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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


Filosofo del pop

Conversazione con Claudio Sottocornola
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- Luglio 2010

Claudio SottocornolaClaudio Sottocornola, “filosofo del pop”, è in realtà una personalità poliedrica che ha fatto del suo approccio olistico alla ricerca, della interdisciplinarietà, della contaminazione dei generi, un vero e proprio marchio di fabbrica. Conosciuto soprattutto per le sue lezioni-concerto relative alla canzone pop, rock e d’autore, è però anche poeta con all’attivo due corpose sillogi (“Giovinezza… addio” e “Nugae, nugellae, lampi”, ed. Velar), che raccolgono versi scritti dal 1974 al 2008, artista visivo (i collages di “Eighties” e le immagini de “Il giardino di mia madre e altri luoghi”), ma soprattutto ordinario di Filosofia a Bergamo e artefice di una visione un po’ “controculturale”, che fa del pop, inteso in senso estensivo, la categoria prevalente per la lettura del contemporaneo.  E’ quindi un filosofo i cui strumenti di ricerca ed espressione sono musica, poesia, immagini. Il corso che sta conducendo alla Terza Università di Bergamo, per esempio, si intitola “Da Wanda Osiris alle veline”, e verte sull’evoluzione dell’immagine femminile nella storia dello spettacolo…

 

Prof. Sottocornola, la categoria del “popular” non rischia di essere riduttiva della complessità del nostro tempo?

Come per il Romanticismo o il Barocco, l’approccio si riferisce in realtà a una storia della cultura che, con l’avvento della società di massa, perde, ad esempio, la committenza alta. O quantomeno, come nell’800 il Berchet affermava del “Parigino” sofisticato e incapace di sentimento, questa spesso diventa fruitrice e protagonista di esperienze, come certa “musica colta” o produzione letteraria, che non “mordono” più la realtà. Di contro, le espressioni di massa, come la musica pop-rock, la televisione, il cinema, la rete, muovono, non solo denaro, ma anche sentimenti e mozioni del cuore.

 

E’ anche vero che questo ha prodotto una certa banalizzazione del gusto…

Condivido pienamente. E confesso che provo gratitudine per aver potuto attingere, negli anni della mia formazione, ai grandi poeti: Montale, Ungaretti, Luzi, Leopardi… Sono diventati una bussola, un riferimento etico, oltre che estetico. E talvolta, occupandomi di musica e canzoni, non posso fare a meno di confrontare quel rigore, anche esistenziale, con l’opportunismo che il mercato può indurre, per esempio, anche nei migliori cantautori e musicisti pop. Ciò non toglie che occorre prendere atto di dove oggi stiano creatività e motivazioni, e io credo che stiano proprio, anche se in modo ambivalente, entro la cultura “popular”. Vedo, per esempio, qualche analogia fra il Barocco e il Pop: ambedue sono stati identificati con il cattivo gusto, il kitch, e solo la distanza storica ci permette oggi di superare i pregiudizi relativi al primo, ma non ancora di affrontare il pop con adeguata serenità.

 

Dunque, “pop è bello”?

E’ evidente che, come per ogni altro contesto culturale, il pop, e cioè l’orizzonte che coinvolge espressioni legate alla produzione industriale e alla società di massa, genera banalità insieme a capolavori: penso, per restare in Italia, ai film di Michelangelo Antonioni, alla televisione di Studio 1 o Canzonissima, alle canzoni di Gino Paoli o Vasco Rossi, a taluni spot pubblicitari e persino a qualche momento televisivo dove il trash si trasforma in neo-realismo puro…

 

Il suo interesse per la canzone nasce prima come critico, e poi diventa espressivo…

Come giornalista free-lance ho intervistato, fra gli anni ’80 e ’90, miriadi di musicisti, artisti, interpreti, ho scritto recensioni e studi… Ma, a partire dalla metà degli anni ’90, ho deciso di passare io stesso “dall’altra parte del vetro”, affrontando il meglio della canzone pop, rock e d’autore italiana. La sintesi di quella esperienza è stata pubblicata nella trilogia “L’appuntamento”, 3 CD e un DVD video con prove e studi realizzati in sala di registrazione dal 1994 al 2001. Si va dal Bruno Martino di “Estate” alla Mina di “Acqua e sale”, dalla Pavone anni ’60 di “Cuore” alla Nannini di “Meravigliosa creatura” o al “Portiere di notte” di Enrico Ruggeri… Uso la voce spesso in modo antinaturalistico e dissonante, per esprimere una realtà inquieta e ambivalente com’è quella contemporanea…

 

Le lezioni-concerto rappresentano una novità nell’ambito del pop…

In effetti, il metodo è consolidato per la musica classica, mentre nell’ambito pop critico e interprete tendono a divergere. Devo dire che sono abbastanza orgoglioso di questo mio approccio, che sottrae la performance artistico-musicale del pop alla dimensione del puro intrattenimento, per farne un momento di ricerca, insegnamento, riflessione. Insomma, ormai, chi viene alle mie lezioni-concerto non vede più alcuna contraddizione fra il mio ruolo di docente e il mio ruolo di artista…

 

Lei però utilizza diverse modalità espressive: la poesia, la musica, l’immagine…

E’ vero. Ho sempre amato la musica, sin dai primi anni ’60 quando, bambino, ascoltavo il Festival di Sanremo alla radio. Negli anni del liceo però, in quel post ’68 che guardava con diffidenza alla cosiddetta “musica leggera”, iniziai una ricerca poetica che, dal ’74 ad oggi, ha attraversato fasi diverse, da quelle più ermetiche degli inizi fino alla attuale contaminazione coi linguaggi del pop e dei media. “Giovinezza… addio. Diario di fine ‘900 in versi” e la recente “Nugae, nugellae, lampi” ne sono la sintesi, fra storia personale e scenari epocali, che ripropongo nel recital “Quaderno di liceo”, con immagini e canzoni (Dylan, De Andrè, Battiato, Simon and Garfunkel, B.B. King…). Dietro queste proposte multimediali sta però la convinzione (che forse mi viene dal mio anno di high-school in America e dal pragmatismo di quella cultura), che l’orizzonte della “verità” è “trovato” nella misura in cui “si attua”. Mi sono accorto, proprio entrando in sala di registrazione o durante le mie lezioni-concerto, che una certa esperienza gnoseologica (cantare piuttosto che scrivere, fotografare o ballare…) corrisponde a esperire una dimensione che sfuggirebbe irrimediabilmente restando nell’ambito di un solo approccio. Cantare, ad esempio, permette di mediare esigenze e sentimenti contrastanti, che nel pensiero astratto e dicotomico tendono a contrapporsi, e ciò realizza una esperienza che produce cambiamenti nel modo di pensare, valutare e, talvolta, vivere. L’Ermeneutica ha capito tutto ciò, e ha rivalutato l’arte, la musica, la poesia…

 

La contaminazione fra “alto” e “basso”, “sacro” e “profano”, è anche una delle caratteristiche ricorrenti della sua ricerca, come, per esempio, nella serie figurativa di “80’s/Eighties” sugli anni ’80…

In effetti questi 40 collages, realizzati nel 1981, a 22 anni, rappresentano una anticipazione, un presagio di quella che è poi diventata la mia “poetica”, fondata sulla convinzione che, spesso, il meglio di ciò che è “istituzionale” (ma non lo è sempre stato) si sposa benissimo con gli aspetti più innovativi del “popular”. In essi ho così assemblato materiale di ritaglio da giornali e rotocalchi, pubblicità, divi e personaggi degli anni ’80, insieme a citazioni dalla storia dell’arte e della spiritualità, di Guttuso, Botticelli, Michelangelo, Piero della Francesca, Picasso… componendo una specie di “laudes creaturarum”, come recita il sottotitolo della raccolta, entro l’orizzonte iconico e simbolico di quel decennio…

 

Anche in alcune sezioni di “Giovinezza… addio” si ritrova un interesse per la teologia e la storia della spiritualità che, dal punto di vista degli stereotipi, non ci si aspetterebbe da un “filosofo del pop”…

Ed infatti qui disattendo le aspettative di quanti, identificando il pop con ciò che è effimero, commerciale o, al più, semplicemente “dissacrante”, lo associano a un’estetica genericamente post-moderna e consumistica. Premetto che il post-moderno – in cui un po’ mi ritrovo – mi affascina proprio in virtù del suo possibilismo, della commistione di elementi eterogenei, della concentrazione sull’attualità. Ma in questa attualità a me piace cercare “lampi” (quelli della mia ultima raccolta poetica, per esempio…) e significati, anche se minimalisti. Se possibile, a una canzone, un film, uno spettacolo, chiedo che mi ridia energie, che mi prospetti altri orizzonti, altre possibilità… La mia tesi di laurea, che sto riscoprendo, verteva proprio sulla spiritualità di un grande mistico, Charles De Foucauld, che aveva fatto dell’abbassamento, della promiscuità o condivisione con gli ultimi (nel suo caso i Tuareg del Sahara) la ragione della sua vita. Che cosa c’è di più “popular” di una spiritualità dell’Incarnazione, in cui ogni frammento cosmico emana bellezza, verità e luce? Per questo il mio prossimo lavoro, a cui mi sto applicando da qualche anno, sarà proprio al confine fra teologia, giornalismo e spiritualità.

 

Doriano Fasoli

 

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