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Meditazione come osservazione della mente

Discorsi di Dharma

di Geshe Gedun Tharchin

Indice articoli

 

Insegnamenti del Venerabile Lama Geshe Gedun Tharchin, Lharampa. Incontri, lezioni e scritti su Dharma, Meditazione e Buddhisimo.

 

Tecniche di meditazione:

3) La Motivazione

- Maggio 2019

 

Il terzo elemento è quello di generare una buona motivazione. Per coloro che hanno già qualche familiarità con la pratica buddhista mahayana il fatto di generare una buona motivazione è in relazione con la presa di rifugio nei Tre Gioielli e con la proposizione della mente di Bodhicitta, la mente altruista.

La generazione della Bodhicitta generalmente è espressa con la recitazione di un poema di quattro versi che dice:

 

Fino all’illuminazione mi rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha
grazie ai meriti creati praticando la generosità e le altre perfezioni
possa io raggiungere lo stato di Buddha
per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

 

Questo poema fu composto dal Maestro Atisha che ebbe un grande ruolo nella seconda fase di diffusione del Dharma in Tibet, avvenuta tra il X e XI secolo. Questi quattro versi sono recitati da tutti i praticanti buddhisti in Tibet prima di cominciare qualsiasi tipo di pratica.

La presa di rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha dovrebbe essere motivata dalla rinuncia e dalla compassione. La rinuncia dovrebbe essere motivata dalla comprensione del Samsara cioè dalla comprensione del mondo, delle sue sofferenze, dei problemi e delle difficoltà. A partire da questa comprensione bisognerebbe generare il desiderio di raggiungere la liberazione da queste difficoltà e dal mondo del Samsara. Quindi, per comprendere che cosa è la liberazione, che cosa è il Nirvana, bisognerebbe comprendere l’essenza della sofferenza. Il Nirvana è la cessazione della sofferenza e dei problemi. È il risultato del venir meno delle difficoltà: un po’ come il burro che si produce dal rimescolamento del latte. In questo senso il Nirvana è fatto dell’essenza del Samsara. E quindi fare chiarezza sul Samsara vuol dire fare chiarezza sul Nirvana, sulla liberazione dalle difficoltà. Risolvere i problemi significa renderli chiari alla comprensione.

Prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha implica prendere Buddha, Dharma e Sangha come mete della nostra pratica. Buddha, Dharma e Sangha non sono esterni a noi ma interni, sono prodotti dalla nostra stessa pratica. E in questo senso sono il nostro oggetto, la nostra meta. Sono simboli e i simboli non sono reali. Generalmente i religiosi disquisiscono parecchio riguardo ai simboli. In India, infatti, esistono diversi problemi di carattere religioso e gli uni combattono contro gli altri per questioni simboliche e iconografiche.

Tutto questo è molto triste. Secondo l’insegnamento del Buddha non ci sono problemi che riguardano i simboli, la pregnanza dei simboli: se qualcuno venisse e buttasse di sotto quella statua lì del Buddha non ci sarebbero problemi. Questo gesto non creerebbe sofferenza né al Buddha né a noi. Se noi prendiamo quella statua come simbolo è perché ci ricorda il significato, l’essenza dell’insegnamento del Buddha ma non vuol dire che è il Buddha, sarebbe sciocco dire che quella statua è il Buddha. È bene fare chiarezza su questo: prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha vuol dire che la nostra salvezza, ciò che ci salva, dovrebbe essere prodotto all’interno di noi stessi. Il senso del prendere rifugio è che io riconosco che il Buddha, il Dharma e il Sangha sono la meta della mia pratica e che questo scopo deve essere raggiunto dentro di me.

La figura del Buddha – come oggetto di rifugio - è la rappresentazione di una mente tranquilla, libera da impedimenti e da sofferenze. Il Buddha non va visto soltanto come un semplice personaggio storico – realmente esistito – o come una divinità da adorare: è la meta del nostro sentiero spirituale. Rappresenta la nostra personale potenzialità di sviluppo spirituale. Perché noi stessi – se lo vogliamo – possiamo diventare Buddha.

Il Dharma – il secondo oggetto di rifugio – è la Via per raggiungere il Risveglio. Rappresenta un metodo – sperimentato da milioni di persone – per raggiungere la Liberazione da tutte le sofferenze. In altre parole, è il mezzo attraverso il quale è possibile raggiungere lo stato di Buddha.

L’ultimo oggetto di rifugio è il Sangha. È formato da tutti coloro la cui pratica è il Dharma, costituito cioè da persone il cui scopo è il raggiungimento della Liberazione per sé stessi e per gli altri.

In fin dei conti, se ci riflettiamo bene, questi tre oggetti di rifugio non sono elementi esterni alla nostra pratica. Il Buddha, il Dharma e il Sangha non compiono miracoli per conto nostro. Questi tre oggetti di rifugio sono in realtà dentro di noi. Siamo noi stessi con la nostra pratica spirituale a dare loro un effettivo valore.

Quindi, prendere rifugio nei Tre Gioielli è un punto di partenza molto importante. Diventa un obiettivo fondamentale per il nostro progresso spirituale.

Quando ci impegniamo nella pratica meditativa desideriamo raggiungere uno stato mentale di tranquillità e di fare maturare determinate qualità positive della nostra mente. Contemporaneamente, c’è la consapevolezza che lo stato di Buddha non è di beneficio esclusivamente per noi stessi ma per un’infinita moltitudine di esseri senzienti.

Il percorso specifico per raggiungere e progredire spiritualmente è rappresentato dalle sei Paramita (o Perfezioni).

La Generosità e la Moralità servono come base per produrre una piena pratica del Dharma.

La Pazienza è la più grande sorgente della tranquillità e della pace, è la base dell’armonia.

Lo Sforzo Gioioso, l’atteggiamento di entusiasmo che porta a infondere gioia nella pratica del Dharma, uno sguardo che ci permette di praticare con gioia il Dharma.

La Concentrazione è un requisito fondamentale per il raggiungimento di uno stato mentale adatto.

La Saggezza ci permette di individuare quale sia il sentiero, la maniera giusta. Come ho già detto la saggezza è l’occhio che ci permette di guardare le altre cinque Paramita perché, pur praticandole, senza la saggezza rischiamo di non sapere in quale direzione stiamo andando. Quindi, per avere il quadro completo, il sentiero completo, servono tutte e sei le Paramita.

Sebbene la motivazione sia questione semplice quello che dobbiamo ben comprendere sono i profondi significati che in essa si celano. Quando generiamo la motivazione per il benessere di tutti gli esseri viventi, quindi con la mente di Bodhicitta, altruistica, ci poniamo ad un livello molto alto e a quel punto tutti i nostri problemi, le nostre difficoltà, in un certo senso, scompaiono.

La motivazione, cioè desiderare di raggiungere l’Illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, assume una rilevanza straordinaria nel contesto della nostra società. Gli esseri ordinari litigano e si accapigliano per qualsiasi futile motivo, anche per una banalissima tazza di caffè. Sembra pazzesco, ma purtroppo la mente degenerata può spingere anche all’omicidio. Purtroppo ogni giorno ci sono esempi tristi che dovrebbero farci riflettere.

Naturalmente tutto ciò non avviene a caso. Se siamo sempre concentrati sul nostro piccolo ego, pensando continuamente a noi stessi, allora diventa molto facile che anche il più insignificante problema possa ingigantirsi e divenire ingestibile, facendoci soffrire terribilmente.

È importante soffermarsi un po’ a riflettere quando parliamo di Rinuncia. Dobbiamo sottolineare che per i tibetani ha un significato abbastanza diverso rispetto a quello che ha nelle lingue occidentali come l’italiano o l’inglese.

Per gli occidentali dedicarsi alla Rinuncia equivale a comportarsi come dei veri e propri pazzi: si abbandona la famiglia, il lavoro, gli amici e tutto quanto. Secondo me, questa è una concezione errata della Rinuncia che ci porta fuori strada del nostro cammino spirituale.

Per i tibetani, invece, la rinuncia viene intesa come comprensione del Samsara e del Nirvana, maturando contemporaneamente il desiderio di raggiungere la Liberazione.

Infatti, la vera Rinuncia è la comprensione della realtà fenomenica, di come funziona, la comprensione delle sofferenze e, in un certo senso, la realizzazione dell’esistenza del Nirvana. Quando si realizza l’esistenza del Nirvana, solo allora ci si può impegnare nella pratica del Dharma perché si vuole raggiungere il Nirvana, la Liberazione.

Quindi chi possiede la mente della Rinuncia ha una mente aperta che non è concentrata solo su sé stessa.

Pensate a certi cavalli che portano i paraocchi: possono vedere soltanto la strada che è dinnanzi a loro. La mente egoistica è una mente con i paraocchi, cioè una mente molto ristretta, limitata. Per permettere alla nostra mente di vedere tutto dobbiamo toglierle quei paraocchi.

La Rinuncia, la Compassione e la Bodhicitta hanno la caratteristica di donare alla mente uno sguardo aperto e radioso. Soltanto in questo modo quel “me stesso” che ci crea tanti problemi perde di importanza, sino a svanire del tutto.

Lo so. Vi parlo di queste cose quando io stesso trovo difficile possedere realmente una mente aperta. Ci metto tanto buon impegno e però mi rendo conto di quanto sia arduo.

Ciononostante, quando maturo la convinzione che esiste lo spazio per una mente chiara, pacifica e amichevole, molti ostacoli nella pratica svaniscono facilmente. È importante, però, non avere fretta. Il muro delle difficoltà deve essere sbrecciato poco alla volta: prima ci si incunea in un piccolo foro poi, passo dopo passo, si va avanti con fiducia.

L’Illuminazione è una mente completamente aperta, del tutto chiara. Bodhicitta è rendersi conto di poter raggiungere questo stato di mente risvegliata e avere il desiderio di conseguirla. Questa mente aperta, completamente illuminata, è fonte di ogni gioia e di benefici non solo per sé stessi ma per tutti gli esseri viventi. Bisogna comprenderlo chiaramente, fare chiarezza dentro sé stessi su questo punto. Senza questo tipo di motivazione è difficile impegnarsi nelle pratiche, nelle tecniche di meditazione, nelle Paramita.

Ci sarebbero ancora molte cose da dire sulla motivazione: è un argomento molto vasto e molto importante. Però la prima cosa è comprendere come funziona, cosa è, come è possibile ottenerla. Bisogna comprenderne i benefici sia nel proprio quotidiano, nella vita di ogni giorno, sia, ad un livello più alto, nella vita di tutti gli esseri viventi. E infine bisogna che ognuno la acquisisca attraverso il proprio personale impegno: solo così ciascuno può decidere se accettare o meno la sfida.

Siamo liberi. Il Buddha stesso ha detto che tutti noi abbiamo la facoltà di giudicare, di sperimentare il suo insegnamento, verificare se è vantaggioso o no: questo è quanto Egli ha realizzato, quanto ha sperimentato. Il Buddha non ha detto che la sua è l’unica via ma ha suggerito di metterla alla prova e, quindi, questa via può essere saggiata da ciascuno di noi. È una via, non l’unica. Questa è la ragione per cui in Occidente molte persone si sono avvicinate al Dharma, proprio per questo approccio in un certo senso razionale, pratico. Ci sono alcune persone che hanno una naturale tendenza verso l’insegnamento del Buddha, forse causata dalle esperienze del passato o da quelle in vite precedenti. Spesso queste persone hanno una sorta di propensione naturale verso il Dharma, un’affinità quasi genetica e la via del Dharma procura loro molti benefici e molta gioia.

 

   Geshe Gedun Tharchin

 

2) La Postura del corpo - 4) Cos’è la Meditazione

 

Indice dei Discorsi di Dharma


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