notare come presso popoli che non avevano dei riferimenti nel mondo fisico che gli permettessero di dare nuovi nomi ai colori che vedevano,non c'è proprio nozione di quei colori,appunto perchè mancanti dalla sfera dell'esperito.Così tu andavi a parlare di(mi invento una cosa) "fucsia" ad un aborigeno australiano e quello ti diceva :"e che è?" (naturalmente te lo diceva proprio con queste parole,"e che è?" ).
Però vorrei farti riflettere su una cosa.Questo interpretare,questo conoscere il mondo a partire da noi stessi..cos'è,se non quello che facciamo anche noi "civilizzati" occidentali..?
Ogni qual volta entriamo in contatto con realtà sconosciute,come ci poniamo di fronte a loro,se non con i nostri schemi mentali,con i nostri modi di ragionare,che tanto spesso(l'incontro con le religioni e filosofie orientali è un esempio)ci hanno portato a fraintendere più di quanto capissimo?
Montesquieu,nelle sue "Lettere Persiane",parlava proprio di questo..nella civile Parigi,i due visitatori persiani erano visti come stravaganze,e a loro volta questi visitatori ci vedevano come stravaganze,perchè entrambi,la società parigina e i visitatori persiani,guardavano all'altro con i loro occhi.
E così si poteva pensare:"quanto deve essere felice quel persiano,che in patria è un re e ha un harem con tutte le donne che vuole a sua disposizione!" - di contro il persiano "Nel mio harem regnano falsità e paura,ognuno mi obbedisce solo in quanto schiavo e mi contenta solo perchè se non lo fa lo punisco.Quanto devono essere felici,questi giovani francesi,che vanno a spasso e si innamorano".

Un'ultima parola sulla nostra capacità di mettere in dubbio le cose e criticarle:certamente nella nostra cultura si è sviluppata,fin da tempi antichi,una capacità fuori dal comune di riflettere e ragionare razionalmente.
E' stata la filosofia,in primis,poi anche la scienza,a plasmare la nostra forma-mentis.Ma,a parte che non essendo le culture delle masse compatte,anche noi abbiamo avuto(eccome!)chi non è stato toccato,o è stato solo sfiorato,da questa abitudine al dubbio;dico piuttosto,siamo sicuri di essere così razionali?Quand'è che lo siamo davvero,se anche noi abbiamo una quantità di ideali e passioni politiche da sostenere,se possiamo addirittura attaccarci a concetti filosofici(una sorta di beffa per la filosofia),se possiamo addirittura avere fede nella scienza..?
Accendiamo la televisione e vediamo semibarbari che si scannano a parole e non solo in fascia protetta,Wanna Marchi e company che vendono saponette promettendo miracoli,cartomanti cui si rivolgono anche i più influenti uomini politici e,mi si perdonerà,una Chiesa che dice,se non le stesse cose,cose molto simili fra loro da duemila anni,in cui si ritiene che un uomo vestito di bianco che parla in un concilio con uomini vestiti di rosso porpora sia infallibile perchè ispirato da uno "Spirito Santo"...
Tutta questa razionalità non la vedo,insomma..!
Bertrand Russell diceva,non senza ironia ma neanche solo per scherzo,che era giunto a dubitare che l'uomo,come disse Aristotele,fosse un animale razionale;piuttosto,gli sembrava un animale irrazionale.
Fallen06 is offline  
Vecchio 21-08-2006, 16.30.14   #10
Uno
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Ciao Fallen
Non sono d'accordo ma difficilmente potrò esplicarti quello che intendo, Dio voglia ( perdonami la battuta) che tu possa nella tua professione di Antropologo capire quello che intendo... metteresti ordine in molte cose "inspiegabili".
Se un pigmeo del borneo (è un esempio... io non ho questo tipo di conoscenza e non mi interessa... e non è fondamentale per quello che sto dicendo) afferma che il sole è il suo Dio, non lo fa per costruzione mentale, ha sperimentato (beh forse non tutti direttamente al 100%, ma comunque quello che nel suo gruppo tribale rappresenta la Conoscenza, lo stregone, lo sciamano etc ) la relazione diretta tra il Sole e noi, l'intuito è ampiamente trasportato nel mondo della ragione, ragione però priva di costrutti mentali specializzati. Noi conosciamo apparentemente milioni di nozioni in più sul Sole... ma sono proprio quelle nozioni che ci filtrano l'esperienza e la trasportano immediatamente nel regno della ragione facendoci perdere parte della realtà... quindi anche lo stabilire che un uomo vestito di bianco che parla in un concilio con uomini vestiti di rosso porpora sia infallibile perchè ispirato da uno "Spirito Santo" è più razionale di quello che si pensi... perchè se togliessimo lo strato culturale, i nostri genitori, i nostri nonni etc e ciò che hanno pensato per secoli sarebbe più facile liberarsi... al contrario definiamo irrazionale il primitivo che poggia la sua esperienza sulla conoscenza che il Sole è suo padre e Dio... non sapendo che tutto il nostro attuale sapere su questo si appoggia... ma lo abbiamo coperto ed occultato da strati di uomini bianchi, sia nella religione, che nella scienza che ci hanno staccato dall'esperienza.
Provo a ricapitolare il "mio" vedere:
Uomo primitivo collegato all'esperienza - trasporto nella ragione semplice - ma non in quella elaborata
Uomo moderno staccato e filtrato dall'esperienza - ragionamento (razionalità) complesso ma basato sempre su altri costrutti - è capace di elaborare e complicare di molto le cose ma non di vederle come sono
Uomo integro è collegato all'esperienza di ritorno - è in grado di usare ragione semplice e complessa - lavora con il linguaggio semplice prelogico ma si esprime con quello logico

Citazione:
Ogni qual volta entriamo in contatto con realtà sconosciute,come ci poniamo di fronte a loro,se non con i nostri schemi mentali,con i nostri modi di ragionare,che tanto spesso(l'incontro con le religioni e filosofie orientali è un esempio)ci hanno portato a fraintendere più di quanto capissimo?

In effetti come scritto sopra in altro post non parli effettivamente una lingua se non pensi in quella lingua, allo stesso modo non puoi comprendere una realtà sconosciuta se non sei in grado di essere anche quella realtà... alcuni tuoi colleghi vanno periodi lunghi in mezzo ad altre popolazioni lasciando tutta la civiltà... anche carta e penna è di troppo... ad un'altro livello non c'è neanche bisogno di immergersi per sapere come sono e chi sono... se conosco bene (e qui sarebbe da dfinire questo bene) il mare mediterraneo mi basta poco per sapere come è l'oceano indiano, il mar rosso etc (per dire diversi tra loro)

Uno is offline  

 



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