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Detenzione e percezione della pena.
Indagine sociologica sugli effetti del trattamento penitenziario

Di Fabrizio Dentini   Dicembre 2008
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- Introduzione
- 1  Perdita della libertà,  relazioni affettive e  produzione sociale di stigma.

- 2  Perdita della libertà, perdita di beni e servizi e solidarietà.
- 3 Perdita di libertà e sicurezza personale.
- 4 Perdita della libertà ed autonomia individuale.
- 5 Perdita della libertà e trattamento penitenziario come meccanismo di potere.
- 6 Perdita della libertà e ipotesi di reinserimento.
- Conclusioni e Bibliografia

 

Conclusioni

 

Dall’analisi delle interviste emerge – nelle prospettive degli accounts provenienti dal “vissuto” - l’enfasi circa una profonda contraddizione che pervade il sistema penitenziario: la punizione avrebbe nel nostro ordinamento anche l’obiettivo “riabilitativo” di condurre il detenuto verso un percorso introspettivo di autocritica; egli, durante l’isolamento dal contesto nel quale ha sviluppato le proprie attitudini, dovrebbe raggiungere un ravvedimento morale, condannare le proprie azioni ed inserirsi nel contesto morale della società che lo punisce, proprio per mostrargli le opportunità di orientarsi verso un percorso di reintegrazione morale, a cui  il condannato potrà partecipare nei termini propri e non più passando attraverso i comportamenti devianti che ne avevano caratterizzato la vita prima dell’ingiunzione della carcerazione. Il quadro che emerge dagli accounts raccolti mostra invece la tendenza ad esperire la situazione presentata come diametralmente opposta: i detenuti riscontrano che la pena risulta spesso sproporzionata rispetto agli errori compiuti, e quindi non tendono a ricongiungersi ad una istituzione statale che avvertono come repressiva, bensì rischiano un ulteriore e più radicale distacco: una distanza raccontata con lucidità, quasi a sottolineare la disillusione di chi, avendo ormai subito la realtà detentiva, non ha bisogno di sentire sprecare più parole a tal riguardo.
Sembrerebbe dunque nelle parole degli intervistati che, invece di fornire esempi di interazione civile e responsabile, utili per il futuro di cittadini che, pur avendo sbagliato, possono tornare ad inserirsi a pieno titolo nella società, la prassi della pena detentiva finisce per fallire nel suo intento di riabilitazione, lasciandosi percepire più come “carnefice” che non come organismo funzionale allo sviluppo e al cambiamento.
La detenzione comporta una notevole mole di sofferenza, delle quali la privazione della libertà rappresenta solo l’aspetto più conosciuto. Gli aspetti sottolineati, la perdita delle relazioni affettive, la mancanza di beni e servizi, la perdita di sicurezza personale e la perdita dell’autonomia individuale, devono essere interpretati nella loro concomitanza nella pena detentiva, perché la loro incidenza in termini complessivi contribuisce a rendere la detenzione un meccanismo strutturalmente degradante, che, a causa delle pratiche sulle quali si fondamenta, tende a compromettere l’istanza riabilitativa della quale dovrebbe essere portatrice.
La detenzione è per la società contemporanea la punizione principale attribuibile ad una molteplicità di reati di diversa natura e di diversa gravità; se questa modalità punitiva dovrà essere ancora assunta in futuro come la pratica principale del nostro ordinamento penale, diventa di necessaria importanza al fine di una sua migliore comprensione attivare dei processi comunicativi che dal sistema penitenziario si sviluppino verso la società civile e viceversa, al fine di rendere la totalità del corpo sociale consapevole delle pratiche punitive che sottoscrive. Colmare questa reciproca distanza, portare a condividere esperienze, altrimenti incomunicabili diventa fondamentale affinché da questa necessaria condivisione si costituisca la base minima per poter mettere in discussione le attuali pratiche penali nel nostro paese.

 

Fabrizio Dentini

 

 

Bibliografia


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