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Animismo e società
Chi non segue i dettami del sistema è considerato ingenuo, stupido, debole o folle. Di conseguenza, andare contro il sistema richiede tanta forza e coraggio. Ma possiamo vivere felici nella consapevolezza di appartenere ad un sistema basato sul profitto e lo sfruttamento? Ritengo di no. L’impresa del cambiamento, però, è ardua. Opponendosi al sistema, si ottengono immancabilmente riscontri negativi. Per esempio, risulta più difficoltoso essere rispettati se si circola con una vecchia automobile, se ci si veste con abiti non firmati o se non si dispone di un ingente conto bancario. Queste non sono di certo novità. Sono consapevole di non proporre nulla di originale in questo senso. Tuttavia, anche se molte persone possano condividere il mio parere, poche decidono di rivedere il loro atteggiamento, invocando magari la loro impotenza a cambiare il sistema e quindi l’ineluttabilità delle loro scelte di vita. E’ possibile interpretare tale situazione come la trasposizione, sul piano collettivo, dell’atteggiamento individuale del nevrotico. A tale riguardo Jung scrive che “...i nevrotici camminano fianco a fianco, per così dire, ai motivi del loro disagio senza per questo decidersi a fare alcunché per cambiare”. E Freud a questo punto avrebbe buon gioco nell’evocare la questione dei tornaconti secondari dei sintomi che complicano la guarigione. In effetti, di tornaconti secondari il sistema ne sforna a volontà: dal shopping alle promozioni professionali e di statuto sociale, a tutti quelli legati all’avere, all’apparire, all’edonismo e ai divertimenti di massa. Ma il shopping diventa spesso compulsivo, lo stress del troppo lavoro finisce per intaccare la sfera affettiva e sessuale, l’inseguimento di modelli esteriori sfocia a volte nella psicopatia o neicosiddetti disturbi del comportamento alimentare, mentre i diversivi di massa favoriscono l’omeostasi del sistema e, quindi, la normopatia.
A quel tipo di invocazione deresponsabilizzante riguardante l’impotenza di fonte al sistema, Jung risponde senza mezzi termini che l’uomo non dovrebbe affidarsi troppo a provvedimenti esteriori; egli dovrebbe piuttosto incominciare ad attuare il cambiamento in sé stesso, impegnandosi nella propria individuazione. L’uomo moderno nutre troppa fiducia nei confronti delle regole esteriori e si comporta come se credesse di potere risolvere tutto a colpi di provvedimenti legislativi. Scaricare le responsabilità sul sistema rafforza il sistema stesso che ha buon gioco nel proporre compromessi seducenti che diano l’ennesima illusione di cambiamento, facendo leva sulla ingenuità e sulla speranza insiti nella gente. Un chiaro esempio di tale compromesso può essere rappresentato, a mio parere, dall’espressione “decrescita sostenibile”, nota nei pochi ambienti che si schierano a favore di un cambiamento radicale del sistema: se si può capire l’idea di uno “sviluppo sostenibile”,a chi dovrebbe giovare una “sostenibilità della decrescita” se non al sistema stesso?
Tornando alla questione centrale del tempo, non a caso una delle frasi che si sentono dire in continuazione riguarda proprio la mancanza di tempo. Il “non avere tempo” è diventato la scusante del secolo. Il più delle volte significa che si è troppo presi dal lavoro, dai doveri e conseguentemente dalla frenesia dell’evasione a tutti i costi. Eppure, è inconfutabile che optando per scelte lucide e coraggiose il tempo si trova. Sono proprio l’omologazione al sistema, la mancanza di coraggio e la deresponsabilizzazione i principali fattori psicologici che impediscono all’individuo di non subire il tempo.
E’ lecito pertanto pensare che in una società finalmente matura l’individuo non debba più sentirsi così pressato dal tempo. Con più disponibilità di tempo diviene anche più facile interrogarsi sulle proprie esigenze e compiere scelta personali. Da sempre, il grande problema per i governanti è: come fare per mantenere il potere? Deprivare i cittadini del loro tempo è una buona strategia per inseguire tale fine. L’altra strategia, che completa la prima e perfeziona la manipolazione mentale, consiste nel determinare il tempo rimanente mediante il controllo e la gestione dell’informazione in tutte le sue forme. In altre parole, il cosiddetto “tempo libero” è in realtà il tempo che i grandi mass media usano per entrare nelle nostre menti e determinare la nostra realtà. L’omologazione dei valori si compie proprio attraverso questo meccanismo che costituisce il motore di ogni propaganda. Già la stampa e la radio rappresentarono una forma di propaganda così potente da permettere la nascita e il diffondersi di movimenti di massa aberranti come il fascismo e il nazismo. Con il successo della televisione, quel potere propagandistico si è raffinato e demoltiplicato. L’uomo di oggi è diventato un telespettatore; egli è costantemente immerso in un bagno di informazione che ne determina in alto grado la psicologia. Pertanto, gli occorre un tempo nuovo per riprendersi la propria anima, che gli permetta di “passare” da un modo di essere collettivo determinato dai media, ad un modo di essere personale acquisito mediante varie forme di introversione.
Occorre anche precisare che se il nostro uomo del futuro non sarà più così pressato dal tempo come lo è oggi, tale risultato non sarà dovuto soltanto a sforzi personali in questo senso, ma anche perché nessuno non dovrebbe volerlo più sfruttare. Passate la mania dello sfruttamento dell’Altro, le sbronze del consumismo e del potere, cosa rimarrebbe? Finalmente, l’attenzione dell’individuo si rivolgerebbe verso gli affetti più cari e la realizzazione di sé. Quest’ultima è l’avventura più entusiasmante per un essere consapevole e l’uomo di oggi deve ancora iniziare ad attuarla. Va da sé ch’egli potrebbe anche non riuscirvi. La brama di potere e l’egoismo possono non avere mai fine, esattamente come le nevrosi possono accompagnare l’uomo per l’intera sua esistenza.
Lo sguardo responsabile e attento verso i propri sogni porta immancabilmente a rapportarsi in maniera autentica con le proprie esigenze individuative, le quali includono anche il mondo. Durante questa operazione, i valori egoici legati al potere, all’avere e all’apparire non possono ovviamente trasformarsi del tutto, ma passano in secondo piano rispetto a quelli legati all’individuazione. Per questa via, l’Altro non viene più concepito in termini di sfruttamento, ma di rapporto più o meno sensato. E’ pertanto l’intera sfera relazionale ad essere rivoluzionata. Estesa su larga scala, l’operazione comporterebbe cambiamenti nel nostro modo di essere e di vivere che superano persino la nostra capacità immaginativa. Per esempio, è per una inconscia esigenza di completamento interiore che spesso siamo attratti da persone estremamente diverse da noi. Frequentando poi queste persone, in termini d’amicizia o di amore, si permette a quelle stesse differenze che dimorano nel nostro inconscio di emergere e di realizzarsi nella nostra stessa coscienza. Il completamento esteriore diviene allora completezza interiore. In pratica, l’Altro viene percepito e sperimentato come un pezzo della propria anima e come occasione per approfondire la conoscenza di sé stessi; oppure, a secondo dei casi, per un rafforzamento di parti di sé già consapevoli ma che in quel momento necessitano di un aiuto. Tutti questi vissuti, come è naturale, portano alla formazione di legami profondi e a ciò che conviene chiamare una “mistica dei rapporti”. Inoltre, in quel modo non sarebbe solo la sfera relazionale a subire una trasformazione, ma anche molte nostre altre attività come l’arte, la scienza e persino la tecnologia che, non essendo più determinate da Economia, tornerebbero al servizio dell’individuo e del mondo.
Sono, mi pare, fondamentalmente due le modalità comunicative attraverso le quali questi cambiamenti possano verificarsi. La prima parte della singola persona e si propaga nella sua cerchia relazionale mediante l’antico potere dell’esempio. Avere la possibilità di frequentare una persona già avviata sul cammino dell’individuazione è una esperienza fortemente stimolante. Secondo un antico adagio alchemico, la pietra filosofale detiene la capacità naturale e spiccata di moltiplicarsi.
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