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Antropologia biologica - Antropologia culturale

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Pag. 1 - Cenni storici - Indirizzi attuali
Pag. 2 - Antropologia biologica - Culturale
Pag. 3 - Antropologia visiva - Criminale - Linguistica - Dialogica
Pag. 4 - Antropologia interpretativa - Cognitiva

 

ANTROPOLOGIA BIOLOGICA

È quel settore dell'antropologia che comprende l'insieme delle metodiche che hanno quale oggetto di studio l'uomo come fenomeno biologico in senso stretto. La specie umana costituisce infatti un problema biologico particolare, in quanto è la sola specie animale attualmente vivente che si è diffusa su tutta la terra con progressione crescente, in contrapposizione all'involuzione o alla scomparsa delle specie a essa più vicine e più simili. È la sola che si è adattata a climi e ambienti molto diversi, modificando non solo alcuni aspetti morfologici propri ma anche l'ambiente in cui si trova, fino a essere in grado di sopravvivere (opportunamente protetta e organizzata) nello spazio circumterrestre. L'antropologia biologica si occupa sia del vivente sia dei resti fossili dell'uomo utilizzando metodiche proprie che tuttavia si avvalgono di tecniche spesso elaborate da altre discipline scientifiche. Per ciò che riguarda i reperti fossili procede allo studio e ricostruzione dei resti allo scopo di fornire gli elementi oggettivi per indagare sul processo dell'ominizzazione, compito questo assolto dalla paleoantropologia. Le ricerche sul vivente sono rivolte sia verso i singoli, dei quali vengono studiate le modificazioni somatiche, morfologiche, fisiologiche, psicologiche e comportamentali, sia verso i gruppi umani per determinarne non solo le caratteristiche antropologiche ma anche le variabili psicofisiche in rapporto all'ambiente e alla dinamica culturale, la distribuzione dei valori morfosomatici, i valori dei parametri quantitativi (peso, statura, caratteri ematologici, ecc.) in relazione all'habitat e al modo di vita In tal senso, l'antropologia biologica comprende vari settori di specializzazione fra i quali alcuni sono fondamentali oltre quello di più antica origine, cioè l'antropometria, che consente di elaborare statisticamente i valori metrici di ogni parte del corpo rilevati sia sul vivente sia sui reperti fossili; in questo settore, particolare rilievo assume la craniometria per quel che concerne lo studio, la ricostruzione e la comparazione dei crani (o di parti di questi) di Ominidi e uomini fossili. La somatologia morfologica consente, mediante scale di valori, tabelle, indici particolari nonché elaborazioni grafiche al calcolatore, di individuare e classificare tutti i fattori pigmentari e tegumentari della pelle, la morfologia del corpo umano vivente e delle sue singole parti, nonché le caratteristiche fisionomico-morfologiche della testa; in particolare indaga sui meccanismi ereditari dei singoli caratteri (p. es.: colore della pelle, degli occhi, dei capelli), sulle loro anomalie e sul loro significato di adattamento all'ambiente. Gli aspetti dinamici e strutturali dell'organismo umano vengono studiati sia nel significato funzionale, sia in rapporto ai fattori evolutivi e all'influenza dell'habitat, relativamente ai singoli e ai gruppi. Sono così affrontati caratteri quali: la capacità vitale (mediante spirometri) con la frequenza respiratoria e del polso, nonché del dispendio energetico e della pressione arteriosa; la sensibilità e gli adattamenti degli organi di senso, compresi i sistemi di regolazione della temperatura corporea e della resistenza alla sete e alla fame; l'accrescimento, la fase puberale, l'invecchiamento; la composizione corporea e le sue interconnessioni con il carattere e i meccanismi fisiologici; la struttura immunoematologica del singolo e soprattutto dei vari gruppi etnici. Quest'ultimo campo d'indagine utilizza tutti i più avanzati metodi d'analisi, data l'importanza crescente che hanno sulla conoscenza delle popolazioni umane le ricerche sui marcatori genetici, i gruppi sanguigni, le proteine seriche e gli enzimi. Infine vengono studiati gli aspetti biodemografici delle popolazioni in riferimento all'isolamento riproduttivo, alle regole matrimoniali, al meticciamento, alle migrazioni, ai processi di assimilazione culturale, agli influssi sul singolo e sulle collettività del rapido sviluppo delle tecnologie, i cui effetti spesso si rivelano più negativi che positivi per lo sviluppo biofisico della specie.

 

ANTROPOLOGIA CULTURALE

Disciplina che nell'ambito delle scienze antropologiche, studia settorialmente i vari aspetti culturali, psicologici e religiosi dei singoli gruppi etnici e le loro interrelazioni con le rispettive strutture socioeconomiche. In tal senso si differenzia dall'etnologia che affronta un più vasto campo di problemi integrandoli fra loro. Negli Stati Uniti, dove l'antropologia culturale è sorta, vari studiosi si occupano anche della ricerca e descrizione dei molteplici aspetti che presenta il modo di vivere dei singoli popoli, sebbene questi vengano considerati compiti tradizionali dell'etnografia. Le origini di questo indirizzo delle scienze antropologiche si fanno risalire alle tesi esposte da E. B. Tylor nella sua opera Primitive Culture (1871), che avevano a fondamento il concetto di "acculturazione" enunciato da J. W. Powell: in base a questo, la cultura dei "primitivi" era intesa quale "fenomeno chiuso", il cui sviluppo è condizionato dai processi di assimilazione da parte di una "cultura superiore"; pertanto, la sua conoscenza richiede uno studio finalizzato delle forme in cui si esprime. Le metodologie d'indagine, suggerite da Tylor e perfezionate nel tempo, sono ancora oggi seguite da gran parte degli antropologi culturali statunitensi, anche se i presupposti e le finalità sono spesso diversi; esse si basano sullo studio di singole culture e più ancora di singoli aspetti di esse (approccio idiografico) ancora in atto per giungere a una generalizzazione del fenomeno rilevato attraverso la comparazione dei dati acquisiti per un numero sufficiente di soggetti esaminati (approccio nomometrico). Con tale metodologia, tuttavia, si finisce col sottovalutare il contesto storico in cui ogni cultura si è sviluppata, il rapporto di questi con l'ambiente, l'incidenza dei rapporti di forza e di soggezione economico-politica dovuti ai contatti con società più "forti", la dinamica culturale "interna" di ogni popolo, che sono presenti invece nell'analisi diacronica attuata con le metodologie proprie dell'etnologia. Fino agli anni Quaranta del sec. XX, l'antropologia culturale statunitense fu influenzata tuttavia dalla scuola di F. Boas, antropologo ed etnologo, che dimostrò come la cultura sia indipendente da fattori razziali e abbia in sé caratteri tipici per ciascun gruppo etnico e pertanto sia un prodotto autonomo di ogni popolo. Su questa strada vennero condotte indagini sui "caratteri nazionali" delle singole culture e sul potere condizionante che queste hanno sulla personalità dei singoli: si affermò quindi una scuola, detta "cultura e personalità" di cui massimi esponenti sono stati R. Linton, M. Mead, A. Kardiner. Nello stesso periodo si diffuse negli Stati Uniti un diverso approccio, suggerito da R. F. Bendict (Patterns of Culture, 1934), che partiva dalla tesi che solo l'antropologo è in grado di cogliere, più per intuito che per fattori oggettivi, i caratteri distintivi di una cultura: si aprirono così ricerche sulle modalità con cui la cultura viene assimilata o imposta, sulle strategie di ciascun gruppo per difendere la propria identità, sui modi con cui all'interno di un gruppo e fra due gruppi viene attuato il controllo sociale e altre ancora più settoriali. L'interesse si spostò, intorno agli anni Cinquanta, sulla ricerca e formulazione di "modelli culturali" (R. Redfield, C. Wissler, C. Dubois, V. Barnouw) solo da pochi intesi quale superamento di pregiudizi etnocentrici ("relativismo culturale" di M. Herskovits); vennero elaborate tesi che affermavano una sostanziale equivalenza tra grado di cultura e livello di civiltà fino a postulare l'esistenza di "livelli naturali" ben circoscritti (L. White, A. Kroeber e altri). Da questa impostazione deterministica si scostò la scuola inglese che con A. R. Radcliffe-Brown (Method in Social Anthropology, 1958) pose quali fattori preminenti della ricerca i contenuti sociali della cultura riallacciando quindi più stretti rapporti con l'etnologia (antropologia sociale). La grande mole di dati acquisiti portò alcuni studiosi (R. Benedict, C. Kluckhohn e altri) a elaborare una teoria dell'acculturazione controllata delle società subalterne che divenne la base dell'antropologia culturale applicata, le cui metodologie offrono a enti e governi interessati gli elementi utili per orientare e controllare gruppi sociali, etnie, masse di popolazioni; applicazioni pratiche risulta siano state messe in atto nell'America Latina sulla base di elaborazioni al calcolatore presso il Massachusetts Institute of Tecnology e lo sono ancora, almeno nel campo dei mass-media. Recentemente negli Stati Uniti hanno ripreso vigore le ricerche specialistiche quali quelle di antropologia psicologica, economica, religiosa, politica, sociale con particolare attenzione ai fenomeni di "patologia sociale" conseguenti il disadattamento, il conformismo, la ribellione, l'integrazione, il condizionamento mentale ed economico di singoli, gruppi, popoli. Le varie scuole traggono ispirazione anche dall'antropologia strutturale di C. Lévi-Strauss, dall'etnologia storico-culturale italiana, dall'antropologia sociale inglese e dall'antropologia economica francese che si rifà al pensiero marxista (M. Harris, S. Diamond). Contemporaneamente, l'intreccio di metodologie e le influenze reciproche delle varie scuole, presenti anche in Italia (A. M. Cirese, C. Gallino, A. di Nola, ecc.), sta operando per il superamento della distinzione fra antropologia culturale ed etnologia, nella prospettiva di elaborare tesi generali che tengano conto del fatto che le "culture altre" vanno considerate componenti indispensabili in un mondo oggi "molto piccolo" e in rapida trasformazione.

 

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Nel sito la rubrica d'Autore "Riflessioni Antropologiche" dell'antropologo Andrea Bocchi Modrone

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