Riflessioni sul Cristianesimo
di Pier Angelo Piai
La spirale trinitaria
Giugno 2012
Il nucleo dei nuclei: Gesù Cristo
'Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Nella pienezza dei tempi una piccola porzione di terra sperduta nel Medioriente ha accolto, in un preciso momento storico, la "concentrazione dell'Essere sussistente", Colui mediante il quale il mondo fu fatto. Chi ci rivela quel piccolo infante indifeso, nato in una povera famiglia sconosciuta, fuori della città (non c'era posto per questa nell'albergo) e riconosciuto solo da alcuni pastori del luogo e da tre saggi venuti da lontano? "Venne fra la sua gente ma i suoi non l'hanno accolto ".
È l'incarnazione limpida, cristallina, irradiata dal seno verginale di una fanciulla ebrea che costituisce il nucleo dei nuclei della grande spirale storica che attraversa spazio e tempo ed è destinata all'eternità. Un'effervescenza celata dai determinismi apparenti delle leggi naturali e sociali (carne, censimento, circoncisione, traversie, lavoro, battesimo) ma rappresenta la condivisione esistenziale dello stato di "umanità".
"Il Verbo si fece carne... veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo".
Che luce ci può essere in quel fragile bimbo anonimo nato nel fondo delle tenebre? Unico segno dal cielo una stella apparsa in Oriente che si posa "sopra il luogo dove si trovava il bambino". Questo astro rappresenta l'evoluzione della Spirale il cui nucleo è celato in una grotta, le viscere della terra.
Poi silenzio: trent'anni di sottomissione e nascondimento sottolineati dalla incredibile sobrietà dei Vangeli. Una condivisione perfetta con lo strato sociale più rappresentativo del periodo storico: anonimato, lavoro artigianale, decorosa povertà. Ma il dialogo era ancora incompleto: ogni spirale evolutiva deve forzare tutti i determinismi per seguire lo slancio vitale a cui è destinata. I quaranta giorni del deserto costituiscono il banco di prova di ogni spirito che tende alla vera libertà: ogni tentazione è una scelta da scartare perché non conduce alla verità e lo spirito libero si orienta con tutte le forze verso l'opzione fondamentale, l'asse ontologico che guida alla pienezza dell'essere simile a Dio. La condivisione esistenziale si completa di fronte ai turbamenti che ogni coscienza prova innanzi a tutte le possibilità.
Ma la scelta è irrevocabile: "Non di solo pane vive l'uomo" "Solo al Signore Dio tu ti prostrerai, lui solo adorerai" "Non tenterai il Signore Dio tuo".
L'Uomo è ormai deciso e punta verso Gerusalemme iniziando a divulgare il Regno con la "Buona Novella" accompagnata da numerosi segni.
Lebbrosi, paralitici, sordomuti, ciechi, indemoniati e numerosi infermi vengono risanati da quest'uomo che chiama Padre il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe e rimette con autorità i peccati di colui che guarisce. Parla in parabole ricche di riferimenti naturali: seme, grano, frumento, vite, albero, frutti, lupo, agnello, acqua, vento, fuoco, terra. L'Incarnazione traspare anche dal suo linguaggio accessibile a chiunque è ben disposto al dialogo per il Regno che annunzia, ma che solo pochi iniziati possono scandagliare: bisogna convivere con quest'uomo per intuire la reale profondità di ciò che annuncia, come hanno fatto gli apostoli che hanno dovuto inciampare sullo scandalo dell'apparente fallimento per ricevere la rivelazione dello Spirito.
L'asse della spirale cristica: lo Spirito di Cristo
Quest'uomo che annunzia il Regno con segni e prodigi afferma: "se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio". In effetti il suo testimone, Giovanni Battista, annunciando la presente rivelazione, afferma: "Io vi battezzo con acqua... ma colui che viene dopo di me... vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco".
Cristo dichiara di essere venuto a fare la volontà del Padre e promette lo Spirito di verità che da Questi procede a chiunque crederà in Lui. Lo chiama il Consolatore, il Paraclito che "vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà per sé… perché prenderà del mio e ve l'annunzierà".
"Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore...".
La riflessione posteriore individua nello Spirito Santo una Persona della fucina Trinitaria, che procede dal Padre e dal Figlio... e abbozza in forma nucleare una definizione della relazione con le altre due Persone, custodendola come dogma attraverso i secoli, suffragato dalla indiscutibile autorità di coloro che Cristo ha inviato come testimoni.
Di questo Spirito Gesù Cristo afferma: "prenderà il mio e ve l'annunzierà" per sottolineare che l'azione di Colui che manda attraverso ogni determinismo spazio-temporale non è da Lui disgiunta ma in intima e misteriosa relazione, come quella che lo lega con il Padre che chiama Abbà (Chi vede me vede il Padre) e che attribuisce come vero mandante "Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome".
Dunque, nel Gesù storico, pienezza della verità, si annida visibilmente l'azione prorompente dello Spirito che non cesserà mai di portare i suoi frutti. È Cristo il Big Bang fenomenico del dinamismo esistenziale rappresentato dallo slancio vitale dello Spirito che segue l'asse della sua Spirale. Ciò che dello Spirito sappiamo non è altro che il frutto di questa deflagrazione spazio-temporale che continua ad essere feconda anche nelle microazioni più impercettibili: "il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va", ma da esse si distingue come la causa dall'effetto: "Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito", "Io sono la luce del mondo".
L'azione dello Spirito, però, è feconda là dove trova disponibilità all'ascolto e non può attecchire nella sclerocardia, l'indurimento del cuore (chi bestemmierà lo Spirito Santo non sarà perdonato). Il cuore umano deve prima essere irrigato dalle lacrime del pentimento, dal desiderio, cioè, di rientrare nella reale dimensione ontologica (se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio). Allora il dialogo comincia a portare i suoi frutti e il nucleo risale le spire che lo condurranno alle alte vette dell’amore.
La fucina trinitaria: DNA dell'amore
Il Dio Trinitario è sempre stato uno scoglio per i rigidi conformisti del monoteismo tradizionale (ebrei e islamici) e tuttora suscita la perplessità di chi vede in esso una astratta logomachia di concetti trascinata durante secoli di boriose elucubrazioni intellettuali da una gerarchia ecclesiastica preoccupata di conservare il potere.
Se sgombriamo l'animo da ogni pregiudizio, però, il dogma trinitario gelosamente conservato nei secoli dalla fede cattolica si spoglia della sua patina apparentemente sofistica per rivelarci alcune piste che conducono all'essenza della realtà divina, all'Amore: "Dio è amore".
Non è mia intenzione costruire un noioso trattato teologico ma voglio solo comunicare ciò che lo Spirito mi fa intuire su questo mistero. Il magistero afferma che Dio è Uno in Tre Persone, uguali e distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Figlio è generato dal Padre (non creato) e lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato.
È necessario partire da un presupposto fondamentale rivelatoci dal discepolo "che Gesù amava", Giovanni l'evangelista: "Dio è amore". Che cos'è l'amore? Dalle precedenti riflessioni ho messo in evidenza che dal punto di vista fenomenico qualsiasi forma di vita emerge dall'unità organizzata della polverulenza cosmica fino ad arrivare alla struttura sociale, unita di psichismi alimentata dal dialogo.
Da ciò si deduce che, essendo l'unità il fine di ogni forma di dialogo, è essa stessa il propellente della vita, cioè l'effervescenza dell'amore. Dire, quindi, che Dio è Uno è l'attributo più appropriato che le nostre povere categorie mentali riescono a formulare, in quanto siamo convinti che l'Essere sussistente è il datore della vita, il fondamento di ogni unità che l'ha generata.
Ma, scavando nel concetto di unità applicato alla divinità, come è possibile intravedere l'elemento dialogico riferendoci ad uno strato ontologico che non è il nostro? Di quale unità si parla se i riferimenti sono solo analogici, ricavati, cioè, dalle nostre categorie mentali applicate all'evidenza fenomenica? Sotto questo punto di vista lo scriba vetero-testamentario aveva ragione di ribadire l'alterità gelosa di Dio, non avendo a disposizione altre forme di rivelazione. "Non avrai altro Dio all'infuori di me" è il comandamento della legge mosaica che gli ebrei hanno sempre gelosamente custodito.
Soffermandomi nel dogma apparentemente arido della Trinità, in cui le definizioni ormai obsolete appaiono artificiose per colui che ricerca la purezza del concetto, scopro profondità mai esplorate che mi donano una chiave segreta che apre lo scrigno della vita, il senso più recondito dell'esistenza.
E con incredibile stupore mi accorgo che proprio in questo scrigno misterioso si annida intatto il segreto del Tutto che nessuno riuscirà mai a svelare o concettualizzare per appropriarsene: il DNA dell’amore dal quale tutto riceve l'esistenza e che respira la gratuità più pura e cristallina (Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrano in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano).
La pienezza della divinità
“Chi ha visto me ha visto il Padre”
“La madre dice ai servi: fate quello che vi dirà”
“Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di Lui"... "questi è il Figlio di Dio".
La Trinità, quindi, si è rivelata. Ciò vuol dire che l'Essenza dell'Essere si annida proprio in quel nucleo storico preciso carico di eventi significativi per colui che è disposto a comprendere col cuore e con l'intelletto. Ma quale Dio può rivelarci un uomo che nasce nella povertà, si sottopone alle leggi biologiche e sociali di tutti gli altri uomini e dopo una atroce sofferenza muore sul più vergognoso patibolo del tempo?
Qui entriamo nel regno della libertà, l'humus dello Spirito, ovvero il cuore dell'Amore.
Nell'incarnazione Colui che non ha forma, perché ontologicamente diverso (di natura divina), prende forma umana "spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana, umiliò se stesso".
Di che cosa si spogliò? Certo che per noi poveri mortali, un Dio che condivide la nostra forma rimane incomprensibile. Eppure è convincente: questa irrazionalità ci attrae irresistibilmente perché è condivisione esistenziale, partecipazione intima del nostro essere. Questa vibrazione la esperimentiamo quotidianamente anche nel rapporto con i nostri simili, nel campo affettivo, pedagogico: l'amante si sforza di capire i desideri dell'amata partecipando del suo mondo; il maestro svolge meglio la sua azione pedagogica condividendo la vita degli alunni; l'amico diventa più intimo condividendo gli affanni dell'amico; la madre fa di tutto per esaudire il figlio intuendone i desideri...
Non potendo cogliere la sua essenza in quanto privi, per ora, di ricettori ontologici, per noi Dio rimane il completamente altro, il nulla del nulla, Colui che, privo di ogni apparenza, non può essere colto da nessun occhio umano. Di Lui conosciamo solo l'azione fenomenica, il suo riverbero spazio-temporale, ma della sua Essenza nulla: "sono apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe come Dio onnipotente, ma con il mio nome di Signore non mi sono manifestato a loro".
È incredibile: alla nostra coscienza appare l'Universo intero, dalle galassie al virus, mentre di Dio nulla, il nulla più assoluto, nemmeno l'apparenza perché non ne ha, essendo l'Entità più pura e il principio di ogni altra entità.
Come individuare, allora, la sua Essenza in quella forma umana che noi tutti conosciamo con il nome di Gesù Cristo?
Ora mettiamo a fuoco l'obiettivo: cosa realmente significa che Dio appare in forma umana? Dio, l'Essenza più pura, appare con una forma... "umiliò se stesso", "un abisso chiama l'abisso" profetizza il salmista... un'alterità assoluta chiama l'altra alterità per farsi "apparenza", "scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani". Ciò vuol dire che Dio ci ha rivelato la sua Divinità inabissandosi nel determinismo della storicità umana "nato da donna, nato sotto la legge”.
L'Assoluta libertà dimostra la sua assolutezza inebriandosi di alterità (il determinismo spazio-temporale).
L'Assoluta unità si spoglia della sua assolutezza emergendo dalla molteplicità cosmica.
L'Assoluta purezza si arricchisce assumendo l'apparenza...
La Spirale divina
"Umiliò se stesso fino alla morte, e alla morte di croce".
La Rivelazione non era ancora completa. Doveva compiersi l'ora in cui il Figlio dell'uomo sarebbe stato glorificato. "Per questo sono giunto a quest'ora!". "Padre glorifica il tuo nome".
Nel Kerigma apostolico che la tradizione ci tramanda in forma così sobria e sintetica (Gesù Cristo è morto e risorto) si completa il nucleo della spirale cristica che coincide con l'apice della rivelazione divina. Ad uno sguardo superficiale e staccato la descrizione evangelica della passione di Gesù Cristo appare un freddo resoconto di una macabra esecuzione avvenuta duemila anni fa. Se la superficialità è unita ad un temperamento emotivo tutt'al più seguirà qualche lacrima passeggera e tutto si esaurirà qui: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli".
Soffermiamoci un attimo sulla croce: su questo patibolo, il peggiore ed il più infamante dell'epoca, viene inchiodato un uomo accusato di bestemmia perché si è dichiarato il Figlio di Dio. Su questo legno si è consumata la più ingiusta sentenza della storia dell'umanità.
Una croce di legno si erge da un colle, una tra le tante dell'epoca. Eppure, focalizzando lo sguardo interiore, la scarna trama del racconto evangelico si arricchisce di significati sempre più profondi illuminati dalla penetrante luce dello Spirito che rimanda continuamente oltre il semplice simbolo.
Un asse verticale si eleva indicando il cielo: il legno di cui è fatto è la vita che emerge dalla polverulenza terrestre per seguire lo slancio vitale della spirale cosmica.
L'asse orizzontale è la realtà terrestre di cui l'uomo è impastato e che lo incatena nei suoi determinismi.
Sul punto d'incontro degli assi coincide il cuore di un uomo morente, quello stesso cuore propulsore della vita che l'umanità ha sempre caricato di profondi significati. Le mani e i piedi sono immobilizzati su questi assi trasversali con dei chiodi che penetrano la carne sanguinante. Quest'uomo non può camminare con i piedi o risanare con le mani.
È sospeso tra cielo e terra: elevato da terra alla quale è ancora incatenato e librante in cielo, un cielo ancora denso di tenebre. In quella angosciosa solitudine quest'uomo senza vestiti, circondato da pochi fedelissimi e da una calca assetata di spettacolo (Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi) prova l'abbandono degli uomini (Mi scherniscono quelli che mi vedono) e l'abbandono apparente di Dio (Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?).
"Gesù disse: “Tutto è compiuto”. E chinato il capo, spirò”.
Quest'uomo, dunque, muore come tutti gli uomini della terra. La sua carne è inerte, Egli non si appartiene più. "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito".
"Ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua". Per i semiti il sangue è la vita, per noi l'acqua è lo Spirito. Da un cuore infranto esce la vita che è il dinamismo dello Spirito, una vita donata nella maniera più assurda e cruenta. Questo è l'apice della manifestazione divina, la pienezza della rivelazione. Un Dio che si fa forma e che perde questa forma rivelando se stesso.
Il dinamismo trinitario
Questo estremo atto di abbandono è l'apice di una vita completamente abbandonata al Padre (sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato).
Gesù Cristo, dono del Padre, dona a sua volta lo Spirito. Tra Padre e Figlio il circolo non poteva rimanere chiuso, altrimenti sarebbe stato imperfetto perché l'Uno rimarrebbe proiezione dell'Altro a scapito della perfetta alterità. Il Padre si compiace del Figlio ed il Figlio nel Padre. Non basta. Il compiacimento deve aprirsi su un Terzo che diventa dono di entrambi, quindi vero dono.
Si profila il dinamismo trinitario: nessuna Persona vive per sé ma si svuota per l'altra.
Il Padre, prendendo la forma del Figlio, si svuota della sua assoluta alterità. Il Figlio, riconsegnando la "forma" al Padre, dona lo Spirito che riconduce tutti al Padre.
Il Padre è funzione del Figlio e dello Spirito e viceversa.
Ogni Persona è infinitamente distante da se stessa (mi si perdoni la spazializzazione del concetto) e nessuna vive per se stessa.
Ma è proprio qui la ricchezza di Dio che una mentalità carnale non può intuire. Esso coincide con il totale svuotamento, la perfetta lontananza della Persona da se stessa che tutto cede alle altre. Tutto ciò non costituisce un depauperamento, ma ora lo dico con un termine azzardato per il punto di vista della teologia, "arricchimento " di divinità.
Nella Kenosi è rivelato lo spogliamento arricchente di Dio, l'essenza del dinamismo trinitario, dove ogni persona dona se stessa all'altra scomparendo delicatamente dalla "scena" con una discrezione talmente divina che solo concettualizzandola con le nostre categorie umane sfugge alla nostra comprensione possessiva per rientrare nella sua purezza più reale e genuina. Ogni Persona attua il vero dono di sé non proiettando nulla di se stessa all'altra, altrimenti rimarrebbe un residuo egocentrico a contaminare l'assoluta gratuità.
In questo dinamismo entriamo nel cuore dell'essenza divina che deve rimanere intatta nel suo profondo mistero e nessun occhio umano può penetrarvi senza bruciarsi (Mosé si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio).
La nostra povera mente non può penetrarvi: sarebbe una stolta presunzione illudersi di possedere le categorie divine. (I segreti di Dio nessuno li ha mai potuto conoscere se non lo Spirito di Dio)
Ecco che sotto questa ottica si profila una timida giustificazione della "distinzione" dogmatica delle tre Persone tra loro, preludio della "assoluta" alterità divina nei confronti dell'uomo.
Se le Persone non fossero distinte non potrebbero essere infinitamente lontane da se stesse; se non fossero uguali non si spiegherebbe l'Unità di Dio.
Una distinzione nell'uguaglianza, dunque, ed un'uguaglianza nella distinzione: il circolo trinitario è perfetto e la vita scaturisce dal suo seno.
La Kenosi del Padre
Entriamo con timore e tremore nel sacro tempio di Dio, l'ambiente divino come amava definire Teilhard de Chardin tenendo presente il famoso testo paolino "Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui"
Lo spogliamento del Padre perfetto in quanto la creazione viene effettuata tramite il Figlio ed a lui finalizzata.
Dio Padre crea l'alterità assoluta, l’infinito pone in essere il finito, il Motore immoto genera il moto, l’informe plasma la forma... l'Unità si compiace della molteplicità, perché solo in essa trova la perfetta alterità, l'infinita distanza da se stesso. Ecco allora la polverulenza cosmica che deve porsi in essere di sintesi in sintesi verso una determinata direzione.
Un processo lento e graduale che si svolge all'interno dei determinismi spazio-temporali ma che rispecchia l'infinita discrezione del Padre che respira la vera libertà e lascia respirare la liberta. I tentativi e i fallimenti della natura, i reciproci adattamenti e le unità emergenti glorificano il Creatore che vuole le creature simili a Lui nella perfetta libertà, in riferimento al Figlio "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza". "Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza" non vuole dire che il Padre nulla ritiene per sé?
Nemmeno l'apparenza è posseduta dal Padre: difatti in Lui essere e atto coincidono, come ama affermare S. Tommaso. Un sasso o un filo d'erba, paradossalmente, s'impongono con la loro apparenza ad ogni coscienza ed hanno un loro peso impercettibile nelle interazioni cosmiche. Dio Padre, l'Essere sussistente, il Fondamento ontologico del Tutto, invece, non ha forma e compie un atto divino apparendo in forma umana in quanto umiliò se stesso. Umiliazione, questa, che è il nocciolo del dinamismo trinitario che richiede l'alterità assoluta. Il prendere forma e l’"apparire' sul piano ontologico costituisce l'assurdo per ogni coscienza che filtri l'essere con le sue categorie, per cui le sembra logico operare ogni possibile riduzione fenomenica per risalire alla purezza eidetica. In che cosa consiste questa purezza se un Ente, apparentemente ad un altro livello ontologico, irrompe nelle categorie spazio-temporali della nostra sfera esistenziale? Come fa a
rivelare se stesso, come spesso pretende? (chi vede me vede il Padre).
È qui lo scoglio di ogni coscienza che continuamente deve rimettersi in discussione. Sembra quasi che il paradosso e la contraddizione rappresentino le categorie mentali che meglio si apprestano ad esprimere il tema teologico, proprio perché la divinità non può essere catturata dalla coscienza in quanto limiterebbe l'idea di Dio. Lo stesso Kierkegaard esprime questo concetto come un leitmotiv della sua filosofia esistenziale e critica aspramente i pensatori che pretendono di schematizzare Dio.
"Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo... divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria"
La Kenosi del Figlio
"Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce".
Il Dio "apparso in forma umana" si è fatto pubblico spettacolo per riscattare molti. Siccome la natura divina nulla ritiene per sé, il Verbo fatto carne doveva vivere in funzione del Padre e per questo si fa obbediente. Ciò significa donare la propria volontà, auto-limitare la libertà ontologica per entrare nella libertà divina che non consiste nello scardinamento delle leggi del determinismo ma nell'inabissarsi in esse per restituire la loro funzione nucleare.
Il Figlio, rivelando il Padre, manifesta anche l'effervescenza del dinamismo trinitario che, come ho già accennato, si concretizza nell'atto della pura donazione, nell'essere l'Uno totalmente per l'Altro infinitamente distante da se stesso. Per questo dovrà dissolversi ogni apparenza e si manifesterà il cuore dell'essere.
Il Figlio sospeso sul legno tra terra e cielo nulla ritiene per sé: onore, potere, comodità, benessere sembrano svanire di fronte alla calca assetata di sangue e beffeggiante, all'impossibilita di operare ancora prodigi, al disagio di un corpo nudo e sanguinante, alle contorsioni di un fisico pestato e dolorante. Persino gli affetti più viscerali vengono ceduti: "Donna ecco tuo figlio" - poi disse al discepolo: "ecco tua madre!". Ed infine la vita: "tutto è compiuto! E, chinato il capo, spirò”. Nemmeno il cadavere rimane incolume, anche se non soggetto alla corruzione: "ma uno dei soldati gli colpi il fianco con la lancia...". Poi il silenzio più assoluto: il corpo inerte viene accolto dalle viscere della terra. L'annientamento è totale, il silenzio è assoluto.
In quell'apparente non-essere (discesa agli inferi) si cela l'apice della manifestazione trinitaria: il nulla si ricongiunge col Tutto. "Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a si tutte le cose, rappacificando con il sangue delta sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli".
Il Gesù storico compie così la sua missione rivelatrice: ridiscende il nucleo della spirale cosmica per risalire la china della spirale divina e condurre con sé coloro che gli furono affidati (Erano tuoi e li hai dati a me).
Ogni apparenza viene cosi dissolta affinché nessuno viva nella menzogna ma entri nel cuore dell'essere che reclama la non appartenenza a se stessi: "chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà".
Il Figlio, dunque, attua il perfetto spogliamento: donando tutto al Padre nulla ritiene per sé e il suo Spirito compie liberamente la sua missione che é quella di ricondurre tutti gli uomini all'unità. "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me". Il silenzio di Dio-Uomo è la sintesi di tutta la rivelazione: in quell'incredibile nulla è celato il Tutto. Mentre nella Passione l'Essere entra in conflitto col nulla dal quale deve emergere spasmodicamente nel totale abbandono al Padre, ciò che per i nostri sguardi è morte reale sottintende la "vita" di Dio.
Un silenzio che rivela più di tutte le parole, l'apparente inazione genera l'azione e conseguentemente tutte le azioni: "lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.
La Kenosi dello Spirito
“È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore,- ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò". Gesù Cristo morto e risorto dona lo Spirito che ha il compito di completare la sua azione ricreatrice, la nuova genesi (alitò su di loro). Lo Spirito, dunque, è "mandato" e già questo primo concetto evidenzia il suo perfetto spogliamento in quanto la sua azione è in stretta relazione con quella delle altre due Persone dalle quali si fa dipendente pur rimanendo individualmente libero.
Lo Spirito non vive per sé ma in funzione del Padre e del Figlio dai quali procede e con essi è "adorato e glorificato".
La sua azione appare come un riverbero di quella del Padre e del Figlio, eppure rimane sempre l'invisibile protagonista del dinamismo trinitario. Il Padre ama il Figlio perché ripone in Lui lo Spirito (Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui), il Figlio ama il Padre al quale riconsegna lo Spirito (Padre, nelle tue mani consegno il tuo Spirito).
Lo Spirito attua, inoltre, il perfetto spogliamento del Padre e del Figlio i quali, compiacendosi rischierebbero (antropologicamente parlando) di essere l'Uno proiezione dell'Altro, una Kenosi troppo gratificante per essere divina in quanto la natura dell'azione divina è misteriosa perché infinitamente distante dalla fonte.
Con lo Spirito le tre Persone attuano il dono di sé completo, la perfetta distanza da se stesse in cui non esiste l'apparenza che si impone a scapito della trasparenza trinitaria ma ognuna è intimamente unita all'altra proprio perché hanno la stessa natura divina, e quindi respirano la stessa essenza. Il circolo trinitario, così, si delinea nell'Unità che è Trina: paradosso, questo, che non può essere captato dalla nostra limitata coscienza senza deturparne la cristallina purezza e che fa intuire, tramite le antenne dello Spirito, l'infinita semplicità di Dio.
Si profila, inoltre, ciò che noi denominiamo umiltà, parola carica di significato ma che esprime solo una pallidissima idea del concetto che presuntuosamente vorremmo applicare a Dio. "La virtù che ha nome umiltà è radicata nel fondo della deità” (M. Eckhart)
Lo Spirito è discrezione divina e quindi motore dialogico: tramite esso il Padre ascolta il Figlio e il Figlio vive per il Padre. L'uno e l'altro si comprendono perfettamente perché appartengono alla stessa essenza divina mentre fiducia e amore reciproci sono alimentati eternamente dalla libertà dello Spirito invisibilmente dinamico, perennemente fecondo. Nulla appartiene al Padre che tutto crea "per questo possiede tutto", nulla appartiene al Figlio che tutto riconduce al Padre; nulla appartiene allo Spirito che tutto dona. Proprio perché ogni Persona nulla ritiene per sé é divina e pertanto possiede tutto in perfetta libertà: paradosso, questo, che non può essere filtrato della logica umana senza un totale sconvolgimento dei propri schemi mentali.
"Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio... l'uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito".
La Kenosi del Dio Uno e Trino
"Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo".
Mentre scrivo non posso fare a meno di guardare ogni tanto il volto della Sindone sull'immaginetta di fronte a me. La osservo ogni giorno e ogni volta che la contemplo scorgo i lineamenti di un uomo che ha subito atroci sofferenze: un viso deformato dai lividi e tumefatto.
Eppure denota una morte composta, decorosa, ieratica. Quell'uomo ha sofferto davvero, non può essere un impostore.
Per me rimane un segno dei tempi destinato alla nostra generazione tecnocratica e iper-positivista.
Osservo il setto nasale fratturato, la guancia gonfia, il labbro tumefatto, le tracce di sangue sulla barba, sulla fronte... proprio sulla fronte mi soffermo su una cifra ben chiara e visibile: è un “3”. Quell'uomo è segnato con un marchio - un numero - che gli uomini del suo tempo ancora non conoscevano e sotto quella forma di scrittura che verrà introdotta più tardi nella nostra civiltà da un popolo di cultura rigidamente monoteista: gli arabi. Quell'impronta di sangue causata dal graffio di una spina della corona mi suggerisce molte cose sul Figlio dell'Uomo, Gesù Cristo: Egli ci rivela l'amore trinitario mediante il suo sangue sparso abbondantemente. Quel sigillo trinitario è posto sulla fronte come segno per la nostra generazione assetata di prove e di razionalismo.
La Sindone, cosi come la conosciamo, è stata scoperta con l'ausilio della scienza e delle innovazioni tecnologiche. I lineamenti di quell'uomo sono stati meglio identificati con lo sviluppo del "negativo". Gesù, quindi, viene intravisto al negativo: richiede l'abbandono della mentalità mondana ed efficientistica per un totale capovolgimento degli schemi mentali. Il vero amore è tracciato col sangue dalle spine di una corona la cui regalità non è come la intende il mondo. (I re delle nazioni le governano... ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve)
Ma è esattamente l'opposto.
Cristo possiede tutto perché ha donato tutto. È re e dominatore perché, obbediente al Padre, si è lasciato dominare e calpestare. Fissando con venerazione quel volto i lineamenti mi diventano più chiari allorché non mi sforzo di possederli ed anatomizzarli. L'amore puro è distacco, abbandono fiducioso, discrezione, rispetto; una mentalità efficientistica non può captare l'immagine del Dio rivelato senza deturparla.
Quel "negativo", quindi, mi rivela l'amore trinitario. Questo Dio talmente trabocchevole di amore che non si è limitato alla perfezione del suo dinamismo interiore, ma concedendo la libertà ad un essere che, pur creato "a sua immagine e somiglianza" è infinitamente distante da se stesso, ha accettato il rischio del peccato, che avrebbe dovuto portare l'essenza umana all'esatto opposto della sua. Ed è proprio della natura divina cercare il suo opposto per reintegrarlo nella "verità", condurre il nulla all'essenza, riordinare il caos distruttivo per richiamare la creazione alla vera esistenza (il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era stato perduto).
È qui il senso dello spogliamento del Dio trinitario: nell'incarnazione, sintesi di tutta la creazione che "geme e soffre le doglie del parto".
Dio ripone il suo interesse e la sua attenzione per una creatura che non l'avrebbe corrisposto, per nulla gratificante, e si sottopone alle sue leggi per ridarle la libertà perduta.
Pier Angelo Piai
www.mondocrea.it
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365 MOTIVI PER VIVERE RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA |
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