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Riflessioni sull'Antroposofia. La Scienza dello Spirito

Riflessioni sull'Antroposofia

La Scienza dello Spirito

di Tiziano Bellucci   indice articoli

 

L'idea tipo o Archetipo

Luglio 2015

 

Nel concetto di “lupo” non vi è un’astratta somma di idee, ma un essere vivente invisibile che configura e anima tutti i lupi sulla terra. Una sorta di  “matrice” che imprime il suo timbro entro la materia sensibile, conferendogli determinate qualità.

Nell’attimo in cui si entra in rapporto sensoriale con un lupo, il vederlo rende possibile contemporaneamente l’accendersi di un rapporto con il suo archetipo: che è della stessa sostanza del nostro Io spirituale. L’archetipo del lupo non penetra nel sensibile, ma si presenta all’anima umana interiormente, in una connessione vivente. Nell’attimo in cui si attua il vivente contatto spirituale fra Spirito umano e Spirito del lupo si avrebbe una reale incontro fra spiriti: sarebbe possibile sperimentarsi veracemente a vicenda.

Ma ciò non avviene: affinché l’uomo possa sperimentare con autocoscienza di trovarsi di fronte al lupo esterno, deve andare perduta per lui la possibilità di incontrare il vero essere del lupo: può solo incontrarne l’ombra.

Se accadesse che il vero essere del lupo si mostrasse all’uomo, in quell’attimo egli perderebbe la sua coscienza di individualità: fluirebbe entro il lupo e il lupo sprofonderebbe in lui, tanto da perdere la facoltà di ricordarsi di essere uomo. Lupo e uomo sarebbero un tutt’uno, diventando l’uno nell’altro, quindi non vi sarebbe né lupo né uomo, ma un amalgama misto di uomo-lupo. Io sarei diventato lupo e il lupo me.

Questo è il pervenire alla piena Intuizione.

L’accendersi del rapporto spirituale fra uomo e lupo è ciò che comunica all’anima umana il concetto “lupo”; il sentirsi pervaso da esso.

 

Tale cosa accade nei confronti di ogni ente del mondo: percependoli, si entra in un rapporto vivente con i loro archetipi, i quali ci comunicano la loro interiorità; in realtà però ci appare solo una parte del loro essere, perchè la mediazione del corpo fisico altera l’esperienza.

Se non accadesse l’occulto agire del corpo sull’anima, osservando il mondo l’uomo penetrerebbe entro una coscienza più ampia, cosmica, la quale abbracciando il tutto annullerebbe la sua: egli non avrebbe più facoltà di sentirsi uno a sé, ma si sperimenterebbe soltanto come organo facente parte di un organismo Uno più grande.

 

Ciò che serve per preservare la coscienza dell’uomo da quest’annientamento, è dato dalla sua organizzazione animica e fisica; essa fa comparire anziché degli esseri pensiero viventi, delle loro copie ombra, in forma astratta.

Le immagini del mondo non possono fornire alcuna verità sino a quando l’anima non divenga capace di adoperare coscientemente i suoi organi spirituali.

Affinché l’anima possa sperimentare sé stessa tramite la percezione dell’esistenza di un mondo esteriore esistente al di fuori di sé, i suoi organi spirituali devono smorzare, scindere e frammentare la corrente di vita che irraggia da fuori, dal centro degli enti del mondo, verso di lei.

La vita deve spegnersi, per poter venir afferrata autocoscientemente dall’anima. Tutte le percezioni che l’uomo ha di fronte al mondo, sono in realtà esperienze spirituali interiori (intuizioni) la cui vita, per poter venir recepita, deve venire uccisa e smorzata. Nell’attimo in cui le percezioni muoiono, quindi da luce irraggiante divengono ombra, solo allora possono venire registrate e percepite come qualcosa di esistente dall’anima. Ogni cosa su cui si pensa è quindi un pensiero morto.

Il mondo appare quindi all’uomo in forma illusoria, come parvenza; ma tale apparire non è causato dalla volontà degli esseri che agiscono su di lui: avviene a causa della sua organizzazione non ancora compiuta, la quale snatura la vera realtà che gli si presenta.

L’anima umana estrae l’Essere spirituale dalla corrente eterna atemporale e aspaziale in cui è collocato, afferrando un attimo di esso, ossia trasferendolo nello spazio e nel tempo; così facendo si preclude la possibilità di coglierlo nella sua intierezza, fissandolo in una forma che rappresenta una parte presa dall’intera vita o Essere dello Spirito osservato.L’autocoscienza umana si fonda quindi tramite la realizzazione di uno smorzamento, una frammentazione rispetto ciò che è la piena vita degli esseri pensiero che animano il mondo fisico: nella percezione, la forza di vita che irraggia verso l’uomo cade nell’anima come un’ombra, perdendo la sua natura di luce.

Ogni pensiero, che deriva da una percezione sensoria, vive e sorge in noi emergendo da un mare di sonno; è come se da tale oceano emergesse un’onda e noi, dal suo infrangersi contro il nostro cervello, riuscissimo a contemplare un’immagine, che si forma dal suo residuo spumeggiante.

 

L’uomo può arrivare a ristabilire un vivente rapporto con gli esseri spirituali solo se attiva i suoi organi spirituali, smettendo di avvalersi degli strumenti sensori che falsano la loro vita in parvenza; ciò lo può fare però solo dopo avere già acquisito, tramite l’esperienza della coscienza sensibile usuale, una piena autocoscienza. Quest’ultima non potrebbe mai difatti venire acquisita o perfezionata partendo dal soprasensibile.

La sana coscienza abituale è quindi la premessa indispensabile per giungere ad una conoscenza veggente. La coscienza normale deve addirittura accompagnare la coscienza veggente in ogni istante, perchè altrimenti si avrebbe disordine nel rapporto nel rapporto fra l’uomo e la realtà spirituale.

 

Se ci si esercita a rappresentare in modo da non utilizzare nulla preso dalle esperienze dei sensi (pensiero libero dai sensi) allora si da modo al pensare di esplicarsi secondo la sua natura originaria: come forza plasmatrice.

Tale modo si esercitarsi non è l’usare il pensiero per riprodurre i dati sensibili, ma l’osservare il pensiero stesso insito nell’ente sensibile, privato della sua forma fisica: il cosiddetto “pensiero di sintesi”. Ad esso si giunge dapprima partendo da un’analisi dettagliata delle singole fasi (visualizzate in rappresentazioni sensibili) che costituiscono il concetto dell’ente, per poi estrarre dalla loro riunione una singola immagine, in una sorta di “fusione” pensante: il pensiero vivente.

Nell’anima quindi, come in ogni cosa esistente, agisce di continuo una forza; la fantasia umana,  l’immaginazione è quella stessa forza che compare nel seme e che fa crescere una nuova pianta: entro l’anima umana è capace di plasmare i “fiori di loto”. In ogni anima è stato posto un seme dal “seminatore”: affinchè esso cresca non bisogna utilizzare la forza plasmatrice del pensare come specchio riproduttore del sensibile, ma volgerla nell’anima secondo la sua vera natura.

 

Ciò di cui abbiamo parlato in merito a percezione, non si riferisce solo alla vista, ma vale per ogni altro senso: ognuno di essi ha a che fare con un rispecchiamento, con una conoscenza dell’essere compenetrato, che si esprime in visione, udizione, odore, gusto e consistenza.

 

Dal “Suono della luce” di Tiziano Bellucci

 

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