Enciclopedia Indice
Antropologia visiva - Antropologia criminale - Antropologia linguistica - Antropologia dialogica
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Pag. 1 - Cenni storici - Indirizzi attuali
Pag. 2 - Antropologia biologica - Culturale
Pag. 3 - Antropologia visiva - Criminale - Linguistica - Dialogica
Pag. 4 - Antropologia interpretativa - Cognitiva
ANTROPOLOGIA VISIVA
Corrisponde a quel settore dell'antropologia culturale applicata che studia e documenta le manifestazioni visive del comportamento umano, elaborando dati raccolti non solo nelle cerimonie e nelle usanze ma anche nei miti, negli atteggiamenti, nei sogni dei singoli e dei gruppi cui essi appartengono. Le indagini condotte fra gruppi omogenei, classi sociali e gruppi etnici hanno messo in rilievo che una parte significativa dei singoli modelli culturali viene espressa con atti visivi più che verbali: si va dall'abbigliamento e dagli atteggiamenti quotidiani al modo di organizzare lo spazio intorno, dai gesti e dalla mimica alle varie espressioni delle arti figurative. Da ciò lo studio dell'impatto che i moderni mezzi di comunicazione visiva hanno sul comportamento dei singoli e dei gruppi, fino a elaborare metodiche che, utilizzando tali mezzi, possano fornire strumenti di orientamento e controllo sociale. Di contro, l'antropologia visiva applicata ai mezzi visivi permette di elaborare i dati raccolti, individuandone gli effetti negativi, i limiti e il pericolo di distorsione della realtà propri di ciascuno di essi.
ANTROPOLOGIA CRIMINALE
Branca della criminologia che studia il delinquente in base al suo comportamento, ai suoi indici somatici, alle varie anomalie morfologiche, integrandoli con i dati della psicopatologia e della sociologia. Fondatore di questa scienza è comunemente ritenuto Cesare Lombroso, al quale seguirono G. Marro, E. Ferri, R. Garofalo, A. Gemelli, N. Pende, B. di Tullio, E. Altavilla, ecc. L'antropologia criminale sostiene l'origine morbosa dei delitti fino a giungere alla conclusione che la struttura morfologica di un individuo sia sufficiente a identificare una personalità criminale. Avversata dai cattolici per il problema del libero arbitrio e dagli idealisti come espressione della loro opposizione al positivismo, essa ha però avuto il merito di aver messo in risalto i coefficienti individuali del delitto, di aver suggerito una profilassi della delinquenza e di aver indirizzato la legislazione verso la rieducazione del delinquente.
ANTROPOLOGIA LINGUISTICA (o linguistica antropologica)
Disciplina che si basa sullo studio delle profonde interrelazioni esistenti fra il linguaggio e la cultura o la società. Si tratta di una disciplina che ha ottenuto uno statuto autonomo piuttosto recentemente, anche se il legame fra i fenomeni linguistici e i fenomeni socioculturali è stato avvertito dagli studiosi da molto tempo. Antropologi come F. Boas e E. Sapir, con le loro ricerche risalenti agli inizi del sec. XX sulle lingue degli Indiani dell'America Settentrionale, testimoniano dell'interesse sempre vivo mostrato dagli studiosi della cultura per il linguaggio. Proprio da questi primi studi sono emersi quegli elementi che, successivamente, saranno sottolineati dagli antropologi linguisti fino a dare origine a una vera e propria disciplina con un metodo e un oggetto specifici e ben definiti. La lingua, nella considerazione dell'antropologia linguistica, è il filtro attraverso il quale passa l'esperienza umana: in questa prospettiva essa diventa anche primario veicolo del pensiero. Su queste basi prese forma la nota ipotesi detta di Sapir-Whorf, secondo cui la lingua che parliamo influenza la nostra visione del mondo e così accade in ogni altra cultura e per ogni altra lingua. Le discussioni che seguirono la formulazione di questa ipotesi - anche detta del relativismo linguistico - hanno portato ad approfondire sempre di più i rapporti fra lingua, pensiero ed esperienza; oggi, anche se non è più sostenibile l'ipotesi nei termini rigidi in cui era stata formulata - soprattutto per gli esiti di incomunicabilità fra una cultura e l'altra, ciascuna chiusa nel suo specifico mondo linguistico, che essa comportava - è comunque riconosciuto il ruolo importante della lingua nell'organizzazione del pensiero, dei sistemi di conoscenza oltre che nella trasmissione del sapere tradizionale da una generazione all'altra. In altri termini è assodato che esiste una visione del mondo specifica e propria di ciascun gruppo culturale e che la lingua ne fornisce le linee di base. Lo studio di quest'ultima, in tal senso, può rivelarsi prezioso per la ricostruzione della visione del mondo di un determinato gruppo culturale, in relazione a un determinato ambiente. L'antropologia linguistica si è, negli ultimi decenni, orientata verso due prospettive principali di ricerca: quella legata alla competenza linguistica, che confina con l'antropologia cognitiva, volta alla ricostruzione dei tratti universali, dei principi costanti che regolano l'elaborazione di una visione specifica del mondo, e quella legata all'esecuzione linguistica, che confina con la sociolinguistica, volta allo studio dell'uso effettivo della lingua in un contesto sociale e culturale.
ANTROPOLOGIA DIALOGICA
Indirizzo di ricerca in cui è centrale il riconoscimento del ruolo essenziale del dialogo inteso come una modalità privilegiata di espressione dell'intersoggettività umana. L'antropologia dialogica è un'acquisizione teorica recente di cui il principale esponente è l'antropologo statunitense D. Tedlock. Fra la ricerca nel campo delle scienze naturali e la ricerca nel campo delle scienze sociali, secondo Tedlock, esiste una differenza fondamentale, ma che è stata spesso trascurata dagli studiosi: nel primo caso si procede attraverso l'osservazione silenziosa, mentre nel secondo caso è necessario entrare in un mondo di conoscenze, intenzioni, nozioni culturali, valori e modelli di comportamento condivisi da una molteplicità di persone. Questo è il mondo dell'intersoggettività, al quale è impossibile accedere se non attraverso il dialogo. Il dialogo consente di "gettare un ponte" fra mondi culturali differenti e che, all'inizio della conversazione, sono infinitamente lontani. Trascurare l'importanza del dialogo, come è stato fatto in gran parte dall'antropologia classica, rende, secondo Tedlock, impossibile la ricerca in antropologia, a meno che questa non venga erroneamente confezionata in una oggettività apparente che, per la sua stessa natura, non può avere. Questa oggettività simulata si rivela, infatti, una sovrapposizione della soggettività dell'osservatore (l'antropologo) sulla soggettività dell'osservato (l'indigeno). Tedlock propone allora di non perdere mai di vista il fatto che è il dialogo ciò che può assicurare a una ricerca antropologica la sua validità; per questo è necessario integrarlo alle interpretazioni, alle domande, alle intuizioni, alle osservazioni e a tutto quanto ha permesso all'antropologo di conoscere ciò che dimostra di sapere scrivendo una monografia sulla popolazione che ha studiato. L'adozione del modo dialogico di fare antropologia, allora, non implica tanto l'abbandono delle passate metodologie di analisi culturale, quanto l'adozione di una prospettiva che comprenda anche il ruolo attivo degli indigeni nel processo di costruzione del sapere antropologico.
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Nel sito la rubrica d'Autore "Riflessioni Antropologiche" dell'antropologo Andrea Bocchi Modrone
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