Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Errata Corrige. Una ricerca in merito a sospette manipolazioni nei testi Sacri.
di VanLag - gennaio 2007
Introduzione
1) Come nacque l’Eucaristia?
2) Il bastone e la carota di Krishna
Il bastone e la carota di Krishna
La Bhagavad-gita, inserita nel poema epico, “Il Mahabarata”, si apre con la visione dei due eserciti schierati l’uno contro l’altro nel campo di Kurukshetra e con lo sconforto di Arjuna che, vedendo davanti a se i parenti, gli amici, i maestri, con cui è cresciuto e con cui ha giocato, viene colto da grande tristezza ed invoca l’amico Krishna, trasformatosi per l’occasione, nel suo auriga, di aiutarlo a capire il suo animo.
Allo sconforto di Arjuna, Krishna manifesta in rapida successione, due reazioni profondamente differenti. Si noti in particolare come nei versi da 1 a 3 del capitolo 2 Krishna risponde biasimando, anche se in modo amorevole, l’amico per la debolezza che lo coglie. Krishna infatti dice:
- Mio caro Arjuna, da dove viene questa mancanza di purezza? Non è affatto degna di un uomo che conosce il valore della vita. Non ti porterà ai pianeti superiori ma all'infamia -
I versi dal 4 al 9 sono un intercalare di Arjuna che riepilogano il suo sconforto precedente e sono assolutamente ridondanti nel poema. Sembrano servire più che altro a fare ammettere all’arciere divino il suo stato di prostrazione:
- Ora sono confuso sul mio dovere e ho perso la calma a causa di una debolezza meschina. -
e ad evidenziare la sua totale resa a Krishna, cioè quella disposizione d’animo che, secondo la tradizione, dovrebbe accompagnare il discepolo.
-In questa condizione Ti chiedo di dirmi chiaramente ciò che è meglio per me. Ora sono Tuo discepolo e un'anima sottomessa a Te. Istruisci, Ti prego. -
Nei versi 10-30 del capitolo 2 inizia l’insegnamento vero di Krishna. Tra l’altro il verso 10 dice:
- O discendente di Bharata, in quel momento Krishna, tra i due eserciti, Si rivolge sorridendo all'infelice Arjuna -
Dice proprio “in quel momento” (e non prima), lasciando intendere, a maggior ragione, che la rampogna precedente di Krishna sia il frutto di qualche sutura postuma.
Nella sua esposizione Krishna non rimprovera, come aveva fatto poco sopra, l’amico ma anziriconosce che le sue parole sono “sagge” infatti dice:
- Sebbene tu dica sagge parole, ti affliggi per ciò che non è degno di afflizione. I saggi non si lamentano né per i vivi né per i morti -
dopo di cui inizia a dare il suo vero insegnamento sull’immortalità dell’anima e sull’importanza di cogliere l’immortalità oltre gli ingannevoli confini dell’impermanente e del mutevole.
Nei versi 31-38 del capitolo 2 registriamo un altro cambio di registro di Krishna. C’è una discorso, molto poco degno della sapienza, nel quale il signore supremo, blandirebbe Arjuna con l’idea di premi e di castighi, ventilando probabili sensi di colpa, se venisse meno al suo dovere di guerriero, (ksatriya). Krishna dice:
“Considerando il tuo dovere di ksatriya dovresti sapere che non esiste per te impegno migliore che combattere secondo i princìpi della religione”
“felici sono gli ksatriya cui l'opportunità di combattere si presenta naturalmente perché si aprono per loro le porte dei pianeti celesti.”
Mentre se rifiuta il suo dovere lo ammonisce:
“perderai così la tua fama di guerriero”
“Gli uomini parleranno per sempre della tua infamia”
“I grandi generali penseranno che solo per paura tu abbia abbandonato il campo di battaglia e ti considereranno una persona insignificante”
“I Tuoi nemici avranno per te parole disonorevoli e scherniranno la tua abilità.”
In totale contro-tendenza dall'insegnamento sull’imperturbabilità del saggio che caratterizza i versi dal 10 al 30, in questo punto, il signore supremo chiede ad Arjuna di tenere conto del giudizio degli altri. Quasi a dire - fallo almeno per salvare la faccia –
Il contrasto tra l’approccio compassionevole con il quale il signore supremo apre il suo discorso: - sebbene tu dica parole sagge – stride con il biasimo di poco prima: - Mio caro Arjuna, da dove viene questa mancanza di purezza? –
L’insegnamento sapienziale sul distacco - I saggi non si lamentano né per i vivi né per i morti. - stride con la sollecitazione a tenere conto del giudizio degli uomini:-“Gli uomini parleranno per sempre della tua infamia”….. Come può, infatti, un saggio che è superiore alla vita ed alla morte tener conto delle chiacchiere infamanti degli uomini? Come può Krishna proporre due tesi così lontane tra loro?
Sono in questo caso evidenti le aggiunte, (anche se ben suturate), nel capitolo 2 dove sono stati aggiunti i versi dal 1 al 9 e dal 31 al 38 eseguite probabilmente per mano di redattori successivi ed al fine di inserire un discorso funzionale a qualche corrente ideologica del momento.
La Bhagavad Gita, così com’è
CAPITOLO 1
>>28-46
[28]Arjuna disse:
Mio caro Krishna, vedendo parenti e amici schierati davanti a me in tale spirito bellicoso, sento le membra tremare e la bocca inaridirsi.
[29]Tutto il mio corpo rabbrividisce, i miei capelli si rizzano, l’arco Gandiva mi scivola dalla mano e la mia pelle brucia.
[30]O Krishna, uccisore del demone Kesi, non posso più a lungo restare qui. Non sono più padrone di me stesso e la mia mente vacilla. Prevedo solo eventi funesti.
[31]Non vedo che cosa possa portare di buono l’uccisione dei miei parenti in questa battaglia: mio caro Krishna, non desidero neppure la vittoria che ne seguirebbe, il regno o la felicità.
[32-35]O Govinda, a che servono tanti regni, la felicità e la vita stessa, quando coloro per i quali desideriamo tali beni si trovano ora schierati su questo campo di battaglia? O Madhusudana, maestri padri, figli, nonni, zii materni, suoceri, nipoti, cognati e altri parenti, tutti pronti a sacrificare la vita e la proprietà, sono presenti di fronte a me. Perché mai dovrei desiderare di ucciderli, pur sapendo che altrimenti essi ucciderebbero me? O sostegno di tutti gli esseri, non sono pronto a combattere contro di loro neanche in cambio dei tre mondi, che dire di questa Terra. Che vantaggio avremo dall’uccisione dei figli di Dhritarastra?
[36]Saremo sopraffatti dalla colpa se uccidiamo i nostri aggressori. Non è degno di noi uccidere i figli di Dhritarastra e i nostri amici. Che cosa ne ricaveremo, o Krishna, marito della dea della fortuna, e come potremo essere felici dopo aver ucciso i nostri stessi parenti?
[37-38]O Janardana, se questi uomini accecati dalla cupidigia non vedono alcuna colpa nel distruggere la loro famiglia o nel lottare contro gli amici, perché mai noi, che in questo atto riconosciamo il crimine, dovremmo impegnarci in azioni colpevoli?
[39]Con la distruzione della dinastia crolla l’eterna tradizione familiare; in questo modo i discendenti della famiglia rimangono coinvolti in pratiche contrarie alla religione.
[40]O Krishna, quando nella famiglia predomina l’irreligione, le donne si corrompono e dalla loro degradazione, o discendente di Vrisni, nasce una prole indesiderata.
[41]L’aumento di una popolazione indesiderata è certamente causa di una vita infernale per la famiglia e per coloro che ne distruggono la tradizione. Gli antenati di queste famiglie corrotte si degradano perché le offerte di cibo e d’acqua a loro vantaggio vengono completamente interrotte.
[42]A causa delle azioni malvagie di coloro che distruggono la tradizione familiare e danno nascita a una prole indesiderata, tutti i progetti di vita in comune e le attività tese al benessere della famiglia vanno in rovina.
[43]O Krishna, sostegno del popolo, so fonte autorizzata che coloro che distruggono le tradizioni familiari vivono per sempre all’inferno.
[44]Ahimè, non è strano che ci apprestiamo a commettere crimini così gravi? Spinti dal desiderio di godere del piacere della sovranità, siamo sul punto di uccidere i nostri stessi parenti.
[45]Preferirei piuttosto essere ucciso sul campo di battaglia per mano dei figli di Dhritarastra, disarmato e senza opporre resistenza.
[46]Sanjaya disse:
Dopo aver così parlato sul campo di battaglia, Arjuna lascia cadere l’arco e le frecce e si diede nuovamente sul carro con la mente oppressa dal dolore.
CAPITOLO 2
>> 1-3
[1]Sanjaya disse:
Vedendo Arjuna con le lacrime agli occhi, pieno di compassione e molto triste, Madhusudana — Krishna gli rivolge queste parole.
[2]Dio, la Persona Suprema, disse:
Mio caro Arjuna, da dove viene questa mancanza di purezza? Non è affatto degna di un uomo che conosce il valore della vita. Non ti porterà ai pianeti superiori ma all'infamia.
[3]O figlio di Pritha, non cedere a questa umiliante impotenza. Non ti si addice. Abbandona questa meschina debolezza di cuore, o vincitore del nemico, e alzati.
>> 4-9
[4]Arjuna disse:
O uccisore dei nemici, o uccisore di Madhu, come potrei nel corso della battaglia respingere con le mie frecce uomini come Bhisma e Drona degni della mia venerazione?
[5]Meglio vivere in questo mondo mendicando piuttosto che vivere al prezzo della vita di grandi anime, quali i miei maestri. Sebbene avidi di guadagni materiali, essi sono pur sempre i nostri superiori. Se li uccidiamo, tutto ciò di cui potremo godere sarà macchiato di sangue.
[6]Non so se sia meglio vincerli o esserne vinti. Se uccidessimo i figli di Dhritarastra, non avremmo più alcun desiderio di vivere; eppure essi sono qui, schierati di fronte a noi sul campo di battaglia.
[7]Ora sono confuso sul mio dovere e ho perso la calma a causa di una debolezza meschina. In questa condizione Ti chiedo di dirmi chiaramente ciò che è meglio per me. Ora sono Tuo discepolo e un'anima sottomessa a Te. Istruisci, Ti prego.
[8]Non vedo il modo di allontanare il dolore che inaridisce i miei sensi. Non riuscirò a eliminarlo nemmeno se sulla Terra ottenessi un regno prospero e senza uguali e una sovranità simile a quella dei deva sui pianeti celesti.
[9]Sanjaya disse:
Avendo così parlato, Arjuna, il vincitore dei nemici, dice a Krishna: "Govinda, Non combatterò", e rimane in silenzio.
>> 10-30
(10)O discendente di Bharata, in quel momento Krishna, tra i due eserciti, Si rivolge sorridendo all'infelice Arjuna.
(11)Dio, la Persona Suprema, disse:
Sebbene tu dica sagge parole, ti affliggi per ciò che non è degno di afflizione. I saggi non si lamentano né per i vivi né per i morti.
(12)Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo, Io tu e tutti questi re, e mai nessuno di noi cesserà di esistere.
(13)All’istante della morte, l’anima prende un nuovo corpo, così naturalmente come essa è passata nel precedente dall’infanzia alla giovinezza, poi alla vecchiaia. Questo cambiamento non turba chi è conscio della propria natura spirituale.
(14-16)Effimeri gioie e dolori vanno e negano come l’estate e l’inverno, o figlio di Kunti. Non sono dovuti che all’incontro dei sensi con la materia, o discendente di Barata, e bisogna imparare a tollerarli senza esserne disturbati. O migliore tra gli uomini [Arjuna], chi non è distratto né dalle gioie, né dai dolori, ma rimane sereno e risoluto in ogni circostanza, è degno della liberazione. I maestri della verità hanno dedotto l’eternità del reale e la temporaneità dell’illusorio, dopo lo studio delle loro rispettive nature.
(17)Sappi che non può essere distrutto ciò che pervade il corpo. Nessuno può distruggere l'anima eterna.
(18)L’anima è indistruttibile, eterna e senza dimensioni; soltanto i corpi materiali che assume sono soggetti alla distruzione. Forte di questo sapere, o0 discendente di Baharata, combatti.
(19-20)Non è situato nella conoscenza colui che crede che l'anima possa uccidere o essere uccisa; l'anima infatti non uccide né muore.
Per l'anima non vi è nascita né morte. La sua esistenza non ha avuto inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro. Essa è non nata, eterna, sempre esistente e primordiale. Non muore quando il corpo muore.
(21-22)O Partha, se una persona sa che l'anima è indistruttibile, eterna, non nata e immutabile, come può uccidere o far uccidere?
Come una persona indossa abiti nuovi e lascia quelli usati, così l'anima si riveste di nuovi corpi materiali, abbandonando quelli vecchi e inutili.
(23)Mai un'arma può tagliare a pezzi l'anima né il fuoco può bruciarla; l'acqua non può bagnarla né il vento inaridirla.
(24-25)L'anima individuale è indivisibile e insolubile; non può essere seccata né bruciata. È immortale, onnipresente, inalterabile, inamovibile ed eternamente la stessa.
È detto che l'anima è invisibile, inconcepibile e immutabile. Sapendo ciò non dovresti lamentarti per il corpo.
(26)E anche se tu credi che l'anima [ossia i sintomi della vita] nasca e muoia infinite volte, non hai nessuna ragione di lamentarti, o Arjuna dalle braccia potenti.
(27)La morte è certa per chi nasce e certa è la nascita per chi muore. Poiché devi compiere il tuo dovere, non dovresti lamentarti così.
(28)Tutti gli esseri creati sono in origine non manifestati, si manifestano nello stadio intermedio, e una volta dissolti tornano a essere non manifestati. A che serve dunque lamentarsi?
(29)Alcuni vedono l'anima come una meraviglia, altri la descrivono come una meraviglia, altri ancora ne sentono parlare come di una meraviglia, ma c'è chi non riesce a concepirla neanche dopo averne sentito parlare.
(30)O discendente di Bharata, colui che dimora nel corpo non può mai essere ucciso. Non devi quindi piangere per alcun essere vivente.
>> 31-38
[31]Considerando il tuo dovere di ksatriya dovresti sapere che non esiste è per te impegno migliore che combattere secondo i princìpi della religione; non hai quindi ragione di esitare.
[32]O Partha, felici sono gli ksatriya cui l'opportunità di combattere si presenta naturalmente perché si aprono per loro le porte dei pianeti celesti.
[33]Se invece rifiuti il tuo dovere religioso che consiste nel combattere certamente peccherai per aver mancato al tuo dovere e perderai così la tua fama di guerriero.
[34]Gli uomini parleranno per sempre della tua infamia, e per una persona degna di rispetto il disonore è peggiore della morte.
[35]I grandi generali che ebbero un'alta stima del tuo nome e della tua fama penseranno che solo per paura tu abbia abbandonato il campo di battaglia e ti considereranno una persona insignificante.
[36]I Tuoi nemici avranno per te parole disonorevoli e scherniranno la tua abilità. Che cosa può esserci di più penoso per te?
(37)O figlio di Kunti, se muori sul campo di battaglia raggiungerai i pianeti celesti, se vinci godrai del regno della Terra. Alzati dunque, e combatti con determinazione.
(38)Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta — così facendo non incorrerai mai nel peccato.
Bibliografia
“La Bhagavad Gita, così com’è” edizioni Bhaktivedanta 1976.
“Mahabarata Episodi scelti” a cura di Vittore Pisani Unione Tipografico-Editrice Torinese.
Libri pubblicati da Riflessioni.it
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