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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


La scrittura, per sopravvivere

Conversazione con Sandra Petrignani
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- luglio 2005
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“Fuori dall'Ottocento fino alla metà del Novecento, è difficile che la forma-romanzo tradizionale non mi annoi. Amo le narrazioni, non le trame. O meglio amo le trame avvolte dentro narrazioni, ma se la trama s'impone sulla narrazione sbadiglio”: a parlarmi così è Sandra Petrignani, che, nata nel 1952 a Piacenza, vive a Roma, dove è avvenuto il nostro incontro. Critico letterario, redattrice culturale di “Panorama”, ha scritto il libro di viaggio Ultima India, i racconti raccolti in Il catalogo dei giocattoli, Vecchi, Poche storie, i romanzi Navigazioni di Circe, Come cadono i fulmini, Come fratello e sorella, la raccolta di interviste Le signore della scrittura. Con il libro La scrittrice abita qui. Un viaggio nelle case e nella vita sentimentale di Grazia Deledda, Marguerite Yourcenar, Colette, Alexandra David-Néel, Karen Blixen, Virginia Woolf (edito da Neri Pozza nel 2002) ha ottenuto un grande (e meritato ) successo sia di critica che di pubblico. “Questo suo ‘diario di viaggio’ intreccia con sapienza immagini, lettere, oggetti” – ha scritto Benedetta Bini su “Il Sole-24Ore” –, “sa evocare le cose e farle parlare indirettamente nel sistema delle emozioni: è un reticolo sorprendente di segni attraverso cui si disegna il percorso di vite spesso eccessive, furibonde, solitarie”.
L’ultima sua prova narrativa s’intitola Care presenze, un romanzo che contiene racconti a tema, pubblicato ancora da Neri Pozza.


Petrignani, ha cominciato la sua attività letteraria, facendo poesia, vero? Che età aveva?
Ho cominciato a esprimermi in rima prima ancora di imparare a scrivere. Era un modo di coltivare il mio autismo infantile o di evaderne, non saprei. A pubblicare poesie ho cominciato verso i vent'anni: sui “Quaderni di poesia” della Guanda, su “Nuovi Argomenti” e su altre riviste meno importanti.

Perché poi ha smesso di praticarla?
Ho smesso di colpo. Verso i trent'anni. Quando è nato mio figlio, più o meno. Scherzando dico che la mia poesia è diventata lui. In qualche modo è così. Mio figlio mi ha salvato dal corpo a corpo quotidiano con la nevrosi. Ho scelto la realtà, la prosaicità. Probabilmente sentivo oscuramente che per fare una grande poesia, avrei dovuto lasciarmi travolgere dai miei fantasmi, sprofondare nel selvaggio regno dell'inconscio. Avevo costeggiato troppo da vicino la scissione profonda per seguire questa tentazione.

Ha sentito la narrativa come più congeniale?
Credo di conservare anche nella narrativa una visione da poeta. Non mi piacciono le trame, mi piacciono le "illuminazioni". Però, sì, a un certo punto la narrativa mi ha dato più soddisfazioni, sia compositive che terapeutiche. Una parte profonda di me è convinta di questo: la narrativa mi ha salvata. La poesia mi avrebbe perduta. Questo perdersi avrebbe fatto di me un grande poeta? Anche fosse stato così, preferisco aver utilizzato la scrittura per sopravvivere piuttosto che per morirne.

Il quotidiano “La Repubblica”, dopo aver proposto, in venti volumi, l’Enciclopedia Utet, con aggiornamenti (ma, chissà perché, lasciando fuori nomi fondamentali della cultura italiana, tra cui Emilio Garroni, Mario Lavagetto, Carmelo Samonà, Francesco Orlando, Giosetta Fioroni, Alfredo Giuliani, Elémire Zolla, solo per citarne alcuni) ha presentato, in sei volumi, l’ “Antologia della poesia italiana” (Einaudi) diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola. Straordinarie iniziative editoriali, certo, ma rispondono a quali effettive esigenze? O saranno volumi destinati a rimanere intonsi in tante belle, artigianali e impolverate biblioteche, dei nostri incolti connazionali?
Ho il sospetto che siano belle edizioni poco costose per riempire buchi d'arredamento. Poi magari qualcuno butterà un occhio su una bella poesia e dirà: toh, che bel verso! E magari andrà in libreria a scegliersi un poeta necessario a quel suo momento di vita...

“Tutti diventano creatori, c’è una mobilitazione generale che porta al paradosso per cui non c’è più un destinatario, tutti sono trasmettitori. Ognuno crea la propria espressione e non ha più il tempo di ascoltare gli altri. È una forma eccessiva in cui l’arte scompare per eccesso, non per mancanza, creando un cortocircuito al senso stesso”: sono parole di Jean Baudrillard. Anche secondo lei, se la poesia, l’arte, sono ovunque, allora cessano di esistere?
Temo di sì. Eppure l'arte, la letteratura soprattutto, risponde a bisogni profondi dell'individuo sofferente. Come la religione. C'è bisogno di uscire da se stessi, di mettersi in contatto con qualcosa che chiamiamo "il divino" o più semplicemente con "l'umano". Leggere un libro è anche vedere come se la cava un altro essere umano al cospetto con situazioni problematiche, è anche entrare in un altro cervello, in un altro cuore, è scoprire come funziona interiormente un'altra persona, che è stata in grado di scrivere e descriversi.


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